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Autore: Evilcassy    15/03/2009    2 recensioni
Che la fortuna aiutasse gli audaci, Kagura Onigumo ne aveva già avuto prova. Scappata illesa (e creduta morta)a Parigi, ora cercava di rifarsi una vita completamente nuova, diversa, e soprattutto, LIBERA. E quando si trovò davanti alla vetrina di uno studio fotografico, a Montmartre, dove un cartello affisso segnalava la ricerca di una commessa, pensò che la ruota della fortuna avesse iniziato a girare per il verso giusto. Per Lei. - Spin-Off di This Time Around - [/SOSPESA -INCOMPLETA]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Kagura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '- This Time Around -'
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La Complainte de la Butte

La Complainte de la Butte.

 

Septieme Chapitre : L’Apres midi.

 

La donna storse le labbra disgustata,  guardando schifata l’insalata variopinta che aveva nel piatto.

“Cosa c’è, non ti piace?” le domandò Jakotsu, con una nota di rammarico nella voce limpida. Quella domenica il pranzo era toccato a lui, e si era messo di impegno a preparare qualcosa che non facesse venire la nausea alla sua amica. Insalata, uova e un bel pesce al cartoccio gli erano sembrati un lauto e saporito pasto domenicale, l’unico che consumavano nella cucina dell’appartamento.

“Sento strani sapori ovunque” rispose Kagura, sospirando. “Nella verdura c’è uno strano sapore metallico…”

“Nella Bibbia troveremo le risposte alle nostre domande. Dichiarò solennemente il ragazzo, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi ad un libro appoggiato al tavolino del salotto. Lo prese e lo alzò, con l’aria comicamente cerimoniale, tornando verso la compagna, che non poteva non sorridere a quella parodia sacerdotale che il suo amico recitava ogni volta che si avvicinava a quella che aveva ribattezzato “La Bibbia”.

Il libro in questione non era una copia dell’Antico Testamento, bensì un minuzioso manuale sulla gravidanza, scelto dopo un attento studio dei volumi presenti alla libreria della FNAC in Place de la Bastille. Jakotsu lo consultava non appena Kagura notava un qualche nuovo cambiamento o un nuovo sintomo. Lei, d’altro canto, anche se aveva accettato il suo stato, cercava di dimostrare il meno interesse possibile, quasi un distacco innaturale dalla creatura che le cresceva in grembo, e che sembrava darle di giorno in giorno fitte di timori e di ripensamenti.

Ma sulla Bibbia Jakotsu aveva letto che era una cosa normale, soprattutto nei primi mesi della gravidanza. Era sicuro che la storia sarebbe cambiata per presto e che la sua amica si sarebbe fatta travolgere dal suo stesso entusiasmo e dalla sua positività.

Tornando al tavolo, il ragazzo aprì il tomo e lo sfogliò, attento, mentre la donna cercava di sbocconcellare qualcosa, nonostante il saporaccio.

“Ecco, qua!” esclamò vittorioso il ragazzo, puntando l’indice in un punto preciso della pagina. “Durante i primi mesi si possono presentare alterazione del gusto e dell’olfatto. Lesse

“Questo è vero” asserì lei. “Non riesco più a sopportare il mio profumo preferito. Lo trovo forte e nauseante. E invece annuserei di continuo il profumo del detersivo per piatti. E’ inebriante, non credi?”

Lui alzò le spalle “Sa di limone…”

La donna allungò il collo verso il libro, chiedendo ulteriori informazioni.

“Anche i cibi preferiti possono diventare immangiabili, e quelli che hanno sempre disgustato risultare i più appetitosi.

C’est vrai!

“E poi dice che potresti avere dei movimenti muscolari inconsueti.

Lei lo fissò incuriosita, senza capire.

“Si, cose che prima non riuscivi a fare. Sul libro descrive un piccolo test. Per sapere se i tuoi muscoli si stanno alterando, prova a muovere le orecchie.

La vide appoggiare la forchetta nel piatto e assumere un’espressione concentrata. Dopo qualche istante alzò gli occhi verso di lui, che si era nascosto dietro al libro alzato per nascondere lo sforzo di non scoppiare a ridere.

