Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: _ichigo_85    18/01/2016    2 recensioni
Os partecipante al contest "Pick someone who's supportive"
Harry studia fotografia ma è sbadato. E' così sbadato da perdere la sua macchina fotografica. Quando un ragazzo dagli occhi azzurri di nome Louis gliela riporterà, Harry deciderà di sceglierlo come modello per il suo progetto di laurea.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
picksomeone1
- Titolo del fest: “Pick someone who’s supportive”
- AU: Photographer!Harry
- Tipologia di storia: Oneshot
- Eventuali Side-Pairing: nessuno

picksomeone


I want you and your beautiful soul


Louis sollevò lo sguardo dal libro di drammaturgia che stava leggendo quando qualcuno bussò alla porta della sua camera.

“Avanti!” disse, voltandosi appena con il busto, vedendo la testa di sua madre fare capolino controllando nella stanza. La donna, nel vederlo seduto alla scrivania, sorrise dolcemente.

“Tesoro, ti disturbo?” gli chiese, facendo un passo in avanti, tenendo comunque una mano alla porta, non entrando completamente nella stanza del figlio.

“Solo un ripasso, dimmi pure!” la esortò lui a continuare.

“Io devo uscire un attimo, Louis, Lottie è al doposcuola e mi chiedevo se potessi badare alle gemelle per qualche ora. Le porterei con me, ma sai…” iniziò a dire, facendo un vago gesto con la mano che fece sorridere Louis. Conosceva bene le sue sorelline, erano adorabili e sia lui che sua madre le amavano, ma se prese singolarmente erano due piccoli terremoti, in due erano una vera e propria associazione a delinquere.

“Non ti preoccupare” la sollevò da quel pensiero. “Ci penso io a loro, tanto ho quasi finito, mi inventerò qualcosa, tu vai pure tranquilla” la rassicurò. “E poi senza quelle due piccole pesti, ti sbrigherai più velocemente” annuì, sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Grazie, Louis. Ah, preferisci qualcosa in particolare per cena? Passo al supermercato quando sto rincasando” gli chiese e Louis ci pensò un attimo su, prima di scuotere il capo. “Fai tu, sai che adoro tutto ciò che cucini!” le sorrise ampiamente.

“Oh, sì, lo so. Ti prenderò qualcosa di dolce per dopo cena” concesse e Louis sorrise ancora più ampiamente.

“Sì, il dolce sarebbe perfetto!” concordò, prima di farle un cenno con la mano in segno di saluto, tornando a concentrarsi sulle pagine del libro aperte davanti a sé.

Nel lasciare la sua stanza, Johannah aveva lasciato socchiusa la porta della camera e Louis sentì in sottofondo delle chiacchiere leggere e risate; dedusse che la madre si stesse raccomandando con le sue figlie più piccole, Daisy e Phoebe, di fare da brave e comportarsi bene con Louis.

Louis sorrise tra sé nel sentire quelle parole, poi dopo poco il rumore della porta d’ingresso che veniva richiusa gli fece capire di essere rimasto solo in casa con le più piccole. Tese ancora l’orecchio, sentendo le due sorelline chiacchierare tra loro animatamente, sicuramente fingendo di intrattenere qualche ospite immaginario nella loro casetta fatta di coperte e cuscini che Louis stesso aveva aiutato loro ad arredare solo qualche ora prima, rimettendosi a studiare.

Il suo buon proposito di finire il capitolo però, svanì quando sentì uno scalpiccio veloce di due paia di gambe che correvano nel corridoio e poi un coro di voci cristalline chiamarlo.

“Boo!”

A quel soprannome sorrise, abbandonando ogni responsabilità da studente e stiracchiando le braccia verso l’alto, togliendosi gli occhiali da vista, abbandonandoli sul libro ancora aperto.

“Sì, piccole?” chiese, voltandosi verso di loro, andando incontro a quelle adorabili pesti tutte codini e sorrisi. Si abbassò sulle ginocchia, aprendo le braccia, facendo in modo che quelle si rannicchiassero contro si lui.

Daisy gli diede un bacio appena bagnato a labbra socchiuse contro la guancia, mentre Phoebe gli tirò una ciocca di capelli, aggrappandosi con il braccio al suo collo.

“Boo, vieni a prendere il tè con noi? Abbiamo fatto il tuo preferito!” gli dissero, completando l’una la frase dell’altra, per voler dare maggior appetibilità a quella proposta, annuendo vigorosamente.

“Oh, mi sembra un’idea meravigliosa, non posso rifiutare!” concesse, prima di risollevarsi, prendendole entrambe per mano, uscendo dalla propria stanza.

“Anche se avrei una controproposta, la volete sentire?”

“Sì!” dissero entrambe, all’unisono, entusiaste.

Louis sorrise e le guardò dolcemente: “Che ne dite se andassimo al parco a prendere il nostro tè? È una bella giornata e mi pare un peccato sprecarla dentro casa, ci state?” domandò, attendendo il responso.

Le bimbe parvero pensarci su un attimo, poi Daisy domandò: “Possiamo portare anche Clara?” guardò dubbiosa il fratello, il quale sorrise.

“Certo che sì, è la benvenuta e poi più siamo e più ci divertiamo!” fu entusiasticamente propositivo, lasciando che entrambe andassero a recuperare la loro bambola preferita e iniziando a tirare fuori i loro soprabiti dall’armadio.

Quando i suoi piccoli terremoti personali preferiti tornarono da lui tenendo ciascuna Clara per una mano, le aiutò a vestirsi e facendo indossare loro anche dei graziosi cappellini abbinati. Le osservò e sorrise, prendendo a sua volta la giacca di jeans, controllando poi di avere con sé le chiavi di casa, il portafoglio e il cellulare, prima di uscire.
Con Clara comodamente sistemata sulle sue spalle e le gemelle prese per mano, una alla sua destra e una alla sua sinistra si diressero vero il parco vicino casa, raggiungendolo dopo pochi minuti di cammino.

Non appena arrivarono a destinazione, le gemelle lasciarono la mano del fratello per correre lungo il viale, andando a nascondersi dietro il tronco di un albero, ridendo tra di loro.

“Non allontanatevi e non correte!” le ammonì Louis controllandole da lontano.

“Louis! Sbrigati!” lo richiamarono, facendogli un cenno con il braccio per affrettarsi.

Sorridendo a sua volta, accennando una brave corsa, Louis le raggiunse e, dopo aver sistemato la bambola i piedi dell’albero, si mise a giocare con loro rincorrendole, mentre le più piccole scappavano da lui fingendosi impaurite.

Gridarono tra le risate, quando il fratello riuscì a prenderle, vendicandosi di un fantomatico affronto, facendo loro il solletico.

“Boo, Boo!” lo richiamò Phoebe d’un tratto, prendendogli le mani, “Facciamo il girotondo?” chiese saltellando, aggrappandosi alle sue braccia e Louis non poteva davvero negare nulla a quei sorrisi  e quegli occhioni allegri.

Le prese allora entrambe per le mani, girando in cerchio insieme a loro, Clara nel mezzo, sempre partecipe alle attività proposte, recitando insieme a loro la filastrocca, prima di ritrovarsi tutti e tre distesi sull’erba a ridere.

Approfittando di quel momento di distrazione del fratello, le due bambine si avvicinarono gattonando verso di lui, sedendosi poi sulla sua pancia, cercando di fargli il solletico con le piccole manine e Louis non poteva proprio non dare loro la soddisfazione di averlo preso in trappola. Per cui finse di ribellarsi e di venire sopraffatto dalle risate, prima di mettersi a sedere, prendendole entrambe in grembo, abbracciandole.

“Allora, tregua? Avete proprio vinto, sono sconfitto, anche se avete barato, due contro uno non vale!”

Per tutta risposta, le gemelle risero, scostandosi da lui, sedendosi sull’erba a gambe incrociate e mimando con le mani i gesti tipici del versare qualcosa e Louis suppose che sì, era finalmente arrivata l’ora della merenda.

“Tè?” domandò infatti Daisy, porgendo al più grande una tazza immaginaria.

“Con molto piacere!” stette al gioco Louis, iniziando a sorseggiare piano il liquido invisibile. “Brucia!” commentò poi, fingendo di essersi scottato la lingua, facendo ridere le sorelle.

“Devi soffiare!” suggerì Phoebe, allungandogli qualcosa a mani aperte e Louis fu grato del suggerimento che quest’ultima gli diede.

“Biscotti!” lo informò la bambina.

Louis annuì e prese un dolcetto invisibile da accompagnare al suo tè invisibile, muovendo la bocca come se stesse seriamente sgranocchiando il dolcetto più buono del mondo.

“Louis, possiamo fare una passeggiata?” gli chiesero le piccole e Louis annuì.

“Restate vicine dove posso vedervi!” si raccomandò, distendendosi in parte sulla schiena, sorreggendosi sui gomiti, osservando le sorelline allontanarsi e chinarsi di tanto in tanto a raccogliere qualche foglia e parlare tra di loro in modo animato, come se stessero disquisendo di chissà quali importanti argomenti.

Si perse un attimo a osservare il cielo chiaro, mentre il profumo tipico di erba e terriccio gli invadeva le narici, permettendogli di rilassarsi.

In effetti, quel cambio di programma, quell’uscita inaspettata in qualità di baby-sitter non era stato male neanche per lui: sarebbe stato davvero uno spreco passare una giornata così bella chiuso in camera a studiare.

Si lasciò andare completamente disteso sul prato, chiudendo gli occhi qualche secondo, godendo di quella quiete pacifica, quando sentì di nuovo le voci delle sue sorelle raggiungerlo trafelate.

“Boo!” lo richiamò Phoebe e quando Louis si rimise seduto, vide che la bambina teneva in mano qualcosa.

“Guarda cosa abbiamo trovato!” disse Daisy e Louis prese dalle loro mani quella che era a tutti gli effetti una macchina fotografica.

“Dove l’avete presa?” chiese, confuso, rigirandosi l’oggetto tra le mani.

“Di là!” indicarono in coro le sorelle, puntando gli indici verso una panchina poco distante.

Louis ricordava vagamente di aver visto diverse persone sedersi a riposare sulla stessa, durante quelle due ore che lui e le gemelle avevano passato lì a giocare, ma non aveva fatto caso a nessuno in particolare, a essere onesto, e che potesse ricollegare all’oggetto dimenticato.

“La possiamo tenere, Boo? Guarda, abbiamo preso delle foglie e delle noci!” la sorella prese dalla tasca del giubbino i loro trofei di quella passeggiata e Louis sorrise.

“Non sono noci, piccola, sono ghiande e no, non possiamo tenere la macchina, né la possiamo usare. Qualcuno deve averla perduta” spiegò loro, guardandole.

“Ma non c’è nessuno lì!” obbiettò giustamente la sorella e Louis annuì, tornando a concentrare la sua attenzione sull’obbiettivo e lasciando scivolare le dita sulla tracolla, sentendo qualcosa di ruvido contro i polpastrelli. Voltò la cinghia spessa e vide che vi era un nome scritto con del filo abbastanza spesso, come fosse stato cucito lì apposta.

Harry S.” lesse in un mormorio e quello doveva essere il nome del proprietario.

Alzandosi dal prato si guardò attorno, puntando poi gli occhi verso la panchina, chiedendosi se avrebbe fatto meglio a lasciare lì la macchina fotografica, nel caso in cui il distratto proprietario, accortosi della sua dimenticanza fosse ripassato di lì per cercarla.

A giudicare dal modello, per quanto Louis non fosse un esperto, doveva essere davvero costosa come macchina e sicuramente chiunque l’avesse persa avrebbe voluto riaverla. Ma non gli sembrava una grande idea quella di lasciare l’oggetto abbandonato a se stesso. Non vi erano garanzie che, se l’avesse lasciata lì, qualcun altro, prima di questo fantomatico Harry avrebbe potuto vederla e prenderla per sé, senza prendere in considerazione l’idea di restituirla.

“Boo!” Daisy lo tirò per la manica del giubbino e lo riscosse dei suoi contorti pensieri sul fare la cosa giusta e Louis le sorrise, infilandosi la macchina al collo e prendendo le sorelle per mano.

“Piccole, facciamo un giro per il parco, magari la persona che l’ha persa è ancora qui nei paraggi e possiamo restituirla, cosa dite?” propose.

Le bambine lo guardarono e annuirono, Phoebe prese per mano Louis, l’altra stringeva quella di Clara, che a sua volta teneva per mano Daisy.

“E se non lo troviamo?” domandò d’un tratto la sorella e dopo aver girato in tondo il parco per ben due volte, Louis iniziava a pensare che non avrebbero risolto nulla in quella maniera.

Louis scosse il capo, facendo una smorfia con le labbra, stringendosi nelle spalle. Quello era davvero un problema, anche lui aveva preso in considerazione quella eventualità e il punto era che non aveva la più pallida idea di come muoversi a riguardo.

Alla fine, però, non potevano passare  tutta la serata lì ad aspettare qualcuno che probabilmente non sarebbe mai arrivato,

Louis si incamminò quindi di nuovo verso casa, le gemelle iniziavano a essere stanche, tanto che, a un certo punto del tragitto, Louis si ritrovò con Daisy appesa alla sua schiena a mo’ di zainetto e Phoebe in braccio che gli stringeva le mani al collo. La testa della bambina posata sulla sua spalla e la macchina fotografia perduta sull’altra di modo da non dargli fastidio e tenerla riservata.

Quando rincasarono, Louis trovò la madre e Lottie in cucina che parlottavano e preparavano insieme la cena.

“Siamo tornati!” si annunciò, facendo capolino nella sala da pranzo.

“Louis!” lo accolse la donna e il suo sorriso si addolcì ulteriormente quando lo vide con in braccio le sorelle, comodamente rilassate su di lui.

“Sono esauste, siamo stati al parco” spiegò.

Johannah lo aiutò a liberarsi di quei due piccoli fagotti caldi, chiedendo alla figlia più grande di aiutare le bambine a cambiarsi e prepararsi per la cena.

“Anche tu mi sembri piuttosto provato!” rise la madre, guardandolo amorevolmente, mentre Louis si toglieva il giubbotto e si sedeva al tavolo mentre lei tornava ai fornelli.

“Quella?” la donna puntò curiosa verso la macchina fotografica.

“L’hanno trovata le bambine, qualcuno l’ha dimenticata al parco, non mi sono fidato a lasciarla lì, vorrei poterla restituire, sai… sembra molto… uhm… costosa?” tentò e la madre annuì. “Solo che non so come fare a trovare questa persona” disse, sfiorando di nuovo il nome scritto sulla tracolla. “Potrei tappezzare il parco di volantini ‘trovata macchina fotografica abbandonata, contattare XxX’” citò, prima di mettersi a ridere. “Oppure potrei tornare al parco, domani dopo le lezioni, magari, sai il tizio potrebbe tornare sul luogo del misfatto” ponderò, chiedendo il suo parere.

La donna annuì e concordò con lui: “Mi sembrano entrambe ottime opzioni” specificò.

Louis fece un cenno vago con la testa, prima di alzarsi da tavola e avvicinarsi alla madre, dandole un bacio sulla guancia.

“Vado a farmi la doccia e poi torno ad aiutarti, sto morendo di fame!” ammise.

“Non avete preso il tè con le gemelle?” domandò lei con un accenno di sorriso.

“Oh, sì, mamma, tè e biscotti invisibili, mi hanno proprio saziato!” commentò lui divertito, prima di uscire dalla cucina con nelle orecchie la risata divertita di sua madre ad accompagnarlo.

Quella stessa sera, Louis, dopo essersi ritirato per la notte, aveva davvero intenzione di riprendere in mano il libro e finire almeno il capitolo che aveva iniziato quel pomeriggio, ma non aveva proprio la concentrazione necessaria per farlo. Si sedette sul letto, portando con sé la macchina, ponderando per qualche secondo l’idea di azionare il display per osservare gli scatti salvati nella memoria: non sapeva se quello sarebbe passato come una sorta di invasione di privacy o cose del genere, ma una certa curiosità si era insinuata in lui in quelle poche ore e se nessuno lo vedeva mentre ficcanasava negli affari di qualcun altro, uno sconosciuto, peraltro, sarebbe risultato innocente fino a prova contraria, assolto per mancanza di prove o per quella cosa chiamata beneficio del dubbio e tutte quelle robe lì.

Per cui, mettendo da parte le brevi proteste della sua morale, premette a lungo il pulsante di accensione, vedendo quella che era l’ultima immagine scattata: uno scorcio di cielo con una nuvola solitaria che sembrava avere una qualche forma particolare. A Louis sembrava una sorta di pecora, ma supponeva di stare ricadendo in qualche facile cliché, per cui scosse la testa, spostandosi indietro nella cronologia.

Vi erano molte foto che ritraevano parti diverse del parco, prese da diverse angolazioni e pur nella sua ignoranza in materia, Louis poté affermare di trovarle quasi suggestive e belle, sì, decisamente belle.

Continuando a scorrere, rimase sorpreso, e abbastanza perplesso, di trovare uno scatto che ritraeva lui e le sue sorelle mentre facevano il girotondo: le bambine erano voltate, chiunque avesse scattato la foto aveva colto quel momento in cui stavano ruotando e gli davano le spalle per catturare l’attimo e Louis era di profilo. Il suo viso era splendente, le sue labbra tese in un sorriso dolce che coinvolgeva anche il suo sguardo, aveva un’espressione così persa e affettuosa mentre stava con le sue sorelline che Louis si stupì di essere in grado di lasciare che le proprie emozioni potessero essere così manifeste.

Nell’accorgersi di tutto quello che una semplice foto era riuscita a infondergli, in un primo momento si sentì violato, per il fatto che qualcuno avesse rubato in uno scatto un momento così profondo e personale.

