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Autore: uchihagirl    14/03/2009    4 recensioni
Seconda classificata al contest indetto da rolly too "Missing moments"
Alzò le sopracciglia e sorrise, compiaciuto: perfettamente in linea con la traiettoria del fucile c’era la sua preda, un’orsa femmina non molto grande, abbastanza giovane. Dato che mostrava la gola, bastava una piccola pressione del suo dito ed Emmett avrebbe guadagnato ben 200 dollari.
Con che conseguenze? Con l'acquisizione di una nuova vita.
[Emmett centric]
Genere: Generale, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Esme Cullen, Rosalie Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Really Alive







Era una fresca, ventosa giornata: il sole non era sorto, e la luce rosata del mattino, che faceva capolino da dietro le montagne, non aveva dissipato del tutto il blu scuro del cielo notturno e, pallide, soffocate, ma sempre presenti, le stelle apparivano qua e là tra le poche nuvole soffici.
Un raggio di luce più impavido degli altri sfidò l’oscurità e andò a illuminare la strada principale di un paesino di montagna, nel Tennessee, dove il proprietario della tavola calda spazzava energicamente la veranda del locale.
Dopo poco, un ragazzo alto, dalle spalle larghe e il sorriso ingenuo, spuntò dalla curva in fondo alla via di terra battuta: camminava e intanto fischiettava, allegro, tenendo uno zaino leggero su una spalla e un fucile a due canne sull’altra.
Non appena passò accanto al locale, fece un fischio più acuto in direzione del locandiere, che lo salutò gridando: “McCarthy, già in piedi di prima mattina? Non è da te.”
“Che ci può fare, Lowers, quando la caccia chiama, sono il primo a rispondere!”
“Caccia? Non è la stagione adatta: non troverai nemmeno l’impronta di un cervo, nonostante tu sia il migliore cacciatore della zona.”
Emmett sorrise, divertito dall’apparente stupidità di quell’affermazione e lusingato – ma non troppo – dal complimento evidentemente non inusuale.
“Chi ha parlato di cervi? Punto solo roba grossa: oggi ogni grizzly della valle dovrà temere il fucile di McCarthy!”
Una ruga di preoccupazione andò a segnare la fronte dell’uomo più anziano.
“Attento, ragazzo. I grizzly, appena usciti dal letargo, sono più irritabili!”
Il ragazzo rise, giocherellando con il fucile.
“Esattamente quello mi ha detto Mark Fishermen ieri sera. Per questo la posta della scommessa è così alta: 200 dollari se torno a casa entro l’alba di domani con un orso sulle spalle! Non potevo tirarmi indietro puntata del genere: e poi lo sa, Lowers, mi piacciono le sfide.”
Le labbra di Lowers si piegarono in un sorriso indulgente, seppur trapelante preoccupazione dovuta all’incoscienza di quel giovane tanto simpatico.
“E sia! Mi raccomando, non fare colpi di testa!”
“Si figuri, sa che a caccia sono un asso. Ci vediamo stasera.” Disse e s'incamminò spedito alla volta della foresta.




