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Autore: AriannaPotterhead    17/01/2016    0 recensioni
"Sono sicura che, un giorno, sarai il mio sole."
1853. Londra, Inghilterra.
Jhon Turner è un rispettabile diciottenne, un ottimo partito ed un ragazzo estremamente curioso ed intelligente. Figlio di uno degli imprenditori industriali più ricchi del paese, è pronto ad ottenere le redini dell'impero di suo padre rendendo la "Turner" un colosso internazionale. Ma qualcosa sembra andare storto. Quando il cadavere di una domestica viene ritrovato sulle rive sud del Tamigi, un'antica guerra porterà Londra nelle fiamme dell'odio. Come fu in principio...
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando l’Inghilterra venne travolta dalla stupenda piaga della seconda rivoluzione industriale, nel 1853, Hugo Turner era già uno dei più importanti imprenditori nel campo del paese. La sua abilità negli affari lo avevano portato ad essere uno degli uomini più ricchi di Londra ed un importante membro del senato, nonché il Gran Maestro della più antica loggia massonica londinese. Ed aveva solo 54 anni.

Era nato in una famiglia di operai. Lui, suo padre, sua madre e suo fratello vivevano in un monolocale nella zona di Edgware. Suo padre era un contadino trasferitosi in città per la grande opportunità lavorativa data dalle aziende. La madre lavorava in casa, il fratello più piccolo, Christopher, era troppo intelligente per lavorare e, quindi, la maggior parte dei soldi guadagnati da Hugo e suo padre andavano nella retta scolastica del figlio con un futuro.
Quando rientravano dalla fabbrica, Hugo e suo padre erano talmente stanchi dopo dodici ore ininterrotte di lavoro, che svenivano sul letto appena dopo cena per risvegliarsi la mattina successiva all’alba, prendere la bicicletta e pedalare più veloce della luce per raggiungere la fabbrica in orario e guadagnare, forse, qualche scellino in più.
Non passò molto tempo prima che, alla veneranda età di 42 anni, il padre di Hugo morisse per una forte tubercolosi. In famiglia non c’era più nessuno che potesse portare a casa il pane, a parte Hugo Turner che, ormai, era diventato il Signor Turner. Egli fece una promessa a suo padre: non avrebbe mai permesso ai suoi figli di vivere nelle condizioni in cui aveva vissuto lui.

Cominciò così, inaspettatamente, la sua salita verso il potere. Aveva 18 anni quando fece causa all’azienda per cui lavoravano lui e suo padre sette giorni alla settimana, dodici ore su ventiquattro, denunciandone gli abusi e i salari minimi. Con molto stupore di sua madre, Hugo vinse la causa ed il proprietario della fabbrica dovette abbandonare l’immobile e fornire una forte somma di denaro al Signor Turner per i danni fisici e morali subiti.
Il nostro ormai formato signor Turner ebbe un’idea geniale. L’anno dopo la chiusura dello stabile egli decise di comprarlo con i soldi ricevuti dal precedente proprietario e ne fece il primo tassello del suo impero industriale. Chiamò l’azienda “Turner” e lavorava lo zucchero, non più il carbone. Hugo Turner ci aveva visto giusto: la richiesta di zucchero aumentò notevolmente in quegli anni ed egli non riuscì ad impedire il successo della sua azienda, un successo così grande, che dovette aprire altre fabbriche per aumentare la produzione. Come si può ben immaginare, il nostro caro Hugo Turner divenne un uomo infinitamente ricco. Sua madre era così fiera di lui che, quando morì, gli lasciò tutto quello che possedeva, dimenticandosi del povero Christopher che, intanto, si trovava a Cambridge a studiare legge grazie ai soldi del fratello maggiore e prometteva di diventare un ottimo avvocato.

il signor Turner aveva tutto. Ma quando hai tutto cosa puoi chiedere?
Spesso la domenica si sentiva solo, chiuso nel suo studio a fumare sigarette e a controllare gli straordinari del dipendenti, sentiva che gli mancava qualcosa. Un cagnolino? Una stufa? Un soprammobile? Un cuoco? Proprio non riusciva a venirne a capo. Girava e rigirava per quello studio con una sigaretta in bocca ed un bicchiere di buon gin nella mano destra. La mano sinistra se la passava fra i capelli strofinando per bene sulla nuca, come se la sua mente fosse una lampada magica in cui è contenuto il genio dei desideri. Era il suo tic nervoso, oltre a quello di mordersi il labbro inferiore o grattarsi la barba rossa.

