Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: AnastasiaSmith    16/01/2016    0 recensioni
Harry viaggia talmente tanto che si perde un po' in sé stesso, e alla fine di ogni viaggio chiama Louis, che non sempre è propenso a parlare ma che sa ascoltare.
Oppure, la storia in cui Harry fa quattro viaggi e chiama quattro volte Louis, ma nell'ultima, Louis non risponde.
Harry/Louis! AU!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

It’s a long way to home.
Nuuk, Groelandia.
Si stringe nel suo cappotto pesante, e chiude qualche volta i pugni nelle tasche per riscaldarsi un po' le dita, mentre una nuvola di vapore e fumo esce dalle sue labbra chiuse intorno alla sigaretta; sposta gli occhi sui tetti bianchissimi delle case, seduto sulla poltrona che ha spostato dal salotto al balcone.
Non è sicuro che il padrone di casa ne sarà contento, ma non sarà neanche felice dei posaceneri usa e getta che troverà per terra in bagno o sulla mensola sopra il frigorifero, della vasca da bagno con dentro i suoi sali minerali alla lavanda e persino del fatto che il quadro di sua moglie sia stato spostato nello sgabuzzino.
Poco male, riflette Harry mentre soffia fuori il fumo e getta la sigaretta di sotto, a quel punto io sarò già ripartito e voglio scommetterci che non riuscirà a ritrovarmi.
Rientra in casa a prendere la sua macchina fotografica, si tira su il cappuccio della felpa rossa ed esce dalla casetta rosa confetto, lasciando le chiavi nella serratura.
Si allontana lentamente lungo la via deserta, il ghiaccio che gli scricchiola piano sotto gli scarponcini, e pensa a quanto lontano dovrà andare per trovare il suo soggetto perfetto, in fondo è per questo che viaggia.
Harry Styles ha ventidue anni, capelli ricci che prova a tagliare quando può ma che ricrescono sempre troppo in fretta, un naso molto grande e le labbra a cuore; è anche estremamente alto ma. Non ama parlarne.
Viaggia da quando ha memoria, prima con la sua famiglia, poi da solo, e anche da sempre ha una macchina fotografica in mano che lo accompagna.
E' sempre stato intraprendente e ambizioso fin dai sedici anni, età del suo primo viaggio in solitudine, l'Italia, perchè fin da quell'età così giovane, e se ci ripensa muore un po', si è posto un obbiettivo fondamentale: ecco, il soggetto perfetto per le sue fotografie ancora non l'ha trovato, ma ormai, con mezza cartina del mondo in camera sua piena di puntine a segnare le sue tappe concluse, crede di essere sulla buona strada. 
Si ferma ad un angolo della strada creato da una roccia sporgente, e si appoggia mentre indietreggia sempre di più, fino a riuscire da quell'altezza a fotografare le piccole case in lontananza, tutte di quei colori così improbabili, che sono la capitale di quel paese così freddo.
Si trova a Nuuk da quasi tre settimane, e per ora è il paese dove ha scattato più fotografie, nonostante sia soltanto la prima tappa del suo nuovo viaggio.
Continua a camminare e ogni tanto si ferma, perchè qualche luce lo cattura oppure perchè il sole decide di sparire dietro le nuvole e, ad Harry hanno sempre affascinato le città coperte dal grigiume del cielo.
Torna alla casetta dopo due ore e mezza perse a vagare nel buio, senza che nessuna foto lo soddisfi realmente, e toglie le chiavi dalla serratura mentre apre la porta a la richiude con due mandate dietro di sé.
Ho già le valigie pronte sotto il letto, e domani dovrò alzarmi veramente presto per farmi prendere da un taxi, pensa, mentre mette sul fuoco due uova.
Sospira, e mangia in silenzio.
Scende velocemente dal taxi, mentre paga il signore che si è fatto chilometri per lui, e afferra rudemente il borsone, camminando velocemente verso le porte scorrevoli dell'aereoporto.
Non che lui ami gli aerei, preferisce di gran lunga i treni o le navi o persino le macchine se necessario, ma. Non può attraversare l'intero continente in treno.
Si siede stanco su una sedia davanti al tabellone degli arrivi, mentre spera che il suo volo non sia in ritardo, e tira fuori dal suo zaino il cellulare, mentre compone il numero che sa a memoria.
Questa volta deve aspettare 10 squilli, prima che qualcuno risponda.
"Louis!"
Dall'altra parte è tutto silenzio, eppure Harry sa che lo sta ascoltando: Louis è troppo buono.
"Sto ripartendo, ti avevo detto dove giusto? Comunque, Nuuk era bellissima, anche se ha piovuto un bel po', poi ti farò vedere qualche diapositiva, là tutto apposto?"
Gli arriva un respiro tremulo ed un mugolio poco convinto, mentre Louis sospira provando a riprendere fiato.
Harry lo sa, che non deve parlare troppo velocemente perchè sennò il suo ragazzo si agita, ma per lui è veramente impossibile.
"Scusa."
Rimangono un po' in silenzio, quando all'improvviso l'altoparlante informa i passeggeri che l'aereo diretto a Montes De Oro è appena atterrato, e che sono pregati di avviarsi sulla pista.
"Devo andare, ci sentiamo, così mi racconti com'è con Niall e Liam a casa."
Louis risponde con un distratto sì, mentre attorciglia tra le dita il filo del telefono: vorrebbe davvero tanto che Harry fosse con lui, perchè si sente un pochino oppresso a stare senza lui.
"Mi mancano i tuoi baci, ciao."
Chiude velocemente la chiamata mentre si incammina dalla hostess che già allunga la mano per afferrare il biglietto.
Anche a me, pensa Louis quando ripone la cornetta, anche a me. 
Monteverde Cloud Forest, Costa Rica.
Tossisce con una mano sulla fronte, mentre si porta di nuovo la boccetta d'acqua alla bocca e prende un grande sorso, e continua a camminare con la fotocamera che gli pesa intorno al collo sudato.
La nebbia non è ancora troppo fitta, fortunatamente, perciò farsi strada tra gli alberi e la felce è difficile ma non pericoloso; ha sempre sognato di diventare Sandokan.
La schiena gli fa malissimo e la maglietta è ormai una seconda pelle, eppure le papille gustative da fotografo di Harry non sono mai state così felici.
La foresta è il luogo perfetto se si cerca un soggetto da fotografare, perchè la foresta stessa è un soggetto particolare e perfetto per chiunque: gli alberi e il muschio e la nebbia, persino gli animali che al minimo rumore paiono fuggire.
Si ferma un attimo e punta l'obbiettivo verso l'alto, tra i rami, per catturare i riflessi del sole istantaneamente e conservarli per sempre.
Poi si sposta di poco e, girandosi, scatta anche rapidamente una foto al percorso che ha scrupolosamente seguito.
Respira, pensa mentre si siede per terra e tira fuori qualcosa da mangiare, sei vivo.
E' seduto al tavolo del ristorante del suo hotel da almeno mezz'ora, eppure la sua cena non sembra voler arrivare mentre si alza e, sporgendosi sulla veranda, si accende l'ennesima sigaretta: la sua gita è andata molto bene, nonostante il caldo e le punture di zanzara su tutto il corpo, e appena tornato in stanza era corso a poggiare la macchina e scaricare le immagini sul suo fidato laptop, che ne ha viste anche troppe.
La Riserva Naturale Monteverde è una delle riserve naturali più piccole nella regione, per questo l'aveva scelta.
Se fosse andato in qualsiasi altro posto, non sarebbe riuscito a rimanere solo neanche nella foresta più sconfinata, nascosto tra gli alberi.
Sta socchiudendo gli occhi, pensando a come abbia costantemente un senso di vuoto nel petto anche quando fa ciò che ama, lo scattare foto, quando la cameriera gli si fa vicino e gli indica a gesti la sua cena, non parlando bene la sua lingua.
Annuisce e butta di sotto la sigaretta, mentre osserva incuriosito il suo Gallo Pinto che, da quel poco che ha capito, dovrebbe essere un piatto composto da riso e fagioli.
Non capirà mai altra cucina se non quella inglese.
Finisce la sua cena e si affretta su per le scale: deve ancora fare le valigie, visto che ormai si trova là da fin troppo oltre quello che aveva previsto, e deve chiamare Louis.
Si butta sul letto e decide di usare il telefono fisso questa volta, visto che il suo cellulare ha deciso di morirgli in tasca due giorni fa.
