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Autore: G RAFFA uwetta    18/01/2016    1 recensioni
Victor Kobasky è un uomo bello, sicuro di sé e del suo successo, non conosce ostacoli fino a quando il suo cammino non si incrocia con un ragazzo e decide che sarà suo. Cosa gli riserverà il futuro ora che ha raggiunto il suo obiettivo? Sullo sfondo la prima Guerra Magica ha già fatto le sue vittime.
Dal testo: "Sorrisi sincero mentre mi riempivo i polmoni del suo profumo, un mix di zibetto e caramello. Incatenai gli occhi ai suoi e vi scorsi ancora quell'ombra di animale ferito, una fiamma che bruciava senza estinguersi."
Questa storia ha avuto due Nomination ed ha vinto il Premio come Miglior Regia per "Il contest dei premi speciali" indetto da L@dyriddle sul forum.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Così fragile, così perfetto

È una giornata radiosa di fine estate. Il sole splende nel cielo terso e le rondini volano in stormo nell'aria fresca del primo mattino, satura dei profumi di mille fiori colorati. La villetta è immersa nei campi, alti steli di pannocchia secca costeggiano la serpeggiante via di ghiaia bianca e i gerani, che ornano il porticato, sono gentili macchie di colore che punteggiano il candore di quell'angolo di pace.

Sdraiato sul dondolo, all'ombra di un vecchio salice, osservo le ombre disegnarsi pigre sul ventre. Il braccio mi penzola inerte, le dita sfiorano lievemente l'erbetta verde mentre un sentiero rosso gocciola in una pozza densa. Lascio fluire i ricordi che languidi si accoccolano intorno al cuore deluso, come un pacco regalo malamente incartato, aspetto che la morte sopraggiunga.

Ero felice, lo ero davvero. Bello e dal fisico scolpito, dotato di intelligenza e perspicacia, sapevo ammaliare chiunque. Per me conquistare significava potere e gloria. Visitavo le case delle più prestigiose famiglie Magiche e Babbane, le incantavo con il mio accento duro e profondo. Straniero tra gli stranieri, entravo ed uscivo dai loro letti, non preoccupandomi delle briciole di cuore che disseminavo nei braceri spenti: mariti o mogli tradite, non faceva alcuna differenza. Mi ritenevo baciato dalla fortuna finché il mio sguardo non si posò su di lui, un giorno qualunque, in una anonima via di Praga.

Era inverno, – lo ricordo bene – mentre baciavo Narcissa Black, amica di una vecchia fiamma; al di là del buio del portico la neve cadeva soffice e lenta. Pesanti ciuffi bianchi rivestivano di falso candore il piccolo giardino coltivato a Belladonna, mentre prolungavo il bacio, attraverso la condensa del vetro, gli occhi si fissavano su un giovane – finalmente ti avevo trovato – non perdendomi nessun particolare. I capelli, scuri come la notte, ondeggiavano pigri mentre seguivano lo spostarsi del capo, gli occhi chiari brillavano del riflesso delle allegre luci dei festoni che si rifrangevano sulla lastra ghiacciata della finestra, la solida mascella, appena imbrunita dalla barba acerba, le labbra aperte in un gioviale sorriso rivolto ai compagni della tavolata. Un velo di sofferenza incupiva gli angoli in ombra di quegli occhi stupendi – un avvertimento che ho volutamente ignorato, forte nella mia supponenza.

— Narcissa, chi è quel ragazzo con i capelli scuri, là in fondo? — Chiesi mentre mi strusciavo addosso al corpo caldo della ragazza, giusto per farle intendere come volevo approfondire la conoscenza.

— Cosa? — Rispose sorpresa e ancora vagamente stordita dal bacio, mentre languidamente accondiscendeva con lente movenze. Un cenno del capo e lei diresse gli occhi, socchiusi dalla lussuria, verso la luce che arrivava dalla finestra.

— Parli di quel ragazzo vestito con una tunica color melanzana? — Balbettò tra un ansito e l'altro mentre sprofondavo nella sua intimità; rilasciai un lungo e roco "sì", cadenzato dal ritmo degli affondi.

— Oh, è mio cugino Regulus. — Soffiò in un ansito leggero raggiungendo il culmine. Sorrisi ferino e annegai quel nome nell'appagamento dei sensi.

— Come mai ti interessa? — Incalzò Narcissa mentre si ricomponeva.