Quella sensazione durò per altri due mesi, o due anni, fatto sta che un giorno di primavera il nostro Signor Turner decise di andare a teatro. Davano il “Romeo e Giulietta” di Shakespeare al Globe Theatre. Immediatamente capì cosa mancava nella sua vita: l’amore.
Non l’amore per la sua fabbrica, suvvia, quello lo aveva già. L’amore per una donna: una moglie, una famiglia. Ecco cosa voleva. Ecco cosa cercava. E non andò nemmeno molto lontano a trovarla: sul palco vi era una bellissima fanciulla, avrà avuto vent’anni, non di più, oppure il trucco la ringiovaniva al posto che invecchiarla. Aveva dei bellissimi capelli biondi lisci come fili si seta egiziana, due occhi azzurri come le acque più limpide, una bocca sottile e rossa come una rosa regale. Il suo corpo era perfetto: snello e slanciato, senza troppe curve o particolari difetti. Era bellissima nei panni di Donna Capuleti nonostante fosse così giovane. Hugo non le aveva nemmeno parlato, e già si era innamorato di lei e della sua semplicità e purezza.
La invitò a prendere un caffè, dopo lo spettacolo, ed ella accettò con un sorriso limpido ed allegro e le gote le divennero rosse dalla timidezza. Lizzy Taylor era il suo nome ed aveva ventitré anni quando accettò quel caffè. Molti altri seguirono e, forse, anche qualche cena, prima che Hugo raccogliesse tutte le sue forze e le chiese di sposarlo, circa sei mesi dopo il loro primo incontro.

Le notti prima di inginocchiarsi a Lizzy, Hugo era irrequieto: sudava freddo, non riusciva a dormire, era in ansia eppure era profondamente felice perché era innamorato. E se lei non avesse ricambiato? E se l’avesse deriso? E se l’anello fosse stato troppo poco costoso? E se non le piacessero i rubini? E se avesse sbagliato la misura? Quante domande si faceva il nostro Hugo, quanti dilemmi.

Camminavano verso Piccadilly, erano circa le dieci e mezzo di sera ed avevano appena finito di degustare vini in un’enoteca della zona. Hugo l’aveva trovata una serata entusiasmante ed ebbe quasi paura a dichiararsi alla giovane e bella Lizzy.
Si tenevano a braccetto. Hugo non aveva potuto fare a meno di notare quanto fosse bella la sua dolce compagna quella sera: portava un abito azzurro con intarsi d’argento che brillavano sotto le stelle, aveva dei guanti bianchi leggermente sporchi di rosso sulle dita ed un sorriso più spendente della luna stessa. Hugo Turner non aveva mai pensato di essere un uomo di particolare fascino o che potesse suscitare un particolare interesse in una donna come Lizzy Taylor, ma pensò fra sé e sé che se non l’avesse fatto quella sera, non l’avrebbe mai più fatto.
“Lizzy, cara…” le disse dolcemente:”… io devo farvi una confessione estremamente importante e vi chiedo di non ridere di me.”
La giovane donna a queste parole si inquietò leggermente :”Ditemi tutto, signor Turner.”
“Lizzy…”cominciò fermando i suoi passi e quelli della fanciulla:”…dal primo momento che vi ho vista non ho fatto altro che pensare a voi e ai vostri occhi.”
“Signor Turner, così mi lusingate!” disse Lizzy Taylor cominciando ad arrossire.
“Siete bellissima quando arrossite…io volevo chiedervi se vi andasse di…” si inginocchiò di fronte a lei e, con la mano sinistra estrasse la confezione di velluto in cui era contenuto l’anello di rubini e diamanti dal panciotto, poi la guardò negli occhi e, con un sorriso e mordendosi il labbro come se non ci fosse un giorno dopo la notte le disse quelle parole tanto temute:”…Lizzy Taylor, volete sposarmi?”

Inutile dire che Lizzy Taylor e Hugo Turner si sposarono due mesi dopo quella notte nella chiesa di San Paolo il 22 giugno del 1835.
Appena seppero che di lì a breve avrebbero avuto un figlio, la gioia e la felicità risuonarono in tutta la casa per tutto il periodo della gravidanza. Tutti i domestici e tutti i vicini invidiavano la loro vita perfetta: lui ricco e potente, lei bella e famosa; tutti credevano che la loro felicità sarebbe durata in eterno. Erano felici ed Hugo non aveva mai provato nulla di simile in tutta la sua vita. Nulla sarebbe potuto andare storto. Si erano addirittura trasferiti in campagna, in una villa stupenda con un giardino pieno di fiori ed un bosco poco distante dall’abitazione. Vi erano una ventina di stanze, escluse la cucina e il salotto, ed ognuna di esse era caratterizzata da un colore specifico e da un fiore specifico. Lizzy amava molto la botanica: tutti i giorni ì, la mattina presto, si recava nella serra ad accudire i sui amati fiori esotici; poi andava in giardino e raccoglieva un mazzolino di margherite da mettere nella stanza azzurra della bambina in arrivo. Sì, il suo istinto di madre le diceva che sarebbe stata una femmina. Hugo sperava che nascesse un maschio, così da poter andare con lui a cavallo o a raccogliere la legna nel bosco.