Preme il tasto della chiamata e stavolta deve aspettare solo 4 squilli, e si sorprende a tal punto da alzare la testa dal cuscino, ma. 
Non è come si aspettava.
"Ehi amico!"
Poggia di nuovo la testa sul cuscino e prova a sprofondare nel letto.
"Ehi, Niall, come va là?"
Il ragazzo dall'altra parte sospira e Harry riesce ad immaginarselo alzare gli occhi al cielo mentre picchietta le dita sul mobile di legno.
"Come vuoi che vada? Louis è. Louis! Sta solo là, sul divano, apatico, dovresti saperlo Harry! State insieme da quanto, 5 anni? Non -"
"Niall! Smettila."
Può sentire Niall parlottare a bassa voce tra sé e sé ma, sinceramente, non gli importa più di tanto, perchè è stufo.
"Mi puoi passare Louis? Ho telefonato per lui."
Il ragazzo cerca di scusarsi, ma si interrompe e lo saluta, mentre chiama Louis dall'altra parte della casa, dicendogli che il tuo principe azzurro è al telefono!
Quando sente un respiro vicino al suo orecchio, sorride.
"Ehi."
Louis ridacchia piano e sente lo stridere della sedia mentre la porta vicino al telefono, e lo percepisce sedersi; sembra un giorno buono, quello.
"Ehi."
"Come stai?"
Sa che porre quella domanda è come camminare su un campo minato: se scegli il momento sbagliato, tutto esplode. Ma.
Lui e Louis sono fidanzati da cinque anni ormai, Harry ha imparato i suoi silenzi e come riconoscere i giorni in cui può parlargli e quelli in cui è meglio che gli sta alla larga, e l'altro ha capito che se Harry gli pone una domanda scomoda, non è obbligato a rispondere.
"E' tutto. Uhm. Okay penso. Sì, è okay. Tu?"
C'è però un qualcosa che turba Harry da quando ha chiesto a Louis di fargli il permesso di poterlo baciare e abbracciare, e non riesce a togliersi quel tarlo dalla testa.
"Tutto bene, domani parto. Mi ricorderai con il pensiero di mettere la sveglia?"
E' un'idea, che spunta solo quando le fa comodo, e punge nel suo orecchio sinistro, come la puntura di una zanzara.
Louis fa un verso d'ssenso, mentre cercano entrambi di ignorare il rumore della televisione che Liam ha sicuramente acceso per zittire Niall e le sue ciarle.
"Devo andare, okay?"
"Sì, certo. Cioè. Buonanotte?"
Harry sospira.
"Già, buonanotte. Mi manchi."
Dillo Louis, Dio dillo, lo so che ce la puoi fare, pensa mentre si porta un braccio a coprire gli occhi dalla luce del lampadaio, dillo ti prego.
"Mh. Ciao."
Harry vuole quasi piangere.
"Ciao."
Butta il telefono sul comodino quando sente il bip ripetitivo della chiamata terminata.
Anche a me, piange Louis seduto per terra vicino al telefono, anche a me.
Machu Picchu, Perù.
Quando Harry programmò quel viaggio, quella tappa non voleva metterla; perchè ci era già stato, perchè era scontata e tanti altri motivi.
Eppure l'aveva segnata lo stesso.
Non gli piacciono neanche i siti archeologici, con quell'aria di storia con cui le rovine si vestono, a vantarsi di un passato che nessuno è certo sia esistito.
Però poi si ritrova là, con una canottiera e il cappello che gli preme sui ricci ed uno zaino enorme sulla schiena, ad osservare attraverso gli occhiali da sole la città inca perduta: è un posto visitatissimo, e la gente torna regolarmente, eppure.
Non c'è nessuno, a quell'ora del mattino ed Harry è completamente solo.
Tira fuori la macchina fotografica e inizia la sua routine che andrà avanti fino al calar del sole, quando capirà di doversene andare se non vuole essere attaccato da.
Falene, forse.
Ormai è al punto in cui Machu Picchu non gli suscita nessun batticuore, nessuno spirito d'osservazione o di avventura: è solo una città, antichissima, composta da mura spoglie e verde sgargiante.
Ricorda vagamente, mentre scarta il pranzo, quanto fosse invece rimasto entusiasta quattro anni fa, la prima volta che l'aveva visitata con i suoi occhi e non attraverso lo schermo di un computer.
Era un adolescente stupido che credeva di aver trovato la pace del cuore nell'oro del Perù, e aveva scattato così tante fotografie da tagliarsi ad un pollice per colpa della foga.
Questa volta invece, da adulto quale crede di essere, ha trovato più interessante il viaggio che ha fatto per arrivare là: una gita in autobus, dove ha fatto amicizia con i bambini di una piccola famiglia, e poi quasi tre giorni di cammino fino alla collina.
Il padre di quella famiglia gli ha persino raccontato come ancora oggi, nelle piccole comunità, si abbia una così tanta fiducia nella popolazione sterminata degli Inca.
I polmoni di Harry sono svuotati, mentre si sente pervadere il corpo ancora da quella pungente sensazione di vuoto, che non se ne va, neanche mentre controlla la data sul telefono.
Quel giorno sono esattamente 4 mesi che Harry è lontano dall'Inghilterra.
Lunga vita alla Regina, mormora mentre da un ultimo morso al panino, e tanta felicità.
Attraversa la strada lentamente, visto che non ha fretta, e continua a percorrere una delle vie principali di Cusco, le luci gli ballano leggermente davanti gli occhi.
Passa oltre un giardino, di fronte una scuola, e si sofferma a fissare i colori sgargianti dei fiori che crescono liberi tra i cespugli; il marciapiede è color avorio e si sofferma anche su quello, fermo in mezzo alla via.
Un tram gli passa accanto e gira la testa nel vederlo sparire, il giallo acceso che punge quasi il suo cervello.
Partirà tra due giorni, e si trova in Perù da ormai due settimane, quasi tre.
E ieri ha litigato con Niall, ecco perchè vaga sconsolato.
Il biondo lo ha chiamato a mezzanotte precisa, appena tornato dal suo lavoro in radio, e gli ha chiesto stizzito quando ha intenzione di ritornare e smetterla di fare il ragazzino viaggiatore, perchè ha delle responsabilità, perché fare il piccolo esploratore a Machu Pichu non lo aiuterà, e Niall non ha neanche provato a nascondere quel vieni a riprenderti il tuo ragazzo, coglione, che non è normale.
E Harry ha risposto mandandolo a fanculo, ribadendo il fatto che non ha diritto di parola sulle loro vite e che, Louis, cristo, è normalissimo, come se non avessi mai visto una persona in quello stato di depressione perenne, testa di cazzo, gli ha mormorato.
Dopo quello, il biondo gli ha attaccato in faccia, e Harry si trova in questa situazione da cane bastonato da mezzanotte e mezza.
Si siede ad un tavolino di un bar, ordinando una limonata senza zucchero, e il cellulare inizia a squillargli e vibrargli nella tasca dei jeans.
Quando vede il nome sullo schermo si precipita a rispondere.
"Sto bene, tranquillo."
Quelle parole lo raggiungono ancora prima che possa sparare una raffica di parole e domande, dal come stai, cosa è successo, sei ferito e se stai per dirmi che mi ami okay lasciami preparare.
"Stavo per dire pronto, in realtà, sai?"
Il suo ragazzo ha un tono scettico, quando gli risponde.
"Certo, lo so, ma. Volevo dirtelo."
"Sono contento" e poi aggiunge "Mi mancava la tua voce."
Louis squittisce piano e inizia a respirare un poco più velocemente, così impercettibilmente che se fosse con qualcun'altro al telefono, e non con Harry, nessuno se ne accorgerebbe.
Tossicchia mentre prova a riprendere contegno, ed Harry si sente solo maggiormente in colpa perchè lo sa, che quelle piccole confessioni casuali sono come un monte sulle spalle piccole e gracili del suo amore.
Sta già per scusarsi quando.
"Anche io- cioè, volevo dire. Okay. Mancavi anche a me, ecco."
E’ più che piacevolmente sorpreso, per questo si ritrova a sorridere e a sviare l’argomento, sapendo che se dalla sua bocca usciranno parole troppo pesanti, quell’aura di, serenità?, che la voce di Louis pare avere, svanirà.
“Hai sentito Niall?”
L’altro non risponde, perciò suppone che non lo abbia visto o sentito, e per un po’ rimangono in silenzio, Harry seduto al bar e Louis da qualche parte in casa, forse sotto le coperte del letto.
“Credo di dover andare” sospira “A domani!”
Attacca, iniziando finalmente a mangiare il suo cibo, una semplice frittata, ormai fredda.
