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Autore: Kore Flavia    13/01/2016    0 recensioni
A Zoe i cani erano sempre piaciuti, aveva continuamente supplicato il padre di regalarle un piccolo fagottino d’amore e di peli, ma quello aveva ininterrottamente usato la scusa del “chi se ne occupa?”. Zoe aveva supplicato anche la madre che, troppo impegnata tra casa e lavoro, si scordava costantemente di darle una risposta certa, anche se la bambina aveva sempre sospettato che sarebbe stata un no. Zoe aveva anche provato a convincere la sorellina che “Se almeno tu mi aiutassi, potremmo convincerli”, ma quella era ancora una lattante e l’unica cosa che riusciva a risponderle era uno schiocco della lingua contro il ciuccio. [...]
Il suo desiderio di adottare un cane comunque non era certo diminuito, ma ciò non comprendeva i lupi mannari feriti. Soprattutto se quest'ultimi si presentavano davanti a casa sua una notte di gennaio affermando che "Ehi dolcezza, mi faresti entrare? Tanto ad un fisico come il mio non puoi dire di no.” Accompagnato ad un gesto eloquente e alquanto fuori contesto visto il taglio da cui colava sangue sulla tempia destra.[...]
Genere: Comico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Un lupo mannaro per coinquilino
-la dea e il suo licantropo domestico-



All we do is think about the feelings that we hide
All we do is sit in silence waiting for a sign

 


Capitolo 1: Ferite e pop corn
 
 
“Dolcezza, non è che mi passeresti delle bende?” Aveva domandato l’uomo dopo essersi accomodato sul suo divano e avendo acceso la sua Tv. Zoe aveva preso un respiro profondo e con movimenti che non avevano nulla di naturale, andò in bagno. Sempre che bagno si potesse definire poiché si limitava ai minimi sanitari permessi dalle norme igieniche e la doccia era talmente piccola che persino lei ci stava stretta. Aprì un cassetto posto sotto al lavabo e ne tirò fuori delle garze e un rotolo di “scotch” con cui applicare il tutto. Prima di tornare di là, però, preferì passare per la camera da letto, dove, da un cassetto del comodino, trasse quella che lei definiva “la cremina miracolosa”: fu sua madre a darle quel nome ridicolo, ma Zoe ci aveva rapidamente preso gusto.
Nel frattempo la giovane poteva sentire le voci di due personaggi di una serie tv discorrere su quanto “si amassero profondamente” e di quanto “la loro vita fosse vuota senza l’altro”, le solite cose che a Zoe facevano venire il vomito. Le solite cose che sembravano, invece, come una ninna nanna per l’uomo, dall’altra stanza, infatti, la giovane poteva sentirne il leggero russare.
Zoe avrebbe voluto andare lì e tirargli un ceffone rimbrottandogli che “Non si entra in casa della gente feriti” o che “potevi almeno farmi il piacere di non dovermi far fare da infermiera”, ma, grazie tante, quello lì era ferito e Zoe non voleva avere problemi con la polizia per aver lasciato morire un “povero ferito” sul suo divano.
Zoe avrebbe dato tutto ciò che aveva per scaraventarlo fuori casa, ma ehi! Quell’uomo era pur sempre un suo suddito e, volente o nolente, si sarebbe dovuta prendere cura di lui. Tornò nel salottino e lo vide stravaccato sul suo divano rosso e notò le sue lerce scarpe allungate a sporcare il suo parquet.
Rimase attonita davanti a quello spettacolo immondo: la sua casa, la sua bellissima casa invasa da un lercio mortale.
Scrollò la testa e con una leggera botta della pantofola rosa (perché sì, era in pigiama e per giunta quello indossato quella sera era stato regalatole dalla sorellina e aveva una deliziosa fantasia unicornosa) contro il ginocchio dell’altro, sembrava essere l’unica zona salvatasi dallo sporco.