“Idiota” sibilò, fingendosi offesa, lanciandogli un chicco del mais dell’insalata.

Il cellulare del ragazzo iniziò ad intonare insistentemente una vecchia canzone di Cher. La donna squadrò il proprietario con un sopracciglio alzato: “Quasi troppo gay per essere vero” commentò.

Con il medio alzato a darle il proprio parere, Jakotsu si alzò dalla sedia e prese il cellulare, uscendo dalla stanza.

Era il numero di Suikotsu. Che strano. Che voleva ora quello Schizofrenico?

Allo?”

Buongiorno, Jakotsu, tutto bene?” dall’altro capo del telefono, la voce di Suikotsu gli giungeva serena.

“Non c’è male, grazie. Stavamo finendo di mangiare.” Rispose, entrando nella propria camera e chiudendo la porta alle sue spalle. Era sempre stato molto geloso della propria privacy, e di solito una telefonata di Suikotsu non era di certo per un argomento futile.

L’altro ridacchiò “Ha smesso di vomitare la tua coinquilina?”

“Si. Ma temo sia solo una cosa temporanea, ahimè. La sera del giorno in cui Kagura aveva deciso di tenere il bambino l’aveva praticamente trascinata fuori di casa, ed arrivati al locale di Renkotsu, aveva dato l’annuncio del lieto evento ai presenti al bancone, presentandosi anche come il donatore di seme, tra l’estremo imbarazzo dell’amica e la giustificata incredulità degli astanti. Tra cui figurava anche Suikotsu, nervoso(Che agli occhi di Jakotsu risultava più affascinante) dopo una giornata frenetica e quattro ore bloccato nel traffico autostradale.

Ti disturbavo per chiederti se avevi un impegno oggi pomeriggio. Ci sarebbe un lavoro da svolgere e mi servirebbe una mano.

Jakotsu alzò gli occhi al cielo, mugugnando. Aveva promesso a Kagura una bella passeggiata rilassante, e la giornata era proprio adatta per sdraiarsi al sole in un parco pubblico a fare commenti acidi in giapponese sui turisti di passaggio.

“Si tratta di un lavoro di un paio d’ore… è solo di un servizio a un nutrito gruppo di facoltosi giapponesi in città per una conferenza. Devono realizzare una brochure. Credo che gli serva da giustificativo, per dimostrare che hanno anche lavorato, oltre che a passare dal Crazy Horse al Moulin Rouge. Un paio di foto di gruppo, e qualche finta stretta di mano…”

“… e mi ingaggi come interprete o come fotografo?”

Beh… un po’ uno e un po’ l’altro. Sai com’è… faccio schifo con l’inglese, e di Giapponese conosco a malapena Connisciuà..

KonnichiWa” lo corresse Jakotsu. “Voglio anche che il mio nome fra i credits della Brochure.

L’altro asserì. “Non riesco a darti più di un centinaio d’euro, però. Ammise.  “Nemmeno a me pagano granché.”

Jakotsu fece spallucce. Poteva bastare, e ne avrebbe ricavato anche un po’ di pubblicità per il suo negozio.

“Va bene. A che ora ci troviamo?”

 

“Vieni anche tu?” domandò a Kagura, dopo averle spiegato l’improvviso ingaggio. Lei lo guardò minacciosa. “Stai scherzando vero?” sibilò. “Secondo te, passerei inosservata IO ad un gruppo di ‘facoltosi giapponesi’?”

Il ragazzo si grattò la testa, ammettendo la sua mancanza di tatto e l’eccessiva noncuranza. “Hai perfettamente ragione… Ma se ci fosse anche…?”

Lei scacciò quel pensiero con un gesto infastidito della mano. “Non mi interessa.” Mugugnò.

Jakotsu cercò di arginare il problema. “Dopo ti mostrerò le foto. Se lui c’è, potremmo fermalo e…”

La donna gi volse le spalle, sospirando esasperata, e lui non insistette oltre, passandole però un braccio attorno alla vita e schioccandole un bacio sul collo. “Scusa”.

Sfiorò con la mano il ventre della ragazza. “Secondo me inizia a spuntare qualcosa…”

“Tu dici?”