Dopotutto, Louis non sapeva proprio nulla del tale che aveva usato quella macchina, poteva essere una cattiva persona, in realtà, un malintenzionato, ma Louis scacciò quasi immediatamente quel pensiero: gli sembrava davvero impossibile che qualcuno capace di concentrarsi e dedicare tanta attenzione in una messa a fuoco di qualcosa di semplice come delle foglie che volano appena sollevate dal vento o in delle nuvole sparse nel cielo, potesse davvero avere un qualche losco secondo fine nell’immortalare loro tre.

Inoltre, se lasciava da parte il pensiero di essere lui il protagonista dello scatto, a guardarla bene, era una bella foto, così intima e familiare. Avrebbe dovuto essere ancora più infastidito forse, ma la verità era che non si sentiva a quel modo.

Continuò ad andare a ritroso nella galleria e abbandonò decisamente l’idea che il proprietario della macchina fotografica fosse un soggetto poco raccomandabile, quando vide degli scatti che ritraevano dei ragazzi che ridevano e tenevano in alto dei bicchieri di birra, guardando verso l’obbiettivo. Louis si domandò se tra quei volti ci fosse quello di Harry ed ebbe la sua risposta quando, dopo alcune altre foto che ritraevano gruppi di ragazzi e ragazze che ballavano, scatti rubati, ma anche in pose programmate tipiche di chi poi le avrebbe volute condividere sui vari social network,  incappò in una foto che era il classico autoscatto e che immortalava il viso di un giovane ragazzo.

E Louis si ritrovò senza fiato perché se quello era davvero Harry, Harry era assolutamente bellissimo. La prima cosa che lo colpì furono un paio di occhi grandi, ridenti e verdissimi. Il suo sorriso così aperto e naturale lo portò a sorridere a sua volta, semplicemente guardando un’immagine in un piccolo display, costringendolo a chiedersi se anche di persona sarebbe stato così bello e così luminoso, se quelle fossette che adornavano gli angoli delle sue labbra fossero reali, tanto da fargli desiderare di volersene accertarne, se mai ne avesse avuto modo, posandoci sopra il proprio indice.

E più andava avanti alla ricerca di nuovi dettagli di Harry più sperava vivamente che il ragazzo non fosse uno di quelli che sta sempre e solo dietro l’obbiettivo, perché sarebbe stato davvero, davvero un peccato altrimenti.

Quando trovò un’altra foto con Harry come protagonista, stavolta qualcun altro che non era lui aveva premuto il pulsante di scatto: il ragazzo era in posa a figura intera e Louis poté avere ora un’idea completa di quanto effettivamente fosse bello Harry sotto ogni punto di vista. Non solo aveva un viso bellissimo, ma aveva un corpo perfetto, fisico asciutto e slanciato, e dal modo in cui la camicia, non completamente abbottonata gli aderiva al petto, lasciando intravvedere quelli che sembravano tatuaggi. E la vocina che fin dall’inizio aveva tentato di placare la sua curiosità era divenuta improvvisamente muta nel momento in cui Louis premette il pulsante di zoom per avere conferma dei suoi sospetti. Inoltre, Harry aveva i capelli ricci, lunghi abbastanza da posarsi sulle spalle e sembravano così morbidi che, ancora una volta, Louis ebbe l’irrefrenabile desiderio di volersi accertare della veridicità di quella sua teoria personalmente, magari dopo averci passato in mezzo le dita, magari dopo averlo baciato o prima di baciarlo o durante un bacio.

Nell’elaborare quest’ultimo pensiero, Louis sospirò, abbandonando per un istante la macchina fotografica al proprio fianco sul materasso, nascondendo il volto tra le ginocchia: così non andava bene per niente. Non poteva farsi venire in mente strane voglie e fantasie sullo baciare ragazzi sconosciuti che non aveva mai visto prima e che molto probabilmente non avrebbe visto mai.

Il problema principale riguardava soprattutto il fatto che Louis non avesse la più pallida idea di dove andare a cercare questo Harry e quindi restituirgli così la macchina fotografica. Non sapeva neanche cosa sperava di trovare in quegli scatti a essere onesto, forse dei luoghi familiari che gli indicassero una via dalla quale iniziare a cercare o qualche posto, qualche quartiere, qualcosa da cui iniziare le ricerche. Tutto quello che aveva trovato in quella galleria, invece, erano scorci di vissuto, scorci di attimi di vita, solo piccole briciole di qualcosa di più grande e immenso. Sinceramente parlano era come cercare un ago in un pagliaio.

Sospirò ancora e riprese in mano la macchina, guardando nuovamente l’ultima foto e solo in quel momento Louis notò che accanto a Harry in quello scatto ci fosse una ragazza: una ragazza molto bella, capelli biondi, occhi chiari, sorriso aperto e luminoso anche il suo. Era una congiura, dunque. E, dettaglio non particolarmente trascurabile, i due erano terribilmente vicini e terribilmente abbracciati. Non che dovesse per forza esserci chissà quale rapporto tra i due, per quel che Louis ne sapeva, quella poteva essere un’amica, una vicina di casa, sua sorella, non doveva per forza essere la sua ragazza o qualcosa del genere, giusto?

Si batté a disagio la mano sulla fronte per quei suoi stessi pensieri e sì, era proprio il caso che si mettesse a dormire adesso, perché stava iniziando a non capire più niente e a fare pensieri e supposizioni nelle quali non avrebbe in alcun modo dovuto soffermarmi, e non avrebbe permesso alla propria fervida immaginazione di andare oltre.

Nossignore, per nessuna ragione al mondo.

Se poi quella notte avrebbe sognato un paio d’occhi verdi, un sorriso tutto fossette e dei morbidi e profumati ricci, non avrebbe potuto biasimarsi, perché lui stava dormendo, per l’appunto e non aveva alcun controllo.  

La mattina successiva, quando Louis aprì gli occhi, non ebbe il tempo di concentrarsi su nulla che non fosse la propria routine giornaliera: sveglia, doccia, colazione, scegliere a caso dall’armadio una maglietta e dei pantaloni puliti, e se solo Louis avesse imparato a preparare l’occorrente che gli serviva per l’indomani dalla sera prima, non avrebbe dovuto fare sempre tutto così di corsa per poi scapicollarsi all’università, salutare frettolosamente sua madre e le sue sorelle, prima di scappare letteralmente via di casa in una corsa contro il tempo per non fare tardi alle lezioni del mattino.

Per sua fortuna, quel pomeriggio non aveva gli allenamenti di calcio con la squadra e quello era un pensiero in meno di cui tenere conto. Questo pertanto gli diede modo, dopo aver terminato le lezioni del mattino, di occuparsi della questione della macchina fotografica che, nonostante tutto, si era ricordato di portarsi dietro, insieme con i propri libri.

Per prima cosa decise ad andare al parco, opzione più sensata da prendere in considerazione: aveva avvisato la madre che non sarebbe rientrato per pranzo, per cui, dopo aver ordinato in uno dei tanti fast-food nei quali si era imbattuto nella sua strada un molto poco salutare pranzo, aveva deciso di fermarsi proprio su una panchina del parco a consumare il suo menù panino-bibita-patatine.

Con calma spizzicò il proprio panino, godendosi la vista con tutto quel verde e la pace attorno a lui ad avvolgerlo e mentre controllava che non vi fosse rimasta alcuna traccia di patatine nella bustina, si era deciso ad alzarsi rmai arreso al fatto che nessuno sarebbe giunto lì a reclamare una macchina fotografica smarrita. Cercò un cestino nelle vicinanze per buttare i resti vuoti del suo pranzo, cercando di fare mente locale.

Sollevò la macchina dal proprio petto e la osservò alcuni secondi, prima di togliere il copri obbiettivo e inquadrare davanti a sé, muovendosi in tondo come in una sorta di panoramica, premendo di tanto in tanto il pulsante di scatto, guardando poi l’esito del suo estro nel piccolo schermo. Ridacchiò tra sé, constatando che quei suoi scatti non potevano di certo essere paragonati a quelli archiviati nella memoria, ma non si premurò di cancellarli. Scorse di nuovo nella galleria, cercando qualcosa di nuovo che magari la sera precedente gli era sfuggito, prestando particolare attenzione a delle vie che erano state catturate dall’obbiettivo.

Si ritrovò all’entrata del parco e decise di prendere a caso una delle tre strade che aveva di fronte e sé, lasciandosi guidare dalla sensazione. Nei film riuscire a prendere sempre la via giusta risultava molto facile e anche se Louis sapeva benissimo di non trovarsi in un film, dove comunque tutto era già stato scritto da qualche sceneggiatore decise di lasciarsi trasportare. Non aveva comunque altro da fare quel pomeriggio. Per cui si ritrovò a gironzolare per stradine che non aveva mai percorso, davanti a case così diverse da quelle del proprio quartiere, fino a che non si ritrovò in una piccola piazzola dove faceva mostra di sé una graziosa fontanella dall’aria piuttosto familiare. Louis si fermò di scatto in mezzo alla strada, spalancando gli occhi e arricciando le labbra: lui non era mai stato prima in quel posto eppure lo trovava familiare.

Prese tra le mani la macchina e scorrendo nella galleria le anteprime in miniatura, trovò presto quello che cercava. Selezionò la foto che gli interessava e per poco non si mise a sghignazzare, probabilmente per quanto quella situazione risultasse davvero assurda e paradossale, non credeva che, se l’avesse raccontato a qualcuno gli avrebbe creduto, perché la fontanella davanti alla quale si trovava era la stessa che era stata catturata dalla macchina. Con uno spirito migliore e più positivo di quello con il quale era partito per quella sua missione quasi impossibile, Louis si guardò attentamente intorno, controllando se ci fosse qualche altro dettaglio che gli indicasse di trovarsi nel posto giusto o di essere quanto meno vicino al luogo che stava cercando,.

Quando un delizioso profumo di dolci gli solleticò le narici si fermò davanti alla vetrina di una panetteria che esponeva un’invitante e delizioso vassoio con dei muffin, torte e crostate. Stavolta non ebbe neanche bisogno di avere conferma guardando la galleria nella macchina fotografica, perché ricordava perfettamente lo scatto che rappresentava appunto una vetrina molto simile a quella che stava ammirando. Sempre più convinto di essere sulla giusta strada riprese a camminare, facendosi però un promemoria mentale per ripassare di lì sulla via del ritorno e prendere un assaggio di quei muffin da portare a casa e dividere dopo cena con le sue sorelle, era certo che ne sarebbero state tutte entusiaste.

Camminò ancora per diversi minuti, prima che una casa dalla facciata bianca attirasse la sua attenzione e Louis seppe per certo di essere arrivato. Arrivato a destinazione. A casa di Harry.

Con uno strano peso nel petto, si avvicinò alla porta d’ingresso e deglutì a vuoto, improvvisamente si sentiva stanco, le mani avevano iniziato a sudare e non era poi più così sicuro di voler suonare al campanello, il che era stupido dal momento che aveva fatto tutta quella strada solo per restituire una macchina fotografia a un perfetto sconosciuto.

Si prese ancora qualche attimo a osservare la grande casa, prima di inspirare profondamente e suonare al campanello. Si ricordò in ritardo di guardare il nome scritto su di esso e si lasciò distrarre da quel Styles scritto in uno dei tanti anonimi caratteri come su uno qualsiasi dei tantissimi anonimi e sconosciuti campanelli, e non si accorse che qualcuno aveva aperto la porta.

“Sì?” una voce bassa e lenta, appena roca lo riscosse

Louis si voltò piano, scorgendo la figura di un ragazzo alto che, con aria assonnata, i capelli castani, ricci, disordinatamente sparsi sulle spalle, lo fissava con fare confuso. Un paio di occhi incredibilmente verdi, dal vivo erano ancora più intensi, ancora più profondi, lo scrutavano appena curiosi. E anche se la poche foto che Louis aveva visto di quel viso non rendevano per niente giustizia al ragazzo che aveva di fronte in quel momento, non vi era alcun dubbio che proprio quel ragazzo fosse quello che stava cercando.

Si schiarì la gola e, anche se non seppe dove, trovò il fiato per chiedere: “Harry?” domandò incerto. “Sei tu, Harry?” ripeté e notò come l’espressione sul viso del giovane cambiò appena e lo sguardo si fece più attento quando aveva sentito il proprio nome.

Louis era sicuro al cento per cento che quello davanti a lui fosse Harry, ma aspettò comunque che l’altro si ridestasse dal suo torpore e lo stato chiaramente di confusione nel ritrovarsi davanti alla porta di casa un perfetto sconosciuto che a quanto pareva sembra conoscere invece lui.

“Sì? Sì, sono io… tu chi…?” esordì con quella cadenza lenta, ma non finì di formulare la frase quando i suoi occhi, che fino a quel momento erano scivolati sulla sua figura forse per ricavare da un primo esame visivo qualche informazione utile affinché il suo cervello lo identificasse, si posarono sulla tracolla di Louis e sulla macchina appoggiata al suo petto.

Louis lo notò affrettandosi a spiegare, sfilandosi la macchina e tendendola al ragazzo: “Ecco, io mi chiamo Louis, Louis Tomlinson” si presentò. “Ieri ero al parco con le mie sorelle e abbiamo trovato la tua macchina. Suppongo sia tua, c’è il tuo nome. Non volevo ficcanasare, ma ho dovuto, mi sembrava costosa, voglio dire, importante, e ho pensato che potesse servirti e te l’ho riportata” spiegò velocemente, perché, oltre a essergli sembrato molto probabilmente uno stalker, non voleva che quel ragazzo bellissimo completasse la pessima opinione che sicuramente aveva di lui, etichettandolo come ladro di macchine fotografiche.

“Oh…” si limitò invece a dire Harry, allungando una mano, prendendo il laccio della tracolla. “Sì, sì, grazie io… Louis, giusto? Vuoi entrare?” gli propose, passandosi una mano sul viso, come se solo in quel momento il suo cervello avesse iniziato a elaborare ogni dato. “Scusa, io sono ancora mezzo addormentato, se vuoi… insomma, mi hai riportato la macchina e, sì, grazie, davvero. Accomodati?” farfugliò a sua volta, trasformando quello che voleva essere un educato invito in un interrogativo, era ancora visibilmente confuso e Louis non sapeva se dal suo stesso stato di sonnolenza o dal fiume di parole con il quale Louis l’aveva investito.

“Sì” affermò semplicemente Louis, facendo un passo in avanti, verso la porta, mentre Harry si scostava per lasciarlo entrare in casa. “Scusa, permesso” disse educato, aspettando impalato all’ingresso, imbarazzato oltremodo da quella situazione, aspettando che l’altro gli facesse strada dopo aver chiuso la porta dietro di sé, indirizzandolo verso la cucina.

Louis non poté fare a meno di guardarsi intorno con fare curioso, notando qualche dettaglio di quella casa che era decisamente più grande della sua. Alle sue sorelle sarebbe piaciuta molto, c’era un grande salone con un divano, vide mentre passava per il corridoio, e quando si fermarono in cucina questa era enorme, con un mobile a isola esattamente al centro della stanza e quello sì che sarebbe davvero tanto piaciuto a sua madre, si ritrovò a riflettere.

“Siediti pure” la voce di Harry lo strappò a suoi pensieri, stavolta il suo tono era più vigile, ma sempre in qualche modo calcolata, lenta, e Louis doveva  ancora capire se quella fosse la sua normale cadenza o era un effetto momentaneo. Annuì, prendendo posto su uno sgabello, decisamente troppo alto per le sue gambe, cosa che gli richiese non poca concentrazione per sistemarsi comodamente senza rischiare di cadere dall’altra parte.

Quando sollevò lo sguardo verso Harry lo vide che sorrideva appena, guardandolo con la coda dell’occhio. Interiormente, Louis si era già scavato per l’ennesima volta la fossa da solo, perché davvero, quella continuava a essere la prima impressione peggiore di sempre e a mano a mano che i minuti passavano, Louis continuava a mettersi in ridicolo con le proprie mani con una facilità esasperante.

“Vuoi del tè? O preferisci un succo di frutta o…” domandò Harry, schiarendosi la voce, per mascherare il proprio divertimento ai danni di Louis, ovviamente, dimostrandosi un ottimo padrone di casa.

“Il tè andrà bene, sì, grazie, se ce l’hai!”

“Ce l’ho!” annuì il riccio, prendendo dalla credenza due tazze, posandole sul bancone e riempiendo il bollitore con dell’acqua, prima di accendere il fuoco.

Louis lo vide spostarsi nella grande cucina, chinandosi poi a prendere qualcosa da dentro il forno e con un sorriso mostrargli una torta.

“Non ti garantisco nulla, perché non l’ho ancora assaggiata, ma giuro che non è avvelenata!” promise e Louis sorrise appena, grato al ragazzo di aver rotto a quel modo il ghiaccio, interrompendo quel loro imbarazzante silenzio.

“Il profumo sembra buonissimo!” gli fece sapere, sporgendosi per inspirare meglio l’aroma ti cacao e un qualcosa di sottilmente dolce, un aroma di vaniglia o cannella.

“Grazie, l’ho fatta io” ci tenne a fargli sapere Harry, mentre posava davanti a loro due piattini e forchette, tagliando poi con attenzione il dolce, una fetta per ciascuno.

“Oh” commentò semplicemente Louis e pensò che quel ragazzo fosse decisamente meglio di qualsiasi fantasia mentale Louis potesse, o magari anche no, aver fatto su di lui e
la sua vita.