-Fammi il piacere di presentarti, almeno. – Lo rimproverò appena quello si fu destato (o meglio, appena smise di urlare per lo spavento provocatogli). Zoe lo trovò esageratamente rumoroso e si preoccupò di aggiungerlo nella sua lista mentale di “cose che la infastidivano della gente”, socchiuse un attimo gli occhi e aggrottò la fronte ancora non si capacitava di quanto fosse stata un’idiota ad aprire a quella sottospecie di troglodita.
-Non potremmo passare direttamente alla fase successiva? – Aveva ancora le pupille dilatata dalla paura (e lo dovette ammettere per un attimo le ricordò un cane), le narici allargate in un respiro affannoso e le labbra, che stonavano completamente con i restanti elementi, socchiuse in un sorriso sardonico. Zoe ne fu ripugnata.
-Nome. – ribatté imperiosa, le mani poggiate sui fianchi. –O ti butto fuori casa. – Il ricatto, però, non sembrò sortire la giusta reazione e scatenò una sguaiata risata da parte dell’altro e il mondo in cui lo fece, in cui rise, le ricordò terribilmente Valerio. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, all’uomo sarebbe parso come un gesto esasperato, per lei fu un modo per riprendere il controllo di sé dopo quel momento di debolezza.
Lo sconosciuto rimase un attimo in silenzio poi, con un gesto di nonchalance, finalmente le rispose:
-Che noiosa, avrei potuto scegliere meglio a chi bussare. –
Sorrise ironico.
-Comunque mi chiamo Dylan. – Il sorriso si allargò ulteriormente davanti alla –ragionevole- perplessità di Zoe.
-Ma non hai alcun accento. – constatò lei per la prima dubbiosa nella propria certezza, possibile che non si fosse accorta di qualche accezione vocale dell’altro? Anche un solo piccolo accenno all’intonazione? Non sarebbe stato da lei lasciarsi sfuggire da un dettaglio così fondamentale per etichettare qualcuno e per reputarlo inferiore. L’uomo, o meglio Dylan, fece un eloquente gesto che stava per un “è troppo lungo da spiegare”, ma Zoe vide chiaramente un’incrinatura nel ghigno dell’altro.
-E be’, sai, i miei genitori sono di origini americane. – Corrucciò un attimo la fronte e poi fissò lo sguardo in quello di Zoe. Era la prima volta che qualcuno aveva il coraggio –e la spregiudicatezza- di guardarla negli occhi per più di cinque secondi e lei se ne sentì a disagio. - I licantropi sono sempre Americani. -  Affermò lui poi, prese il telecomando e accese la televisione tornando, come se la sua dichiarazione non fosse nulla di trascendentale, a guardare la serie tv.
-Potresti medicarmi le ferite prima di fare domande? – Anticipò Zoe, la quale aveva appena socchiuso le labbra perché potessero dire che “Licantropo? E’ uno scherzo vero?”. Zoe lo odiava, le erano bastate due sue frasi e già l’avrebbe preso a randellate sui denti, anzi no! Avrebbe fatto fare il lavoro sporco a qualcun altro, lei non poteva sporcarsi le mani con il sangue di un tale idiota. Sarebbe stato umiliante!
-Mi sembri abbastanza in forze. – Ringhiò Zoe lanciandogli le garze e tutto il resto in grembo. –Puoi medicarti anche da solo. – Fece dietro-front decidendo che stare ancora lì ad ascoltare le sue idiozie, sarebbe stato degradante per la sua intelligenze e immagine. Ebbe a malapena superato la soglia del salotto che Dylan si girò verso di lei per dire quanto “fosse noiosa” e di quanto “si sarebbero potuti divertire assieme” e anche di quanto “quel suo pigiama non fosse affatto sexy”.
Zoe, in un primo momento, pensò di rispondergli a tono, poi, decidendo e capendo la perdita di tempo che ne sarebbe derivata, si chiuse in camera sua.