— Nulla, — risposi con sufficienza, — mi sembra un viso noto, tutto qui. — Ed era vero – lo so perfettamente – perché era da quando l'avevo scorto, aggirarsi furtivo sotto casa, che pensavo solo a lui.

Entrammo nel locale e venimmo sopraffatti dal fumo denso dei bracieri. Il soffitto annerito aggiungeva una nota di vissuto all'arredamento consunto, dietro il lungo bancone una prosperosa ragazza mi sorrise compiacente – ricambiai il sorriso giusto per gustarmi il rossore sulle gote rotonde. – Lasciai che Lucius Malfoy si frapponesse tra me e Narcissa, ormai il suo compito l'aveva esaurito; lo conoscevo di fama, Lucius, su di lui erano state spese parole molto forti. Sebbene ancora molto giovane, era descritto come una persona accorta e astuta, intelligente quanto basta per non farsi cogliere in flagrante, ricco e snob, crudele con tutto ciò che riteneva inferiore, un nemico da cui guardarsi le spalle. Poco importava, il mio obiettivo era avvicinarmi abbastanza da farmi notare da Regulus.

— Vi presento Victor Kobasky, nipote della nota collezionista Hepzibah Smith, scomparsa anni fa. — Esclamò Narcissa con la sua voce argentina. — È in visita a Londra.

Gli occhi chiari di Regulus mi osservavano da sotto le ciglia folte. Non mi lasciai sfuggire l'occasione e, appoggiandomi allo schienale della sedia occupata dal moro, mi sporsi in avanti allungando il braccio per soddisfare i soliti convenevoli. Così feci e la mia camicia, aperta sul lungo collo pallido, permise al gioiello appeso di sgusciare sotto la luce giallastra delle candele; il ciondolo rivelò un piccolo serpente verde che sinuoso si contorceva. Rabbrividii appena, quando percepii l'alito caldo di Regulus mentre si avvicinava per esaminare il medaglione.

— Curioso oggetto, — esclamò con la voce resa roca dal fumo, — si intravvedono delle iniziali. — Disse passandoci sopra il pollice in una pallida carezza.

— È un regalo della mia defunta zia, una minuziosa copia di un manufatto antico. — Spiegai, mordendomi poi le labbra piene per non cedere alla tentazione di gemere sotto quello sguardo ammaliante. Con uno scatto felino Regulus si alzò.

— Ragazzi! — Il suo tono fermo attirò l'attenzione degli amici, — ci vediamo al solito posto, e non tardare come tuo solito, Lestrange. — Sogghignò con fare misterioso per poi inforcare l'uscio ed uscire dal locale fumoso.

Diagon Halley era tornata quieta, l'odore delle caldarroste e dell'aroma dolciatro del vino aromatizzato erano un vecchio ricordo. Le luci e i canti natalizzi avevano lasciato il passo ad un'inquietudine che pesava molesta tra i radi avventori. Un tiepido sole fece capolino tra la cappa di nebbia e sciolse la poca neve ancora presente, rendendo le strade un pantano.

Da un vicolo semi buio vidi sbucare un infreddolito Regulus. Si fermò sotto la pallida luce sfregando le mani rese rosse dal freddo, si guardò in giro e mi scorse davanti alla vetrina del Ghirigoro; ero in compagnia delle sorelle Black. Con un sorriso scaltro si avvicinò.

— Buon giorno, cugine — si inchinò in un rispettoso saluto — e buon giorno anche a te. Victor, giusto? — Mi chiese, esitando appena, dandomi una leggera pacca sulla spalla. Confermai con il capo mentre un affascinante sorriso mi affiorò sulle labbra.

Ci incamminammo lungo la via e con la coda dell'occhio mi accorsi del leggero battibecco che si era scatenato tra le due sorelle, rimaste leggermente indietro. Bellatrix aveva uno sguardo di fuoco e gesticolava in continuazione, la sua voce stridula era davvero fastidiosa e sembrava non preoccuparsi di tenere un tono basso mentre rimproverava di qualcosa Narcissa. Aveva un temperamento decisamente focoso e non temeva il confronto con gli uomini, – direi proprio di no visto come mi stava incenerendo con lo sguardo. – La sorella, invece, era un raro e delicato fiore, un bijou di squisita fattura. Sempre composta, indossava una rigida maschera da cui non trapelavano i sentimenti, ed era per questo che la ritenevo molto più pericolosa; sapeva quello che voleva e, soprattutto, come ottenerlo.

