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Autore: David89    14/03/2009    2 recensioni
...Era lì. Potevo ucciderlo, fargli saltare il cranio. Premere il grilletto. Si, era lontano, ma in Russia addestrano anche i migliori cecchini del pianeta. Dicono. Cosa, cosa m'ha spinto a non ucciderlo? La croce del mio M40 con la sua bella faccia in mezzo. Vento leggermente da Ovest. Stavo mirando alla donna a fianco a lui, sapendo che tanto avrei colpito la sua fronte, un buco in testa. PUM! Un lavoro pulito. Sarei ora in qualche isola del Pacifico. Sole, caldo, soldi e donne. Cosa potevo desiderare di più?...
Genere: Thriller, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9.
Scacchi.




Erano passati diversi giorni dalla prima volta che avevo riaperto gli occhi, dopo l'intervento.
Jean non era più venuto a trovarmi, ma l'avevo chiamato io, per dirgli che presto sarei tornato; il giorno in cui sarei stato rilasciato dall'ospedale, m'aveva detto che sarebbe venuto a prendermi.
Evitai di chiedergli dov'ero. Sapevo che controllavano ogni mia conversazione.


Ormai la ferita alla spalla era quasi guarita. E sulla testa avevo solo una cicatrice.
Mi avevano lasciato la possibilità di uscire dalla camera, e fare qualche passeggiata per i corridoi. Guardavo fuori dalla finestra, ma non vedevo altro che alberi. Sembrava una clinica isolata dal mondo.
Non c'erano tanti pazienti. E i pochi che vedevo erano messi molto peggio di me.
I dottori erano però gentili, e sapevano il fatto loro.
Ero continuamente sorvegliato da uno o due agenti, colleghi di Martin a quanto pareva. Non avevamo ancora parlato di niente. La prima e ultima volta che lo vidi fu quando mi svegliai da dopo l'operazione, ancora sotto effetto dell'anestesia.