Il bosco era silenzioso, tranne che per il suono ovattato di passi sulla superficie umida del muschio. Tra i rami grondanti di neve appena disciolta, curvo, prudente, stava Emmett McCarthy, avanzando piano, occhi neri fissi sul terreno, alla ricerca delle inconfondibili orme di orso che l’avrebbero portato all’agognata vittoria.
Sbuffò, cercando il sole tra la fitta coltre di verde che lo copriva: diede un’occhiata alla sua posizione nel cielo e gonfiò le guancie un’altra volta. Era quasi mezzogiorno passato, era da più di quattro ore che cercava e non trovava nulla. Fece ruotare le spalle per sgranchirsele e tirò indietro il collo, sbadigliando: la caccia non era nulla senza l’adrenalina.
Fece per sistemarsi la camicia a scacchi, ma il suo sguardo venne catturato improvvisamente da un piccolo dissesto nel terreno, accanto a un cespuglio di more che prima non aveva notato.
Si chinò giusto un pochino per assicurarsi di quello che aveva visto, poi senza pensarci due volte si mise a correre nella direzione indicata dalle orme.
Corse veloce, saltando tronchi e guadando ruscelli.
L’adrenalina gli scorreva nelle vene, pulsava nelle orecchie e brillava negli occhi, impedendogli di formulare un pensiero razionale. Era stanco e aveva il fiato corto, ma non si fermò fino che non sentì un ramoscello spezzarsi sotto quelli che di certo non erano i suoi piedi, ma più probabilmente qualcosa di più grande e peloso.
Ghignò, caricando silenziosamente il fucile: aveva due colpi, non poteva sprecarli.
Avanzò cauto senza fare il minimo rumore, con tutte le sinapsi e i neuroni concentrati sull’obiettivo, l’orso. Scostò un ramo che gli impediva la visuale sulla piccola radura che si presentava davanti a lui e imbracciò l’arma, sistemandola nell’apertura appena creata tra gli alberi.
Alzò le sopracciglia e sorrise, compiaciuto: perfettamente in linea con la traiettoria del fucile c’era la sua preda, un’orsa femmina non molto grande, abbastanza giovane. Dato che mostrava la gola, bastava una piccola pressione del suo dito ed Emmett avrebbe guadagnato ben 200 dollari.
Prospettiva troppo allettante per lasciarsela sfuggire.
Stava per premere il grilletto, quando le orecchie percepirono un rumore alle sue spalle: istintivamente si voltò e si ritrovò di colpo faccia a faccia con un grizzly gigantesco.
Il panico gli offuscò la vista e fece accelerare i battiti del suo cuore a mille, eppure riuscì – per miracolo - a evitare la prima zampata. I suoi riflessi non furono però abbastanza veloci da permettergli di scampare al secondo colpo: fu un attimo e si ritrovò sull’erba umida, a fissare il cielo, provando un dolore all’addome mai immaginato prima.
Tentò disperatamente di restare sveglio - anche se una morte veloce sarebbe stata di sicuro più gradita - eppure la sofferenza era troppa, le sue palpebre cedevano, inesorabili e pesanti.
D’improvviso, un odore dolce, fresco, lo travolse, seguito subito dopo da un viso bellissimo, appartenente a un angelo – perché di sicuro non esisteva un essere umano di pari bellezza -pallido e contratto dallo sforzo.
“È venuta a prendermi, signorina?” Emmett sorrise.
“Spero proprio di sì. È bello essere accolti in paradiso dalle sue braccia; lei ha un profumo così dolce…”
Il ragazzo scorse per un secondo compassione e sofferenza negli occhi ambrati dell’angelo, poi una fitta di dolore più intensa delle altre inghiottì il mondo, che scomparve nel buio.





Buio.
Silenzio.
Silenzio.
Buio.




