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Autore: CatFraBrune    11/01/2016    0 recensioni
Amanda Bigelli è di Bologna. O meglio, lo era. Si ritrova improvvisamente in un altro mondo, dove gli anni sembrano essersi fermati al medioevo. Come e perché è li? Come può tornare a casa?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è frutto della mia immaginazione e chiedo gentilmente che nessuno ne copi il contenuto o ne prenda spunto, grazie.

Prologo

Una morsa gelida prese il sopravvento sul suo corpo, rendendolo pesante e debole. Amanda si dimenava nel buio del lago cercando di risalire in superficie. Aveva già urlato perdendo quel poco ossigeno che aveva nei polmoni e adesso l’unica cosa che sentiva era una pulsazione crescente nel cervello, segno di una imminente perdita di sensi. Non riusciva nemmeno a pensare, tanto era sopraffatta dalla situazione. Le gambe scalciavano, muovendo il piccolo corpo verso l’alto. E poi eccola li, la superficie. Prima riaffiorarono le mani e le braccia, con movimenti convulsi, schizzando acqua per metri, poi i capelli ed infine il naso e la bocca.

Amanda spalancò gli occhi e aprì la labbra, ingurgitando tutta l’aria che poteva nei polmoni.

Il respiro affannato riecheggiava nella notte ma la ragazza non perse tempo a guardarsi intorno. Doveva uscire dall’acqua in fretta, prima di morire a causa del freddo. Si mosse velocemente verso la riva mettendo in pratica quel poco di stile libero che conosceva, mentalmente ringraziando la madre per averla forzata a fare un corso di nuoto quando era più piccola. I piedi toccarono finalmente il fondale e nel giro di qualche secondo, Amanda si accasciò sulla riva innevata. Tossiva e piangeva al tempo stesso, grata di essere viva. Purtroppo, quel piccolo momento di felicità era destinato a durare poco. Non le ci volle molto a rendersi conto che era sdraiata su un terreno umido, freddo e bianco. Non era morta nel lago ma l’aria esterna le stava congelando le membra.

Si alzò, fradicia, e si guardò istericamente intorno. Gli alberi, il buio, la neve e la luna le facevano compagnia in quel paesaggio spettrale, corredati dal freddo pungente. Eppure, ecco in lontananza un barlume di speranza: una luce. Non le importava dove sarebbe finita, voleva solo poter dire di avere ancora dieci dita nei piedi una volta terminata la camminata verso il lume.

Non ci mise molto, appena dieci minuti. Si ritrovò davanti ad una casa più alta che larga, con mattoni a vista. Amanda sbatteva talmente forte i denti che quasi non avrebbe nemmeno dovuto bussare sulla porta ripetutamente: l’avrebbero sentita ugualmente. Bussò tre volte sul portone di legno massiccio, con mani tremanti. Nessuna risposta. Bussò altre tre volte e finalmente sentì del movimento dietro l’entrata. Stavano forse decidendo se aprire?

“Aprite! V-vi prego!” Urlò lei, continuando a sbattere i denti e a bussare al portone di legno. Ormai non le interessava la buona educazione e di certo non era importava sapere chi avrebbe aperto. Se avrebbero aperto.

Pochi istanti dopo aver parlato, il portone si schiuse di qualche centimetro, giusto per mostrare l’occhio di una signora anziana. Lo sguardo era dubbioso inizialmente ma dopo averla squadrata da capo a piedi, Amanda vide chiaramente l’unica palpebra visibile spalancarsi e l’angolo sinistro della bocca aprirsi sbigottito. La donna disse qualcosa sottovoce, con tono preoccupato, ad un’altra persona e finalmente spalancò il portone, intimando alla ragazza di entrare. Amanda non badò nemmeno a ringraziarla: si fiondò direttamente di fianco al fuoco e ringraziò mentalmente di poter sentire ancora tutte le dita. I jeans fradici e il maglioncino sottile le erano come avvinghiati al corpo esile e minuto, lasciando poco all’immaginazione, ma a lei non importava. Sarebbe rimasta volentieri tutto il resto della sua vita ad arrostirsi davanti a quel fuoco allegro, caldo e accogliente.

La sala in cui era entrata aveva un tavolo in legno al centro, circondato da sei sedie, e nel lato opposto al fuoco si poteva vedere un angolo cottura. L’illuminazione era fioca e dovuta esclusivamente a candele che bruciavano sui quattro muri della stanza. Le sembrava di essere tornata al medioevo e infatti la scena che aveva davanti agli occhi le ricordava una di quelle serie tv ambientate proprio nell’era dei cavalieri e delle regine. Uno spesso strato di polvere e sporco, però, le lasciavano intuire come quella non fosse assolutamente una reggia anzi, sembrava più la casa della servitù e le persone che le avevano aperto la porta confermavano questa tesi. La donna anziana aveva dei lunghi capelli grigi raccolti in una specie di chignon ed indossava un logoro maglione beige insieme ad una gonna lunga quasi fino a coprire i piedi mentre l’uomo, probabilmente sulla cinquantina e con una barba incolta, aveva a sua volta un maglione di spessa lana di un bianco spento ma corredato con dei pantaloni di stoffa. Entrambi avevano delle scarpe usurate e di un colore indefinito dovuto allo sporco. Avevano tutti e due uno sguardo stupito, curioso quasi. Continuavano a guardare i suoi vestiti e le sue scarpe, delle normali calzature sportive, come se fossero qualcosa di anomalo.