Ritornai a focalizzarmi su Regulus e il tepore che la sua vicinanza donava mi confuse.

— Mi farebbe piacere farti conoscere una persona, — mi stava dicendo, — organizza degli incontri dove discutiamo di attualità, un circolo ristretto di persone fidate. — Mi sorrise ammaliante; non potei fare a meno di contraccambiare.

— Sarebbe fantastico, grazie, ho vissuto all'estero per troppo tempo e incontrare persone nuove mi aiuterebbe nella scalata politica. — Inventai al momento, i suoi occhi bruciarono di una strana euforia e il sorriso gioviale si trasformò in una smorfia cattiva. Parlammo ancora per qualche minuto mentre avvertivo una forte tensione sprigionarsi dal suo corpo. Subito dopo prese commiato e si allontanò con uno sguardo duro, quasi ferito, rivolto ad un gruppetto di chiassosi ragazzi al centro del quale spiccava l'alta figura di un moro che gli assomigliava. Non persi tempo a rimuginarci sopra mentre venivo strattonato e allontanato dalle due Black che mi assoldarono per un tour sfrenato di compere.

Regulus mi aprì le porte dei salotti londinesi dove le più eminenti autorità del Mondo Magico sembravano venir indottrinate ad una nuova filosofia di vita. Sinceramente non amavo quelle serate mondane, così come non approvavo l'idea di restrizione verso il Mondo Babbano; in realtà aveva molto da offrire, spunti da cui attingere e una voglia di crescita e di rinnovo che la Società Magica sembrava aver seppellito. Fuori, tra le strade londinesi, cresceva il terrore. Scorribande di incappucciati portavano scompiglio colpendo il cuore delle famiglie, in veri atti intimidatori.

Spesso ospitai Regulus nella mia casa fuori Londra; arrivava stanco, in piena notte, con il corpo gelido e gli occhi colmi di inquietudine. Non chiesi mai spiegazioni, mi limitai ad abbracciarlo, facendo finta di non accorgermi delle lacrime che sgorgavano da quegli occhi diventati troppo spenti e sciupati. – Folle del sentimento che si stava facendo largo in me, decisi di ignorare volutamente tutti i segnali. – Quando facevamo l'amore, Regulus non mi guardava mai, teneva gli occhi serrati perso in un mondo tutto suo. Ricordo che il primo bacio che ci siamo scambiati era stato dato per caso, quasi per gioco, in soffitta, a casa sua, mentre cercavamo dubbi oggetti antichi. Il secondo era stato davanti ad una porta sigillata magicamente, dove era evidente la macchia chiara che era rimasta dopo la rimozione di una targa. Il terzo, il più intenso, glielo avevo dato dopo averlo sbattuto contro l'arazzo di famiglia mentre le sue dita vagavano sui ricami d'oro intorno al nome mancante del fratello: così fragile, così perfetto, creta profumata nelle mie sapienti mani. – O almeno così credevo.

Una sera, finalmente, incontrai l'uomo che nell'ombra muoveva tutti come burattini. Regulus mi raggiunse al Paiolo Magico e, con una Smaterializzazione Congiunta, arrivammo nel Galles. Entrammo in una casa ai margini del Villaggio Magico e il moro scomparve dietro una porta di legno scuro, dove una flebile luce illuminava gli interni. Attutita mi giunse la sua voce:

— Mio Signore.

Mi avvicinai cauto e dallo spiraglio osservai l'interno. La stanza in penombra era gelida, segno che il fuoco nel camino si era estinto da tempo. Una figura era china su delle carte che ingombravano una massiccia scrivania, il suo viso era lievemente illuminato dalla debole luce di una candela.

— Parla, mio giovane servitore, bada bene di aver da dire davvero qualcosa di interessante. — La sua voce, seppur mantenendo un tono pacato, era pregna di potere e incuteva timore in chiunque la sentiva. Il giovane uomo, inchinato ai suoi piedi, tremava leggermente per l'implicita minaccia, con il volto velato dal sudore, gli disse di aver trovato un nuovo potenziale adepto che gli avrebbe aperto la via per l'Europa dell'Est.

— Bene, ragazzo! Fai in modo che venga a me e che sia veramente interessato. Non tollero sbagli!