Dolore.
Accecante e infinito dolore, spezzato solo per un attimo dalla figura angelica della donna bionda innaturalmente forte e veloce.
Poi quel dolore s'intensificò, i suoi polsi furono lacerati da qualcosa di freddo e aguzzo.
Le fiamme divamparono nelle vene e corsero lungo tutto il corpo.
Il fuoco lo divorò e lo consumò, fino a lasciare di nuovo posto al buio.
Dopo di quelli che sembrarono anni, le tenebre si dissolsero e la luce filtrò dalle sue palpebre, risultando troppo forte e fastidiosa.
Aprì gli occhi, cauto, ritrovandosi a fissare quello che pareva un soffitto, con le travi di legno bene in vista. Non erano parallele tra loro, constatò, e si chiese quale uomo imbecille avesse potuto costruire una casa storta: non sarebbe resistita neanche qualche anno.
Ridacchiò, rendendosi conto dell’assurdità della situazione: era appena morto, probabilmente era in paradiso – se no perché l’angelo sarebbe venuto a prenderlo? – e lui pensava alla solidità di un tetto. Bah.
Ne aveva abbastanza di rimanere immobile, doveva alzarsi.
Sentì un fruscio flebile alla sua destra e voltò la testa di scatto, scorgendo di nuovo la bellissima ragazza bionda.
Ah, l’angelo non l’aveva abbandonato. Ottimo, aveva giusto un paio di domande da farle.
Prima di tutto: il paradiso aveva l’apparenza di una casa? Bizzarro, non ci sarebbe mai arrivato da vivo.
Bizzarro anche il fatto che tutti i suoi sensi si fossero affinati: riusciva a sentire distintamente i passettini del ragno che saliva sul muro di fronte a lui.
Ancora più bizzarra la sensazione di bruciore alla gola, talmente forte che era impossibile ignorarla. Bruciava quasi quanto il fuoco che lo aveva ucciso, e faceva male, molto male.
Scosse un attimo la testa e comprese: aveva sete.
Si tirò a sedere e guardò a lungo l’angelo, la sua salvatrice, accorgendosi che accanto a lei c’erano altre tre persone, due uomini e una donna, non di pari bellezza, ma con gli stessi identici occhi e la pelle in ugual modo bianchissima. La donna che era stretta all’uomo più anziano gli sorrideva in modo materno, mentre il ragazzo giovane lo scrutava incuriosito.
Emmett aprì e chiuse la bocca un paio di volte, inumidendosi le labbra con la lingua, poi disse: “Ho sete. Devo bere.”
La voce gli risultò estranea, era troppo musicale e profonda. Non che non avesse una bella voce quella mattina, anzi, era bassa e gioviale, ma quella era di più: era incredibilmente seducente.
Dopo aver scoccato un’occhiata d’intesa alla ragazza bionda, che annuì scuotendo un attimo i capelli, l’uomo si sciolse dalla stretta della donna e si avvicinò a lui.
In meno di una frazione di secondo Emmett si ritrovò acquattato sulla testata di legno del letto, stringendo convulsamente quello che rimaneva di un cuscino bianco. La stanza era invasa dalle piume.
L’uomo di fronte a lui lo rassicurò con gesti lenti e controllati, avvicinandosi cercando di non spaventarlo, poi parlò, e tutta la tensione sembrò sciogliersi, liberando il corpo di Emmett e la sua mente: la sua voce era il suono più rassicurante che avesse mai sentito.
“Io sono Carlisle Cullen, questa è la mia famiglia. Loro sono Esme e Edward” indicò la donna dagli occhi dolci e il ragazzo “e lei è Rosalie.” L’angelo sorrise impercettibilmente, ma quella microscopica alterazione diede al suo viso un’espressione soddisfatta e quasi maliziosa.
Rosalie. Bel nome.
“Benvenuto nella mia casa. Tu sei…?”
“Emmett. Emmett McCarthy.” Rispose pronto lui, continuando a guardare Rosalie.
“Dimmi, Emmett, di cosa hai sete?”
La domanda lo colse alla sprovvista: non era così scontato.
Di sicuro non aveva bisogno di birra o whisky, bensì di acqua: serviva qualcosa di analcolico per spegnere il groppo infuocato che gli divorava la gola. Eppure c’era qualcosa, negli occhi di Carlisle, che gli suggeriva che non era l’acqua quello che avrebbe potuto dissetarlo.
Cosa, cosa poteva calmare la sua sete?
Una risposta gli venne spontanea.
Sangue.
Aveva bisogno di sangue.
Interdetto e incapace di parlare, guardò Carlisle. Lui, vedendo lo stupore nei suoi occhi, interpellò Edward, che annuì, abbastanza colpito.
“Ha capito.”
“Sì, il tuo corpo vuole sangue. Sei un vampiro adesso. Rosalie ti ha portato da me, ferito, morente. Non c’era possibilità di salvarti, se non trasformandoti. Così ti ho morso, e adesso sei come tutti noi.”
Carlisle tacque: sembrava costernato.
Un vampiro. Era un vampiro. Un vampiro vero, altro che il conte Dracula o baggianate simili.
Questo spiegava la sete di sangue, la voce musicale e i suoi sensi sviluppati - anche se effettivamente queste qualità non corrispondevano proprio all’idea che aveva di vampiro.
Cazzo.
Forte!
Dal suo angolo, Edward ridacchiò, fissandolo: gli stava già simpatico, quel nuovo fratello.
Sorrise, quindi si avvicinò a Carlisle e gli strinse la mano.
“Grazie. Lei mi ha salvato, non potrò mai ripagarla abbastanza.”
Lui lo guardò stupito, quindi sorrise di rimando, sempre un po’ malinconico, e fece cenno a Rosalie di avvicinarsi.
“È stata lei a sottoporsi a una sofferenza enorme per salvarti, Emmett, non io. Lei ti ha assistito questi tre giorni. Se devi proprio ringraziare qualcuno per questo, ringrazia Rosalie.”
Il ragazzo la guardò con gratitudine e ammirazione; Rosalie rispose con un cenno della testa, quindi lo prese per mano e lo condusse fuori di casa, verso la foresta.
“Vieni. Ti disseterai.” Disse con voce tintinnante.
Lui la seguì e sorrise, scoprendo i denti innaturalmente bianchi e appuntiti.
Cominciarono a correre: dapprima stupito dal ritmo sostenuto con cui, a grandi falcate, bruciava i metri di terreno erboso, Emmett si abituò presto alla straordinaria ricettività del suo nuovo corpo.
Percepire ogni singola molecola d’aria sulla pelle fredda, sapere distinguere ogni odore, correre sempre più veloce, saltare fino a raggiungere le cime degli alberi, volare, quasi: tutto questo lo faceva sentire incredibilmente vivo, nonostante il suo cuore forte non battesse più sotto i pettorali scolpiti.
Sorrise di nuovo a Rosalie, e, quando lei gli rispose di rimando, seppe con certezza che la sua vera vita era appena iniziata.


