Harry, invoca Louis mentre si rinchiude a bocciolo nelle coperte, quando torni da me?
L’epifania arriva improvvisa ed in un momento veramente inopportuno: è seduto sul lavandino dell’aereo che lo porterà alla prossima tappa, perché è apparentemente l’unico posto in cui prende il wi-fi, quando lo colpisce alla mente un’illuminazione che lo aiuta a capire cosa scaturisce quel prurito all’orecchio.
Ripensandoci, ora che è di nuovo seduto al suo posto, con la testa appoggiata al finestrino, non sarebbe stato così difficile arrivarci prima.
La questione è semplice: in lui, a quanto pare, il senso di colpa si manifesta in quel modo.
E per un attimo, vacilla nel decidere se formulare il pensiero del perché sia in colpa, oppure no, facendo finta di niente e mentendo persino a sé stesso.
Ormai sono quasi 6 mesi che non torna in Inghilterra, che non prende il mazzo di chiavi con quel portachiavi a rana bruttissimo, che non sbuffa su quel tappetino orribile con il disegno di due porcospini, e che non posa le chiavi in quel piattino di vetro dipinto male, sul mobile proprio all’ingresso.
Se glielo chiedessero, saprebbe descrivere casa sua alla perfezione.
E forse è proprio questo il problema: inizia a mancargli casa.
Non che lui abbia mai affidato a casa un nome di luogo, o di persona o di famiglia, ma il concetto di un posto fisso dove sa di poter sempre andare, in qualsiasi momento, è malinconico.
E’ una concezione stupida di casa quella che il mondo ha, perché una casa non è né quattro mura, né le persone che la compongono ed è certo di essere contro questa visione, ma.
Gli manca Louis.
Questo è tutto, pensa mentre poggia la testa più in basso e cerca di dormire, non è grave.
Taj Mahal, India.
Ci sono persone intorno a lui che parlano, che gridano e alcuni persino gli danno delle spallate per passare, neanche scusandosi, mentre lui rimane là fermo.
Quel posto è il suo sogno più recondito, quello più importante e nascosto e le dita gli tremano talmente tanto da non riuscire ad afferrare la macchina fotografica.
E’ semplicemente un incanto.
“Tutto questo è un plesso tombale, ci crederesti ragazzino?”
Si gira con gli occhi spalancati e a parlare è stato un signore, anziano, che poggia completamente il suo peso su un bastone di legno grezzo, mentre lo guarda a testa alta.
Gli si avvicina, fino ad essere al suo fianco così da parlargli e guardare il monumento più da vicino: è l’alba, e tutto il palazzo è quasi rosato.
Si dice che cambi colore con i raggi del sole e della luna, ed Harry non sta più nella pelle nello scoprirlo, ormai: è una settimana che è in città, a fare ricerche sul monumento e a dondolare tra l’attesa di vederlo e il dolore di dover aspettare.
Ora è finalmente là.
“E’ una lacrima di marmo poggiata sulla guancia del tempo.” sospira l’anziano “Amo le citazioni.”
Harry lo osserva meglio, e gli pare veramente vecchio come il mondo; ha un qualcosa di vissuto negli occhi che anche lui vorrebbe possedere, come se quell’uomo avesse un pezzo dell’intero mondo con sé.
L’uomo sconosciuto inizia a camminare in direzione dell’entrata e lui si ritrova a seguirlo con passo di marcia, mentre chiude la borsa ed estrae i suoi sogni.
“Sarò la tu guida personale quest’oggi, ragazzo, non devi ringraziarmi!”
Gli fa un occhiolino, e riparte.
Sono all’esterno ora, nei giardini, e Shah, che è il nome dell’anziano, sta blaterando qualcosa che Harry non sta tuttavia ascoltando, per niente.
Hanno visitato insieme tutti gli interni, tutti i piani e lui ha scattato così tante foto, forse persino di luoghi in cui non poteva, eppure nessuno ha fiatato: sono scesi in parti buie e dove Shah aveva una candela e.
E’ incantato, completamente.
Il giardino all’aperto è un quadrato, da quanto cattura delle parole che volano nell’aria, ed è diviso in quattro parti uguali da due canali che si incrociano nel mezzo; è tutto completamente verde, senza piante esotiche dai colori particolari, perché nei vecchi giardini della dinastia, ripete Shah, la semplicità era simbolo di inequivocabile eleganza e pace d’animo.
Non riesce neanche a scattare quante foto vorrebbe, perché il suo cervello sta ruotando così velocemente che la solita calma con cui fotografa un attimo sparisce, e non riesce.
Si fermano su un prato, dove c’è una panchina, perché ogni tanto Shah deve riposare la gamba.
“Sai Harry” inizia “Non capisco perché hai scelto il Taj Mahal come tappa di questo viaggio di cui mi hai vagamente accennato, perché?”
“Non è forse ovvio? E’ una delle sette merviglie del mondo!”
Al che, l’anziano ride e scuote la testa, rimproverandolo.
“Tu mi hai detto di essere un fotografo, e le menti dei fotografi non pensano come le menti normali.”
Lo fissa Harry, mentre l’altro fa finta di niente e fissa il monumento che ora spicca di un oro brillante, le piccole gemme incastonate tra i mattoni che riflettono la luce del sole che cala.
Lui voleva solo visitare un monumento, ed invece ha conosciuto Shah; gli è tornato quel prurito.
Tossisce, e inizia a gesticolare ancora prima di inziare a parlare.
“Mi hanno detto. Cioè. Ho letto che – è un monumento creato e costruito per amore.”
“Quindi è questo che ti porta qui?”
Annuisce con la testa bassa, e si vergogna un po’.
“Vuoi che ti racconti la storia?”
Alza di scatto la testa e trova l’uomo intento a fissarlo, uno sguardo paterno mentre sembra già pronto con il discorso tra le labbra schiuse.
“No! Lo conosco bene.”
“E allora se sei qui per quella, già sapendola, qual è la storia d’amore di cui parli?”
Harry non gli risponde, e si separano quando ormai la costruzione splende debolmente nel cielo blu, così blu che sembra essere pieno di lacrime.
Se ne vanno in direzioni diverse, e se mentre Shah pensa a sua moglie, Harry pensa a quale storia d’amore la sua test intendesse parlare, nessuno ci fa caso.
In fondo, i pensieri sono trasparenti.
Al diciassettesimo squillo, inizia a preoccuparsi.
Dove è finito?, riflette ed inizia a stilare una lista dei luoghi dove potrebbbe essersi cacciato per non risponde al telefono, dove si nasconde?
Chiude la chiamata e compone subito il numero di casa della madre di Louis, dove è più probabile che lui sia a quell’ora del giorno, con il suo ragazzo dall’altra parte del mondo che cola di sudore sulle lenzuola.
Quasi subito una voce assonnata gli risponde, e si chiede che cavolo di ore siano in Inghilterra.
Louis lascia andare un sospiro pieno e la sua voce tremola, ma lui non lo fa neanche parlare.
“Mi hai fatto spaventare a morte, idiota!”
Si era ripromesso di non urlare, ma il sollievo di sapere Louis in un posto sicuro, vivo, lo fa scoppiare.
“Non urlare, ho solo passato la notte da mamma e dalle ragazze.”
“No, zitto! Cazzo, potevi avvisare!”
Sente il fruscio delle coperte mentre Louis si alza a sedere in mezzo al letto, attento a non svegliare i due gemelli che dormono.
Il ragazzo è così stanco di tutto, di Harry, che non si rende neanche conto che inizia a singhiozzare dalla rabbia e dalla tristezza e dai perché incastrati tra sterno e gola.
“Come potevo se non sei qua? Non ho neanche idea di che ore siano là, santo cielo Harry.”
E poi inizia a ripetere e mormorare sei un’idiota tante volte quanto glielo permettono le lacrime, mentre si asciuga la faccia con la manica del pigiama.
Ed Harry un po’ il mondo addosso se lo sente cascare, perché quello non doveva succedere.
“No, amore, fermo.”
Ora le voci si sovrappongono mentre anche Harry inizia a mormorare calmati, non è niente, respira per me si?
“Io non – non so cosa fai, perché lo fai, non ho niente più!”
Louis gli attacca in faccia.
Mentre si sfrega gli occhi, Harry controlla la data sul telefono: 9 gennaio.
Sarà una lunga notte, e si stende con gli occhi sul soffitto.
Casa, dove è il cuore.
Iniziano tutti a scendere dall’aereo, mentre lui invece resta ancora un po’ a fissare la pista di atterraggio dell’aereoporto.
Non può credere di aver davvero rinunciato al suo viaggio.