“Louis, giusto?” Harry parlò di nuovo, guardandolo un istante, incontrando i suoi occhi azzurri, prima che il fischiare del bollitore lo distraesse. Harry si voltò a spegnere il fuoco, versando l’acqua nelle tazze, direttamente sul filtro, lasciandolo poi in infusione.

“Sì…” annuì di rimando Louis.

“Vuoi dello zucchero?” gli indicò il piccolo contenitore e Louis rimase un attimo indeciso se chiedere o meno, non che volesse fare l’ospite poco cortese, ma…

“Che c’è’?” domando Harry, appena divertito.

“Io solitamente prendo il tè con del latte, se ce l’hai” ripeté, incerto ed Harry annuì di nuovo, mostrandogli per la prima volta quel suo sorriso e quelle sue fossette che Louis fu felice di scoprire che esistevano davvero e non erano solo uno strano effetto speciale della macchina fotografica.

“Sì, ce l’ho!” ripeté, prendendo da frigo un brik, posandolo sul tavolo.

Louis lo prese, ringraziandolo e versando qualche goccia nel proprio tè, mescolandolo piano i due liquidi.

“Allora Louis” fu ancora Harry a parlare, attirando su di sé l’attenzione dell’altro. “Ti ringrazio davvero tanto di aver trovato la mia macchina e, beh, di non essertela tenuta. Insomma, non sarebbe stato da tutti restituire un oggetto del genere. Per cui grazie, lo apprezzo davvero molto, è davvero importante per me!” continuò, dimostrandogli tutto il suo riconoscimento.

Louis prese un sorso di tè e si strinse nelle spalle.

“In realtà, l’hanno trovata le mie sorelline, loro volevano tenersela” ammise, guardandolo da sotto in su, nascondendo un piccolo sorriso contro il bordo della tazza.

“Eh?” Harry sembrava sconvolto da quella rivelazione, ma Louis vide una certa dose di divertimento nei suoi occhi.

“Beh, grazie ancora di più allora. Quella macchina mi serve per studio e mia sorella non sarebbe stata contenta se l’avessi persa, me l’ha regalata quest’anno per il mio compleanno e, beh, era un signor regalo!” ammise.

“L’avevo immaginato. Come hai fatto a dimenticartela al parco, comunque, voglio dire, non ci hai pensato?” chiese, sinceramente curioso, mentre assaggiava il dolce che Harry gli aveva offerto ed era seriamente la cosa più buona che Louis avesse mai mangiato, davvero. Per lo meno, la cosa più buona preparata dalle mani di un ragazzo: Louis ammirava molto chi sapeva destreggiarsi ai fornelli, l’unica sua dote in cucina era mettere a bollire l’acqua per il tè, da quando una volta era stato capace di carbonizzare dei semplici toast era stato bandito a vita dalla cucina di casa Tomlinson, il che, davvero, grazie, non ci teneva proprio a ripetere l’esperienza. Proprio no.

Harry lo osservò in silenzio e dal momento che non stava rispondendo alla sua domanda, Louis si fermò, la forchetta a mezz’aria, guardandolo confuso.

“Che c’è?” chiese, passandosi la lingua sulle labbra in un gesto automatico, ripulendosi da un po’ di zucchero a velo.

“Ti piace?” chiese Harry, un gomito poggiato sul bancone e  il pugno sotto al meno, in attesa del suo verdetto.

“Passabile” commentò d’istinto Louis, ritrovando tutta la sua ironia, a mano a mano che prendeva confidenza con il ragazzo seduto davanti a lui e che lo fissava, sentendosi a suo agio in quell’ambiente nuovo. Non era da lui lasciarsi mettere in difficoltà a quel modo, non era un ragazzo timido e impacciato, anzi, era proprio l’opposto, il fatto era solo che quegli occhi e quel sorriso l’avevano preso alla sprovvista, stava solo prendendo del tempo per studiare il suo contrattacco.

Per un attimo Harry sembrò preoccupato da quel commento e sinceramente dispiaciuto per quella critica secca pertanto Louis non riuscì a trattenere un sorriso e cedette. “È buona, Harry, davvero” lo rassicurò e l’espressione in qualche modo oltraggiata dell’altro lo fece scoppiare a ridere.

“Ti prendi gioco di me?”

“Tu non mi rendi di certo il compito difficile” gli disse, stringendosi nelle spalle e guardandolo di nuovo, le guance piene di torta. “Non mi hai risposto, comunque” gli fece notare e Harry annuì, bevendo un lungo sorso di tè, prima di spiegargli.

“In realtà, non lo so come sia successo. Cioè, la tengo sempre al collo, proprio perché mi conosco” fece un vago cenno con la mano a riassumere tutto e nulla e Louis si ritrovò a fissarlo incantato dal modo in cui gesticolava e accompagnava il racconto con parole dal tono lento e morbido e sì, Louis decretò che quello doveva essere il modo in cui il riccio si esprimeva di solito. “Ero così concentrato nel fare le foto che ho perso cognizione del tempo, ero arcisicuro di aver rimesso la macchina nella custodia e invece quando sono tornato a casa era vuota!” si sconvolse da solo per quella sua mancanza, pungendo un pezzo di torta e mangiandola con fare infastidito al solo ricordo, molto probabilmente si era rimproverato tantissimo la sera precedente per il pasticcio che aveva combinato. “Quando me ne sono accorto era troppo tardi ed ero arcisicuro che non l’avrei più ritrovata. Questa mattina mi sono alzato presto, speravo in un miracoloso colpo di fortuna, magari nessuno l’aveva notata ed era ancora lì, ma ovviamente, non c’era… beh, ce l’avevi tu” riassunse.

“Noi abbiamo fatto un giro di ricognizione ieri sera, per restituirla, ma senza successo. Stamattina avevo lezione, non sono potuto passare che nel pomeriggio, abbiamo avuto la stessa idea, solo che in tempi diversi” gli fece notare Louis e Harry annuì.

“Già… grazie, comunque, davvero!” continuò a dirgli. “Mi chiedo solo come tu abbia fatto a trovarmi” fu lui stavolta a voler soddisfare la propria curiosità.

“A dire il vero non lo so neanche io” ammise Louis. “Penso che la macchina volesse tornare da te o qualcosa del genere e mi abbia guidato” lo guardò, facendo una pausa e Harry corrugò la fronte, incerto.

“Mi stai prendendo di nuovo in giro?” domandò, per accertarsene.

Loius rise: “Forse… no, sul serio, non lo so, ieri ho… ecco, ho già detto che mi spiace per averlo fatto, ma ho guardato nella galleria, volevo, non so, vedere se ci fosse una qualche indicazione per trovarti, sai, qualche luogo familiare, una scuola nella quale andare a chiedere di un certo Harry” disse, indicando la tracolla e voltandola sulla scritta per spiegare come mai conoscesse il suo nome, e il riccio gli sorrise, annuendo semplicemente. “Ma non c’era nulla, solo paesaggi e persone anonime che non mi dicevano assolutamente nulla. Poi beh, una volta che sono stato al parco per quasi un’ora e tu non sei comparso ho preso una strada a caso, l’ho seguita e sono arrivato alla piazza, quella con la fontanella e tu l’avevi fotografata!” gli disse, mettendo troppa enfasi nel suo racconto, come se stentasse ancora a crederci di essere stato, sì, poteva ammetterlo, guidato da lui dalla macchina.

“Mi piace molto quella piazzetta!” annuì Harry, infilando quel commento come fosse una sorta di intercalare.

“Poi ho visto il panificio e mi sono detto che doveva per forza essere la via giusta, fino a che non sono arrivato davanti casa tua” concluse, prendendo la tazza ancora calda tra le mani e finendo il proprio tè.

“Come sapevi che fosse questa casa mia?” chiese Harry, inclinando appena il capo. “Ce ne sono tante qui.

“La foto con la ragazza bionda” ammise Louis, il suo tono era appena sceso di intensità. “La casa era questa, ho riconosciuto la porta e gli alberi del giardino, credo” spiegò meglio e Harry annuì, avendo ora il quadro completo.

“Gemma!” gli disse.

Louis lo guardò perplesso, posando le braccia sul piano.

“Mh?”

“La ragazza bionda” lo citò. “Gemma, mia sorella” spiegò e Louis non aveva alcun motivo di sentirsi così sollevato per quel chiarimento, proprio nessuno. Anche perché, questo escludeva che lui avesse una relazione incestuosa a questo punto, ma non era detto che non avesse una fidanzata da qualche parte.

Si limitò ad annuire, semplicemente, mentre distrattamente ripuliva il tavolo dalle briciole e ammucchiava i resti sul piattino ormai vuoto, vedendo Harry fare lo stesso e liberare il tavolo, sedendosi di nuovo davanti a lui. Prese tra le mani la macchina fotografica per osservare la galleria e le prime foto che vide erano quelle che Louis aveva fatto quel pomeriggio al parco e che l’altro aveva dimenticato di cancellare. Harry sorrise, voltando il piccolo schermo verso il ragazzo seduto di fronte a lui, sollevando un sopraciglio.

“Queste non le ho fatte io” disse e Louis si ritrovò ad arrossire, imbarazzato.

“Quelle… ecco, per quelle ho una spiegazione” iniziò, ricordandosi improvvisamente di un particolare che in quel momento aveva assolutamente intenzione di giocare come il più classico asso nella manica. “Sì, io ho una spiegazione, ma prima dovresti spiegate tu  a  me per quale motivo hai scattato una foto a me e alle mie sorelle ieri al parco, l’ho vista sai?” gli disse, assumendo un’aria impettita guardandolo con espressione divertita.

Harry, colto in fallo, si torturò le mani, mordendosi l’interno del labbro inferiore, prima di spiegare.

“Non è stato intenzionale, nel senso, non è che sono rimasto lì a fissarvi, devo avervi trovato in qualche modo artistici ed ero lì per fare una sorta di ricerca, ecco” gli spiegò, senza guardarlo, giocando con gli anelli che portava al pollice e sull’indice. Louis rimase ipnotizzato da quel movimento e senza smettere di fissare le sue mani, chiese: “Ricerche? Tipo?”

“Beh” Harry sollevò di scatto la testa e gli sorrise ampiamente. “Devo presentare la mia tesi tra qualche settimana e devo scegliere l’argomento, ma sono indeciso, non vorrei utilizzare temi triti e ritriti, per cui fotografo un po’ in giro quello che mi colpisce, sperando di trovare presto l’idea giusta” iniziò a spiegare con entusiasmo. Una lice particolare illuminava in modo ancora più intenso quelle iridi verdi: “Sai, quella sensazione che mi fa pensare che ‘è lei, è la mia Musa’ una cosa del genere” cercò di spiegarsi in parole semplici, senza apparire come uno di quegli artisti pazzi e fuori di testa.

Louis annuì, in qualche modo comprendendo il ragionamento dell’altro, prima di rielaborare nella sua mente quelle informazioni e sollevare lo sguardo su di lui.

“Aspetta, laurea? Quanti anni hai?”

“Ventuno” sorrise Harry.

“Wow, cioè, credevo fossi… sei più piccolo di me, comunque. Cosa sei una sorta di supergenio?” chiese.

Harry scoppiò a ridere, gettando indietro la testa e Louis decise in quel momento che la sua crisi esistenziale più grande sarebbe stata quella di scegliere tra cosa gli piacesse di più tra il suono delle parole mentre Harry parlava o quello della sua risata. La cosa di cui era assolutamente certo era che avrebbe dato qualsiasi cosa per sentirlo ridere in quel modo così sincero ancora.

“No, niente del genere, dopo il diploma ho scelto un corso di laurea breve, tre anni, appunto, poi spero di poter fare un master, magari in qualche famosa città d’arte, sai…” confessò e sul suo viso comparve un leggero rossore. Delizioso, si ritrovò a pensare Louis, non potendosi trattenere dal sorridere di riflesso, perché, davvero, come faceva Harry a fargli perdere in quel modo la padronanza di sé e il controllo sui propri muscoli facciali? O quello del battito del suo cuore che accelerava senza permesso? Non lo sapeva e non era possibile perché conosceva quel ragazzo da qualcosa come un’ora o poco più e questo non era decisamente normale.

“Sembra davvero interessante, Harry, sul serio. Spero che possa trovare presto la tua Musa ispiratrice!” gli disse con convinzione, mentre si alzava con tutta l’intenzione di togliere il disturbo, aveva restituito la macchina fotografica al legittimo proprietario e il suo compito lì era finito.

Stava per ringraziare l’altro per la cortese ospitalità, quando Harry lo sorprese con una semplice affermazione.

“Oh, ma io l’ho trovata!” disse, alzandosi a sua volta e guardandolo con un sorriso che Louis pensò fosse davvero esagerato con le fossette in bella mostra; se non avesse smesso immediatamente, Louis non avrebbe risposto di sé se si fosse avvicinato a pizzicargliele con le dita.

“Oh, beh, buon per te, no?” gli chiese, guardandolo incerto, quando lo vide aggirare velocemente l’isolotto e fermandosi a un passo da lui, continuando a sorridere.

Louis batté più volte le palpebre, sollevando il capo, perché Harry era davvero alto e questo non era per niente giusto nei confronti di Louis, ancor meno lo era quello che l’altro aggiunse subito dopo.

“Louis, puoi essere tu la mia Musa ispiratrice? Ti prego!” gli chiese, congiungendo le mani in una muta richiesta.

“Cosa? No! No! Perché mai dovrei?”

Questo era davvero il colmo, un finale assurdo, di una giornata assurda.

“Adesso sei tu che ti stai prendendo gioco di me!” lo rimbeccò.

“Assolutamente no, voglio davvero che sia tu il mio progetto di laurea e ok, magari così suona un po’ male, ma ti prego!”

“Ho già detto no. Io non sono un modello, se vuoi qualcuno da fotografare, sono certo che in giro c’è di meglio!” asserì, annuendo convinto.

“Ma a me non serve un modello! Non mi interessa la perfezione. Oh, io credo che tu sia bellissimo, un bellissimo ragazzo, davvero!” gli disse sincero e Louis sentì il proprio cuore perdere un battito a quelle parole. Harry doveva essere decisamente impazzito e Louis non poteva dare tutto quel credito alle parole di un folle.

“No, ascoltami, Louis, guarda!” Harry si allungò sul tavolo a prendere la sua macchina e la riaccese, ritrovando la foto di cui stavano parlando prima, quella che ritraeva Louis e le sue sorelle mentre giocavano al parco. “Parlo di questo. Questo è bellissimo!” gli disse semplicemente, guardandolo, sperando che comprendesse. Louis osservò di nuovo la foto e, sì, lui per primo aveva pensato che fosse un bello scatto, che avesse dentro delle emozioni, ma lui era di parte, erano le sue sorelle, lui le amava ed era logico che ci fosse quell’aurea attorno a loro. Però Louis non se ne intendeva di fotografia, proprio per niente, gli scatti che aveva fatto al parco quel pomeriggio ne erano la prova e Harry nel vederli aveva ridacchiato.

No, tutto quello non aveva assolutamente senso, per cui scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli, incerto.

“Senti, Harry…” esordì, ma l’altro lo interruppe.

“Io me ne intendo, Louis!” parlò di nuovo Harry, quasi avesse letto nella sua mente e questo era senza dubbio abbastanza inquietante e rendeva la situazione ancora più paradossale, sempre, sempre peggio. “Io voglio portare questo. Voglio parlare di questo, di emozioni, non voglio fare la solita tesi ripetitiva sulla natura, sulla vastità del cielo come sinonimo di libertà, non mi interessa” scosse il capo con enfasi, i ricci che gli incorniciavano il volto si mossero, scompigliandosi ulteriormente. “Io voglio portare questo, voglio che l’amore sia il tema centrale della mia tesi e sì, l’ho realizzato adesso, ma era questo quello che stavo cercando, è questa la scintilla, Louis. Sei tu, ti prego, ti prego, ti prego!” lo supplicò, guardandolo con occhi grandi, speranzosi.

Il più grande era senza parole e continuava a fissare Harry, incredulo. E dovette per forza leggere qualcosa nei suoi occhi, Harry, perché riprese con meno enfasi e facendo un passo indietro, per lasciargli i suoi spazi, per non farlo sentire oppresso.

“Senti, io lo so che non mi conosci, che non mi devi niente e che in cambio di questo enorme favore che ti sto chiedendo, non posso darti niente, materialmente parlando intendo” fece un vago gesto con la mano e si morse il labbro inferiore prima di continuare. “Non posso pagarti, offrendoti dei soldi che, ovviamente, non ho” chiarì, ridacchiando.

“Non voglio essere pagato” borbottò Louis, con fare offeso, per il solo fatto che Harry avesse pensato di retribuirlo e che lui potesse essere stato portato a cedere solo con la prospettiva di un ipotetica retribuzione.

“Lo so, non fraintendermi, non lo penso, era per spiegare. Non mi conosci e io non conosco te, ma non penso di essermi sbagliato, non dopo questo” gli indicò la macchina fotografica. “È stato involontario ieri quando vi ho ritratti, lo sai, ma mi avevate comunque colpito ed eravate una tra le mie opzioni, tra le mie scelte” cercò ancora di argomentare, ma Louis non ne era affatto convinto, per cui scosse il capo.

“No, mi dispiace, Harry, ma no. Non sono la persona adatta” tagliò corto e proprio in quel momento il cellulare di Louis iniziò a suonare e il ragazzo lo prese, interrompendo il contatto visivo con Harry, voltandosi appena per rispondere.

“Lottie? Sì, sì, lo so, adesso arrivo. No, tutto apposto. Sì, dille di non preoccuparsi. A tra poco. Ciao” fu solo un breve scambio di battute il loro, ma quando Louis si voltò di nuovo per salutare Harry, vide che non era più vicino a lui. Si era spostato invece di nuovo davanti all’isolotto che armeggiava con qualcosa, ma Louis non capiva cosa stesse facendo.