Nonostante fosse già un uomo molto ricco, il Signor Turner amava fare lavori umili: diceva che gli ricordavano le sue origini, certo, di cucinare non se ne parlava visto che, una volta, aveva quasi mandato a fuoco la cucina e la povera Signorina Anna, la domestica, aveva dovuto pulire per due giorni di fila. Il signor Hugo non faceva che scusarsi con lei e sua moglie lo prendeva in giro, sempre, però, con quella dolcezza che aveva quando si erano conosciuti.
Il 29 Marzo 1836 fu il giorno in cui cambio la vita del giovane Signor Turner: divenne padre. Quello fu il giorno più felice e più triste della sua vita. Nacque un maschio e la felicità del Signor Turner era alle stelle: un maschietto! La signorina Anna si precipitò nello studio con il bambino in braccio. Appena Hugo sentì aprire la porta, gli prese uno spavento e si alzò in piedi sorridendo. La domestica sorrideva entusiasta mentre gli porgeva il bambino, poi corse via dalla stanza agitata. Hugo aveva quasi paura a guardarlo, chissà cosa pensava fosse nato, se non il suo bambino? Le braccia gli tremavano terribilmente: aveva in braccio suo figlio, il suo bambino. Decise di chiamarlo Jhon, come suo padre… Jhon Turner, suonava bene. Delicatamente, spostò il telo che copriva in parte il volto del bambino e si mise a coccolarlo. Per la prima volta lo vide:  aveva i capelli leggermente ricci come i suoi, ma di un biondo dorato come Lizzy; il viso, la forma della bocca…era tutto sua madre.
Si sedette sulla poltrona dello studio con Jhon in braccio che aveva appena smesso di piangere. Aveva delle dita lunghe e sottili e se le passava sulla faccia, come se volesse grattarsi il naso. Hugo lo trovava così tenero e divertente, così dolce ed innocente.

La sua felicità si consumò in quei venti minuti da solo con suo figlio, perché rientrò nello studio la signorina Anna con le lacrime agli occhi, la faccia rossa e gonfia dal pianto ed un fazzoletto bagnato e sporco di sangue fra il grembiule e la gonna nera.
“Signor Turner…” disse tremando:”… vostra moglie…non ce l’ha fatta.” E scoppiò di nuovo in un pianto lungo e disperato. La domestica cadde a terra coprendosi il volto con le mani chiedendo perdono per non essere riuscita a salvarla, diceva che il bambino non era nella posizione giusta per nascere e che il medico aveva dovuto girarlo, ma il dolore era troppo forte per Lizzy.
Hugo aveva perso il respiro. Tutta la felicità gli era crollata addosso, tutto il suo mondo frantumato. Guardò quel bambino che, un attimo, prima aveva guardato con amore, ora, lo guardava con rabbia e paura. Come aveva fatto una creatura così piccola e debole ad uccidere una donna come Lizzy?
Quel bambino era la sua gioia e la sua rovina più totale. Per colpa di quel neonato aveva perduto l’amore. Non riusciva ad immaginare la sua vita senza Lizzy…non ce la faceva.

Si alzò lentamente dalla poltrona in pelle marrone, diede il piccolo alla Signorina Anna, dicendole di dargli da mangiare, lavarlo e metterlo nella sua stanza, quella stanza che Lizzy aveva decorato con tanto amore e tanta speranza.
Mentre si dirigeva verso la camera da letto, non riusciva a stare in piedi: si appoggiava a tutti i muri dei corridoi. I quadri sembravano guardarlo. Si sentiva svenire. Le gambe non lo reggevano più e la testa gli girava terribilmente; sentiva un senso di nausea salirgli la gola ed il cuore batteva all’impazzata. La vista gli si oscurò e cadde a terra, sepolto dalle lacrime.
Il dottor White, uscito dalla stanza della mai-madre, vide il signor Turner piangere come un bambino. Si mise in ginocchio di fronte a lui e gli mise una mano sulla spalla.
“Mi dispiace per vostra moglie” gli disse:” Era una donna bellissima ed incredibilmente forte, ma amava più suo figlio di se stessa.” Non notando alcuna reazione da parte di Hugo, il dottore si alzò in piedi, riprese la sua valigia e disse:” Signor Turner, voi siete un uomo di mondo e sapete che quando Dio chiama a sé qualcuno lo fa solo perché è più utile in cielo piuttosto che in terra. Non vi dovete abbattere. Voi avete un bellissimo bambino da crescere, da vivere. Quel bambino, che vostra moglie amava più della propria vita, ha bisogno di essere amato… anche da suo padre. Ha bisogno di qualcuno che lo aiuti ad imparare la vita del mondo. Voi siete un uomo forte e coraggioso, come vostra moglie. Sono sicuro che riuscirete a dare a quel bel bambino la vita che avreste voluto per Lizzy.” E lo lasciò con un cordiale gesto di saluto.