Eppure è là, di nuovo in Inghilterra, con il fuso orario che lo sta uccidendo e le valigie che non gli pesano un grammo di quanto gli pesa il cuore in quel momento.
Strizza gli occhi e nasconde il volto nella sciarpa viola, saltellando piano sulle scalette.
Quando poggia il piede per la prima volta dopo così tanto tempo in un posto che conosce, respira a pieni polmoni e dopo tutti quei mesi, non avverte nessun prurito.
Nessun senso di colpa, nessun vuoto.
Forse c’è un grande disegno in cielo, pensa mentre cammina dietro un signore che in una mano porta un borsone e nell’altra un orsacchiotto giocattolo per la figlia, che sa già quello che ci avverrà.
Si stiracchia e chiama un taxi per aereoporto di Doncaster, grazie, il prima possibile!
In quel momento vuole soltanto dormire, ma non abbracciato ad un cuscino.
Una coppia discute animatamente a qualche metro da lui: la donna lo indica spudoratamente con le lacrime sulle guancie, accusandolo, e l’uomo si ritira al suo sguardo sempre di più, colpevole.
Harry si chiede se la stessa scena si ripeterà anche per lui e Louis.
Che starà facendo? Riflette, mentre il suo taxi arriva.
Nel frattempo, c’è un ragazzo seduto da solo sul pavimento freddo del balcone, mentre con una mano accarezza una pianta verda, così verde, e fissa il vuoto.
Louis non sa più che fare.
E’ stato in silenzio, ha parlato, ha urlato ed ha anche provato a respirare più forte per farsi sentire dal mondo, che lo ha sempre zittito, ma non è servito a niente.
Harry non è tornato.
Non gli ho ancora detto che lo amo, porta le ginocchia vicino al busto e le abbraccia infreddolito nella sua maglia a maniche corte, o che non mi piacciono le coperte senza di lui o che Niall non sa cucinare o che mi manca sempre così tanto.
Forse dovrebbe arrendersi all’evidenza: Harry lo conosce da 5 anni, si è innamorato di lui, Louis di lui, ma se il primo ha sempre avuto la vita che voleva, Louis non riesce a dire niente.
E chi vorrebbe stare con una persona che non ti dirà forse mai ti amo?
Sospira frettolosamente mentre le labbra gli iniziano a tremare; ma non piangerà, non questa volta.
E’ stanco di piangere.
Fissa fuori dal finestrino con le dita che pizzicano il labbro inferiore, mentre vede l’intera città scorrergli davanti gli occhi; si chiede perché il suo ragazzo abbia voluto una casa così fuori dal centro.
Sembra sia passata un’eternità da quando è salito.
Eppure sono quasi arrivati, gli riferisce il tassista, perciò inizia a cercare il portafoglio.
Non vede l’ora.
Torna dentro casa, e si infila una felpa.
Apre l’acqua del lavandino per metterla in una teiera e prepararsi del tè, così si rilasserà e potrà smettere di pensare ad Harry, HarryHarryHarry, anche solo per un secondo.
Gira il collo, e le ossa fanno un rumore acuto.
Un giorno uguale ad un altro, riflette appoggiato ai fornelli, quando cambierà?
“Siamo arrivati, signore.”
Borbotta un leggero grazie mille, e sbatte dietro di sé la portiera mentre cerca di prendere le valigie senza che gli cadano dalle mani sudate; è emozionato.
Dà tutti i soldi necessari all’uomo, che li prende e con un sorriso cordiale se ne va, mentre lui resta ferma sul marciapiede.
E’ indeciso se suonare o no.
Si avvicina alla porta, piano, e mentre alza il dito per suonare il campanello, gli arriva alla mente l’idea perfetta.
Tira fuori il telefono, compone il numero, e attende.
Sta versando il tè nella tazza quando il suo cellulare squilla, sul tavolino in soggiorno.
Non ha idea di chi potrebbe essere a quell’ora, perciò si affretta.
Quando vede il nome di Harry lampeggiare, prende qualche respiro profondo e risponde, aspettando che l’altro inizi a parlare come il solito di quanto tutto sia fantastico, le fotografie fenomenali e.
Ma non gli arriva niente, se non di rimando il respiro dell’altro.
Deve aspettare 9 squilli, perché Louis probabilmente stava versando il suo tè.
Lo conosce così bene che gli si solleva un po’ il cuore quando l’altro risponde, silenzioso.
E ci mette un attimo ad organizzare la mente e le idee, perché essere così vicino al suo amore, dopo tutto quel tempo sprecato a cercare il soggetto perfetto, non gli fa uscire le parole di bocca.
“Mi dispiace.” inizia, titubante “Io – non sono per niente bravo con le parole e sono quello tra noi due, che invece parla di più. Ti ho mai schiacciato? Perdonami. Non l’ho mai fatto, quando dovrei? Perdonami.”
“Ma io che posso farci? Il mio sogno è sempre stato il soggetto perfetto e viaggiare e avere gli occhi vecchi come il mondo, che esistono solo nei film. E poi spunti te dal niente che, senza offesa Louis, ma a te in un film non ti ci vedo! Troppi pensieri e poche parole.”
Si ferma un attimo, a respirare.
Harry, che stai facendo? pensa Louis fermati, amore.
E poi le parole di Harry lo investono e rimane in silenzio, mentre si porta una mano alla bocca e si sposta a girare nel salotto, in ansia.
“Louis io. Sono stato così stupido, amore. Pensavo di capire, di capirti, di sapere e non dovermi preoccupare ma invece non ho mai capito niente di niente, né di te né di me!”
Fissa insistentemente la finestra, sperando che il ragazzo si affacci e lo veda e che vada là a stringerlo.
“Sai qual è il mio soggetto perfetto, Louis?” continua “Si nasconde.”
Ormai sta definitivamente piangendo, con una mano davanti gli occhi e i singhiozzi silenziosi che ricoprono tutti i mobili e le pareti del salotto, mentre tutte le parole mai dette gli si ripetono in mente.
Mi manchi, pensa, e anche i tuoi baci e i sorrisi che mi fai alle spalle quando parlo e ti rispondo e mi manca sempre la tua voce e dove sei ti prego, torna qua.
Si calma un poco, mentre Harry continua a parlargli piano nell’orecchio.
Scuote la testa, perché lo sente che Louis sta piangendo.
“Il mio soggetto perfetto, che non ho mai fotografato perché troppo cieco, mi si nasconde in questo momento, e potrei vederlo, se si affacciasse alla finestra?”
Gli si blocca il fiato in gola, mentre corre verso l’unica finestra che da davvero sulla strada, che è quella della loro camera: l’hanno scelta apposta, quasi due anni fa.
E quando scosta piano la tenda azzurra, inizia a ridere piano e senza fare rumore, come è abituato.
Perché Harry è là, che lo guarda, mentre tiene ancora il telefono con un sorriso stupido su quella faccia che vuole prendere a schiaffi e poi baciare e stringere tra le mani.
“Che dici, mi permetterà di fotografarlo ora?”
Non gli risponde e butta il telefono sul letto, mentre senza neanche prendere la giacca si affretta giù per le scale, senza le chiavi in mano e con dei calzini orribili arancioni ai piedi.
Non gli importa più di tanto.
Ti amo, pensa, mentre si regge sullo scorrimano per non cadere, da impazzire.
Il portone gli si apre all’improvviso, appena mette il telefono in tasca.
Spalanca il portone e non fa neanche caso a chiuderlo dietro si sé.
C’è Louis davanti a lui, con dei calzini orribili e una sua felpa che gli sta gigante sui jeans che non si sarà mai levato in quella settimana.
E’ stupendo, mentre lo fissa con la bocca aperta.
Cammina piano.
Sono 6 mesi che il suo ragazzo è via da casa, 6 mesi di chiamate e di persone che lo visitavano e provavano a tirarlo su, 6 mesi in cui la voce di Harry non gli leniva le ferite come farebbe nella realtà.
E sta rendendo tutto così lento quando potrebbe correre, che quando si ritrova di fronte a lui gli balza in braccio senza accorgersene e torna a singhiozzargli sulla maglietta.
Va tutto bene, lo stringe, è perfetto così.
“Louis, amore –“ 
L’altro scuote la testa mentre prova a calmarsi; ed Harry non pensa al prurito, o al vuoto o a quelle due parole che vorrebbe così tanto sentire ed ascoltare all’infinito perché-
“Ti amo, idiota, fammi parlare ora che voglio.”
Tutto si ferma ed è esplosione ed incanto e favola che spera solo di non svegliarsi se è un sogno.
Lo stringe più forte.
Gli scatterò una foto dopo, promette, ora fammelo baciare.