“Harry, io adesso dovrei andare” gli disse, per attirare la sua attenzione, magari dato il suo rifiuto a fargli da modello si era offeso, ponderò per appena tre secondi, perché quando il più piccolo tornò a guardarlo, gli sorrideva. Harry si avvicinò a lui, tendendogli una busta di plastica che Louis prese dubbioso.

“Cos’è?”

“Torta. Portala alle tue sorelle, per ringraziarle di aver ritrovato la mia macchina!” spiegò, stringendosi nelle spalle e facendogli strada, accompagnandolo alla porta.

“Beh, grazie allora” annuì Louis, stringendo i manici della busta, fermandosi non appena mise entrambi i piedi fuori da casa Styles.

“Non c’è di che” Harry gli sorrise di rimando, prima di incurvare maggiormente le labbra verso l’alto e poggiarsi mollemente allo stipite della porta. “Allora, posso rivederti, Louis?” chiese.

“Cosa? Perché?”

“Perché mi stai simpatico e ho deciso che vorrei usare te come modello per la mia tesi di laurea, te l’ho detto” ritornò candidamente sull’argomento.

“Sì, ma io ti ho detto che non lo voglio fare” ribatté, come se il precedente scambio di battute a riguardo e i suoi ripetuti no, non fossero stati sufficienti.

“Oh, ma io so essere molto persuasivo!”

“E io non sono corruttibile te l’ho già detto.”

“Sì, l’hai fatto, ma sono certo che davanti alle mie torte potresti cambiare idea” decise di cambiare approccio.

“In effetti, sono certo che se mangiassi tutte le tue torte diventerei grasso e allora non vorresti avermi più come modello, potrebbe essere una soluzione” ragionò Louis, divertito dal modo in cui Harry riusciva a tenergli testa.

“Non sono così superficiale!” si offese il più piccolo e Louis scosse il capo.

“Ora me ne vado davvero, sono abbastanza lontano da casa, non abiti esattamente nel mio quartiere” commentò, incrociando le braccia al petto.

“Oh” Harry fece una pausa e poi abbassò lo sguardo, dispiaciuto. “Scusa, hai ragione, vuoi che ti chiami un taxi?” si preoccupò, premuroso. “Hai fatto tutta questa strada solo per riportarmi la macchina, è il minimo che possa fare per sdebitarmi.”

Louis scosse la testa.

“Non ce n’è bisogno, posso tornare a casa da solo e poi potrei farmi una corsa, per tenermi in forma, devo smaltire quella bomba calorica che mi hai propinato per merenda o il mio coach mi caccerà dalla squadra per la mia pessima forma fisica.”

“Pratichi qualche sport?” domandò Harry.

“Calcio, sono il capitano di una piccola squadra, ma siamo forti.”

“Sei un soggetto sempre più interessante, Louis Tomlinson. Adesso in alcun modo mollerò la presa, tu sarai il mio cento con lode agli esami finali” decretò, salutando poi l’altro con un cenno della mano quando Louis si limitò a rispondergli sollevando gli occhi verso l’altro, stringendosi nelle spalle.

E quella non era di certo una sconfitta. Non gli aveva lasciato l’ultima parola, non si stava ritirando, semplicemente si stava comportando come il ragazzo responsabile e maturo quale lui era. Assolutamente.


***

La settimana appena trascorsa era stata abbastanza frenetica per Louis, per non dire micidiale.

Prima c’era stata la sessione d’esame speciale: dopo un’estenuante battaglia che lui e altri studenti avevano dovuto combattere con il professore e per la quale l’avevano non senza fatica spuntata, aveva dovuto fare i salti mortali per riuscire a essere sufficientemente preparato per quella prova e, grazie al cielo, qualcuno doveva volergli molto bene lassù da qualche parte, perché era  riuscito a passare l’esame con un voto che non compromettesse la media del suo curriculum accademico.

Poi gli allenamenti di calcio con la squadra: il coach, Louis non capiva per quale motivo, si era intestardito con la squadra, perché a suo dire non stavano sfruttando al massimo il loro potenziale, e aveva deciso che, proprio quella settimana avrebbero dovuto fare una full immersion con sessioni di riscaldamento al mattino prima delle lezioni e una buon’ora di allenamento extra la sera, dopo le solite due di pratica del pomeriggio.

In quei giorni arrivava a casa che a malapena si ricordava come si chiamasse, salvo poi dover fare appello a tutte le proprie, poche, forze rimaste, per fare il bravo fratello maggiore e figlio devoto, aiutando le sorelle e la madre in casa per quello che poteva.

Quindi quando la sera prima era andato a letto, dopo aver giocato un po’ con le gemelle e averle messe a letto, con il pensiero di non dover puntare la sveglia troppo presto per l’indomani, si era addormentato immediatamente, grato di avere l’indomani, una giornata all’insegna dell’ozio e del nulla assoluto.

Ragion per cui, quando sua madre l’aveva scosso per una spalla, chiamando piano il suo nome, Louis ci aveva messo un attimo a capire dove si trovasse e per quale motivo la donna lo osservasse con quell’espressione in viso, un misto di dolcezza e incertezza.

“Mamma” mugolò, portandosi un braccio sugli occhi. No, non voleva svegliarsi, voleva continuare a dormire e non fare assolutamente niente.

“Louis, tesoro” aggiunse e Louis sapeva che quello era l’inizio della fine.

“Mamma, ti voglio bene, lo sai, tantissimo, ma…”

Non riuscì a concludere la frase che sentì uno scalpiccio di passi esagitati percorrere il corridoio e poi due risate allegre rimbombare nella sua camera.

“Boo! Boo!” le voci delle gemelle, fin troppo alte e sveglie, mentre Louis ancora stava cercando di capire che ore fossero, -presto, molto presto, ne era certo-, gli arrivarono dritte nelle orecchie quando le due bambine salirono sul materasso per accertarsi che il ragazzo prestasse loro la dovuta attenzione.

Louis mugolò, decidendosi ad aprire gli occhi, sospirando e mettendosi seduto: il lenzuolo gli scivolò sui fianchi e Louis rabbrividì per un momento, prendendo tra le proprie braccia quei due terremoti in miniatura, stringendole a sé. Nessuno avrebbe potuto dirgli che non fosse un fratello maggiore che non si prendeva cura delle sue bambine, lui le adorava, viveva per le sue sorelle, anche se queste lo svegliavano a orari improbabili come…

“Mezzogiorno?” chiese, guardando la madre, la quale gli sorrise, annuendo e sedendosi sul suo letto.

“So che sei stanchissimo, Louis e non te lo chiederei se non fosse importante, ma io tra un’ora devo andare a lavoro e mi piacerebbe che pranzassimo insieme. Inoltre dovresti stare con le bambine” le guardò, addolcendo lo sguardo nel vedere quanto fossero contente di stare in braccio al fratello e giocavano l’una con le mani dell’altra, in una gara a chi ritraeva le dita prima che l’altra potesse colpirle, passando loro una mano tra i capelli.

“Lottie?” domandò Louis, sollevando lo sguardo sulla donna, la quale gli sorrise con fare complice e Louis roteò gli occhi al cielo.

“Ah! L’adolescenza!” esclamò con fare serio e greve e la mamma rise appena.

“Mi dispiace, Louis!” si scusò, consapevole che come al solito stava chiedendo al proprio figlio più di quanto avrebbe dovuto, appoggiandosi a lui, anziché fare lei da supporto a entrambi.

“Ehi, mamma, non ti preoccupare, ok? Lo so che anche tu stai sacrificando tanto per noi e poi per me non è un problema, davvero, adoro le gemelle, mi fa piacere aiutarti e voglio farlo. Quindi niente paranoie, va bene?” le disse. “Sono io l’uomo di casa, ricordi?” le fece presente, mostrandole un sorriso e Johannah si sporse in avanti circondando il figlio e le sue due più piccole in un abbraccio.

“Grazie Louis” gli disse, dolcemente, lasciandogli un’ultima carezza tra i capelli, prima di prendere in braccio una delle bambine, tendendo all’altra la mano.

“Andiamo, bimbe, lasciamo BooBear a prepararsi per il pranzo, mi aiutate a sistemare la tavola?” chiese loro, le quali annuirono entusiaste di rendersi utili e salutando con la mano il fratello, incentivandolo a sbrigarsi, perché altrimenti avrebbero mangiato tutto al posto suo.

Louis sorrise, prendendosi ancora qualche minuto per se stesso, lasciandosi di nuovo andare disteso con la schiena sul materasso, sprofondando sui cuscini, prima di decidersi a raggiungere le donne di casa in cucina, organizzando mentalmente un piano per quel pomeriggio.

Anche se si sarebbe ritrovato a fare di nuovo da babysitter, non aveva intenzione di fare comunque nulla di costruttivo, non che con Daisy e Phoebe, potesse essere comunque fattibile, ma aveva bisogno di un piano.

Avrebbe potuto portarle di nuovo al parco, ponderò tra sé. Una meta a caso, una delle tante, Louis aveva tante opzioni, ma il parco poteva essere la più fattibile e pratica, vicino casa, e poi le gemelle amavano quel grande prato verde, con gli alberi e il recinto degli anatroccoli e le tartarughe. Se si fosse ricordato di portare delle briciole di pane magari le avrebbero potuto dare da mangiare.

E Louis non stava affatto pensando all’eventualità che, in una così bella giornata, anche Harry, molto probabilmente, avrebbe potuto passare il suo tempo lì con la sua inseparabile –o quasi fino a che non la dimenticava di nuovo da qualche parte- macchina fotografica.

No, di certo, la possibilità di incontrare Harry quel pomeriggio non era il sassolino che pesava di più sulla bilancia immaginaria con la quale Louis soppesava le proprie scelte. Proprio no.

Inoltre, non aveva motivo di voler rivedere Harry o che Harry potesse andare lì casualmente sperando di trovarci Louis. Louis non stava sperando, ovviamente.

Ogni tanto, il pensiero di Harry che lo voleva usare come modello per il suo progetto di laurea gli tornava alla mente nei momenti meno opportuni. Era capitato spesso che succedesse mentre era a tavola e la madre doveva agitare una mano in sua direzione per risvegliarlo dai suoi pensieri e ripetergli quanto gli stava dicendo. O a lezione, mentre guardava gli appunti scritti sulla lavagna senza leggerli, in realtà. O mentre si allenava, e di questa sua piccola distrazione, una distrazione bellissima che aveva occhi verdi, capelli ricci e fossette morbide, -al diavolo, Louis aveva deciso che dovevano essere per forza morbide-, il coach non era mai contento. Mai. ‘Tomlinson, altri cinque giri di campo, veloce!’ questo era il modo che aveva l’allenatore per riportarlo con i piedi per terra.

Però Louis non aveva alcun motivo per voler rivedere Harry, proprio no.

“Louiiiis!”

“Eh?”

Ok, l’aveva fatto di nuovo, si era distratto pensando a Harry e la cosa iniziava a non essere molto salutare.

“Dimmi, piccola?” chiese dolcemente, guardando in basso verso Daisy che lo strattonava per la manica.

“Andiamo al parco?”

“Parco, giusto! Sì, andiamo!” annuì, prendendo le chiavi di casa e uno zainetto con la loro merenda, guardano le piccole vestite nei loro cardigan uno azzurro e l’altro verde acqua: erano state così brave da sistemarsi da sole per uscire e Louis sorrise intenerito nell’osservarle chiacchierare davanti a lui, prese compostamente per mano. Le seguì con lo sguardo e solo quando dovettero attraversare un pezzo di strada particolarmente trafficata, le separò, prendendo loro le mani, lasciandole andare di nuovo solo quando raggiunsero l’ingresso del parco.

Louis le guardò allontanarsi, sgambettando veloci, felici di poter correre a loro piacimento.

“Louis!” lo chiamò Phoebe, agitando una mano, affinché la raggiungesse.

“Che c’è piccola?” le chiese, abbassandosi sulle ginocchia, per essere alla sua stessa altezza.

“Guarda! Una papera con i paperotti, sono piccolissimi!” gli spiegò entusiasta, infilando un dito oltre gli incroci della recinzione per indicarle meglio.

“Louis!” lo chiamò poi Daisy a qualche metro di distanza, osservando con curiosità qualcosa vicino al lago. “Presto!” lo invitò ad affrettarsi e il fratello insieme alla gemella raggiunsero la bambina.

“Una ranocchia!” esclamò Louis, nel vedere cosa avesse attirato l’attenzione della sorellina e le sorrise, annuendo.

Il suono ormai quasi familiare di un obbiettivo che si chiudeva dopo uno scatto, fece voltare Louis che riconobbe dei ricci scuri dietro una macchina fotografica. Alzò gli occhi al cielo, fingendosi infastidito, nel vedere comparire da dietro l’obbiettivo anche un paio di ridenti iridi verdi e delle adorabili fossette attorno a un sorriso dispettoso.

“Harold!” lo appellò, prendendo per mano le bambine e nel vederlo parlare con qualcuno, si nascosero timide, dietro le sue gambe, guardando incuriosite quel volto nuovo.

Si ripresero alla svelta, però, quando Phoebe indicò il petto di Harry con un dito.

“Oh!” esclamò e Harry si avvicinò di qualche passo, mentre Louis chinava la testa per osservare la sorella.

“Louis!” lo tirò Daisy per la manica, guardando Harry con espressione stupita.

“Ciao, bambine!” salutò educatamente il riccio, chinandosi sulle ginocchia, restando a pochi passi di distanza dai tre fratelli, per dare in modo alle due bambine di familiarizzare con lui.

“Ciao!” lo salutarono in coro le gemelle e Louis sfiorò i capelli di entrambe, facendo le presentazioni.

“Bambine, lui è Harry. Ricordate la macchina fotografica che abbiamo trovato al parco l’altro pomeriggio?” spiegò loro.

“Era sua, Boo?” chiese Daisy, guardando il fratello e Louis annuì.

“L’ho trovata io!” disse Phoebe a Harry.

“Oh, grazie mille piccola, se non fosse stato per te l’avrei persa. Meno male che l’avete vista!” le ringraziò e allora le due bambine si avvicinarono a lui, da subito a loro agio con il più grande.

“Io sono Harry” si presentò di nuovo, guardandole alternativamente con un sorriso.

“Io mi chiamo Phoebe e lei è Daisy. Siamo gemelle!” spiegò, affermando l’ovvio, cosa che Harry trovò tenerissima, rivolgendo poi uno sguardo a Louis, il quale osservava a sua volta la scena con un leggero sorriso.

“Posso farvi una foto, bambine?” chiese loro, indicando la propria macchina e le piccole annuirono soddisfatte.

“Puoi farci una foto con le paperelle?” chiesero, andando a mettersi in posa vicino alla recinzione.

“Assolutamente!” affermò il riccio, seguendole. “Magari i modelli fossero tutti collaborativi come voi bambine!” disse, guardando con la coda dell’occhio Louis, sorridendogli appena divertito.

Il più grande alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto, osservando Harry scattare alcune foto alle sorelle, prima di voltarsi rapidamente di tre quarti e scattarne una a lui.

“Ehi!” protestò Louis, abbassando le braccia, sentendo Harry ridere.

“Questa è violazione della privacy, lo sai?” gli disse e Harry corrugò la fronte, affatto convinto.

“Non credo proprio” obbiettò.

“Io non ero consenziente!”

“Ma io non ho fotografato te. Io fotografavo quell’albero, tu sei semplicemente capitato in mezzo al mio scatto!” gli disse, indicando vagamente qualcosa alle spalle di Louis, il quale sbuffò.

“Bambine, venite, andiamo a fare merenda” le richiamò, indicando loro la panchina poco distante.

“Harry, vuoi fare merenda con noi?” offrirono in coro le gemelle e Harry annuì.

“Certo che sì!” ne fu entusiasta, infilandosi nuovamente la fascia al collo e allungando loro le mani che le bambine afferrarono disponendosi ognuna a un lato del riccio.

Louis li guardò per un attimo, fermandoli quando stavano per incamminarsi, facendo a sua volta qualche passo verso il riccio.

“Boo?” chiesero interrogative le bambine.

“Ferme così piccole” disse loro dolcemente, allungando le mani e sfilando dalla testa di Harry la fascia della macchina, scoprendo l’obbiettivo e puntandolo verso di loro, indietreggiando di qualche passo. “Sorridete!” chiese e quando vide tre splendidi sorrisi, premette il pulsante di scatto.

Harry scosse la testa, divertito, seguendo poi insieme alle bambine Louis, che aveva voltato loro le spalle precedendoli.

Quando Harry prese posto vicino a Daisy sulla panca, la bambina lo guardò per un attimo e gli sorrise, chinando il capo per osservarlo meglio.

“Mh?” Harry le sorrise, incoraggiandola a parlare.

“Mi piacciono i tuoi capelli!” esclamò, indicando i suoi ricci e Harry sorrise.

“Oh, grazie!”

“Sei molto bello!” aggiunse Phoebe, mentre prendeva dalle mani del fratello il vasetto di yogurt che l’altro le porgeva.

“Anche Louis è bello!” affermò Daisy, sorridendo al fratello che le schioccò un bacio sulla fronte, dando anche a lei la sua merenda.

“Lo so” annuì Harry e Louis lo guardò incerto, mentre prendeva posto accanto alla sorella, di modo che le due bambine stessero nel mezzo tra lui e il riccio. “Sapete?” continuò Harry. “Ho chiesto a Louis di farmi da modello per le mie foto, ma lui non vuole. Come posso fare per convincerlo?” chiese loro con espressione davvero dubbiosa, accavallando una gamba sull’altra, il gomito sul ginocchio.