Il ragazzo annuì, invitandola ad alzarsi la maglietta. La studiò un attimo, poi la fece appoggiare di profilo contro il muro, prese un pennarello nero dalla libreria e segnò la leggera curva della pancia della donna sulla parete.

“Tu sei fuori di testa…” nonostante cercasse di nasconderlo, Kagura ne era piacevolmente sorpresa della sua ultima trovata. Jakotsu terminò il segno datandolo.

Et voilà. Ecco l’ottava settimana. Se continui così alla quarantesima sarai una balena!”

Lei gli rispose con un buffetto sul braccio. “Vorrei vedere te al mio posto…”

“… oh mon dieu, no! Non oso pensare da dove uscirebbe!”

Anche Kagura storse comicamente le labbra. “Oggi pomeriggio approfitterò del tuo abbandono per dipingere qualcosa en plein air. Mi sento particolarmente ispirata.” Si avvicinò ad un angolo della saletta, e si armò del cavalletto portatile, di una piccola tela e si infilò la tracolla contenente la cassetta dei colori e dei pennelli. “Credo proprio che sceglierò il Canale Saint Martin come soggetto. Ci andavo sempre ai tempi dell’Università, ma non ci sono ancora tornata da quando sono qui!”

Jakotsu approvò, rammaricandosi di non poterla accompagnare. “Cercherò di liberarmi il prima possibile e di raggiungerti. Mi sento in colpa ad abbandonare una povera donna in stato interessante”

“Fai con comodo, non ti preoccupare. Ultimamente non mi capitano più i capogiri tremendi di prima. Lo salutò con un sorrisetto quasi imbarazzato. “Sono incinta, non malata…”

Il ragazzo le sorrise di rimando, schioccandole un bacio sulla guancia. Da quel poco che conosceva Kagura, sapeva che si sentiva piacevolmente imbarazzata quando una persona dimostrava un genuino interesse nei suoi confronti. Essere benvoluta, coccolata e circondata da affetto e serenità era per lei una cosa nuova, che le faceva un immenso piacere, ma che non riusciva a dimostrare.

Un passo per volta.

“Ci vediamo alla Villette?”

Lei annuì, convinta. “Aspetto un tuo segnale di fumo.” Disse, facendo cenno con la testa in direzione del suo cellulare. Jakotsu la prendeva sempre in giro per quel modello datato ed economico che aveva preso in offerta nel primo negozio di elettronica che aveva incontrato nel tragitto dall’aeroporto all’hotel. Il ragazzo diceva che era talmente antico da non riuscire ad inviare sms, ma solo segnali di fumo come i pellerossa.

Con un ultimo cenno della mano, il fotografo si infilò la giacca, prese la borsa dell’attrezzatura ed uscì dall’appartamento.

 

“Solo un gruppo di giapponesi poteva scegliere l’Hotel Hilton di Parigi. Commentò Jakotsu, in piedi su una scala a pioli per controllare l’angolatura della luce. Suikotsu, che stava pulendo una lente di un obbiettivo, lo guardò interrogativo. “Il Paris Hilton…” aggiunse, come spiegazione. Suikotsu scosse la testa, tornando al suo lavoro.

“Dobbiamo mettere una luce all’angolo là in fondo al tavolo.  Disse poi Jakotsu, diventando serio e indicando il tavolo dove si sarebbero seduti gli oratori della conferenza. “Questi specchi riflettono la luce più in alto. I signori seduti al tavolo sarebbero tutti in ombra.

L’altro annuì, spostando il faretto dove gli indicava l’assistente. “Così va meglio?”

Incrociando le braccia al petto, scrutando il tavolo concentrato, il ragazzo rispose positivamente. Poi guardò l’orologio. “Ok, siamo pronti per la farsa. Facciamoli entrare.” Scese dalla scala con un salto, tra lo stupore del collega, poi, come se niente fosse, anzi, sentendosi compiaciuto della reazione dell’altro alla sua ‘prodezza’.

Dopo aver rimesso la scala al proprio posto, il ragazzo si avviò verso la hall dell’hotel per richiamare i partecipanti.