 

A Gioia che aspetta con ansia ogni cosa che scrivo;
A Mattia che mi ascolta e mi capisce senza farlo neanche apposta;
E a Sara, a cui mando un sacco di baci e abbracci. 

 

 

It’s a long way to home.

 

 

Nuuk, Groelandia.

 

Si stringe nel suo cappotto pesante, e chiude qualche volta i pugni nelle tasche per riscaldarsi un po' le dita, mentre una nuvola di vapore e fumo esce dalle sue labbra chiuse intorno alla sigaretta;
sposta gli occhi sui tetti bianchissimi delle case, seduto sulla poltrona che ha spostato dal salotto al balcone.

Non è sicuro che il padrone di casa ne sarà contento, ma non sarà neanche felice dei posaceneri usa e getta che troverà per terra in bagno o sulla mensola sopra il frigorifero,
della vasca da bagno con dentro i suoi sali minerali alla lavanda e persino del fatto che il quadro di sua moglie sia stato spostato nello sgabuzzino.

Poco male, riflette Harry mentre soffia fuori il fumo e getta la sigaretta di sotto, a quel punto io sarò già ripartito e voglio scommetterci che non riuscirà a ritrovarmi.

Rientra in casa a prendere la sua macchina fotografica, si tira su il cappuccio della felpa rossa ed esce dalla casetta rosa confetto, lasciando le chiavi nella serratura.

Si allontana lentamente lungo la via deserta, il ghiaccio che gli scricchiola piano sotto gli scarponcini, e pensa a quanto lontano dovrà andare per trovare il suo soggetto perfetto, in fondo è per questo che viaggia.

Harry Styles ha ventidue anni, capelli ricci che prova a tagliare quando può ma che ricrescono sempre troppo in fretta, un naso molto grande e le labbra a cuore;
è anche estremamente alto ma. Non ama parlarne.

Viaggia da quando ha memoria, prima con la sua famiglia, poi da solo, e anche da sempre ha una macchina fotografica in mano che lo accompagna.

È sempre stato intraprendente e ambizioso fin dai sedici anni, età del suo primo viaggio in solitudine, l'Italia,
perchè fin da quell'età così giovane, e se ci ripensa muore un po', si è posto un obiettivo fondamentale: ecco, il soggetto perfetto per le sue fotografie ancora non l'ha trovato, ma ormai,
con mezza cartina del mondo in camera sua piena di puntine a segnare le sue tappe concluse, crede di essere sulla buona strada. 

Si ferma ad un angolo della strada creato da una roccia sporgente, e si appoggia mentre indietreggia sempre di più, fino a riuscire da quell'altezza a fotografare le piccole case in lontananza,
tutte di quei colori così improbabili, che sono la capitale di quel paese così freddo.

Si trova a Nuuk da quasi tre settimane, e per ora è il paese dove ha scattato più fotografie, nonostante sia soltanto la prima tappa del suo nuovo viaggio.

Continua a camminare e ogni tanto si ferma, perchè qualche luce lo cattura oppure perchè il sole decide di sparire dietro le nuvole e, ad Harry hanno sempre affascinato le città coperte dal grigiume del cielo.

Torna alla casetta dopo due ore e mezza perse a vagare nel buio, senza che nessuna foto lo soddisfi realmente,
e toglie le chiavi dalla serratura mentre apre la porta a la richiude con due mandate dietro di sé.

Ho già le valigie pronte sotto il letto, e domani dovrò alzarmi veramente presto per farmi prendere da un taxi, pensa, mentre mette sul fuoco due uova.

Sospira, e mangia in silenzio.

 

Scende velocemente dal taxi, mentre paga il signore che si è fatto chilometri per lui, e afferra rudemente il borsone, camminando velocemente verso le porte scorrevoli dell'aereoporto.

Non che lui ami gli aerei, preferisce di gran lunga i treni o le navi o persino le macchine se necessario, ma. Non può attraversare l'intero continente in treno.

Si siede stanco su una sedia davanti al tabellone degli arrivi, mentre spera che il suo volo non sia in ritardo, e tira fuori dal suo zaino il cellulare, mentre compone il numero che sa a memoria.

Questa volta deve aspettare 10 squilli, prima che qualcuno risponda.

«Louis!»

Dall'altra parte è tutto silenzio, eppure Harry sa che lo sta ascoltando: Louis è troppo buono.

«Sto ripartendo, ti avevo detto dove giusto? Comunque, Nuuk era bellissima, anche se ha piovuto un bel po', poi ti farò vedere qualche diapositiva, là tutto apposto?»

Gli arriva un respiro tremulo ed un mugolio poco convinto, mentre Louis sospira provando a riprendere fiato.

Harry lo sa, che non deve parlare troppo velocemente perchè sennò il suo ragazzo si agita, ma per lui è veramente impossibile.

«Scusa.»

Rimangono un po' in silenzio, quando all'improvviso l'altoparlante informa i passeggeri che l'aereo diretto a Montes De Oro è appena atterrato, e che sono pregati di avviarsi sulla pista.

«Devo andare, ci sentiamo, così mi racconti com'è con Niall e Liam a casa.»

Louis risponde con un distratto , mentre attorciglia tra le dita il filo del telefono: vorrebbe davvero tanto che Harry fosse con lui, perchè si sente un pochino oppresso a stare senza lui.

«Mi mancano i tuoi baci, ciao.»

Chiude velocemente la chiamata mentre si incammina dalla hostess che già allunga la mano per afferrare il biglietto.

Anche a me, pensa Louis quando ripone la cornetta, anche a me

 

 

 

Monteverde Cloud Forest, Costa Rica.


Tossisce con una mano sulla fronte, mentre si porta di nuovo la boccetta d'acqua alla bocca e prende un grande sorso, e continua a camminare con la fotocamera che gli pesa intorno al collo sudato.

La nebbia non è ancora troppo fitta, fortunatamente, perciò farsi strada tra gli alberi e la felce è difficile ma non pericoloso; ha sempre sognato di diventare Sandokan.

La schiena gli fa malissimo e la maglietta è ormai una seconda pelle, eppure le papille gustative da fotografo di Harry non sono mai state così felici.

La foresta è il luogo perfetto se si cerca un soggetto da fotografare, perchè la foresta stessa è un soggetto particolare e perfetto per chiunque:
gli alberi e il muschio e la nebbia, persino gli animali che al minimo rumore paiono fuggire.

Si ferma un attimo e punta l'obbiettivo verso l'alto, tra i rami, per catturare i riflessi del sole istantaneamente e conservarli per sempre.

Poi si sposta di poco e, girandosi, scatta anche rapidamente una foto al percorso che ha scrupolosamente seguito.

Respira, pensa mentre si siede per terra e tira fuori qualcosa da mangiare, sei vivo.

 

È seduto al tavolo del ristorante del suo hotel da almeno mezz'ora, eppure la sua cena non sembra voler arrivare mentre si alza e, sporgendosi sulla veranda, si accende l'ennesima sigaretta:
la sua gita è andata molto bene, nonostante il caldo e le punture di zanzara su tutto il corpo,
e appena tornato in stanza era corso a poggiare la macchina e scaricare le immagini sul suo fidato laptop, che ne ha viste anche troppe.

La Riserva Naturale Monteverde è una delle riserve naturali più piccole nella regione, per questo l'aveva scelta.

Se fosse andato in qualsiasi altro posto, non sarebbe riuscito a rimanere solo neanche nella foresta più sconfinata, nascosto tra gli alberi.

Sta socchiudendo gli occhi, pensando a come abbia costantemente un senso di vuoto nel petto anche quando fa ciò che ama, lo scattare foto,
quando la cameriera gli si fa vicino e gli indica a gesti la sua cena, non parlando bene la sua lingua.

Annuisce e butta di sotto la sigaretta, mentre osserva incuriosito il suo Gallo Pinto che, da quel poco che ha capito, dovrebbe essere un piatto composto da riso e fagioli.

Non capirà mai altra cucina se non quella inglese.

Finisce la sua cena e si affretta su per le scale: deve ancora fare le valigie, visto che ormai si trova là da fin troppo oltre quello che aveva previsto, e deve chiamare Louis.

Si butta sul letto e decide di usare il telefono fisso questa volta, visto che il suo cellulare ha deciso di morirgli in tasca due giorni fa.

Preme il tasto della chiamata e stavolta deve aspettare solo 4 squilli, e si sorprende a tal punto da alzare la testa dal cuscino, ma. Non è come si aspettava.

«Ehi amico!»

Poggia di nuovo la testa sul cuscino e prova a sprofondare nel letto.

«Ehi, Niall, come va là?»