Le bambine guardarono il fratello con occhi grandi, le labbra sporche di yogurt.

“Louis, perché non vuoi?” chiesero e il più grande guardò Harry abbassando leggermente le palpebre, arricciando le labbra.

“Beh” esordì, cercando una risposta esaustiva, incrociando per un istante lo sguardo di Harry, il quale sorrideva divertito, contento di averlo messo in evidente difficoltà. “Io non sono un modello” disse semplicemente, sperando che quella risposta le accontentasse e le bambine annuirono, continuando a mangiare da sole. Harry le trovò tenerissime e chiese loro di poterle fotografare ancora, sapendo già che la risposta da parte delle bambine sarebbe stata un entusiastica affermazione.

Quando entrambe finirono la loro merenda, Louis prese dei fazzoletti, ripulendole in viso, lasciando che fossero libere di andare a giocare da sole.

“Non allontanatevi” si raccomandò, seguendole con lo sguardo, sentendo poi un movimento accanto a sé, vedendo Harry scivolare più vicino a lui.

“Il tuo è stato un colpo basso!” lo accusò, pizzicandogli il braccio con due dita.

“È stato un colpo di genio, non puoi dire di no alle tue sorelline, non puoi deluderle, le hai sentite, no? Sei bellissimo, l’hanno detto loro!” ripeté, infilando le mani sotto le cosce, dondolando appena i piedi avanti e indietro, strisciando la suola delle scarpe sul prato.

“Non capisco perché tu sia così fissato con questa cosa!”

“Te l’ho detto, sei il soggetto ideale e poi non devi fare nulla di diverso che vivere la tua vita come hai sempre fatto, non ti chiedo nulla più di questo” insistette.

“Sarebbe violazione della privacy” ribatté.

“No, non lo è se tu sei consenziente!” obbiettò Harry.

Louis fece un verso esasperato a labbra serrate, alzando gli occhi al cielo.

“Cosa ci fai qui, comunque?” chiese dopo un po’ il più grande, voltando il capo verso il riccio, dopo aver controllato le sorelle sedute sull’erba che giocavano battendo le mani le une contro le altre, canticchiando una filastrocca.

“Speravo di incontrarti, sono venuto al parco ogni singolo pomeriggio da quando mi hai riportato la macchina!” ammise.

Louis lo guardò spalancando gli occhi.

“Sei uno stalker! E io che ti ho lasciato giocare con le mie sorelline!” portandosi con fare sconvolto una mano al petto, spingendolo per una spalla, facendolo sbilanciare sulla panca.

Harry rise ad alta voce: “Sembra più inquietante di come dovrebbe in effetti” ammise, alzandosi e prendendo tra le mani la macchina fotografica.

“Non ci provare, Harry!”

Ma nel momento in cui finì l’avvertimento, Harry aveva già scattato, intrappolando nell’occhio meccanico l’espressione scontenta del più grande.

“Sei venuto bene anche adesso, guarda!” gli mostrò l’anteprima, abbassandosi sulle gambe, poggiando un gomito sulla coscia di Louis, il quale si sporse curioso.

“Ma è orribile!” non fu del suo stesso avviso. “Cancellala, subito!”

“Non ci penso nemmeno!” si rifiutò Harry, alzandosi e camminando all’indietro, sfidandolo con lo sguardo, prima di voltarsi a raggiungere le bambine che giocavano, mostrando loro la foto del fratello.

Louis le vide ridere e sbuffò, prese lo zainetto, caricandoselo in spalla, raggiungendo i tre.

Il resto del pomeriggio lo trascorsero tutti e quattro insieme, bevendo del tè immaginario, passeggiando per il parco con le bambine che tenevano per mani i due ragazzi più grandi e con Harry che documentava ogni cosa con la sua macchina.

E Louis doveva ammetterlo, la compagnia di Harry era davvero piacevole, rideva e scherzava con lui e non gli aveva più fatto pressione affinché Louis gli facesse da modello per la sua tesi. Inoltre, le gemelle lo adoravano e spesso era stato Louis a ritrovarsi dietro l’obbiettivo della macchina a catturare delle istantanee che vedevano protagoniste le due bambine e Harry.

Quando poi Louis decretò che fosse arrivato il momento di tornare a casa le gemelle protestarono.

“Sei un guastafeste!” lo riprese a sua volta Harry mettendo il broncio.

“Non ti ci mettere anche tu!” Louis gli scoccò un’occhiata significativa, prendendo in braccio Daisy e chinandosi di modo che Phoebe gli salisse sulle spalle.

“Sono esauste, devo farle fare il bagno, prima di cena, sperando non si addormentino nella vasca, per colpa di qualcuno!” lo guardò sollevando le sopraciglia e Harry sorrise, un leggero incurvarsi di labbra colpevole.

“Ma si sono divertite, è questo l’importante, no?” provò Harry e Louis annuì.

“Non è stato male neanche per me!” ammise.

“Oh, quindi…?”

“No, no, Harry!” rimase deciso sulla sua posizione il più grande.

Harry sollevò davanti a sé le mani in segno di resa.

“Ok, ok, lasciamo stare… per ora!” aggiunse, sorridendo ampiamente, mostrando le fossette.

Louis sollevò gli occhi al cielo.

“Adesso me ne vado!” gli disse, ma non fece che pochi passi prima di fermarsi richiamando il più piccolo.

“Harry!”

“Sì?” chiese l’altro curioso.

“Le foto. Quelle delle bambine, posso averle?” domandò.

Harry annuì, prendendo dalla tasca dei jeans il suo telefono, creando un nuovo contatto in rubrica.

“Dammi il tuo numero” chiese.

“Non posso darti direttamente la mia mail?” obbiettò Louis, sistemandosi meglio le sorelle tra le braccia.

“No, voglio il tuo numero, così posso chiamarti quando mi pare” ammise candidamente, senza alcuna vergogna circa i suoi intenti.

“Stalker e anche pretenzioso” lo riprese, ma si avvicinò a lui e gli dettò il proprio numero, sentendo poi il proprio squillare quando Harry lo chiamò per lasciargli il proprio.

“Ti mando la mia mail per messaggio allora!” gli disse Louis, salutandolo e vedendo le gemelle fare lo stesso entusiaste.

“Ciao, Harry!”

“Giochiamo ancora insieme!” gli dissero e il riccio mosse verso di loro una mano, annuendo, assicurando che sarebbe stato lieto di rivederle.

“Ci piace, Harry, Louis!” gli dissero le bambine una volta a casa, mentre il fratello le cambiava per metterle a letto.

“Chi è Harry?” domandò a sua volta Lottie, che aiutava Phoebe a infilarsi il pigiama.

“Un amico di Boo, quello della macchina fotografica!” le spiegò.

“Boo, farà da modello a Harry!” annuì Daisy convinta.

“Io non-”

“Davvero?” lo interruppe Lottie, guardandolo con occhi enormi e con fare confuso.

“Non farò da modello proprio a nessuno” chiarì, lasciando cadere il discorso e facendo intendere alla sorella che le avrebbe spiegato poi dopo. Non aveva alcun motivo per nasconderle una cosa così piccola e insignificante come quella, sapeva che se l’avesse fatto avrebbe ingigantito il tutto e la sorella si sarebbe fatta un’idea assolutamente sbagliata circa l’intera faccenda.

“Buonanotte, piccole, dormite bene, a domani!” le salutò, dando loro un bacio sulla fronte, dopo averle rimboccato le coperte.

“Buonanotte, Louis” lo salutarono in coro le gemelle, addormentandosi esauste non appena chiusero gli occhi.

“Quindi?”

Una volta usciti dalla camera delle gemelle, Lottie non perse tempo per fare al fratello il terzo grado su Harry e il suo futuro da modello, sorridendo per la maggior parte del suo racconto.

“Fa delle buone torte!” fu l’unica cosa che commentò la ragazza e Louis la guardò stranito.

“E questo cosa c’entra?”

“È comunque un punto a suo favore!” disse Lottie, stringendosi nelle spalle. “Mi piacerebbe conoscerlo!”

“Scordatelo, non accadrà mai, noi non siamo neanche amici, lo conosco appena” obbiettò.

“Potreste diventarlo, se tu accettassi l’incarico.”

“Cosa che non intendo fare, Lots. Andiamo, guardami!”

“Io ti guardo e deve averlo fatto bene anche Harry da quello che mi dici, ma ehi, io sono solo tua sorella” gli disse, stringendosi nelle spalle e poi sorridendogli, dandogli un bacio sulla guancia, prima di chiudersi a sua volta nella propria stanza per la notte. “Buonanotte, Lou!”

“Notte, Lots!” la salutò a sua volta il ragazzo.

Quando finalmente ritrovò la pace e la tranquillità della sua stanza, Louis si lasciò andare nel letto sospirando stanco, adesso che poteva rilassarsi sentiva tutta la stanchezza di quella lunga giornata invaderlo; chiuse appena gli occhi, sospirando e raggomitolandosi nel letto, afferrando poi distrattamente il telefono che aveva lasciato sul cuscino, prima di scendere a cena e aiutare Jay a occuparsi delle sorelle.

Vide che vi era un messaggio non letto da parte di Harry che recitava semplicemente un ‘C’è posta per te’ con tanto di smile sorridente.

Louis scosse il capo: aveva mandato a Harry un messaggio con il proprio indirizzo e-mail appena arrivato a casa, salvo poi dimenticarsene completamente. Si sentiva troppo stanco per arrivare alla scrivania e accendere il computer, ma allo stesso tempo era anche curioso di vedere le foto di quel pomeriggio, per cui fece un accordo con se stesso e aprì l’allegato alla mail direttamente dal telefono.

Sorrise intenerito nel vedere gli scatti che riguardavano le sorelle, i loro sorrisi e le loro facce buffe, vi era anche quella che aveva fatto lui stesso a Harry insieme alle piccole e anche altre di loro tre seduti sul prato: rise piano nel vederne una che non si era neanche accorto che Harry avesse fatto, dove lui e le bambine prendevano il loro tè immaginario e Harry aveva colto proprio l’attimo in cui Louis fingeva di assaggiare con gusto un biscotto. Doveva ammetterlo era davvero bella, nonostante Louis stesse facendo una faccia oltremodo ridicola era una bella istantanea con le bambine che ridevano compiaciute.

E proprio in quella foto vi era una didascalia da parte di Harry che recitava semplicemente: questo è quello che vorrei, Lou.

Per un attimo, Louis rimase senza parole, senza riusciva a pensare a nulla, focalizzandosi su quell’ultima parola, sul nomignolo che Harry aveva usato per rivolgersi a lui e la sua mente creò una sorta di sonoro, immaginando come quelle tre semplici lettere sarebbero fuoriuscite dalle labbra e dalla voce di Harry se solo le avesse pronunciate davanti a lui.

E quel pensiero lo fece rabbrividire per un istante, azzerando qualsiasi altra funzione razionale nella sua testa. Era anche rimasto stranito da quel vorrei che aveva usato, una sorta di richiesta gentile, come fosse un modo per chiedergli stavolta in punta di piedi di aiutarlo in quel suo progetto, come se usando quella parola piuttosto che un’altra, Harry volesse fargli capire quanto per lui fosse davvero importante che Louis accettasse la sua proposta.

Si mise a sedere sul letto, sopraffatto da quei pensieri che l’avevano colto in modo così improvviso, continuando a guardare le ultime foto allegate, salvandole nel proprio telefono, appuntandosi mentalmente l’indomani di salvarle anche sul computer.

Si cambiò per la notte e impostò la sveglia per l’indomani, ma poco prima di chiudere gli occhi riprese il cellulare e cambiò lo sfondo del proprio telefono impostando quell’immagine che aveva esaminato a fondo poco prima, sorridendo allo schermo, prima di oscurarlo e mettersi finalmente a dormire.


***

Erano forse stati i tre giorni più noiosi e più lunghi che Louis riuscisse a ricordare e tutto perché dal suo ultimo incontro avvenuto con il riccio, per caso, al parco, Louis non aveva avuto notizie dall’altro: aveva creduto, non sperato, ci mancherebbe, lui non sperava proprio nulla, specialmente nei riguardi di Harry, che una volta estortogli il proprio numero di telefono, il riccio avrebbe intrapreso una sorta di crociata, ai limiti dell’assurdo per convincere Louis a fargli da modello e invece c’era stato solo silenzio.

Doveva ammetterlo, almeno con se stesso, che la cosa l’aveva un po’ deluso.

Insomma, se ci teneva tanto quanto affermava a lui avrebbe dovuto insistere un po’ di più, no? Louis avrebbe anche potuto cedere, dopotutto. Ma forse Harry si era stufato dei suoi rifiuti, magari nel frattempo aveva trovato un altro soggetto, aveva capito che fotografare le nuvole e il cielo sarebbe stato un progetto migliore di lui e aveva cambiato idea: gli artisti erano persone che seguivano l’onda della propria ispirazione in fondo, mutevoli e sempre in cerca di nuove emozioni e di nuove muse.

A dire il vero, Louis aveva anche pensato di andare al parco e sperare di incontrarlo casualmente per vedere se le cose fossero effettivamente cambiate come lui pensava che fossero, ma aveva abbandonato subito l’idea perché lo faceva apparire stupido e disperato ai suoi stessi occhi. Non sarebbe stata una bugia però il fatto che le gemelle chiedevano di lui e non vedessero l’ora di rivederlo e di giocare ancora insieme al riccio.

Però Louis non aveva trovato il coraggio necessario per accontentarle e lasciare che tutto fosse assolutamente casuale, nel caso in cui fosse stato fortunato da incontrarlo.
D’altro canto, avevano i rispettivi numeri, non dovevano aspettare che succedesse per caso che si incontrassero, se avessero voluto vedersi avrebbero potuto farlo senza terzi stratagemmi calcolatori.

E fu proprio mentre Louis si arrovellava in queste sue elucubrazioni mentali che il telefono vibrò accanto a lui sulla scrivania, dove si era seduto per tentare, invano, di studiare, avvisandolo di un nuovo messaggio.

Un messaggio da parte di Harry.

Sbarrò gli occhi, perché non era davvero possibile, aveva pensato a lui talmente tanto intensamente che il ragazzo gli aveva scritto.

Prese il telefono, sbloccando la tastiera e aprendo la conversazione.

‘Come la vedi una merenda da Starbucks?’ chiedeva.

‘Sono un grande fan, ma non mi piace andare da solo’ gli rispose, trattenendo a stento un sorriso.

La risposta di Harry arrivò rapida, come se stesse aspettando di vederlo digitare una risposta sulla chat aperta.

‘Intendevo con me. Era sottointeso’ chiarì Harry inserendo anche un’emoticon e Louis non faticò a immaginare quella stessa espressione sconsolata sul volto di Harry.

‘Dove sei?’

‘Al parco.’

‘Arrivo.’

L’ultima risposta di Harry furono una serie di faccine sorridenti che fecero sorridere a loro volta Louis.

Non ci mise molto a ad arrivare al parco e quando vide Harry, come prima cosa notò che non portava la macchina fotografica al collo.

“Non ti senti nudo?” domandò non appena lo vide, ancor prima di salutarlo.

“Cosa?” Harry lo guardò con un leggero sorriso divertito.

Louis lo indicò con un cenno del dito: “Non hai la macchina” commentò solo.

“Oggi sono in libera uscita, solo noi due” specificò, allargando il proprio sorriso e Louis scosse il capo.

“Quindi oggi non intendi corteggiarmi per il tuo progetto?” gli disse, affiancandolo per raggiungere il primo Starbucks distante solo qualche isolato.

“Ho diverse carte da giocare ancora e poi vedo che la cosa ti diverte, dì la verità, non mi hai ancora detto che accetti perché ti piace essere corteggiato” usò quello stesso verbo, guardandolo con la coda dell’occhio.

Louis si strinse nelle spalle.

“Volevo solo essere carino, visto che pensare a te come una sorta di giovane stalker è abbastanza inquietante” chiarì.

Harry rise e Louis pensò una volta di più che gli piaceva davvero tanto sua risata. E gli piaceva ancora di più il pensiero che fosse lui la causa di quel suono.

“Mi sono preso qualche giorno per rivedere i miei piani e capire dove ho sbagliato prima.”

“Per quello non mi hai chiamato?”

“Ti aspettavi che lo facessi?” chiese Harry ed era davvero sorpreso nel porgli quella domanda.

“No, ovvio che no, ho pensato solo che dal momento che avevi avuto il mio numero, estortomi con l’inganno, chiaro” iniziò e quando si rese conto che mentre parlava l’espressione compiaciuta di Harry cresceva a dismisura, si fermò. “Lascia perdere, non importa” liquidò la faccenda prima che potesse ulteriormente fare la figura dell’imbranato.

“Come stanno le gemelle?” domandò Harry per cambiare argomento e Louis sorrise.

“Bene, mi hanno chiesto di te, gli sei piaciuto molto, stranamente!”

“Come, stranamente?”

Louis rise, spingendolo per una spalla.

“Hai visto le foto?” domandò ancora Harry, mentre raggiungevano il locale e teneva la porta aperta affinché Louis entrasse per primo.

“Sì, erano molto belle. Sono piaciute molto anche alle ragazze!” spiegò, avvicinandosi al bancone per ordinare due frappuccini e due muffin.

“Vai a prendere posto!” gli disse Harry, spingendolo per le spalle, indicandogli un tavolino un po’ in disparte, vicino alla vetrata. “Ma io devo…” tentò di obbiettare, indicando la cassa, ma Harry scosse la testa.

“Andare al tavolo, sì? Vai!” gli disse ancora con un sorriso.