— Mio Signore, mi sono permesso di invitarlo alla nostra riunione di oggi, — aggiunse timoroso Regulus, mantenendo lo sguardo rivolto a terra. — È nel vestibolo. — Soggiunse.

Con uno scatto mi scostai, le ginocchia mi tremavano nel raggiungere il muro adiacente; per un fugace istante, avevo incrociato le iridi nere di quell'uomo e mi era parso di scorgervi un barlume di rosso, come una fiammata infernale scaturita direttamente dalle viscere della terra. La porta si spalancò e vidi una pallida mano fare un gesto distratto, come di congedo, a Regulus, non prima di avergli permesso di baciare l'orlo della veste. Mi giunse nitida la voce che ordinava perentoria:

— Severus, ho una missione per te! — Da una porta laterale ne escì un ragazzo smilzo dallo sguardo arcigno, i lunghi capelli mi parvero unti e un forte odore di pozioni aleggiava nell'aria al suo passaggio, non ci degnò di uno sguardo mentre entrava nella stanza.

— Devi raggiungere Manchester e tenere sotto controllo quel Babbanofilo di Silente... — la voce si assottigliò fino a scemare, una volta che l'uscio venne chiuso.

Attraversammo l'atrio disadorno e percorremmo un corridoio buio, fuori dalle finestre la luce spettrale della luna rivelò un paesaggio ricco di vegetazione prossima allo schiudersi. La casa doveva avere un incanto di espansione, visto la quantità di porte che superammo. Una fredda sensazione mi paralizzò la schiena, non ben definiti rumori provenivano dagli usci chiusi. Salimmo tre rampe di scale prima di inoltrarci in un ampio locale illuminato da molte candele; comodi divani erano disseminati lungo le pareti spoglie, al centro della stanza un lungo tavolo antico occupava gran parte dello spazio.

Molte persone erano già presenti e divise in gruppetti, intente a parlottare mentre sorseggiavano liquori dagli svariati colori. Regulus mi presentò ad alcuni di loro intavolando sterili conversazioni, si muoveva a suo agio, evidentemente avvezzo a parlare nei salotti più rinomati. All'improvviso il brusio cessò e gli astanti presero posto sedendosi al tavolo; rimasi fermo in piedi, disorientato da quel religioso silenzio.

— Benvenuto tra noi.

Mi girai di scatto verso quella voce melliflua, da dietro un arazzo di pregiata fattura araba, avanzava elegantemente un uomo il cui bellissimo volto sembrava senza tempo; i capelli scuri, tagliati corti, evidenziavano il pallore del volto da dove gli intelligenti occhi neri sembravano scrutarmi nel profondo; respirai a disagio, sotto quello sguardo intenso, sentendomi sgradevolmente violato. Come in un film muto, davanti ai miei occhi spalancati, scivolarono immagini di vita vissuta che avevo scordato da tempo, piccoli scorci che non ritenevo importanti. Con un sobbalzo e la sensazione di avere lo stomaco sottosopra mi piegai in terra sottraendomi a quelle iridi di fuoco.

Senza curarsi ulteriormente di me l'uomo prese posto e la riunione iniziò; non prestai ascolto ai discorsi, mi affidai a Regulus che, pensieroso, mi fece sedere accanto a sé. Il tempo scorreva in fretta, i discorsi si accavallavano e nuove alleanze politiche si instauravano; dentro di me nacque la certezza che un particolare mi era sfuggito, che dietro a quei ricordi appena affiorati ne esisteva uno davvero importante. Mi sentivo perso e incompleto, avevo un dolore acuto all'altezza del collo per lo sforzo di ricordare, tutti i muscoli erano tesi e la frustrazione mi rendeva ancora più impotente. Ero così concentrato che sobbalzai quando la mano di Regulus raggiunse la mia, stringendola, anzi stritolandola. Uscii dal torpore e mi accorsi di molti visi derisori concentrati su di me; rosso per l'imbarazzo, chinai il capo accantonando momentaneamente il problema.

Nei mesi successivi viaggiai tra l'Inghilterra e il Vecchio Continente portando con me la sensazione di sbagliato che il messaggio di Lord Voldemort – così si faceva chiamare quell'uomo che tanto mi aveva incuriosito – mi scatenava, avvertendo tutta l'ambiguità dietro le false speranze e le parole altisonanti – presumo sia il seduttore che è in me a parlare – che usava per ammaliare la gente.