Sarei dovuto tornare a casa il giorno dopo. Ormai ero lì dentro da almeno due settimane.
Lunedì sarà il giorno del mio “rilascio”, pensai, sorridendo. Neanche fossi stato rapito.
Domenica venne Martin. Ero in camera, assorto a guardare fuori dalla finestra ammirando gli imponenti alberi che circondavano l'edificio.
-Come va?- si presentò così, aprendo la porta.
Ero ancora a guardar la finestra. Poi mi voltai.
-Meglio, grazie.-
-Bene... Aspettavamo questo momento...-
-Avrei bisogno di parlarti...-
-Anch'io... Vieni, seguimi...Usciamo fuori...-
Ero ancora con la vestaglia blu dei pazienti, delle ciabatte ai piedi. Mi misi addosso la mia giacca che era appoggiata su una sedia, sperando che non ci fosse troppo freddo.
Appena fuori dalla camera, due guardie ai lati della porta ci seguirono. Martin davanti, io dietro di lui. Gli agenti ai due lati, dietro di me.
Scendemmo le scale. Appena davanti un bancone di legno lucido, con due infermiere a sbrigare alcune cose al computer. Una reception veramente di lusso.
Aprii le porte, mentre un'aria primaverile m'accarezzava la faccia.
-Lasciateci soli...- si girò Martin, guardando le guardie. Non dissero niente, e tornarono dentro.
Rimasi a guardarli, poi mi girai verso di lui.
Iniziò a parlare -Abbiamo bisogno che...- - Chi era quell'uomo al Cafè? Perchè ha tentato di uccidermi?- lo interruppi ancor prima che finisse la sua frase. Volevo sapere.
Martin mi guardò un po' strano. Poi tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca, per poi allungarmelo.
-No, grazie. Adesso no.- Non volevo che si divagasse per perder tempo.
Ne tirò comunque fuori una, per se'. Non sembrava nervoso. Forse aveva veramente bisogno di fumare. Prese l'accendino, e dopo due tentativi, vidi il fumo uscire dalla sua bocca.
-Non lo sappiamo. Probabilmente un agente della SSF *. Avrà intercettato la telefonata tra voi ed Emily. Ma non chiedermi come, perché sinceramente non lo so. - un po' di cenere cadde per terra. Lui ci posò il piede sopra.
-Jean Dumont... Posso fidarmi di lui?- chiesi, mentre le domande mi arrivavano alla testa, a cascata.
-Ci credi se ti dico che non lo conosco? Sarà un amico di vecchia data di Emily, ma penso che non sappia assolutamente né di me né di te... Ti ha creato qualche problema?-
-No... Ma pensavo fosse con voi... Un agente sotto copertura, un informatore, un ex agente, che ne so...-
Mi guardò sorridendo. - Ha tenuto i sessanta per tutto il tragitto dall'aeroporto fino a casa vostra...Non credo minimamente sia dei nostri....-
Guardai per terra, sorridendo anch'io. Poi lo guardai.
-Sei un collega di Emily? Sei della nostra stessa Agenzia, giusto?-
-Ho collaborato con Emily in qualche missione secondaria, a sud della Francia, e in Inghilterra. Semplice pedinamento e posizionamento di microspie e cimici. Lavoro a Parigi da 23 anni, presso la tua stessa Agenzia. Ma sai che è difficile che un Agente conosca i suoi colleghi, specie se distanti migliaia di chilometri l'uno dall'altro.
-Già... Mark come sta? -
-Mark vive a New York adesso. Sta a casa, scopa e caga al cesso.-
Scoppiai in una risata. Era veramente dell'Agenzia. Che cazzo di frase di merda per riconoscere i veri Agenti. Allungai la mano destra, per stringergliela.
-Agente 12C. -
-Benvenuto a Parigi, agente 12. - mi strinse la mano con energia, quasi fosse contento che fossi con lui.
-Grazie. Ascolta, hai qualche notizia di Emily? Che cosa voleva dirmi al telefono, lì al Cafè?- chiesi, sperando che potesse sapere qualcosa in più.
-Mi aveva detto che ti avrebbe chiamato, per darti alcune novità sulla tua precedente missione, ma altro non m'ha riferito. E sinceramente non volevo neanche fare troppo il curioso... Appena riesco, vedo di mettermi in contatto con lei. Non ha voluto portarsi il cellulare, per timore di essere rintracciata. Quindi starà comunicando con l'Agenzia con cabine telefoniche...-
-Già... Chissà come hanno fatto a trovarmi... - guardai per terra, cercando di ricordare qualcosa, e spostare qualche pezzo, nella speranza di arrivare ad una conclusione.
-Non ho idea... - rispose secco Martin. Forse non voleva discutere di ciò.
Fece cadere il mozzicone ormai finito della sigaretta per terra, pestandolo con la suola per spegnerlo. Poi mi guardò.
-Ora che abbiamo speso il tempo per i convenevoli, è ora di discutere di affari importanti, se non ti dispiace... So che non sarai al pieno delle tue forze, ma necessitiamo di una tua mano.-
-Ovvero? Di che si tratta?-
-E' da tempo che cerchiamo un cecchino esperto. La cosa è abbastanza semplice. Tra una settimana ci sarà un matrimonio, all'interno di una villa. Gente d'affari, politici, banchieri, diplomatici.
Un'unione mista, tra il figlio dell'ambasciatore Israeliano Musadh e la figlia del Presidente dell' ambasciata ad Israele, Levon. Un modo per ristabilire vecchi legami, e accordi commerciali.
Ma così facendo, l'ambasciatore potrebbe chiudere un occhio su ciò che gli israeliani vogliono fare alla nostra Agenzia a Gerusalemme. Smantellarla. Vogliono tagliare ogni ponte. Hanno in mente qualcosa di losco, e molti dei nostri Agenti sono spariti misteriosamente.
Devi uccidere il figlio. Un avvertimento. Non sanno con chi hanno a che fare...-
-Uhm... Cosa devo fare? Devo infiltrarmi tra gli invitati?-
-Siamo riusciti a procurarci una divisa da gendarme. La polizia francese sorveglierà la festa, in cooperazione con quella israeliana. Dovrai infiltrarti prima come poliziotto, e poi come tecnico delle luci. Il matrimonio si svolgerà nei giardini fuori, e due tecnici sono addetti ai proiettori delle luci, sui balconi della villa. Nessuno presterà attenzione a te. Anche perchè l'altro tecnico è un nostro agente, e s'occuperà di eventuali seccatori, nel caso le cose non dovessero andare per il verso giusto.-
-Sembra semplice.-
-E' semplice. Ma dei dettagli te ne parleremo a breve. Allora, possiamo contare su di te?-
Ci pensai un attimo. Dovevo in qualche modo rifarmi dal fallimento dell'operazione della volta prima. Dovevo rientrare nella partita.
-Certo.-
-Perfetto...-













NOTE:
* : (SSF): Servizi Segreti Francesi (N.d.a)
  
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