Louis lo guardò appena a labbra socchiuse, sentendo pericolosamente le sue guance arrossire per l’imbarazzo, perché Harry stava per pagare anche per lui e quello stava prendendo sempre più le forme di un appuntamento. Non voleva analizzare ancora come la cosa lo facesse sentire, sebbene avesse ben poco da analizzare a questo punto.

“Vado, vado, non mi spingere!” protestò, perché era l’unica cosa che poteva fare, andando a sedersi e aspettando alcuni minuti prima di vedere Harry raggiungerlo con un vassoio con sopra la loro merenda.

“A te!” disse Harry, mettendo davanti a lui la tazza grande colma di panna e il dolce.

“Grazie” mormorò Louis, prendendo tra le mani la tazza, vedendo Harry sedersi di fronte a lui, i loro piedi che sotto al tavolo si incastrarono senza che nessuno dei due ci facesse realmente tanto caso.

“Aspetta!” lo fermò Harry quando vide che stava per portare la cannuccia alle labbra. “Voglio fare una foto!” spiegò, mentre prendeva dalla tasca il cellulare e cercava la migliore angolazione per inquadrare i loro menù.

“Oddio!” Louis si appoggiò con le spalle contro la sedia, in attesa e quando vide Harry sorridere soddisfatto e fargli un cenno per poter continuare, prese il bicchiere e assaggiò la bevanda.

“Cosa stai facendo?” gli chiese poco dopo quando lo vide armeggiare con il telefono, fin troppo concentrato.

“La voglio caricare su Instagram!” gli spiegò, voltando il telefono per fargli vedere l’applicazione e il filtro bianco e nero che aveva messo alla foto. “Posso taggarti?” gli chiese poi Harry, fermandosi prima di inviare le modifiche.

Louis si strinse nelle spalle e prese a mangiucchiare il suo muffin.

“Io non ho Instagram!” ammise.

Harry lo guardò oltremodo sconvolto con tanto di bocca aperta, prima di riprendersi all’istante e avvicinare una mano al volto del più grande, muovendo le dita in avanti.

“Mh?”

“Dammi il tuo telefono!” ordinò il riccio.

“Perché?” chiese perplesso Louis.

“Tu dammelo!” continuò Harry, arcuando un sopraciglio.

Louis non sapeva per quale motivo l’altro fosse tanto insistente e non avrebbe dovuto dargli il proprio telefono senza aver ottenuto una dovuta e ragionevole spiegazione prima, ma si ritrovò a prendere il proprio cellulare e porgerlo al riccio dopo averlo sbloccato.

Harry sorrise nel notare il suo salvaschermo e lo guardò con espressione compiaciuta, ma evitando di commentare –grazie al cielo!-.

“Quando sei nato?” gli chiese Harry dopo aver frugato tra le impostazioni del suo telefono e Louis si ritrovò a rispondere automaticamente senza pensarci.

“Ventiquattro Dicembre.”

Harry scosse la testa con un sorriso.

“L’anno” specificò.

“’91. Ehi, cosa stai combinando?” chiese ancora, allungandosi sul tavolo per sbirciare cosa stesse facendo, il suo volto era vicinissimo a quello di Harry.

Louis registrò distrattamente il fatto che fu invaso dal profumo appena fruttato che in qualche modo aveva imparato a collegare al riccio, probabilmente fragranza di qualche prodotto che l’altro usava per i capelli o l’odore del detersivo dei suoi vestiti, non ne aveva idea, sapeva solo che era un buonissimo profumo.

“Mi hai creato un account Instagram?” disse, sollevando lo sguardo verso di lui e in quello stesso momento anche Harry fece lo stesso, sorridendo ampiamente, restituendogli il cellulare.

“Esatto! E mi sono aggiunto tra i tuoi amici!” gli rivelò, tornando al proprio cellulare, inviando la foto che aveva scattato prima, indicando poi il telefono di Louis.

“Mi è arrivata una notifica” gli disse l’altro, scorrendo il menù e aprendo l’applicazione che lo riportò all’istantanea in bianco e nero pubblicata da Harry.

“Adesso ogni volta che io pubblico qualcosa ti compare l’avviso” gli disse contento per quella sua pensata. “Anche io ti ho aggiunto ai miei preferiti, quando vorrai iniziare a
mettere qualcosa anche tu” gli spiegò.

Louis scosse il capo, tornando a rivolgere lo sguardo allo schermo del cellulare e premendo intuitivamente il dito sul piccolo cuore sotto la foto.

“Ti ho anche taggato!” confermò Harry, guardandolo e Louis sollevò un sopraciglio, sospirando.

“Ti piace davvero tanto questa cosa delle fotografie, vero?” gli chiese, continuando a mangiare il suo dolce, vedendo che anche Harry si era finalmente deciso ad abbandonare il telefono per concentrarsi sulla deliziosa merenda che fino a quel momento aveva lasciato da parte.

“Non è una sorta di hobby, sai” precisò Harry, parlando seriamente, guardandolo dritto negli occhi.

“Lo so, non intendevo essere scortese” mise in chiaro il più grande.

“Non lo sei stato, è solo che molte persone la vedono come una cosa stupida. Molte persone pensano che Instagram sia il massimo dell’arte, mentre quella è solo una minima parte di qualcosa di molto più grande” cercò di spiegargli. “Per me la fotografia è sempre stato qualcosa che mi ha accompagnato, fin da piccolo, ne sono sempre stato affascinato e mi piacerebbe un giorno che le mie foto fossero di ispirazione e riuscissero a trasmettere qualcosa” parlò sinceramente e con passione.

Louis rivide in quelle parole e risentì da quella voce morbida e lenta qualcosa che già aveva avuto modo di scorgere in Harry quel primo giorno in cui si erano incontrati, quando gli aveva chiesto di posare per lui per il suo progetto di laurea.

“Sono certo che un giorno ci riuscirai, Harry, hai molta passione e questo ti porterà lontano” gli disse a sua volta sincero, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.

“Grazie!” annuì il riccio, poggiando poi i gomiti sul tavolo, e aprendo le mani a coppa, posandovi il mento, sporgendosi a guardare Louis. “E tu non vorresti prendere parte al progetto? Voglio dire, sai che bello poterti vantare di conoscere una celebrità? Con il senno di poi potresti andare in giro a vantarti di essere stato una parte importante nel percorso di crescita artistica dell’un giorno famoso Harry Styles, che ne dici? Eh?” gli chiese, sbattendo le palpebre in modo comico.

Louis rise, incrociando le braccia sul tavolo e scuotendo il capo: “Non sono così affamato di notorietà!”

“Oh, eddai, Louis, come sei difficile!” sbuffò Harry. “Ti prego!” lo supplicò quasi, muovendo la testa avanti e indietro, alcuni ricci gli scivolarono sulla fronte e le guance e Louis lo trovò assolutamente irresistibile, pertanto fu veloce a prendere il cellulare, aprire la fotocamera e catturare quel momento, prima che il più piccolo si ricomponesse.

“Preso!” cantò vittorioso Louis, osservando lo scatto e ponderando per un istante l’idea che gli era appena venuta in mente, ghignando, rivolgendo uno sguardo dispettoso al riccio.

“Louis!” lo ammonì l’altro quando lo vide scorrere il dito sullo schermo del cellulare e poco dopo il proprio lo avvisò dell’arrivo di una nuova notifica Instagram.

“Hai iniziato tu!” fu il semplice commento che fece il più grande, osservando la foto che aveva appena caricato.

“Va bene, va bene, tregua!” decise Harry, guardando fuori dalla vetrata e proponendo a Louis di andare a fare due passi.

Ripulirono il tavolo dalle briciole e dagli incarti, uscendo dal locale e imboccando la strada ormai familiare per il parco.

“Comunque mi stavo chiedendo una cosa!” esordì Louis, rompendo il silenzio che era sceso tra loro, non era qualcosa di pesante o forzato, al contrario, ma voleva approfittare per chiacchierare con Harry e conoscerlo meglio. “Dove hai imparato a fare i dolci? La torta dell’altra volta, è piaciuta tanto anche a mia mamma!”

“Oh” Harry sorrise, le mani infilate nelle tasche del giubbino. “Hai presente la pasticceria che c’è nella piazzetta vicino casa mia?” chiese e Louis annuì. “Ho lavorato lì alcune estati fa e di tanto in tanto vado a dare una mano alla proprietaria, mi ha insegnato lei. È un’altra di quelle cose che mi piace fare, è rilassante preparare dolci. So anche cucinare, sai? Non solo dolci intendo” specificò.

“Wow sono sempre più colpito, Styles!” si complimentò Louis. “Io non so fare proprio nulla in cucina. A parte mettere a bollire l’acqua per il tè. Mi spiace un po’ infatti che mia mamma debba farsi sempre in quattro per noi figli, quando ha il turno di sera, dico. Ci sono solo io a badare alle mie sorelle e beh, non possiamo sempre mangiare pizza o cibo preconfezionato, quindi lei fa in modo di lasciarci sempre qualcosa di pronto che io o Lottie possiamo riscaldare senza mandare a fuoco la casa” chiarì.

Harry rise e imboccò l’entrata del prato, indicando all’altro una panchina, sulla quale presero posto, sedendosi vicini.

“Sei praticamente circondato da donne in casa tua e nessuna ha delle abilità in cucina?” ridacchiò Harry.

Louis fece scontrare le loro spalle, spingendolo, in una muta accusa.

“Ehi!”

“Scusa, scusa!” disse Harry, ma dal sorriso che gli stava rivolgendo, non sembrava effettivamente pentito. “Ehi! Parlando d’altro!” si riscosse, in seguito a un pensiero improvviso che fece. “Tu sai diverse cose su di me, ma tu cosa fai?” gli chiese Harry.

“Io?”

“Già! Cosa fai nella vita? A parte fare il babysitter alle tue sorelline e riflettere su una possibile carriera di modello” lo stuzzicò, ma Louis decise di ignorarlo per non dargliela vinta.

“Studio teatro” spiegò.

“Davvero? Wow, non l’avrei mai detto!” ammise.

“Perché?” chiese Louis.

“Non so” Harry si strinse nelle spalle. “E cosa nello specifico? Cosa vorresti fare?” si interessò, voltandosi con tutto il corpo verso di lui, incrociando le gambe all’indiana sulla panca. Louis si rilassò contro la spalliera, sollevando le gambe, abbracciandole al petto. “Promettimi di non ridere!” lo avvertì, prima di spiegarsi meglio.

Harry annuì, sempre più curioso.

“Promesso!”

“L’attore!” lo guardò con la coda dell’occhio dopo quella confessione e poi voltò il capo, poggiando la guancia sulle ginocchia, sfidandolo a non mantenere la parola data, ma Harry non sembrava avere alcuna intenzione di prenderlo in giro, anzi lo osservava con sincero interesse, aspettando che l’altro continuasse a parlare, per cui Louis decise di fidarsi e spiegò meglio. “L’ho deciso qualche anno fa, a scuola abbiamo messo su il musical di Grease e io ho interpretato Danny Zuko” gli rivelò.

Harry sorrise, annuendo e allungando le braccia davanti a sé, posizionò le mani unendo indice e pollice in un rettangolo, strizzando un occhio e osservando Louis da dentro quel piccolo schermo immaginario.

“Ti ci vedo abbastanza bene!” ammise. “È davvero una bella cosa, Louis. Siamo animi affini dopotutto, non pensi?” gli chiese, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandolo sporgendosi appena verso di lui.

Louis si risollevò di scatto e gli scoccò un’occhiata di avvertimento.

“Non mi convincerai, Harold!”

“Continua a ripetertelo” gli disse divertito il più piccolo, rimettendosi composto e alzandosi.

“Vuoi andare da qualche altra parte?” propose, indicando il parco, ma Louis scosse il capo.

“Devo rientrare, devo finire di studiare!” spiegò, ricordandosi dei libri che aveva abbandonato a loro stessi sulla scrivania.

Harry corrugò appena la fronte: “Mi spiace, non sapevo fossi impegnato e ti ho chiesto di vederci, perché non mi hai detto che avevi da fare?” gli chiese.

Louis si strinse nelle spalle: “Avevo bisogno di una pausa” spiegò semplicemente. “Mi ha fatto bene far svagare la mente, per cui grazie” gli disse con un sorriso.

Harry annuì: “Il piacere è mio allora. Ci rivediamo, ok?” gli chiese e Louis lo guardò con un mezzo sorriso, lasciandolo sulle spine.

“Vedremo!” gli disse solo e Harry scoppiò a ridere, salutandolo poi con una mano, prendendo strade diverse.


***

“Ehi Lou!”

Sentendosi chiamare, Louis aprì gli occhi, tenendo il capo basso per evitare che l’acqua lo infastidisse, voltando appena la testa per vedere Stan entrare nella doccia di fianco alla sua.

“Mh?” domandò, vedendo il sorriso che l’altro gli rivolgeva.

“Ti è successo qualcosa di bello per caso in questi giorni? Ti vedo più grintoso in campo, più motivato, mh?” indagò e una seconda voce allegra e dal marcato accento irlandese si unì in un assenso alla supposizione dell’altro giocatore.

“Ha ragione lui, Tommo! Sei super carico!” aggiunse Niall.

Louis si strinse nelle spalle, passandosi distrattamente la spugna insaponata sulle braccia, non riuscendo a impedire alle proprie labbra di curvarsi in un piccolo sorriso.

“Ah-ah!” Stan gli puntò un dito inquisitore contro lo guardò spalancando gli occhi.

“Cosa?” chiese. “Cosa, ragazzi, andiamo! Non è successo niente, sono sempre io, no? E poi, spiegatemi, devo avere un motivo nascosto per giocare bene a calcio?” obbiettò. “Io amo giocare, mi diverte e voglio vincere la prossima partita per le qualificazioni. Tutto qui! Faccio il mio dovere di capitano, non sono uno scansafatiche come voi!” li riprese, lasciando che l’acqua scorresse sul suo corpo portando via il sapone e la stanchezza per quell’allenamento intensivo.

“Sarà” concesse il biondino alla sua destra. “Ma non finisce qui” gli disse, allungando un braccio per pizzicargli il fianco scoperto e Louis si vendicò passandogli le mani tra i capelli insaponati, scompigliandoglieli.

“Ehi, Louis, brucia!” lo riprese, quando un po’ di shampoo gli andò sul viso, allontanandosi da lui.

Louis rise e chiuse il rubinetto, avvolgendosi una tovaglietta attorno ai fianchi, per raggiungere gli spogliatoi per cambiarsi.

I suoi amici erano davvero indisponenti delle volte, ma Louis li adorava, sarebbero piaciuti anche a Harry, soprattutto Niall, era certo che avrebbero facilmente stretto amicizia se solo li avesse fatti incontrare, magari un giorno di quelli avrebbe organizzato un incontro. A quel pensiero, Louis fermò la mano che stava aprendo il lucchetto del proprio armadietto e scosse la testa: e questa idea da dove spuntava fuori?

Certo, in quegli ultimi giorni lui e Harry si erano visti praticamente quasi tutti i pomeriggi, per lo più, anzi, totalmente, per volere del riccio, sapeva essere davvero insistente e persuasivo quando ci si metteva e Louis doveva ammettere che le sue continue attenzioni gli piacevano, la compagnia del più piccolo era piacevole.

Harry era divertente, anche con quelle sue pessime, pessime battute e la sua mania di fotografare qualsiasi cosa era riuscita a passarla anche a Louis che si ritrovava più spesso di quanto fosse abituato a fare con il cellulare in mano ad attivare la fotocamera più di quanto fosse necessario.

Inoltre Louis si era reso conto che gli piaceva sentir parlare Harry: avrebbe passato delle ore a sentirlo blaterare del nulla ed era certo che trovava i suoi sproloqui assolutamente interessanti poiché venivano pronunciati in quella cadenza tipica del modo di parlare del riccio, un tono morbido, lento e roco. Sì, Louis poteva essere onesto almeno con la vocina nella sua testa e ammettere che sì, pendeva dalle sue labbra. Bellissime, bellissime labbra, morbide e piene che Harry aveva la mania di mordere appena e di passarci sopra la lingua in un gesto naturale mentre parlava. Louis non poteva biasimarsi per aver notato e impresso nella propria memoria tutti quei dettagli di lui, chiunque l’avrebbe fatto: Harry aveva un che di ipnotico, era difficile concentrarsi su altro a essere completamente onesti.

Si rivestì, immerso in quei pensieri sul riccio e prese distrattamente il telefono per controllare l’orario, notando che vi erano alcune notifiche di Instagram segno che Harry aveva postato qualcosa.

Le aprì, curioso, e vide che nella prima foto, risalente a trenta minuti prima, erano stati disposti in modo più o meno calcolato tutti gli ingredienti necessari alla preparazione di un dolce: sul piano da lavoro c’erano una terrina con dello zucchero e una con della farina,  insieme agli strumenti che gli sarebbero serviti per la preparazione e la didascalia corrispondente era un semplice: Work in progress…

La seconda foto era invece un autoscatto di Harry, sempre rigorosamente con un filtro bianco e nero che ritraeva parte del viso del ragazzo sporco di farina sulle guance, il suo sorriso con tanto di fossette e dal lato destro della foto indice e medio facevano il segno della vittoria. La descrizione recitava: Man at work.

Louis si ritrovò a sorridere a quello scatto e stava per premere il dito sul piccolo cuoricino in basso a sinistra, quando vide la notifica in tempo reale di un altro post da parte del riccio: stavolta l’immagine era quella della torta finita accompagnata da uno smile compiaciuto.

In quel momento, Louis venne colto da un’idea improvvisa, per cui senza quasi pensarci, richiuse  l’armadietto, scavalcò la panca davanti a lui e gettandosi la borsa con il proprio cambio in spalla.