Ero a casa di amici, una sera di giugno, l'aria calda profumata di pino entrava dalle finestre spalancate. Il villaggio babbano era oltre la cortina di piante che circondava la casa e tra il fogliame mosso dalla brezza giungevano le voci spezzate degli abitanti, nel cielo buio, orfano della luna, bagliori colorati ne ravvivavano l'uniformità. Con il sangue gelato da un brutto presentimento raggiunsi un cancello arrugginito che si affacciava sulla via principale che conduceva alla piazza del paese. Uomini incappucciati scagliavano incantesimi sulla folla inerme, sagome scure giacevano riverse a terra, alcune contorcendosi, molte immobili; risate e urla si mescolavano dandomi le vertigini.

Una voce conosciuta attirò la mia attenzione, dalla sua bacchetta partì un segnale verde che si stagliò mortifero nel cielo, lo sfondo nero lo rese ancora più nitido. I miei occhi incontrarono per un fugace secondo i suoi. – "È Regulus!" Pensai affranto e il cuore cessò di battere. – Non ricordo come tornai a casa; sdraiato sul letto, mi ritrovai a fissare il soffitto della mia camera. Immagini di un candore abbagliante mi ballavano davanti agli occhi: come potevo essermi sbagliato tanto? Avevo volutamente ignorato tutti quei silenzi, tutte quelle assenze che avrebbero, invece, dovuto insospettirmi: come avevo potuto essere così cieco? Eppure era così chiaro il messaggio a cui Regulus aveva venduto la sua innocenza.

Passò un mese; le scorribande dei Mangiamorte erano aumentate e si erano fatte più cruente, non avevo più cercato Regulus né lui tornò da me.

Stavo leggendo un libro, sdraiato sul divano a ridosso della finestra, quando un "crac" attirò la mia attenzione. Sull'uscio era fermo un giovane che non riconoscevo, il viso sciupato rimase in ombra mentre con parole malferme cercava di scusarsi.

— Mi spiace che tu l'abbia scoperto così, nulla di ciò che dirai mi farà cambiare idea, volevo solo incontrarti per un'ultima volta. — Disse in fretta accavallando le parole.

— Bene ora che mi hai visto, quella è la porta. — Non sembrava sorpreso dal mio astio mentre i suoi occhi vagavano irrequieti per la stanza fino a fermarsi sul libro che stavo leggendo.

— Letture Babbane? — Sputò con disprezzo. Rimasi un attimo interdetto ma poi tutto il mio rancore esplose.

— Questo non è solo un libro "Babbano", — scimmiottai il suo tono accompagnandomi con dei gesti puerili — parla della profonda stupidità di un uomo che ha venduto la sua anima al diavolo per ottenere la gioventù eterna; la bellezza come pura estasi fisica invece che la purezza dello spirito. Sai, questo uomo è esistito davvero, un certo Slughorn, che istigato dal fratello Horace, ha creato il suo personale ritratto per conservarci l'anima. Solo che ha pagato a caro prezzo la sua stupidità. — Ci fronteggiavamo con gli occhi accesi di acredine. — E se te lo stai chiedendo, lo stolto era un mago! — Sbottai, sputacchiando in giro.

— Non ci credo, nulla di ciò che dici è possibile. — Arretrò di qualche passo, sbigottito. La mia risata amara riempì l'aria soffocando il cinguettio degli uccelli fuori dalla finestra.

— Devo ringraziarti perché quel giorno, – non c'era bisogno di aggiungere a cosa mi riferissi, – qualcosa si è rotto dentro di me, tanto da illuminarmi su cosa mi turbava del tuo Signore e Padrone. — L'ultima parola la sputai con disprezzo.

Regulus si irrigidì ed estrasse la bacchetta, in due falcate mi raggiunse e me la puntò sotto la gola.

— Non aggiungere una parola. — Sillabò piano. Sorrisi sincero mentre mi riempivo i polmoni del suo profumo, un mix di zibetto e caramello. Incatenai gli occhi ai suoi e vi scorsi ancora quell'ombra di animale ferito, una fiamma che bruciava senza estinguersi. Non lo temevo, sapevo di essere più veloce e più potente, più che altro non mi importava; senza di lui la vita non era degna di essere vissuta.