Guardò un attimo l’orologio e si innervosì vedendo di quanto avesse sforato “l’ora di andare a dormire” ed era tutta colpa sua: di quell’idiota che diceva di essere un Licantropo, neanche fossero al primo d’Aprile. Si ripromise di buttarlo fuori casa il giorno dopo.
Quando si svegliò di soprassalto era ancora buio fuori e capì da dove arrivava quel trambusto che si era infiltrato nei suoi sogni, disturbando la sua quiete: era lui. Ne era certa, come poteva esser certa di essere superiore alla gente. Rimase qualche minuto sdraiata sul letto: aveva bisogno di più tempo per metabolizzare e per partorire un quantitativo di insulti adeguato alla situazione.
-Cosa diavolo stai facendo?!- Urlò dalla sua stanza, fiondandosi alla sorgente del rumore e cioè la cucina.
Colse l’uomo in flagrante, egli stava svaligiando (o cercando con parsimoniosa disperazione) i suoi cassetti. Egli si immobilizzò alla sua entrata e si guardò attorno agguantando una padella e nascondendola dietro alla propria schiena. Zoe si chiese se fosse scemo o cosa.
-Cosa. Stai. Facendo? – Indugiò un attimo sul viso dell’altro. –La proposta dell’esser buttato fuori vale ancora. –Si immaginava reazione più simile ad un animale piagnucolante, ma quello si mise a ridere doveva essere la ventesima volta nell’arco di una notte. Quel rumore la disturbò non poco: assomigliava spaventosamente alla risata di Valerio e, per non farsi mancare nulla, le ricordava vagamente il latrato di un cane. Possibile che il suo odio venisse smorzato da quelle somiglianze?
Dylan continuò il suo lavoro mettendo la sua padella sul fuoco e, allungando una mano con cautela, prese la bottiglia d’olio versandone un fondo nella casseruola. Fece qualche passo verso di lei e si avvicinò a lei. Non che prima non fossero già abbastanza vicini essendo quella cucina più simile ad un buco. Zoe era pronta a dargli un pugno se avesse fatto una mossa di troppo, peraltro in cucina ci stavano i coltelli e lei non avrebbe avuto problemi ad utilizzarli.
-Stavo preparando dei pop-corn, ma se vuoi puoi unirti a me. – Sorrise mellifluo e fece un gesto di nonchalance con la mano destra fissando lo sguardo sulla padella.
-E se vuoi…- rifissò lo sguardo su di lei. –potremmo giocare assieme.-
Zoe poggiò le proprie mani sul petto dell’altro e sorrise con cattiveria. Si alzò sulle punta dei piedi raggiungendo il livello del suo mento con lo sguardo. L’unica cosa che gli si potesse concedere era che fosse alto. Notò lo sguardo di Dylan luccicare di malizia. Ci era cascato.
-Accetto i pop-corn, – tacque. –ma per il resto mi tocca dirti di no. – Il sarcasmo pungente nella sua voce lo fece sbuffare e alzare gli occhi al cielo. Zoe poté sentire un debole “dio” fuoriuscire dalle labbra dell’uomo.
-Va bene, va bene, sarà per un’altra volta. – E riportò la propria attenzione alla padella versandoci una busta di mais per poi metterci un coperchio sopra.
Si girò nuovamente verso di Zoe strofinando le proprie mani sui lati dei pantaloni color kaki per poi poggiare i propri gomiti sul ripiano dietro di sé. Buttò in avanti la testa teatralmente scoprendo così la fasciatura intorno alla propria fronte nascosta dai capelli scuri.
-Mi sono dovuto arrangiare visto che non mi hai voluto aiutare.- Si lagnò Dylan buttando un occhio sui primi pop-corn che scoppiavano nella padella. Zoe sollevò un sopracciglio infastidita e incrociò le braccia sotto al seno.