Il ragazzo dall'altra parte sospira e Harry riesce ad immaginarselo alzare gli occhi al cielo mentre picchietta le dita sul mobile di legno.

«Come vuoi che vada? Louis è. Louis! Sta solo là, sul divano, apatico, dovresti saperlo Harry! State insieme da quanto, 5 anni? Non —»

«Niall! Smettila.»

Può sentire Niall parlottare a bassa voce tra sé e sé ma, sinceramente, non gli importa più di tanto, perchè è stufo.

«Mi puoi passare Louis? Ho telefonato per lui.»

Il ragazzo cerca di scusarsi, ma si interrompe e lo saluta, mentre chiama Louis dall'altra parte della casa, dicendogli che il tuo principe azzurro è al telefono!

Quando sente un respiro vicino al suo orecchio, sorride.

«Ehi.»

Louis ridacchia piano e sente lo stridere della sedia mentre la porta vicino al telefono, e lo percepisce sedersi; sembra un giorno buono, quello.

«Ehi.»

«Come stai?»

Sa che porre quella domanda è come camminare su un campo minato: se scegli il momento sbagliato, tutto esplode. Ma.

Lui e Louis sono fidanzati da cinque anni ormai, Harry ha imparato i suoi silenzi e come riconoscere i giorni in cui può parlargli e quelli in cui è meglio che gli sta alla larga,
e l'altro ha capito che se Harry gli pone una domanda scomoda, non è obbligato a rispondere.

«E' tutto. Uhm. Okay penso. Sì, è okay. Tu?»

C'è però un qualcosa che turba Harry da quando ha chiesto a Louis di fargli il permesso di poterlo baciare e abbracciare, e non riesce a togliersi quel tarlo dalla testa.

«Tutto bene, domani parto. Mi ricorderai con il pensiero di mettere la sveglia?»

È un'idea, che spunta solo quando le fa comodo, e punge nel suo orecchio sinistro, come la puntura di una zanzara.

Louis fa un verso d'assenso, mentre cercano entrambi di ignorare il rumore della televisione che Liam ha sicuramente acceso per zittire Niall e le sue ciarle.

«Devo andare, okay?»

«Sì, certo. Cioè. Buonanotte?»

Harry sospira.

«Già, buonanotte. Mi manchi.»

Dillo Louis, Dio dillo, lo so che ce la puoi fare, pensa mentre si porta un braccio a coprire gli occhi dalla luce del lampadaio, dillo ti prego.

«Mh. Ciao.»

Harry vuole quasi piangere.

«Ciao.»

Butta il telefono sul comodino quando sente il bip ripetitivo della chiamata terminata.

Anche a me, piange Louis seduto per terra vicino al telefono, anche a me.

 

 

 

Machu Picchu, Perù.

 

Quando Harry programmò quel viaggio, quella tappa non voleva metterla; perchè ci era già stato, perchè era scontata e tanti altri motivi.

Eppure l'aveva segnata lo stesso. Non gli piacciono neanche i siti archeologici, con quell'aria di storia con cui le rovine si vestono, a vantarsi di un passato che nessuno è certo sia esistito.

Però poi si ritrova là, con una canottiera e il cappello che gli preme sui ricci ed uno zaino enorme sulla schiena, ad osservare attraverso gli occhiali da sole la città inca perduta:
è un posto visitatissimo, e la gente torna regolarmente, eppure.

Non c'è nessuno, a quell'ora del mattino ed Harry è completamente solo.

Tira fuori la macchina fotografica e inizia la sua routine che andrà avanti fino al calar del sole, quando capirà di doversene andare se non vuole essere attaccato da.

Falene, forse.

Ormai è al punto in cui Machu Picchu non gli suscita nessun batticuore, nessuno spirito d'osservazione o di avventura: è solo una città, antichissima, composta da mura spoglie e verde sgargiante.

Ricorda vagamente, mentre scarta il pranzo, quanto fosse invece rimasto entusiasta quattro anni fa, la prima volta che l'aveva visitata con i suoi occhi e non attraverso lo schermo di un computer.

Era un adolescente stupido che credeva di aver trovato la pace del cuore nell'oro del Perù, e aveva scattato così tante fotografie da tagliarsi ad un pollice per colpa della foga.

Questa volta invece, da adulto quale crede di essere, ha trovato più interessante il viaggio che ha fatto per arrivare là:
una gita in autobus, dove ha fatto amicizia con i bambini di una piccola famiglia, e poi quasi tre giorni di cammino fino alla collina.

Il padre di quella famiglia gli ha persino raccontato come ancora oggi, nelle piccole comunità, si abbia una così tanta fiducia nella popolazione sterminata degli Inca.

I polmoni di Harry sono svuotati, mentre si sente pervadere il corpo ancora da quella pungente sensazione di vuoto, che non se ne va, neanche mentre controlla la data sul telefono.

Quel giorno sono esattamente 4 mesi che Harry è lontano dall'Inghilterra.

Lunga vita alla Regina, mormora mentre da un ultimo morso al panino, e tanta felicità.

 

Attraversa la strada lentamente, visto che non ha fretta, e continua a percorrere una delle vie principali di Cusco, le luci gli ballano leggermente davanti gli occhi.

Passa oltre un giardino, di fronte una scuola, e si sofferma a fissare i colori sgargianti dei fiori che crescono liberi tra i cespugli;
il marciapiede è color avorio e si sofferma anche su quello, fermo in mezzo alla via.

Un tram gli passa accanto e gira la testa nel vederlo sparire, il giallo acceso che punge quasi il suo cervello.

Partirà tra due giorni, e si trova in Perù da ormai due settimane, quasi tre.

E ieri ha litigato con Niall, ecco perchè vaga sconsolato.

Il biondo lo ha chiamato a mezzanotte precisa, appena tornato dal suo lavoro in radio, e gli ha chiesto stizzito quando ha intenzione di ritornare e smetterla di fare il ragazzino viaggiatore,
perchè ha delle responsabilità, perché fare il piccolo esploratore a Machu Pichu non lo aiuterà, e Niall non ha neanche provato a nascondere quel vieni a riprenderti il tuo ragazzo, coglione, che non è normale.

E Harry ha risposto mandandolo a fanculo, ribadendo il fatto che non ha diritto di parola sulle loro vite e che,
Louis, cristo, è normalissimo, come se non avessi mai visto una persona in quello stato di depressione perenne, testa di cazzo, gli ha mormorato.

Dopo quello, il biondo gli ha attaccato in faccia, e Harry si trova in questa situazione da cane bastonato da mezzanotte e mezza.

Si siede ad un tavolino di un bar, ordinando una limonata senza zucchero, e il cellulare inizia a squillargli e vibrargli nella tasca dei jeans.

Quando vede il nome sullo schermo si precipita a rispondere.

«Sto bene, tranquillo.»

Quelle parole lo raggiungono ancora prima che possa sparare una raffica di parole e domande, dal come stai, cosa è successo, sei ferito e se stai per dirmi che mi ami okay lasciami preparare.

«Stavo per dire pronto, in realtà, sai?»

Il suo ragazzo ha un tono scettico, quando gli risponde.

«Certo, lo so, ma. Volevo dirtelo.»

«Sono contento» e poi aggiunge «Mi mancava la tua voce.»

Louis squittisce piano e inizia a respirare un poco più velocemente, così impercettibilmente che se fosse con qualcun'altro al telefono, e non con Harry, nessuno se ne accorgerebbe.

Tossicchia mentre prova a riprendere contegno, ed Harry si sente solo maggiormente in colpa perchè lo sa, che quelle piccole confessioni casuali sono come un monte sulle spalle piccole e gracili del suo amore.

Sta già per scusarsi quando.

«Anche io — cioè, volevo dire. Okay. Mancavi anche a me, ecco.»

È più che piacevolmente sorpreso, per questo si ritrova a sorridere e a sviare l’argomento,
sapendo che se dalla sua bocca usciranno parole troppo pesanti, quell’aura di, serenità?, che la voce di Louis pare avere, svanirà.

«Hai sentito Niall?»

L’altro non risponde, perciò suppone che non lo abbia visto o sentito, e per un po’ rimangono in silenzio, Harry seduto al bar e Louis da qualche parte in casa, forse sotto le coperte del letto.

«Credo di dover andare» sospira «A domani!»

Attacca, iniziando finalmente a mangiare il suo cibo, una semplice frittata, ormai fredda.

Harry, invoca Louis mentre si rinchiude a bocciolo nelle coperte, quando torni da me?