— Ha ucciso mia zia, — parlai con voce sicura dopo lunghi attimi di silenzio, — ero suo ospite da una settimana quando, tutta agitata, mi spedì a comprare dolciumi. Mentre scendevo saltellando sulle scale incrociai questo giovane bellissimo che mi rivolse uno sguardo sprezzante; intorno a lui c'era un'aura di spaventosa oscurità, dita scheletriche che cercavano di ghermire, di soffocare. Mi terrorizzò così tanto che mi precipitai in strada rischiando anche di cadere, avevo circa dieci anni. Al mio rientro trovai mia zia morta e presumo di esser rimasto così scioccato da aver rimosso il ricordo del giovane. — Mi fermai un attimo per riprendere fiato. — Le hanno rubato solo due manufatti, una coppa appartenuta a Tosca e un medaglione, — alzai quello che avevo al collo per farglielo vedere, — appartenuto a Salazar Serpeverde.

Con un gesto rabbioso me lo strappò dal collo lasciandomi un vistoso livido e una piccola ferita che cominciò a sanguinare.

— Cosa credi di ottenere dicendomi queste assurdità? — Urlò infervorato. — Come pensi che possa crederti?

Con un gesto di stizza lo allontanai e mi appoggiai al tavolo, premendo le dita sugli angoli fino a far sbiancare le nocche.

— Non te lo sto dicendo perché tu ci creda, non mi interessa, te lo dico perché sei in pericolo, tutti siete in pericolo. — Nervoso mi strattonai i capelli, — quell'uomo ha venduto l'anima al diavolo per ottenere la sua eternità! — Gli urlai in faccia con tutta la voce che possedevo. — L'ho percepito quel giorno, lo stesso brivido di paura che Slughorn ha risvegliato in me prima che mettesse fine alla sua miseranda vita, sono stato un suo allievo e so di cosa parlo. Come "lui" abbia saputo di tutto questo non so spiegarmelo ma possiedo l'ultima lettera che Ethan scrisse al fratello, dove spiega il perché si è ucciso. Vedi, c'è una spece di clausola e perché l'incanto abbia effetto si deve uccidere qualcuno mentre lo si pronuncia. "In animam pro anima"*.

— Vieni via con me, ricominciamo una vita altrove, tu e io, ho soldi e conoscenze per rimanere nascosti fino a quando questo incubo non sarà finito. — Lo supplicai, — molte persone mi devono dei...

— Sei impazzito? — Mi aggredì. — Tu e io insieme? — Mi chiese stupito. — Cosa ti sei messo in testa?

— Pensavo fossimo una coppia, — constatai allargando le braccia.

— Ahahahah! — La sua risata di scherno fece più male di una Fattura Urticante. — Hai pensato che ti amassi? — Rise ancora più cattivo. — Hai davvero creduto che mi interessassi a te per amore? Quanto sei stato ingenuo, ahahahah.

Il gelo era sceso intorno a me, sentivo il cuore battere furioso e un velo di lacrime offuscarmi la vista. Per non fargli capire quanto queste parole mi avevano ferito, mi girai verso la finestra e mi persi ad osservare il volo di una farfalla azzurrina. Vidi il suo riflesso chinarsi e raccogliere il medaglione che mi aveva strappato, la sua espressione era concentrata, come se quello che avevo appena rivelato lo impensierisse più di quello che mi aveva dato ad intendere.

— Ti amo, — trovai il coraggio di rivelargli, spezzando il silenzio carico di tensione, — e sento che anche tu sei innamorato di me, sebbene tu non lo voglia ammettere.

La mano di Regulus mi sbatté violenta contro la superficie trasparente, incrinandola, la fronte mi pulsò in modo fastidioso mentre la sua bacchetta era infilzata tra le costole.

— Taci! — Urlò furioso, schiaffeggiandomi; non si era accorto che stringeva ancora il medaglione tra le dita. — Cosa ne vuoi sapere tu di me. Parli di amore, — sputò con disprezzo, — l'amore è buono solo per le mammolette. — Si allontanò di poco, sempre tenendomi la bacchetta tra le reni.

— Ti conosco molto più di quanto tu conosca te stesso, — risposi serafico, — indossi una maschera, Regulus, dietro la quale nascondi la tua sensibilità. Ti ho visto stringere i denti e andare avanti a testa bassa, come se nulla ti scalfisse; ho asciugato le tue lacrime, quando pensavi di non essere abbastanza forte da esserne capace; ho letto il dolore nel fondo del tuo cuore causato dall'allontanamento di tuo fratello...

— Basta! Taci! — Sbraitò impazzito, — chiudi quella bocca piccolo bastardo. Crucio!