In verità la conferenza si era tenuta il giorno prima, ma gli organizzatori non avevano avuto la cura di chiamare un fotografo a immortalare l’evento. Così, quella domenica pomeriggio, invece di lasciare i partecipanti liberi di conoscere la città, avevano dovuto riunirsi per inscenare la conferenza.

Passando davanti ad uno specchio, Jakotsu gettò uno sguardo alla propria immagine, per assicurarsi di essere in ordine. Alle sue spalle, in fondo alla sala e con già la macchina fotografica a tracolla, Suikotsu, tranquillo e sereno, sembrava fissarlo con la coda dell’occhio.

Ulteriore punto all’ego di Jakotsu, che si sentì ulteriormente compiaciuto.

 

“Ti ringrazio davvero tanto. Non sai come mi sei stato d’aiuto.” Lo ringraziò Suikotsu, mentre radunavano l’attrezzatura, a lavoro ultimato. “Non sarei riuscito a fargli capire una benemerita mazza…”

“Oh, suvvia… non adularmi troppo sennò inizierò ad arrossire. Scherzò il diretto interessato. In verità adorava i complimenti, e il collega, così di buon umore in quella giornata, ne sembrava particolarmente prodigo. Pensò quasi di flirtare un po’ con lui, tanto per mandare il suo ego alle stelle, ma gettò un’altra occhiata all’orologio e pensò a Kagura sulle rive del Canal St.Martin. Chiuse la borsa e la porse a Suikotsu. “Ora devo proprio andare.” Disse, permettendosi almeno di gettare all’altro un’occhiata languida. Giusto per non lasciar nulla al caso.

“Oh. Va bene.” Sembrava dispiaciuto. “Volevo offrirti un aperitivo…”

“Mi piacerebbe davvero tanto, ma Kagura mi aspetta… se non hai nulla da fare, puoi unirti a noi, se ne hai voglia…”

L’altro fece un gesto di noncuranza con la mano. “Sarà per un’altra volta, non ci sono problemi. Immagino che sarai impegnato anche a cena.”

“Per farmi perdonare il pomeriggio a lavorare la portavo fuori a mangiare…” rispose, avendo cura di assumere un’espressione costernata. “Sai… essere un donatore di seme è dannatamente impegnativo…”

Suikotsu scoppiò a ridere di gusto. “Che ne dici di domani sera? A La Coupole a Montparnasse?”

Jakotsu sgranò gli occhi, non riuscendo a credere alle proprie orecchie. Quello era un appuntamento con la A maiuscola! Da Suikotsu non si sarebbe aspettato una mossa così audace. Di solito era il più timido del gruppo, escludendo ovviamente le sue giornate NO. E una cena a La Coupole, poi!

Si sforzò di mantenere il genere di  comportamento che Kagura avrebbe definito dignitoso, lottando contro il sorriso stupito e compiaciuto che voleva a tutti i costi allargarsi sulla sua faccia. Pur avendo una certa dimestichezza con gli appuntamenti, gli risultava stranamente difficile trovare una delle sue solite battute spiritose che facevano sempre colpo in questi casi. “Molto volentieri. Rispose solamente.

“Splendido!” esclamò Suikotsu. “Allora prenoto per le 8 e mezza.” Infilò la pesante borsa degli attrezzi nell’auto, senza guardarla. Cosi facendogli scivolò di mano e cadde a terra. così Jakotsu si chinò verso di lui per aiutarlo. Si fermarono uno di fronte all’altro, le facce separate da un palmo di centimetri.

Il ragazzo si trovò improvvisamente spiazzato, con gli occhi persi in quelli nocciola dell’altro. …e adesso? Non ci starebbe male un bacio da film… no? Pensò. Lasciagli fare la prima mossa, Jackie… vediamo cosa succede… Una volta tanto, fatti rincorrere…

“Allora ci vediamo domani sera?” domandò meccanicamente Suikotsu, senza distogliere lo sguardo.

Cosa che invece fece il ragazzo, annuendo e guardando altrove. “Non tarderò…”

Lo salutò dopo averlo aiutato con la borsa; poi girò i tacchi e puntò dritto verso l’entrata della metropolitana. Si sentiva scioccamente soddisfatto del pomeriggio appena trascorso: aveva qualche euro in più nelle tasche, aveva svolto il lavoro molto bene (al di là dei complimenti del collega lo sapeva già da sé) e aveva ricevuto una richiesta d’appuntamento.