 

L’epifania arriva improvvisa ed in un momento veramente inopportuno: è seduto sul lavandino dell’aereo che lo porterà alla prossima tappa,
perché è apparentemente l’unico posto in cui prende il wi-fi, quando lo colpisce alla mente un’illuminazione che lo aiuta a capire cosa scaturisce quel prurito all’orecchio.

Ripensandoci, ora che è di nuovo seduto al suo posto, con la testa appoggiata al finestrino, non sarebbe stato così difficile arrivarci prima.

La questione è semplice: in lui, a quanto pare, il senso di colpa si manifesta in quel modo.

E per un attimo, vacilla nel decidere se formulare il pensiero del perché sia in colpa, oppure no, facendo finta di niente e mentendo persino a sé stesso.

Ormai sono quasi 6 mesi che non torna in Inghilterra, che non prende il mazzo di chiavi con quel portachiavi a rana bruttissimo, che non sbuffa su quel tappetino orribile con il disegno di due porcospini,
e che non posa le chiavi in quel piattino di vetro dipinto male, sul mobile proprio all’ingresso.

Se glielo chiedessero, saprebbe descrivere casa sua alla perfezione.

E forse è proprio questo il problema: inizia a mancargli casa.

Non che lui abbia mai affidato a casa un nome di luogo, o di persona o di famiglia, ma il concetto di un posto fisso dove sa di poter sempre andare, in qualsiasi momento, è malinconico.

È una concezione stupida di casa quella che il mondo ha, perché una casa non è né quattro mura, né le persone che la compongono ed è certo di essere contro questa visione, ma.

Gli manca Louis.

Questo è tutto, pensa mentre poggia la testa più in basso e cerca di dormire, non è grave.

 

 

 

Taj Mahal, India.

 

Ci sono persone intorno a lui che parlano, che gridano e alcuni persino gli danno delle spallate per passare, neanche scusandosi, mentre lui rimane là fermo.

Quel posto è il suo sogno più recondito, quello più importante e nascosto e le dita gli tremano talmente tanto da non riuscire ad afferrare la macchina fotografica.

È semplicemente un incanto.

«Tutto questo è un plesso tombale, ci crederesti ragazzino?»

Si gira con gli occhi spalancati e a parlare è stato un signore, anziano, che poggia completamente il suo peso su un bastone di legno grezzo, mentre lo guarda a testa alta.

Gli si avvicina, fino ad essere al suo fianco così da parlargli e guardare il monumento più da vicino: è l’alba, e tutto il palazzo è quasi rosato.

Si dice che cambi colore con i raggi del sole e della luna, ed Harry non sta più nella pelle nello scoprirlo, ormai:
è una settimana che è in città, a fare ricerche sul monumento e a dondolare tra l’attesa di vederlo e il dolore di dover aspettare. Ora è finalmente là.

«È una lacrima di marmo poggiata sulla guancia del tempo.» sospira l’anziano «Amo le citazioni.»

Harry lo osserva meglio, e gli pare veramente vecchio come il mondo; ha un qualcosa di vissuto negli occhi che anche lui vorrebbe possedere, come se quell’uomo avesse un pezzo dell’intero mondo con sé.

L’uomo sconosciuto inizia a camminare in direzione dell’entrata e lui si ritrova a seguirlo con passo di marcia, mentre chiude la borsa ed estrae i suoi sogni.

«Sarò la tu guida personale quest’oggi, ragazzo, non devi ringraziarmi!»

Gli fa un occhiolino, e riparte.

 

Sono all’esterno ora, nei giardini, e Shah, che è il nome dell’anziano, sta blaterando qualcosa che Harry non sta tuttavia ascoltando, per niente.

Hanno visitato insieme tutti gli interni, tutti i piani e lui ha scattato così tante foto, forse persino di luoghi in cui non poteva, eppure nessuno ha fiatato:
sono scesi in parti buie e dove Shah aveva una candela e.

È incantato, completamente.

Il giardino all’aperto è un quadrato, da quanto cattura delle parole che volano nell’aria, ed è diviso in quattro parti uguali da due canali che si incrociano nel mezzo;
è tutto completamente verde, senza piante esotiche dai colori particolari, perché nei vecchi giardini della dinastia, ripete Shah, la semplicità era simbolo di inequivocabile eleganza e pace d’animo.

Non riesce neanche a scattare quante foto vorrebbe, perché il suo cervello sta ruotando così velocemente che la solita calma con cui fotografa un attimo sparisce, e non riesce.

Si fermano su un prato, dove c’è una panchina, perché ogni tanto Shah deve riposare la gamba.

«Sai Harry» inizia «Non capisco perché hai scelto il Taj Mahal come tappa di questo viaggio di cui mi hai vagamente accennato, perché?»

«Non è forse ovvio? È una delle sette merviglie del mondo!»

Al che, l’anziano ride e scuote la testa, rimproverandolo.

«Tu mi hai detto di essere un fotografo, e le menti dei fotografi non pensano come le menti normali.»

Lo fissa Harry, mentre l’altro fa finta di niente e fissa il monumento che ora spicca di un oro brillante, le piccole gemme incastonate tra i mattoni che riflettono la luce del sole che cala.

Lui voleva solo visitare un monumento, ed invece ha conosciuto Shah; gli è tornato quel prurito.

Tossisce, e inizia a gesticolare ancora prima di inziare a parlare.

«Mi hanno detto. Cioè. Ho letto che — è un monumento creato e costruito per amore.»

«Quindi è questo che ti porta qui?»

Annuisce con la testa bassa, e si vergogna un po’.

«Vuoi che ti racconti la storia?»

Alza di scatto la testa e trova l’uomo intento a fissarlo, uno sguardo paterno mentre sembra già pronto con il discorso tra le labbra schiuse.

«No! Lo conosco bene.»

«E allora se sei qui per quella, già sapendola, qual è la storia d’amore di cui parli?»

Harry non gli risponde, e si separano quando ormai la costruzione splende debolmente nel cielo blu, così blu che sembra essere pieno di lacrime.

Se ne vanno in direzioni diverse, e se mentre Shah pensa a sua moglie, Harry pensa a quale storia d’amore la sua test intendesse parlare, nessuno ci fa caso.

In fondo, i pensieri sono trasparenti.

 

Al diciassettesimo squillo, inizia a preoccuparsi.

Dove è finito?, riflette ed inizia a stilare una lista dei luoghi dove potrebbbe essersi cacciato per non risponde al telefono, dove si nasconde?

Chiude la chiamata e compone subito il numero di casa della madre di Louis, dove è più probabile che lui sia a quell’ora del giorno, con il suo ragazzo dall’altra parte del mondo che cola di sudore sulle lenzuola.

Quasi subito una voce assonnata gli risponde, e si chiede che cavolo di ore siano in Inghilterra.

Louis lascia andare un sospiro pieno e la sua voce tremola, ma lui non lo fa neanche parlare.

«Mi hai fatto spaventare a morte, idiota!»

Si era ripromesso di non urlare, ma il sollievo di sapere Louis in un posto sicuro, vivo, lo fa scoppiare.

«Non urlare, ho solo passato la notte da mamma e dalle ragazze.»

«No, zitto! Cazzo, potevi avvisare!»

Sente il fruscio delle coperte mentre Louis si alza a sedere in mezzo al letto, attento a non svegliare i due gemelli che dormono.

Il ragazzo è così stanco di tutto, di Harry, che non si rende neanche conto che inizia a singhiozzare dalla rabbia e dalla tristezza e dai perché incastrati tra sterno e gola.

«Come potevo se non sei qua? Non ho neanche idea di che ore siano là, santo cielo Harry.»

E poi inizia a ripetere e mormorare sei un’idiota tante volte quanto glielo permettono le lacrime, mentre si asciuga la faccia con la manica del pigiama.

Ed Harry un po’ il mondo addosso se lo sente cascare, perché quello non doveva succedere.

«No, amore, fermo.»

Ora le voci si sovrappongono mentre anche Harry inizia a mormorare calmati, non è niente, respira per me si?

«Io non — non so cosa fai, perché lo fai, non ho niente più!»

Louis gli attacca in faccia.Mentre si sfrega gli occhi, Harry controlla la data sul telefono: 9 gennaio.

Sarà una lunga notte, e si stende con gli occhi sul soffitto.

 

 

 

Casa, dove è il cuore.

 

Iniziano tutti a scendere dall’aereo, mentre lui invece resta ancora un po’ a fissare la pista di atterraggio dell’aereoporto.

Non può credere di aver davvero rinunciato al suo viaggio.

Eppure è là, di nuovo in Inghilterra, con il fuso orario che lo sta uccidendo e le valigie che non gli pesano un grammo di quanto gli pesa il cuore in quel momento.