La prima a muoversi fu la donna, avvicinandosi al piano cottura. Tirò fuori una scodella e un cucchiaio e si avvicinò ad un immenso pentolone. Immediatamente la sala fu pervasa da un delicato aroma di verdure, dovuto al mescolamento di quella che Amanda aveva ormai decretato come zuppa. La signora le versò due mestoli pieni e le porse la ciotola, intimandola con un gesto della mano a non fare tanti complimenti.

E Amanda non ne fece proprio. Si gettò sulla zuppa con grande foga, solo allora rendendosi conto della fame che aveva. Il freddo le aveva prosciugato tutte le energie. Mangiò in fretta e nel giro di pochi minuti aveva finito.

“Grazie, grazie davvero, grazie.” Disse infine, pulendosi la bocca con il dorso della mano. La donna le prese la scodella dalle mani e tornò poco dopo con un polveroso panno di lana. Fu in quel momento che l’uomo aprì bocca:

“Chi sei?” Le domandò, più curioso che diffidente. Ormai aveva assodato che Amanda non era una minaccia per la loro incolumità e si era rilassato un poco, sedendosi su una delle sedie.

Chi era Amanda? Di certo lei lo sapeva, lo sapeva benissimo. Aveva ventuno anni, stava frequentando il corso di lingue e letterature straniere all’università di Bologna ed era uscita dal liceo classico con quasi il massimo del punteggio. Era nata e cresciuta proprio a Bologna, insieme a suo fratello maggiore Riccardo e ai suoi genitori. Soprattutto, il dettaglio più importante, era l’anno da cui proveniva: il 2015. E quel posto ad Amanda, per quanto lei non volesse e non potesse crederci, non sembrava proprio il 2015.

La ragazza alzò gli occhi, dopo essersi nascosta dentro quel caldo panno, noncurante dello sporco. Si morse il labbro, incerta sul da farsi. Dire la verità? Mentire? Avevano in ogni caso visto i suoi vestiti, come poteva nascondere di essere una qualche sorta di straniera?

“Mi chiamo Amanda…” Rispose infine, incerta. Il nome non era un problema, alla fine non credeva minimamente che sarebbe stato un problema rivelarlo. Le due persone che l’avevano accolta sembravano comunque gentili, non intenzionate a farle del male.

“Sei una straniera? I tuoi vestiti sono… particolari.”

“Sono…”, era cosa, esattamente? Una ragazza sperduta chissà dove che non sapeva nemmeno come ci era arrivata in quel luogo? Oppure era un sogno? Il freddo e la stanchezza però erano reali, fin troppo reali. Inoltre, la sensazione di morte imminente che aveva provato giusto una mezz’ora prima mentre l’ossigeno dei suoi polmoni stava finendo era la prova tangibile che quello che stava accadendo era vero. La donna nel mentre la guardava con apprensione, quasi con uno sguardo materno. Fu in quel momento che parlò.

“Ragazza mia, sei un’altra vittima di Gall?” Chiese lei, con un tono dolce. “Sei fuggita?”

“No io… io mi ricordo di essere…”, apparsa improvvisamente in un lago? Sarebbe stato davvero divertente vedere le loro facce se mai avesse pronunciato quelle parole. L’avrebbero presa per una pazza. E chi diavolo era questo Gall? La scelta migliore era rimanere sul vago, la scusa migliore era quella di dire di non ricordare nulla.

“Mi ricordo soltanto di essere riemersa da un lago non molto distante da qui… e ho visto una luce uscire dalla vostra finestra. L’ho seguita. È tutto quello che ricordo.” Non aveva mentito, aveva semplicemente omesso tutta la sua vita prima di quel momento. La donna anziana lanciò un’occhiata all’uomo ma non disse nulla.

“Ragazza, non vogliamo avere problemi.” Disse lui, questa volta con un tono più duro. “Se ci stai mentendo e qualcuno verrà a cercarti, noi non ti proteggeremo.”

“Giuro di non ricordare nulla. Non so nemmeno chi sia questo Gall.” I due si lanciarono uno sguardo dubbioso ma non pressarono la faccenda e calò il silenzio nella sala. Amanda si sentiva stanca, febbricitante e nervosa. Più pensava a tutto quello che era successo, meno ne capiva il senso. In più, dava la schiena al fuoco scoppiettante, e questo non faceva altro che aumentare il suo senso di torpore. Nel giro di pochi minuti, chiuse gli occhi e si addormentò. Non si rese nemmeno conto che qualcun altro era entrato nella sala.
   
 
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