-Embe’? Non sono tua madre e tu, caro mio, sei un uomo bello che vaccinato, non saresti morto per così poco.- Si guardò la punta dei piedi un secondo valutando se andar a prendere o no un bicchiere d’acqua, ma ciò sarebbe significato anche offrirlo al suo “ospite”. Ci rimuginò un attimo, ma venne interrotta dall’altro.
-Acqua?- Alzò lo sguardo sul suo bicchiere tenuto dal suo ospite. Già faceva come a casa sua ed erano passate poche ore da quando era lì. Prese il bicchiere con stizza, lanciando fulmini dalle pupille verso quel braccio ancora alzato a offrirle la sua acqua.
-Come si dice? – Sogghignò l’uomo portando la propria attenzione ai pop-corn i cui scoppi riempivano la stanza. Zoe diede una botta con la pantofola a terra, se avesse avuto delle scarpe col tacco sarebbe stato di maggiore effetto, e si guardò bene dal rispondergli con uno sbuffo. Non era affatto simile a Valerio, solo la risata, solo quella. Zoe decise di non farlo ridere o divertire, ma quello non sembrava avere un vero e proprio senso dell’umorismo viste tutte le risate che si era fatto.
Rimasero in silenzio, il tempo scandito dal rumore dei botti del mais e la stanza che si riempiva dell’odore dilagante dei pop-corn, se Dylan non avesse interrotto quel momento probabilmente Zoe non avrebbe nemmeno pensato a quanto fosse straordinariamente insopportabile. Peccato che Dylan non fosse abbastanza sveglio per fare la saggia decisione di restare in silenzio.
-E’ strano, di solito quando dico di essere un Licantropo la gente mi sviene davanti, o si mette ad urlare, o prova accoltellarmi… - Continuò la sua lista di reazioni avute dalla gente contandole sulle dita citò anche quella volta che “si era appena fatto una bella tipa e lui si era lasciato accidentalmente scappare un’informazione così fondamentale come l’essere un Licantropo e di come quella si fosse messa ad urlare e a lanciargli tutto ciò che poteva essere lanciato”. –Tu la presa in maniera piuttosto zen, neanche una domanda.- Fece spallucce e, prendendo la padella dal manico, rovesciò il suo contenuto in una ciotola. Quando si girò, però, spalancò gli occhi alla vista di una Zoe alquanto perplessa e adirata. Poi adirata perché? Si era domandato lui.
-Come prego? Tu saresti un licantropo?- Una risata nervosa esplose dalle labbra della giovane era ovvio che non ci credesse, era ovvio che si stesse prendendo gioco di lui usando quel tono saccente. Era ovvio, ma Zoe non poté evitarsi di pensare, in una parte oscura della propria mente, che, forse, quell’idiota tutto muscoli non la stava prendendo in giro e quel barlume di pensiero le diede un gran fastidio. Perché ciò avrebbe spiegato quelle somiglianze con gli amati cani, ma anche che non avrebbe potuto odiarlo, perché non ne sarebbe stata capace, perché sarebbe andato contro la sua natura. Contro la natura di affezionarsi ai “diversi”, agli “strani”.
-Non può essere.- Sbiancò portandosi la mano davanti alle labbra e sgranando gli occhi. –Non puoi, non puoi farmi questo. Non posso odiarti sennò.- Si morse il labbro inferiore nascosta dalla mano. –Mi sentirei in colpa se lo facessi.- Socchiuse gli occhi analizzando l’altro cercando un qualche segno che potesse mentire o che potesse dire la verità.
Si ricompose.
-Dimostramelo.- sibilò. Aveva bisogno di una dimostrazione o non gli avrebbe creduto. L’altro sorrise sardonico e Zoe lo odiò profondamente per questo, perché si stava prendendo gioco di lei e nessuno, nessuno, doveva permetterselo. Lo odiò profondamente sperando che ehi! Almeno l’odio quell’idiota non se lo sarebbe portato via.