Salutò distrattamente i compagni con lo sguardo fisso sul suo cellulare, mentre colorava di rosso un cuore sotto ciascuna delle tre foto, prima di bloccare lo schermo e infilarlo nelle tasche della felpa.

Una volta fuori dalla palestra si mise sulla testa il cappuccio, aveva ancora i capelli bagnati perché nella fretta aveva scordato di asciugarli per bene e con passo veloce di diresse verso il forno dove sperava di trovare il riccio ancora a lavoro.

Quando entrò nel piccolo negozietto, sentendo il campanello attaccato alla porta suonare, avvisando chiunque fosse all’interno dell’arrivo di un nuovo cliente, Louis non vide nessuno dietro il bancone. Si guardò attorno sentendo poi dei passi e una voce nota accoglierlo: “Buon pomeriggio, in cosa possiamo esserle… Louis!” esclamò Harry, riconoscendolo e il più grande non poté trattenere un ghigno soddisfatto per essere riuscito nel suo intento di lasciare Harry senza parole.

“Ciao” lo salutò, avvicinandosi alla vetrina, osservando i dolci esposti.

“Ciao!” ricambiò ancora Harry, riprendendosi dal suo momentaneo smarrimento e avvicinandosi al bancone. “Cosa ci fai qui?” gli chiese, con un sorriso che gli illuminò anche gli occhi.

Louis non lo guardò ancora, concentrato invece su quei deliziosi muffin dai colori e dai gusti più svariati, picchiettando appena il dito sul vetro, prima di parlare e incrociare finalmente i loro sguardi.

“Ho appena finito gli allenamenti e qualcuno mi ha fatto venire voglia di dolce. Non ho fatto merenda, ancora, per cui…” gli disse, stringendosi nelle spalle come se fosse un caso che fosse passato di lì, quel quartiere non era neanche di strada, la palestra era letteralmente dalla parte opposta.

“Ho visto che hai visto le mie foto” gli rispose semplicemente Harry, uscendo da dietro la sua postazione, per avvicinarsi a Louis. Il riccio indossava ancora il grembiule e una morbida fascia per capelli teneva a bada i ricci ribelli onde evitare che gli cadessero sulla fronte e sul viso aveva un leggero velo di polvere bianca.

Louis sorrise, passandogli l’indice sulla punta del naso per ripulirlo, portandosi poi il polpastrello alle labbra, sentendo un gusto incredibilmente dolce.

“Zucchero a velo” commentò. “Ti sporchi come i bambini” aggiunse prendendolo scherzosamente in giro.

Harry rise e scosse la testa. “Succede, sai, quando si lavora!” gli disse, incrociando le braccia al petto. “Vuoi assaggiare una fetta di torta? Dovrebbe essersi raffreddata abbastanza!” gli disse,  indicandogli la porta dietro il bancone, la stessa dalla quale era uscito Harry per andare ad accoglierlo.

“Posso? Voglio dire, non è per qualche cliente?” spiegò meglio il suo dubbio.

“Nope. Sono solo oggi e mi annoiavo perché non abbiamo avuto molte richieste, quindi ho deciso di fare un esperimento e pasticciare un po’ con gli ingredienti” spiegò.

“Vuoi che ti faccia da cavia?”

“Assaggiatore sarebbe un termine più elegante e molto meno inquietante. La fai suonare malissimo!” lo rimbeccò, dandogli un leggero colpo al braccio. “Vieni dentro” gli fece strada, spingendo una piccola porticina per farlo passare per primo, guidandolo poi sul retro dove vi era la cucina.

“Wow!”

Non appena Louis mise piede nella piccola stanza annusò l’aria che profumava in modo ancora più intenso di aromi dolci che gli fecero venire l’acquolina in bocca. Si guardò intorno, osservando curioso i vari strumenti da lavoro, avvicinandosi all’impastatrice e sbirciando nel grande fusto, sfiorando con un dito le fruste elettriche.

Harry si avvicinò a lui, spuntando con la testa oltre la sua spalla, guardandolo con un sorriso. “Si chiama planetaria. Serve per impastare senza troppa fatica, ma non la usiamo quasi mai perché è molto più bello avere le mani in pasta!” gli spiegò.

Louis volse appena il capo, per guardare Harry, gli occhi verdi così vicini ai suoi, ridenti e bellissimi, le sue labbra a un soffio di distanza.
Indietreggiò con il busto cercando di non lasciar trasparire il proprio nervosismo, spostandosi ancora nella stanza, controllando gli scaffali con sopra diversi barattoli e buste ancora sigillate di farina, zucchero e prodotti tipici dolciari, tornando a guardare Harry.

“Un giorno potresti insegnarmi a fare una torta? Voglio dire, sono negato in cucina, sarebbe a tuo rischio e pericolo, ma da come lo dici sembra divertente” propose con tono leggero, sperando di apparire molto più distaccato di quello che in realtà era e dal sorriso che spuntò, completo di fossette, sul volto del più piccolo, ebbe idea che l’effetto non era stato quello sperato.

“Assolutamente sì! Molto volentieri!” gli disse Harry felice, indicandogli poi un tavolino e facendolo accomodare. “Siediti, assaggiamo la torta!” gli ricordò.

Louis posò a terra il suo borsone e si tolse il cappuccio dalla testa, abbassando appena la zip della felpa perché rispetto a fuori faceva davvero caldo là dentro. Non trovò affatto strano quindi che Harry se ne stesse tranquillamente con una maglia a mezze maniche, completamente a proprio agio.

“Ti va del tè?” propose il riccio, iniziando a riempire il bollitore con dell’acqua.

“Sì, grazie! Avete proprio tutto!” si sorprese Louis e Harry rise, accendendo il fornello e spostandosi a prendere le tazze. Si voltò sul bancone e prese un coltello grande, pronto a tagliare la prima fetta quando Louis lo fermò.

“Aspetta!” gli chiese, alzandosi e afferrando il proprio cellulare.

Harry lo vide azionare la fotocamera e poi cercare la migliore inquadratura, inclinando di lato la testa.

“Ti ho proprio contagiato!”

“Corrotto sarebbe più accurato” lo corresse Louis con un ghigno.

“Non ha alcun senso, lo sai?”

Il più grande si strinse nelle spalle e, una volta soddisfatto dello scatto, fece cenno a Harry di proseguire.

“Oh, grazie” fece l’altro sarcastico, scuotendo la testa e posando la punta del coltello esattamente al centro del dolce, affondando in una perfetta linea, dividendo a metà la sua creazione.

E Louis non si era perso un solo istante, immortalando il tutto con l’occhio della sua fotocamera, scegliendo lo scatto migliore e postandolo immediatamente sul proprio Instagram, ricordandosi di taggare il riccio nella foto.

Harry sentì il proprio cellulare squillare e guardò Louis divertito, mentre disponeva due fette sui piatti e le portava al tavolo.

“Puoi spegnere il fuoco?” chiese poi, quando sentì il fischio del bollitore informarlo che l’acqua avesse raggiunto la temperatura ideale. Louis obbedì, trovando una presina e versando da sé il liquido bollente nelle tazze dove Harry aveva precedentemente sistemato due filtri.

Raggiunse il più piccolo al tavolo, tendendogli una tazza fumante, posando la propria sul tavolo.

“Grazie!” gli sorrise Harry, sedendosi di fronte a lui, osservandolo mentre scrutava la sua fetta di torta con fare critico.

Louis sollevò il piattino, avvicinando il naso al dolce, valutandone da prima la fragranza e scorgendo lo sguardo interessato di Harry su di sé.

“Cosa c’è?” gli chiese, poggiando di nuovo il piatto e sbuffando.

Harry si strinse nelle spalle, muovendo la testa e lasciando che alcuni ricci gli sfiorassero le guance.

“Nulla, sono solo molto felice che abbia deciso di passare a trovarmi, mi piace che tu stia qui in cucina con me. Sto quasi sperando che tu debba dirmi qualcosa di importante. Una risposta positiva a ciò che tu sai, forse?” tentò, mentre rigirava il filtro nel cucchiaino, strizzandolo e lasciando i resti sul tovagliolo.

“Non ci sperare troppo, Harold. Mi pare di averti già spiegato che sono qui solo per la torta!” indicò il dolce davanti a sé, decidendo di assaggiarlo finalmente.

“È buona e morbidissima!” gli disse, apprezzando sinceramente il risultato.

“Davvero? Non ho messo le uova né il latte” spiegò, mangiando a sua volta, compiaciuto di sé. “Avevo paura che non venisse soffice abbastanza, invece devo farmi i complimenti” disse con modestia, scoppiando a ridere quando Louis sollevò gli occhi al cielo.

Mangiarono in silenzio, sorseggiando il loro tè in un clima disteso e sereno, senza alcuna tensione dovuta al loro mutismo che era un qualcosa di piacevole e quasi familiare.

Quando terminarono la loro merenda, Harry si alzò e coprì il resto della torta con un coperchio di plastica, ritirando quanto avevano sporcato, rimettendo in ordine e guardando l’orologio.

“Cosa devi fare dopo?” chiese, riempiendo il silenzio e guardando Louis che era rimasto seduto al tavolo, le dita delle mani intrecciate a riposare sulle proprie gambe.

“Nulla, perché?” lo guardò curioso.

Harry si poggiò con un fianco al bancone da lavoro e lo guardò con un sorriso appena timido. Louis lo trovò strano, dal momento che non si era mai comportato così, neanche la prima volta che si erano incontrati a casa sua.

“Ti va di andare a mangiare qualcosa fuori? Una pizza? Cinese? Quello che vuoi” propose e Louis inclinò il capo di lato, senza potersi impedire di sorridere leggermente. E non poté impedirsi neanche di ignorare il proprio cuore che aveva accelerato i battiti perché quella sembrava una richiesta di appuntamento ufficiale: nel senso di un vero e proprio appuntamento.

“Sì, va bene” accettò, cercando di non usare un tono troppo ricco di aspettativa e vide Harry rilassare le spalle, come se fino a quel momento fosse stato sulle spine: forse anche lui aveva inteso quella uscita in modo diverso rispetto alle loro precedenti, speciale appunto.

“Perfetto!” Harry si fece un attimo pensieroso e poi diede uno sguardo all’ingresso, affacciandosi per controllare la situazione e si portò poi le mani dietro la schiena, slacciandosi il grembiule e liberando i capelli dalla fascia, scuotendo la testa per sistemarli, passandovi in mezzo le dita. Louis lo osservò e irrazionalmente desiderò poter essere lui a farlo, affondare le mani in quei ricci che sembravano davvero morbidi.

“Ho appena deciso che oggi chiudiamo prima!” affermò Harry, prendendo la torta e incartandola per portarla via.

“Cosa? Puoi farlo?” domandò confuso Louis, prendendo il suo borsone, sistemandoselo sulla spalla, osservando Harry infilarsi il giubbino e recuperare il suo zaino.

“Sì, oggi comunque è stata una giornata abbastanza tranquilla, gli ordini sono stati tutti ritirati e tu sei stato il mio unico cliente delle ultime due ore, per cui” spiegò, stringendosi nelle spalle, facendo passare per primo Louis e controllando che nella cucina tutto fosse in ordine, prima di spegnere le luci.

“In realtà non ho pagato per la mia merenda, quindi non sono un cliente” lo punzecchiò, guardandolo con un sorriso e Harry sollevò gli occhi al cielo, spingendolo sulla schiena.

“Cammina e taci!” gli disse, disattivando anche le luci generali del negozio, eccezion fatta per quelle della vetrina che sarebbero rimaste accese ancora per alcune ore, prima di oscurarsi automaticamente con il timer.

Harry sollevò un braccio per tirare giù la serranda e mentre era chinato sulle ginocchia, il cellulare di Louis iniziò a squillare.

Louis si voltò verso Harry guardandolo con la coda dell’occhio, vedendo che stava ricambiando il suo sguardo. Louis annuì e sempre con lo sguardo fisso su Harry, che nel frattempo si era rimesso dritto in attesa e lo osservava curioso, si morse il labbro inferiore, a disagio.

“Sì, ok, no, tranquilla, arrivo subito!” disse, guardando il riccio con espressione dispiaciuta, chiudendo poi la conversazione.

“Problemi?” gli chiese Harry per toglierlo d’impiccio.

Louis sospirò, spostando il peso da un piede all’altro, stringendo la tracolla del borsone.

“Credo di non avere più la serata libera” affermò, guardandolo.

“Oh, sì, ok… nessun problema” gli disse subito Harry, cercando di non apparire troppo deluso da quel cambio di programma.

“Mi spiace, ma mia mamma ha avuto un emergenza a lavoro e ha bisogno che io torni a casa per stare con Lottie e la aiuti con le gemelle. Potrebbe cavarsela anche senza di me, ma non mi va tanto che stiano da sole in casa di sera” cercò di spiegare. “Lo so che sono troppo protettivo, ma…” lasciò in sospeso quel pensiero, torturandosi le dita delle mani.

“Hai il complesso del fratello maggiore o qualcosa del genere?” rise Harry, divertito ma Louis riuscì a percepire anche un tono intenerito.

Louis sbuffò, facendo sollevare il ciuffo sulla fronte e muovendo una mano per aria.

“Qualcosa del genere” concesse. “In fondo, sono io l’uomo di casa!” affermò, poggiando le mani sui fianchi e guardando Harry.

Il più giovane annuì e sorrise. “Sei scusato allora” scherzò, allungandogli poi la busta con il dolce. “Prendila e mangiala con le tue sorelle. Portala alle gemelle, da parte mia. Così mi ameranno ancora di più!” gli disse, mostrandogli un sorriso ampio e le sue fossette che Louis prima o poi avrebbe toccato o baciato, se Harry avesse continuato a sfidarlo in quel modo.

“Perché non gliela dai tu stesso?” si ritrovò a chiedere Louis.

“Come?”

“Sì, insomma, non penso tu abbia da fare in casa, dato che stavamo per uscire insieme, quindi, se ti va, puoi venire da me, possiamo cenare con le mie sorelle. E puoi mostrarmi le tue abilità di cuoco provetto, no?” propose, guardandolo negli occhi, sperando di non apparire così disperato come invece si sentiva perché voleva davvero passare altro tempo con Harry.

“Stai tentando di sfruttarmi perché non sai preparare qualcosa di commestibile, eh?”

“Sto per ritirare il mio invito. E io che avevo anche pensato di darti una ricompensa” buttò lì casualmente, voltandogli le spalle. “Addio, Styles!” si finse offeso e Harry rise, raggiungendolo in due passi veloci, facendo scontrare le loro spalle.

“Vengo volentieri, non vorrei mai che tu avvelenassi le mie bambine!”

“Non sono le tue bambine!” lo riprese Louis.

“Geloso?” scherzò Harry, sporgendosi appena per guardarlo, dato che l’atro fissava ostinatamente la strada, per non dargli più di tanto credito.

“Ovvio che sì! Non ti è permesso che loro vogliano più bene a te che a me. Ritornatene a casa, ritiro il mio invito” gli disse, guardandolo con la coda dell’occhio e Harry rise.

“Troppo tardi ormai. E poi ho già in mente la cena perfetta!” gli disse, sperando di suscitare la sua curiosità e Louis cadde dritto nella sua trappola.

“Cosa?”

“Se hai tutti gli ingredienti potrei preparare riso al curry con le verdure!” si entusiasmò.

Louis sollevò un sopraciglio scettico.

“Stai scherzando?”

“Perché? È buono e poi posso tagliare le verdure di varie forme, alle bambine piaceranno e mangeranno più volentieri. Oh, giusto, ma non credo siano le bambine il problema!” si corresse, guardando Louis.

“Stai insinuando qualcosa?”

“Assolutamente no!” Harry tirò comicamente le mani al petto, scuotendole davanti a sé e poi scoppiando a ridere, avvicinandosi ancora di più a Louis mentre camminavano e il più grande non poté trattenersi a sua volta dal sorridere, anche se non avrebbe dovuto, perché Harry lo stava palesemente prendendo in giro, ma non poteva farne a meno, il suono della sua risata gli piaceva, era contagiosa e lo faceva sentire bene.

“Siamo arrivati!” disse Louis, dopo un po’ che camminavano ed estrasse dalla tasca del borsone le chiavi, ma non ebbe bisogno di usarle, perché in quel momento la madre aprì la porta uscendo nel piccolo cortile.

“Oh, Louis, sei arrivato!” lo accolse lei con un largo sorriso, guardando poi alle sue spalle, notando la figura di Harry, rimasto in disparte.

“Ciao” lo salutò, avvicinandosi a lui.

“Buonasera signora, scusi l’intrusione” le disse educato, ma la donna scosse la testa, allungando una mano verso di lui.

“Sono Jay, la mamma di Louis, dammi pure del tu” concesse, mentre Harry si presentava a sua volta.

“Harry sa cucinare mamma ed è un bravo babysitter, l’ho portato con me per questo!” spiegò il figlio, guardando i due con un sorriso divertito.

“Louis!” lo riprese lei, scompigliandogli i capelli.

“Ho anche il dolce!” si intromise Harry tra i due.

“Oh, che caro, mi spiace per questo irriconoscente di mio figlio, accomodati, purtroppo io devo scappare a lavoro, ma fa pure come fossi a casa tua. Riferiscimi pure se  i miei figli combinano qualche guaio!” gli disse, posandogli una mano sulla spalla.

“Mamma, le gemelle conoscono già Harry e si comporteranno bene.”

“Oh, lo so, ma io non mi riferivo a loro, tesoro” lo prese in giro, baciandogli una tempia e facendo ridere Harry il quale tirò fuori la lingua per mostrarla dispettoso a Louis, ancora scioccato e senza parole per il modo in cui la madre si fosse alleata con Harry anziché stare dalla sua parte.