L'incantesimo mi investì con tale furia da scaraventarmi dall'altra parte della stanza. Avvertivo le viscere contorcersi e milioni di morse spremere fuori il dolore. Il corpo guizzò a scatti sul pavimento e mi lacerai la pelle lungo le imperfezioni dell'assito di legno. Urlai tutta la mia sofferenza fino a non aver più fiato nei polmoni. La carne sembrava bruciare mentre strizzavo i muscoli in un inutile tentativo di proteggermi. All'improvviso tutto cessò, lasciandomi dolorante e spossato, in un bagno di sudore freddo. Sentivo giungere la voce ovattata di Regulus che sussurrava disperata:

— Cosa ho fatto! Cosa ho fatto! — Poi il frastuono della Smaterializzazione.

Rimasi sul pavimento, ranicchiato su me stesso, per ore mentre, lentamente, il corpo riassorbiva la devastazione della Maledizione.

Lui se n'è andato e io sono rimasto disteso sul letto sfatto da giorni, ad osservare, di nuovo, il soffitto. Che triste epilogo per il grande "amateur" Victor Kobasky, – il grande seduttore è stato sedotto ed abbandonato, – rido amaro. Sedurre era come intavolare una partita a scacchi, un gioco fatto di sguardi furtivi, mosse avventate e rischi calcolati, saper prevenire e controbattere in maniera repentina. Tutto questo l'avevo scordato mentre annegavo nei suoi occhi chiari, mentre lo baciavo e bevevo ogni ansito come linfa vitale, mentre danzavamo al suono di un ritmo vecchio come il mondo. Con un semplice sguardo aveva distrutto il mio raziocinio mentre il suo profumo metteva radici nel profondo del cuore. Aveva divelto ogni mia resistenza nel momento in cui aveva sussurrato il mio nome. Eppure sono convinto di aver percepito il suo amore, l'ho sentito sulla pelle attraverso le sue dita mentre mi accarezzavano, l'ho udito nel tremore del cuore per ogni nostro abbraccio.

— Addio, amore mio — soffio piano. Con un piccolo pugnale ho inciso il polso poi mi sono alzato e, con passo sicuro, sono uscito sul portico illuminato dal sole, ho raggiunto il dondolo sotto il salice e, dopo essermi sdraiato, ora aspetto.

Victor non saprà mai che le parole dette a Regulus, quel lontano giorno, avevano preso piede fino a diventare una certezza nell'esatto momento in cui, richiamando a sé il suo elfo Kreacher, il piano di Voldemort gli sì palesò in tutto il suo orrore.


 

Note autrice:* mi sono informata la traduzione dovrebbe essere "un'anima per un'anima", se così non fosse scusate l'errore e provvederò quanto prima a correggere.

Ringrazio la Beta che si è presa cura di questa storia in modo pregevole dandomi la possibilità di correggermi ma soprattutto per i numerosi consigli di cui cercherò di fare tesoro.

Mi sono chiesta più volte se Regulus fosse arrivato da solo a capire il piano di Voldemort, se avesse davvero compreso l'importanza del contenuto del medaglione, se si rendesse conto di cosa fosse contenuto nel medaglione. Tutte domande a cui ho voluto dare una risposta.

Victor Kobasky è un incallito seduttore che cade nella sua stessa trappola. Intravvede un giovane uomo e decide che sarà la prossima preda. Un progetto ambizioso che lo porta ad incontrare colui che è destinato a diventare un grande. Sarà lui che cercherà di aprire gli occhi al nostro Regulus in quanto riconosce cosa si cela dietro l'oscurità e il potere emanato da Voldemort.

Mi sono presa la libertà di introdurre un altro personaggio dandogli la parte del fratello di Horace Slughorn ( Lumacorno ). Costui ha creato un Horcrux imprigionando l'anima in un quadro ( ogni riferimento al "Ritratto di Dorian Gray" è voluto ) per poi pentirsene.

Spero la lettura sia risultata piacevole.

Questa storia, partecipante al contest "Il contest dei premi speciali" indetto da L@dyriddle sul forum, ha vinto il Premio Miglior Regia.

P.S.: ora che il contest è concluso ho aggiunto il banner.

Vi invito a visitare la mia pagina per notizie, approfondimenti e curiosità https://www.facebook.com/pages/Pensieri-miei/368122016708287


 

 
   
 
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