Due giorni dopo, vennero i becchini a portare via la salma della giovane donna. Hugo non aveva avuto il coraggio di entrare in quella stanza: non voleva vederla. Il suo funerale fu una cosa fra intimissimi. Il Signor Turner decise di seppellirla nel giardino di casa per averla sempre accanto. Fece consacrare un piccolo quadrato all’interno della serra e vi mise la bara della moglie. Sulla lapide vi era scritto “Fra le rose, la rosa più bella.”
Jhon, il piccolo Jhon, intanto, cresceva e, all’età di due anni, quando Hugo fu sommerso dagli affari, decise che fosse meglio per il figlio avere una figura materna accanto, nonostante egli aveva fatto di tutto per passare il tempo libero con il figlio che, più cresceva, e più gli ricordava Lizzy e la sua bellezza. Solo negli occhi era uguale al padre: erano neri come la pece e sembravano scrutarti l’anima.

A Londra, il banchiere Arthur Pennies, aveva una figlia: Mary Elisabeth Pennies, che aveva messo gli occhi sul Signor Turner dopo che suo padre glielo aveva presentato come uno degli scapoli più ricchi d’Inghilterra. La fanciulla, di appena venticinque anni, era il contrario di Lizzy: mora, magrissima, con degli occhi castani leggermente maligni, i lineamenti duri e la pelle bianca come il latte. Hugo la sposò, nonostante non l’amasse per niente. La trovava noiosa e pretendente: voleva sempre di più e, soprattutto, non sapeva stare con Jhon. Mary Elisabeth Pennies-Turner non era una brava madre: non riusciva a sopportare quel tenero bambino. Preferiva andare a prendere il the con le amiche nei caffè più in della capitale, piuttosto che fare due passi nel bosco o in giardino giocando con il suo figliastro. Hugo si pentì di averla sposata, ma l’uomo non può sciogliere ciò che Dio ha unito.

Negli anni che seguirono, il Signor Turner cominciò a spegnersi a poco a poco. Divenne sempre più succube della moglie e finì col perdere interesse anche per suo figlio: l’unica cosa che gli interessava veramente era il lavoro. Chiuso nel suo studio, in mezzo a fogli e libri, mobili vecchi e polvere, sigarette e rose rosse. Sì, rose rosse: tutte le mattine si alzava di buon ora ed andava nella serra a cogliere tre rose rosse, poi le metteva nel suo ufficio ed apriva le finestre per fare entrare la luce del sole. Guardando fuori, verso il giardino con le margherite, a volte gli sembrava di vedere Lizzy che gli sorrideva mentre raccoglieva i fiori come era solito fare. Gli mancava terribilmente. Non c’era giorno in cui non si fermasse a guardare il ritratto di loro due il giorno prima di sposarsi. Lei era così bella… mentre la sua nuova moglie era una megera isterica, peccato che non se ne fosse accorto prima.

Trascorrevano i giorni, i mesi, gli anni. Il signor Turner diventava sempre più ricco grazie alla sua innovativa macchina di produzione dello zucchero. Il piccolo Jhon, invece, cresceva da solo assieme alla dolce signorina Anna che gli faceva da balia.

Anna si era affezionata a quel pargolo come se fosse figlio suo. Tutte le mattine andavano insieme a fare una bella passeggiata nel bosco e a raccogliere le fragoline e i mirtilli d’estate, le more e i lamponi in autunno e in primavera ci andavano solo per fare una chiacchierata. Jhon aiutava la signorina ad imparare a leggere e scrivere e lei, in cambio, gli cucinava delle ottime crostate di frutta.
Nonostante volesse sapere il perché suo padre fosse così freddo con lui, era felice di vivere una vita tranquilla come quella che stava vivendo. Tutto procedeva per il meglio. 

  
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