Strizza gli occhi e nasconde il volto nella sciarpa viola, saltellando piano sulle scalette.

Quando poggia il piede per la prima volta dopo così tanto tempo in un posto che conosce, respira a pieni polmoni e dopo tutti quei mesi, non avverte nessun prurito.

Nessun senso di colpa, nessun vuoto.

Forse c’è un grande disegno in cielo, pensa mentre cammina dietro un signore che in una mano porta un borsone e nell’altra un orsacchiotto giocattolo per la figlia, che sa già quello che ci avverrà.

Si stiracchia e chiama un taxi per aereoporto di Doncaster, grazie, il prima possibile! In quel momento vuole soltanto dormire, ma non abbracciato ad un cuscino.

Una coppia discute animatamente a qualche metro da lui: la donna lo indica spudoratamente con le lacrime sulle guance, accusandolo, e l’uomo si ritira al suo sguardo sempre di più, colpevole.
Harry si chiede se la stessa scena si ripeterà anche per lui e Louis.

Che starà facendo? riflette, mentre il suo taxi arriva.

 

Nel frattempo, c’è un ragazzo seduto da solo sul pavimento freddo del balcone, mentre con una mano accarezza una pianta verda, così verde, e fissa il vuoto.

Louis non sa più che fare.

È stato in silenzio, ha parlato, ha urlato ed ha anche provato a respirare più forte per farsi sentire dal mondo, che lo ha sempre zittito, ma non è servito a niente.

Harry non è tornato.

Non gli ho ancora detto che lo amo, porta le ginocchia vicino al busto e le abbraccia infreddolito nella sua maglia a maniche corte,
o che non mi piacciono le coperte senza di lui o che Niall non sa cucinare o che mi manca sempre così tanto.

Forse dovrebbe arrendersi all’evidenza: Harry lo conosce da 5 anni, si è innamorato di lui, Louis di lui, ma se il primo ha sempre avuto la vita che voleva, Louis non riesce a dire niente.

E chi vorrebbe stare con una persona che non ti dirà forse mai ti amo?

Sospira frettolosamente mentre le labbra gli iniziano a tremare; ma non piangerà, non questa volta. È stanco di piangere.

 

Fissa fuori dal finestrino con le dita che pizzicano il labbro inferiore, mentre vede l’intera città scorrergli davanti gli occhi; si chiede perché il suo ragazzo abbia voluto una casa così fuori dal centro.

Sembra sia passata un’eternità da quando è salito.

Eppure sono quasi arrivati, gli riferisce il tassista, perciò inizia a cercare il portafoglio.

Non vede l’ora.

 

Torna dentro casa, e si infila una felpa.

Apre l’acqua del lavandino per metterla in una teiera e prepararsi del tè, così si rilasserà e potrà smettere di pensare ad Harry, HarryHarryHarry, anche solo per un secondo.

Gira il collo, e le ossa fanno un rumore acuto.

Un giorno uguale ad un altro, riflette appoggiato ai fornelli, quando cambierà?

 

«Siamo arrivati, signore.»

Borbotta un leggero grazie mille, e sbatte dietro di sé la portiera mentre cerca di prendere le valigie senza che gli cadano dalle mani sudate; è emozionato.

Dà tutti i soldi necessari all’uomo, che li prende e con un sorriso cordiale se ne va, mentre lui resta ferma sul marciapiede.

È indeciso se suonare o no.

Si avvicina alla porta, piano, e mentre alza il dito per suonare il campanello, gli arriva alla mente l’idea perfetta.

Tira fuori il telefono, compone il numero, e attende.

 

Sta versando il tè nella tazza quando il suo cellulare squilla, sul tavolino in soggiorno.

Non ha idea di chi potrebbe essere a quell’ora, perciò si affretta.

Quando vede il nome di Harry lampeggiare, prende qualche respiro profondo e risponde, aspettando che l’altro inizi a parlare come il solito di quanto tutto sia fantastico, le fotografie fenomenali e.

Ma non gli arriva niente, se non di rimando il respiro dell’altro.

 

Deve aspettare 9 squilli, perché Louis probabilmente stava versando il suo tè.

Lo conosce così bene che gli si solleva un po’ il cuore quando l’altro risponde, silenzioso.

E ci mette un attimo ad organizzare la mente e le idee, perché essere così vicino al suo amore, dopo tutto quel tempo sprecato a cercare il soggetto perfetto, non gli fa uscire le parole di bocca.

«Mi dispiace.» inizia, titubante «Io — non sono per niente bravo con le parole e sono quello tra noi due, che invece parla di più. Ti ho mai schiacciato? Perdonami. Non l’ho mai fatto, quando dovrei? Perdonami.»

«Ma io che posso farci? Il mio sogno è sempre stato il soggetto perfetto e viaggiare e avere gli occhi vecchi come il mondo, che esistono solo nei film.
E poi spunti te dal niente che, senza offesa Louis, ma a te in un film non ti ci vedo! Troppi pensieri e poche parole.» Si ferma un attimo, a respirare.

 

Harry, che stai facendo? pensa Louis fermati, amore.
E poi le parole di Harry lo investono e rimane in silenzio, mentre si porta una mano alla bocca e si sposta a girare nel salotto, in ansia.

 

«Louis io. Sono stato così stupido, amore. Pensavo di capire, di capirti, di sapere e non dovermi preoccupare ma invece non ho mai capito niente di niente, né di te né di me!»

Fissa insistentemente la finestra, sperando che il ragazzo si affacci e lo veda e che vada là a stringerlo.

«Sai qual è il mio soggetto perfetto, Louis?» continua «Si nasconde.»

 

Ormai sta definitivamente piangendo, con una mano davanti gli occhi e i singhiozzi silenziosi che ricoprono tutti i mobili e le pareti del salotto, mentre tutte le parole mai dette gli si ripetono in mente.

Mi manchi, pensa, e anche i tuoi baci e i sorrisi che mi fai alle spalle quando parlo e ti rispondo e mi manca sempre la tua voce e dove sei ti prego, torna qua.

Si calma un poco, mentre Harry continua a parlargli piano nell’orecchio.

 

Scuote la testa, perché lo sente che Louis sta piangendo.

«Il mio soggetto perfetto, che non ho mai fotografato perché troppo cieco, mi si nasconde in questo momento, e potrei vederlo, se si affacciasse alla finestra?»

 

Gli si blocca il fiato in gola, mentre corre verso l’unica finestra che da davvero sulla strada, che è quella della loro camera: l’hanno scelta apposta, quasi due anni fa.

E quando scosta piano la tenda azzurra, inizia a ridere piano e senza fare rumore, come è abituato.

Perché Harry è là, che lo guarda, mentre tiene ancora il telefono con un sorriso stupido su quella faccia che vuole prendere a schiaffi e poi baciare e stringere tra le mani.

 

«Che dici, mi permetterà di fotografarlo ora?»

 

Non gli risponde e butta il telefono sul letto, mentre senza neanche prendere la giacca si affretta giù per le scale, senza le chiavi in mano e con dei calzini orribili arancioni ai piedi.

Non gli importa più di tanto.

Ti amo, pensa, mentre si regge sullo scorrimano per non cadere, da impazzire.

 

Il portone gli si apre all’improvviso, appena mette il telefono in tasca.

 

Spalanca il portone e non fa neanche caso a chiuderlo dietro si sé.

 

C’è Louis davanti a lui, con dei calzini orribili e una sua felpa che gli sta gigante sui jeans che non si sarà mai levato in quella settimana. È stupendo, mentre lo fissa con la bocca aperta.

 

Cammina piano.

Sono 6 mesi che il suo ragazzo è via da casa, 6 mesi di chiamate e di persone che lo visitavano e provavano a tirarlo su, 6 mesi in cui la voce di Harry non gli leniva le ferite come farebbe nella realtà.

E sta rendendo tutto così lento quando potrebbe correre, che quando si ritrova di fronte a lui gli balza in braccio senza accorgersene e torna a singhiozzargli sulla maglietta.

 

Va tutto bene, lo stringe, è perfetto così.

«Louis, amore —» L’altro scuote la testa mentre prova a calmarsi; ed Harry non pensa al prurito, o al vuoto o a quelle due parole che vorrebbe così tanto sentire ed ascoltare all’infinito perché —

«Ti amo, idiota, fammi parlare ora che voglio.»

Tutto si ferma ed è esplosione ed incanto e favola che spera solo di non svegliarsi se è un sogno.

Lo stringe più forte.

Gli scatterò una foto dopo, promette, ora fammelo baciare, eh Mondo?

 

 

 

 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: AnastasiaSmith