Fu un baleno, una rapidissima mutazione e il volto dell’uomo si trasformò. I lineamenti duri della mascella si affilarono allungandosi, distorcendosi, la bocca si allungò sui lati e delle zanne apparirono sui lati. Le sopracciglia s’infoltirono, cominciando a ricoprire tutto il volto, gli occhi si schiarirono e mutarono di forma smussando gli angoli e rendendoli tondi. I peli raggiunsero anche le mani fino alle dita, dove le unghie si erano allungate e le dita accorciate.
-Ti basta?- Domandò tornando normale in un batter d’occhio, tanto da far pensare a Zoe d’essersi sognata tutto. Il ghigno sul suo volto si allargò facendole credere che fosse veramente stronzo a divertirsi in quella situazione. Probabilmente per lui era come parlare del tempo.
-Quindi, fece una pausa rilassando le spalle e puntando lo sguardo nei suoi occhi come a cercare ancora una bugia in quella rivelazione, saresti un licantropo.- Si avvicinò a lui e, puntandogli un dito contro il petto, lo fulminò con lo sguardo.
-Ciò non cambia che non ti sopporti.- Sapeva di starsi contraddicendo, ma ehi! C’è sempre una prima volta per tutto. Lui sembrò voler commentare ed alzò in contemporanea sia il sopracciglio destro che l’indice sinistro, ma abbandonò le braccia lungo il corpo dopo aver notato che forse non era il momento adatto per fare commenti e che forse quella sarebbe stata la buona volta che venisse buttato fuori e volle evitare.
-I pop-corn sono fatti comunque.- disse cambiando argomento e porgendole la ciotola. –Fammi strada.- ed elargì un ampio gesto del braccio che risultò buffo in quella situazione, tanto che Zoe si lasciò sfuggire un sorriso ironico.
-Certo.-
 
Dylan si era accomodato sul divano prendendo buona parte dello spazio disponibile e lasciando a Zoe solo un angoletto, ma lei, almeno, era riuscita ad impossessarsi della ciotola e aveva deciso di lasciare ben pochi pop-corn all’uomo accanto a lei. Entrambi sembravano aver dimenticato la “rivelazione” o, almeno, entrambi avevano preferito metterla da parte. Zoe per l’umiliazione che ne sarebbe derivata al solo pensarci e Dylan per la strana decisione di rispettare, almeno per quella volta, la sua tanto generosa ospitante.
-Domani te ne vai, vero?- Domandò di punto in bianco Zoe, ficcandosi in bocca un pop-corn. Lo masticò lentamente aspettando una risposta, ma l’unica replica che ricevette fu un “E il vincitore è…” detto dall’accento stentato di Joe Bastianich. L’avrebbe preso a badilate, da quanto stava qui in Italia? Ben troppo per sbagliare persino un “vuoi che muoia?”.
-Vero?- Ripeté piccata ed infastidita, almeno la degnasse di una risposta. Prese una manciata di pop-corn e aspettò ancora qualche istante, lo sguardo fisso sullo schermo. Ci fu una cascata di coriandoli nella sala e delle urla si levarono dalle famiglie dei cuochi. Zoe si rese conto di non aver mai fatto così tardi in vita sua e di non aver mai visto la tv a quell’ora. Per non pensarci prese un altro pop-corn. Era strano, era ormai qualche minuto che l’uomo non si lamentava per averne una manciata.
Si voltò a guardarlo di sottecchi, così, per non farsi notare e non essere indiscreta e lo sorprese addormentato. Aveva la testa riversa all’indietro in una posizione alquanto scomoda, Zoe immaginò il torcicollo che avrebbe provato l’indomani e l’idea non le parve neanche troppo malvagia. La bocca schiusa lasciava entrare ed uscire respiri leggeri e il petto si alzava ed abbassava lentamente. Il braccio destro appoggiato sull’addome e quello sinistro buttato di lato a sfiorare il parquet. Zoe notò una leggera barba a coprirgli la mascella dai lineamenti duri, non l’aveva notata prima, non ci aveva fatto caso.