Non male.

E non vedeva l’ora di raccontare tutto a Kagura. A proposito, aveva captato delle informazioni che le avrebbero interessata, ne era sicuro.

 

“Io ho una cosa che tu non hai. Che cos’è?” Esordì, come saluto, sbucando alle spalle della donna, che stava giusto rifinendo la piccola tela, sulla riva del canale. Lei inizialmente trasalì, avendo almeno la prontezza di riflessi di togliere il pennello dal dipinto.

“Cretino” sibilò, voltandosi verso di lui e punendolo con una riga di pittura verde sul naso. “Di sicuro non è il cervello!”

Ridacchiando e cercando di pulirsi con il dorso della mano, il ragazzo le porse un piccolo pacchettino di carta. “Direttamente da Debauve et Gallais, che a mio parere è la migliore cioccolateria di Parigi.

Ritrovato improvvisamente sorriso e buonumore, Kagura lo perdonò immediatamente, applaudendo alla bella idea dell’amico, per poi togliergli l’involucro di mano, aprirlo e infilarsi in bocca una deliziosa pralina al cacao e crema. L’assaporò mugugnando di piacere. “Il cioccolato non cambia assolutamente sapore…!” commentò. “E’… poesia! Mangerei solo queste cose…”

Anche il ragazzo se ne infilò in bocca uno, sedendosi sull’erba di fianco al cavalletto. “L’ottavo giorno Dio inventò il cacao…”  Poi guardò il dipinto in fase di completamento. Ritraeva il corso del canale, con i suoi sentieri verdi che lo costeggiavano, una coppietta su una panchina in lontananza che si sbaciucchiava e un bambino che fissava serio la ruota della propria bicicletta, temendo di averla bucata. Si congratulò, mostrando il suo solito entusiasmo. “Se ti va, potremmo venderlo in negozio! Che ne dici?”

“Era giusto quello che volevo proporti.” Asserì lei, mentre, con il pennellino sottile, decorava l’angolo in basso del dipinto con quella che sembrava una stellina rossa con quattro lunghe punte e altre quattro, quelle diagonali, più piccole. Vedendo lo sguardo incuriosito del ragazzo, spiegò: “E’ la mia firma. Una rosa dei venti. L’ho sempre messa in ogni mio lavoro.”

“Potrei farne qualcun altro… sarebbero tutti diversi, così i nostri clienti sarebbero sicuri di non avere un dipinto di serie!” aggiunse, alzandosi per guardare il quadro da più lontano, sorridendo soddisfatta mentre si godeva un altro cioccolatino.

“Sarebbe un’ottima idea…!” Jakotsu ne era davvero entusiasta.  “Ho tantissime cose da raccontarti.” Sorrise malizioso “Vuoi la parte privata o quella lavorativa?”

“Raccontami prima quella lavorativa… altrimenti se inizi a ciarlare sulla tua vita privata si farà notte, e ti scorderai di raccontarmi il resto.

Lui incrociò le gambe, giocherellando con le dita e cercando di mantenere l’aria più naturale ed innocente del mondo. Non riusciva a prevedere la reazione di Kagura, e quindi era meglio dare un taglio più leggero al racconto.

“Dunque, prima di tutto: il facchino dell’Hilton ha due occhi verdi che sembrano dipinti. E due chiappe che parlano.”

Iniziò a raccontarle di come quei noiosi giapponesi dovessero essere diretti come se fossero stati su un palcoscenico. “più gli chiedevo di essere naturali e più sembravano delle statue. I manichini della Galleria Lafayette sono più espressivi.

“Temo che sia proprio un’impostazione nipponica. Dubito lo facessero apposta a non sembrare naturali…” commentò lei, finendo, con estremo disappunto, la scatola di cioccolatini.

“Comunque, Suikotsu mi ringraziava in continuazione. Mi ha addirittura fatto i complimenti!” Annuì all’espressione stupita della donna. “Proprio così. IN-CRO-YA-BLE”

Indugiò sulla noia di dover organizzare le luci della stanza, sull’inadeguatezza del faretto che avevano a loro disposizione e sulla continua richiesta di precisione da parte del Presidente della conferenza.