Questa fan fiction ha partecipato al contest “Missing Momonts” e si è classificata seconda, di un punto dietro a quel capolavoro che è la fic di Queen_of_sharingan_91. Ebbene sì! Stento a crederlo pure io ù.ù
E, benché incredula, sono molto soddisfatta del risultato, perché ho speso tempo e fatica in questa fic. Ringrazio molto Rolly Too che ha creato un contest così stimolante e mi congratulo con tutte le partecipanti, soprattutto con Ludo e con Lady_marmelade, compagne di podio!

Mi raccomando, aspetto il vostro parere!

Elena


Ps: ecco qui il commento che ha stilato il giudice con il punteggio. Grazie ancora, rolly!

2° classificata:
“Really alive” di uchihagirl


Grammatica: 9,5/10
Stile: 9,5/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5/10
Trattazione del Missing Moment scelto: 9/10
Personale giudizio sulla storia: 10/10
Totale: 47,5/50

Davvero una bellissima storia. L'introspezione di Emmett è molto curata e l'ho trovato completamente IC, così come ho apprezzato la caratterizzazione degli altri personaggi, che, sebbene compaiano poco, mi sono sembrati ben gestiti. In particolar modo ho apprezzato Carlisle ed Edward, che ho trovato davvero vicini a quelli dei libri e che quindi mi sono piaciuti molto.
Il Missing Moment scelto è stato analizzato bene e il modo in cui l'hai reso è ottimo: è una storia fresca, divertente; in alcuni punti mi ha fatto ridere e questo è stato ciò che mi ha spinto a dare un voto così alto per quanto riguarda il giudizio personale.
Ho trovato inoltre che lo stile si coniugasse perfettamente con il personaggio principale: è pulito, semplice ma non per questo banale, fresco e incalzante.
Una buonissima storia, dunque, che ho apprezzato moltissimo e che ritengo davvero degna di essere letta.

   
 
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