Possibile? Si chiese in un barlume di lucidità, in fin dei conti i Licantropi sono favole, no? Ma aveva ben visto quella mutazione e lei le cose non se le immaginava mai.
Forse, appoggiò la propria guancia al pugno, forse dovrei farlo stare da me finché non si riprende, non si sa mai. Corrucciò le sopracciglia, non era da lei essere ospitale, ma era anche vero che non le era mai capitato di ritrovarsi un lupo mannaro a bussarle alla porta.
Si alzò lentamente, attenta a non far rumore. Non voleva sentirlo lamentarsi di nuovo, anzi, non voleva proprio sentirlo parlare di nuovo. Gli si avvicinò e allungando una mano dietro alla sua nuca e alzandola leggermente, gli infilò sotto la testa un cuscino. Spense la tv e portò in cucina gli ultimi pop-corn rimasti. Fece un respiro profondo e tornò in salotto, per spegnere la luce e per poggiare un bigliettino davanti alla tv con scritto “Se domani non mi trovi sono al supermercato, vedi non combinare casini”, lì lo trovò che già si era allargato occupando tutto il divano.
Uscì un attimo di casa, la notte gelida la punse come mille aghi sotto quel giubbotto leggero, fece due passi fumando una sigaretta, il fumo che si alzava nel cielo nuvoloso, confondendosi con le nuvole. Ispirò fiaccamente e si passò la mano con la sigaretta sulla fronte e sugli occhi. Dovevano essere le due e lei non aveva affatto sonno.
Gironzolò così a lungo, ben attenta a non fare incontri pericolosi ed evitando come la peste tutti locali della zona. Ficcò il proprio volto nella sciarpa fino a raggiungere l’altezza del naso prima di prendere un’altra boccata dalla sigaretta. Fumava solo quando era nervosa, riempiendosi le narici di quell’odore acre a inebriarle il cervello come una nebbia mattutina.
Socchiuse gli occhi e provò ad immaginare la propria vita se i suoi piani fossero andati come avrebbero dovuto e se quei mortali avessero notato la sua regalità divina. Poteva benissimo vedersi a fare da guida in musei come il “Palazzo Nazionale Romano” o la “Galleria Borghese”. O anche in una qualche università prestigiosa. A mostrare la bellezza e la perfezione di quei corpi scolpiti: di quelle dita affondate nella carne marmorea, di quelle espressioni talvolta disperate, altre rilassate e altre ancora bramose di amore. Quei corpi che esprimevano la perfezione umana, la perfezione che Zoe non riconosceva a nessuno, neanche a se stessa. Quei corpi che raccontavano storie centenarie, millenarie, storie di altri tempi, ma con gli stessi sentimenti di adesso. Sentimenti ed emozioni che erano così tangibili su quel marmo delicato allo sguardo, ma duro e freddo al tatto.
Un sorriso sarcastico spuntò dietro le pieghe della sciarpa a spezzare le sue ambizioni, le sue illusioni, inganni della mente, sottili e manipolatori. E invece no, prese un’altra boccata di fumo prima di gettare il mozzicone, lei era bloccata lì, in un supermercato, con uno sconosciuto sul suo divano rosso.
Tornata a casa fece attenzione a non far rumori e posò delicatamente le chiavi nel piattino sopra al mobile del minuscolo ingresso.
Spense la luce e andò a dormire, se lo sentiva, avrebbe avuto un’emicrania continua per qualche giorno e sapeva che la causa sarebbe stata sua e delle sue chiacchiere inutili.

 

Note d'autrice: Non so che dire su questo capitolo. Sto lentamentissimo delineando il carattere dei miei due protagonisti e, seppur si siano appena conosciuti, già sono riusciti a litigare. Incredibile vero? 
Mi piacerebbe che la storia durasse una ventina di capitoli, ma poi saranno loro a decidere. 
Mi dispiace per il ritardo. 
Ringrazio chi ha letto, recensito, seguit... Insomma un po' tutti. 

Kore
 
   
 
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