“Poi, mentre c’era un attimo di stasi perché era cambiata la luce e io stavo cambiando gli obbiettivi, sono incappato in un discorso di una decina di loro. Sospirò. “Credo stessero parlando proprio di te. Il tuo cognome è Onigumo, vero?”

Lei annuì. La vide lottare contro se stessa, incerta se voler ascoltare il resto della storia o meno.

“Bene. Pare che in Giappone sia scoppiato il putiferio a causa tua. Ho sentito che hanno arrestato tuo fratello, e che un paio di giorni fa c’è stata la prima udienza del processo a suo carico. Con lui hanno arrestato praticamente tutti i suoi “soci”, e tanta altra gente è sotto inchiesta. Poi qualcuno ha fatto un commento su di te… abbastanza pesante… e…”

“Quale commento?”

Lui tentennò. “Beh, ha detto che Naraku, tuo fratello, era giustificato a saltarti addosso… vista la tua … diciamo avvenenza e il tuo essere… diciamo disinibita.

Kagura scosse la testa profondamente schifata.

“Si, hai perfettamente ragione. Non so cosa mi abbia trattenuto dal dirgli qualcosa. Comunque, non so se lo conosci, ma quel personaggio credo risponda al nome di Morisawa.

“Certo che lo conosco, quel viscido figlio di puttana…ci sono dovuta anche finire a letto un paio di anni fa.”

Jakotsu provò ribrezzo, al ricordo di quell’uomo calvo e pingue.“Ad ogni modo… dopo che Morisawa ha fatto questo spiacevole commento, un altro si è meravigliato comunque di come si fosse trovato coinvolto nella faccenda Sesshomaru No Taisho, tanto da non venire a questa conferenza.”

Kagura sembrò trattenere il respiro.

“Da quello che ho capito lui stesso ha fornito materiale per il processo, e, oltre a dover presenziare in quanto tutore di uno dei testimoni chiave – il suo famoso fratellino testacalda di cui mi hai raccontato, immagino.- è lui stesso testimone contro l’imputato per quello… che ti ha fatto. Uno dei più importanti. La vostra relazione ha suscitato molto scalpore. E comunque, si, ti credono tutti morta. In questo hai fatto un successone. Ti hanno anche organizzato un funerale, sai?”

Il cenno di smetterla di Kagura lo interruppe. “Non voglio sapere oltre.” Decretò. “Smettila di raccontarmi queste cose. Sai bene che non tornerò mai indietro.”

“Va bene. Mi sono intromesso troppo, scusami. Passiamo dunque alla parte privata?” raccolto il consenso assoluto della donna, Jakotsu roteò gli occhi al cielo, ridacchiando. “Suikotsu mi ha chiesto un appuntamento…!” Guardò l’espressione attonita della donna, la bocca spalancata dallo stupore. “Domani sera, a La Coupole!Questo si che si chiama appuntamento! Questo si che è da cavalieri!”

“Non ci posso credere!” esclamò, sinceramente colpita.

“Nemmeno io! è assurdo! Non avrei mai pensato di piacere a Suikotsu…!”di prese le guance porpora tra le mani. “Ora il mio problema è trovare qualcosa da mettere domani sera…”

La donna però non sembrava molto convinta. “E se invece volesse fare spionaggio industriale?”

Lui sbuffò: “E smettila di vedere complotti in ogni dove, Kaguretta! E’ semplicemente affascinato dalla mia bellezza, interessato alla mia arte e…”

“…arrapato dal tuo sedere…” terminò lei, ironica.

“Continua ad essere così acida e morirai zitella.

Lei si indicò la pancia “Che è conveniente, visti i risultati. Ho già dato.”

 

 

 

Ciao Ragazze! Eccomi di nuovo…

Allora: i Locali che leggete in questo capitolo (libreria Fnac, ristorante La Coupole, e Debauve et Gallais) esistono davvero. Ringrazio la guida di Parigi della DeAgostini (Baedeker) per l’informazione.

Alla prossima!!!

 

E.C.

 

   
 
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