“È stato un piacere conoscerti, Harry!” salutò anche lui con un sorriso.

“Anche per me, Jay!” ricambiò il riccio educatamente e la donna si avviò verso la macchina, mentre i due ragazzi entravano in casa.

“Sono tornato!” si annunciò Louis, posando il borsone all’ingresso e sentendo dei passi veloci in avvicinamento.

“Louis!”

“Boo!”

Lo chiamarono in coro le gemelle, prima di notare la presenza del riccio dietro il fratello e spalancare le braccia prendendo di nuovo la rincorsa, arpionandosi alle sue gambe.

“Harry!” lo accolsero gioiose sotto lo sguardo incredulo di Louis che, offeso, li guardava senza parole.

“Ehi!” si lamentò, abbassandosi sulle ginocchia, picchiettando l’indice sulla schiena delle bambine che si voltarono verso di lui con un sorriso.

“Hai portato Harry!”

“E io ho portato una torta!”

“Evviva!”

“Giochi con noi, Harry?” gli chiesero speranzose.

Il riccio annuì e le due bambine gli presero le mani una per parte, trascinandolo verso il salotto dove su un grande tappeto vi erano sparpagliati diversi giocattoli, tra cui bambole, peluche e costruzioni.

Harry si spogliò della giacca, posandola ordinatamente piegata sulla spalliera del divano e lasciando anche lo zaino, dal quale prima estrasse la macchina fotografia, tenendola a portata di mano.

“Ci fai una foto?” chiesero le bambine, quando la videro ed Harry annuì, mentre le due si mettevano in posa sfoderando i loro migliori sorrisi.

Harry rise, guardando lo scatto e lasciando la macchina accanto a sé, iniziando a giocare con loro, cercando di seguire le istruzioni su un foglio per creare con i mattoncini colorati un’isoletta con tanto di palme e capanna.

Quando Louis tornò al piano di sotto dopo essere stato in camera sua a cambiarsi con un abbigliamento più comodo, si lasciò andare disteso sul divano, osservando i tre che a loro agio giocavano e ridevano quando Harry sbagliava a incastrare i mattoncini, non potendo trattenersi dal sorridere: gli piaceva la sensazione che provava nell’osservare Harry e le gemelle nell’intimità di quello spazio così familiare, nonostante le sorelline l’avessero attualmente scaricato. Si prese qualche attimo a osservare il profilo del viso di Harry, la curva morbida della bocca, il taglio degli occhi, i ricci che gli ricadevano scomposti sulla guance e sentì l’improvviso bisogno di sfiorarlo, di passargli le mani tra i capelli per tirarglieli via dal viso, di sentire se le sue guance fossero morbide come sembravano, se la sua bocca e le sue labbra fossero davvero calde contro le proprie come aveva immaginato.

A quel pensiero si riscosse, perché la cosa gli stava davvero sfuggendo di mano: Harry stava prendendo fin troppo il controllo dei propri pensieri e Louis doveva assolutamente controllare l’evolversi di quei suoi sentimenti nei confronti del riccio.

Si allungò sul divano, prendendo dal pavimento la fotocamera di Harry e, una volta messosi seduto dritto, scattò qualche foto ai tre, usando poi lo zoom per imprimere qualche dettaglio: le mani di Harry che montavano mattoncini, i volti delle sorelle, i loro piedi che battevano tra di loro coperti solo dai calzini colorati.

“Guarda, Louis!” Daisy attirò la sua attenzione mostrandogli la loro opera finita e Louis scivolò dal divano al pavimento, sedendosi vicino a Harry, allungando le gambe sul tappeto e prendendo sulle sue cosce la sorella.

“È davvero un’isola bellissima, piccola!” si complimentò, mentre Phoebe prendeva a sua volta posto in grembo al riccio, sorridendogli.

Louis recuperò di nuovo la fotocamera e catturò quello scatto, mostrandolo poi al riccio, il quale sorrise intenerito.

“Che bella!” si complimentò, prima di voltare l’obbiettivo verso Louis e Daisy, la quale si mise subito in posa stringendo le braccia al collo del fratello, avvicinando le loro guance.

Harry catturò quel momento e studiò la foto, mostrandola di nuovo a Louis.

“Sei ancora convinto che non vuoi prestarti a farmi da modello?”

“Assolutamente!” affermò Louis, ma si ritrovò a sorridere, quasi fosse più un gioco ormai il loro, un tira e molla che vedeva già un unico vincitore indiscusso e questo non era Louis.

“Cocciuto!” sbuffò Harry, osservando poi le altre foto che aveva fatto Louis, guardandolo poi con un sopraciglio sollevato. “Hai del potenziale!”

“Io non direi, merito dei soggetti! Le mie sorelle, ovvio” aggiunse subito, prima che Harry potesse ribattere. E proprio in quel momento, Lottie fece il suo ingresso nel salone, guardando i quattro, restando un istante confusa.

“Ehi!” salutò, avvicinandosi e guardando Harry.

“Lots, lui è Harry, il ragazzo della macchina fotografica dispersa” le spiegò, lanciandole uno sguardo esaustivo che l’ammoniva dal commentare qualsiasi cosa.

Sguardo che ovviamente la più piccola prontamente ignorò, perché prese posto sul divano, sedendosi di modo da essere vicino a Harry, chinandosi verso di lui con un sorriso.

“Harry! Il famoso fotografo! Louis mi ha parlato tanto di te!”

“Davvero?” chiese il riccio, voltando di scatto la testa verso il più grande.

“No!”

“Sì!”

Risposero nello stesso momento fratello e sorella e Harry decise di dedicare la sua attenzione a Lottie, la cui risposta gli piaceva decisamente di più.

“Che ti ha detto?” si informò.

“Solo che gli fai la corte perché lo vuoi come modello per la tua tesi, ma lui non mi pare molto intenzionato a collaborare, per cui se ti va bene qualsiasi Tomlinson, puoi usare me come modella!” si offrì, spostandosi i capelli biondi, raccogliendoli di lato sulla spalla, improvvisando delle pose da copertina, arricciando le labbra in modo comico, facendo ridere le due sorelline e Harry.

“Lo terrò a mente, grazie!” le disse, facendo sollevare Phoebe da sopra di sé e posandola in braccio alla più grande, prima di spostarsi e puntare la macchina verso di loro.

“Proviamo, l’obbiettivo non mente mai!” disse, mentre faceva qualche scatto alle due, alle quali poi si aggiunge anche Daisy.

“Le tue sorelle mi piacciono di più, sai, loro sì che sarebbero delle Muse perfette!” disse Harry a Louis, quando furono da soli in cucina, dal momento che Louis, stanco di venire messo da parte da tutti, aveva trascinato il riccio in cucina, per fare il suo dovere e preparare loro la cena.

“Peccato che siano tutte minorenni e che io non te lo permetterei in ogni caso!”

“Ti tocca sacrificarti allora!”

“Scordatelo!” controbatté Louis e Harry rise, fermandosi davanti al tavolo da lavoro, guardando il padrone di casa.

“Io non so dove mettere le mani, per cui ti andrebbe di farmi da assistente?” gli chiese e Louis si dimostrò subito disponibile, mettendosi a completa disposizione del più piccolo, fornendogli gli ingredienti che gli servivano per cucinare –fortunatamente avevano in casa tutto per la ricetta che Harry voleva preparare- e aiutandolo per quanto nelle sue capacità nella preparazione del piatto.

Mentre Harry tagliava con cura le verdure, dando a peperoni, carote e zucchine forme di cuori stelle, fiori e mezzelune, con l’aiuto della punta del coltello, Louis ne approfittò
per scattare qualche foto con il cellulare da mettere sul proprio Instagram.

“Poi le voglio” gli disse il riccio, guardandolo con la coda dell’occhio, mentre mantecava con attenzione il riso unendo quasi a fine cottura la panna e il curry per insaporirlo il giusto.

“Tu mi devi poi passare le foto che ho fatto prima a te e alle gemelle e quelle con Lottie!”

Harry annuì distrattamente, sorridendo e spegnendo il fuoco sotto al fornello, lasciando riposare il riso per qualche minuto.

“Puoi preparare la tavola, io non so dove sono le cose, vado a chiamare le tue sorelle, posso aiutare Lottie con le gemelle” si offrì, sparendo dalla cucina e raggiungendo la ragazza più piccola in salotto.

Louis sentì le voci allegre delle gemelle esultare e poi vide i tre fare di nuovo il loro ingresso in cucina, Daisy e Phoebe entrambe in braccio a Harry, il quale le sistemò a sedere, prima di posizionare la pentola al centro della tavola imbandita.

“Ecco a voi, principesse!” disse loro, servendo una porzione di riso e verdure ciascuna e poi anche per sé, Louis e Lottie.

Quando tutti e cinque si furono finalmente accomodati, iniziarono a mangiare e Louis sentì le proprie guance pizzicare, le papille gustative in festa dopo aver assaggiato la prima forchettata.

“Allora?” chiese il riccio dal momento che i due fratelli più grandi erano rimasti in silenzio e lo guardarono con occhi grandi.

“Harry, sposami!” esclamò Lottie e Louis si voltò verso di lei.

“Lots!”

“Che vuoi? Tanto tu non te lo fili neanche di striscio” lo ignorò, continuando a rivolgere la sua totale attenzione al loro ospite. “Sul serio, Harry, dove sei stato tutto questo tempo? Ti prego, vieni a casa nostra a cucinarci prelibatezze più spesso!”

“Se convinci tuo fratello a farmi da modello per la mia tesi, potrei ripagarti con tantissime di queste cene!” ridacchiò Harry, felice di ricevere dalla ragazza tutti quei complimenti e lei gli porse una mano accuratamente smaltata oltre il tavolo per sigillare l’accordo.

“Affare fatto!” disse lei, annuendo convinta, riprendendo a mangiare, aiutando le sorelline a finire a loro volta.

Harry guardò Louis con un grande sorriso che gli illuminò completamente anche gli occhi e il più grande scosse il capo, finendo di mangiare con gusto la propria cena, spazzolando fino all’ultimo chicco di riso.

“Ne è rimasto un po’, per tua madre, può scaldarlo al microonde” suggerì Harry, mentre conservava la porzione rimanente in un piatto e tendeva a Lottie la pentola, per poterla lavare.

“Sicura di non aver bisogno di una mano? Li lavo volentieri insieme a te!” si offrì, ma la ragazza scosse la testa.

“Non se ne parla, ci mancherebbe, hai già fatto anche troppo, qui ci penso io, tu se vuoi puoi andare di là con le bambine?” suggerì. “Non voglio metterti a fare il babysitter, ma…” si strinse nelle spalle, indicando la cucina con uno sguardo e Harry annuì.

“Vado a dare una mano a Louis, allora, porto di là la torta, ti aspettiamo per mangiarla!” le disse, facendo cinque porzioni di dolce, sistemandole in altrettanti tovaglioli, di modo da non sporcare troppo nel salone, anche se dubitava che le bambine, ghiotte com’erano avrebbero prestato attenzione a non far cadere le briciole.

Quando arrivò nel salotto, Harry vide Louis che armeggiava con il lettore dvd, aspettando che le gemelle scegliessero quale film Disney vedere prima di andare a dormire, sentendo le due sorelline discutere animatamente tra loro sotto lo sguardo divertito del maggiore.

Raggiunsero alla fine un compromesso quando nello stesso istante, quasi per una sorta di legame telepatico tra loro, le due bambine si voltarono verso Harry, porgendogli diverse custodie con altrettanti titoli, lasciando a lui l’onore di decidere. Harry si morse indeciso un labbro, non volendo scontentare nessuna delle due, guardando Louis che stava ancora seduto accanto al televisore, ma l’altro non gli fu di grande aiuto quando si strinse nelle spalle.

Harry allora prese in mano i DVD e li mescolò a occhi chiusi, scegliendone poi uno e porgendolo a Daisy che allungò le braccia davanti a sé, sorridendo al riccio e poi trotterellando verso il fratello, tendendogli il film.

“Cenerentola” lesse, aprendo la scatola. “Davvero, Harold?” lo prese in giro, inserendo il disco nel lettore.

“Il caso ha deciso per me” si limitò a spiegare il più piccolo e Louis preparò tutto, vedendo in quel momento Lottie raggiungergli e prendere posto sul divano, giusto in tempo per l’inizio del cartone animato.

Louis premette il tasto play sul telecomando e si accomodò di fianco alla sorella, lasciando Harry seduto sul tappeto con le gemelle in grembo che mangiavano contente la loro torta, subito incantante allo schermo del televisore non appena la storia incominciò e la voce narrante descriveva la scena.

Nel salotto, le cui luci erano state abbassate per una migliore visione del film e per creare una sorta di atmosfera cinema, era calato il silenzio, tutti e cinque gli spettatori seguivano la trama, sebbene oramai sia piccoli che grandi conoscevano le battute quasi a memoria, riscoprendo la magia di quella storia fantastica come fosse la prima volta.

E fu durante il primo incontro nel bosco tra Aurora e il principe Filippo che Harry sollevò il capo, reclinando la nuca sulla seduta del divano, cercando con lo sguardo l’attenzione di Louis.

Il più grande sentì qualcosa sfiorargli la caviglia e si abbassò per vedere Harry che gli sorrideva.

“Che c’è?” chiese.

“Si sono addormentate” lo informò a bassa voce Harry, indicando le bambine, Daisy accoccolata contro il suo petto e Phoebe con la testa poggiata sulle sue gambe, entrambe già nel mondo dei sogni.

Louis annuì e abbassò le gambe, che aveva portato al petto per stare seduto più comodo, rannicchiato su se stesso, richiamando l’attenzione della sorella, impegnata a scambiarsi messaggi con le sue amiche.

“Lots” le indicò con un cenno della testa le più piccole e insieme liberarono Harry dal peso delle due bambine, per metterle a dormire nei loro letti.

“Torniamo subito” gli disse Louis mentre saliva le scale per raggiungere la camera delle bambine.

Harry si alzò dal pavimento, stiracchiandosi e allungando i muscoli della schiena, indolenziti e provati per essere stato a lungo in una posizione poco rilassante.

Quando le luci nella stanza di riaccesero, Harry vide che solo Louis era tornato e il più grande rispose alla sua domanda indiretta con un’alzata di spalle.

“Lottie è rimasta un po’ con le bambine per controllarle” gli spiegò e Harry annuì.

“Ok… sarà meglio che anche io vada, adesso” gli disse, guardando l’ora nello schermo del telefonino, prendendo le proprie cose.

“Grazie di tutto” esordì Louis, accompagnandolo alla porta e Harry sorrise.

“Grazie a te, sono stato bene. Salutami Lottie e tua madre. Ci vediamo in questi giorni, se puoi” aggiunse, mentre apriva da sé la porta e metteva un piede fuori sul piccolo portico.

Si allacciò bene il giubbino e rivolse a Louis un ultimo sorriso appena timido.

Louis annuì, poi quando vide Harry voltarsi, non gli permise di fare che pochi passi, prima di richiamarlo.

“Senti, Harry…”

Il riccio si fermò di nuovo, voltandosi appena e Louis fece solo un passo lontano dall’uscio, socchiudendo la porta dietro di sé.

“Va bene” gli disse semplicemente e Harry lo guardò senza comprendere, sbattendo le palpebre.

Il più grande sollevò gli occhi al cielo e abbassò la testa, infilando le mani dentro le tasche dei pantaloni della tuta, sbuffando. “Per quella cosa che mi chiedi sempre. Va bene, accetto” gli disse e Harry sorrise ampiamente, spalancando anche gli occhi, voltandosi completamente verso Louis.

“Davvero?” domandò incredulo.

“Sì e non farla tanto lunga!” minimizzò Louis, cercando di mettere su un’espressione quasi annoiata per non dare a quel suo gesto tutta l’importanza e la formalità che Harry invece pareva attribuirgli.

“Grazie!” disse solo il riccio. “Grazie, davvero, Louis!”

“Sì, sì, ma voglio qualcosa in cambio!” gli disse il più grande.

“Tutto quello che vuoi!” si offrì Harry, che ancora non poteva credere che Louis avesse sul serio accettato di fargli da modello per la sua tesi.

“Ancora non so bene cosa, ma quando mi verrà in mente preparati a ricambiare il favore” gli disse, curvando le labbra in un leggero sorriso e Harry annuì prontamente, i ricci
che gli scivolarono sulle guance e Louis dovette stingere i pugni dentro le tasche per impedirsi di avvicinarsi e riportarglieli all’indietro.

“Buonanotte, Harry” disse invece, salutandolo con una mano.

“Buonanotte, Louis” lo salutò il più piccolo, rimettendosi sulla via di casa.


***


“Quindi, ricapitolando, tu dovresti semplicemente seguirmi in una mia giornata tipo e scattare qualche foto, giusto?” riassunse spicciolo Louis, comodamente sdraiato sul letto di Harry, mentre giocava con una pallina antistress, lanciandola per aria e riacchiappandola al volo.

“Esatto… cioè, non proprio” lo corresse Harry, sollevando la testa dal libro che stava cercando di studiare, prima che Louis piombasse senza alcun preavviso a casa sua, autoinvitandosi a stare con lui perché si stava annoiando.

“Allora cosa?” chiese per l’ennesima volta il più grande poggiando i gomiti all’indietro sul materasso, sollevandosi con il busto, osservando la schiena del riccio.

Harry si volse, sedendosi cavalcioni sulla sedia, le braccia molli contro la spalliera, roteando gli occhi.

“Non deve sembrare una cosa forzata, capisci, se io ti seguissi in una giornata tipo, come dici tu, per prima cosa sarebbe un tantino noiosa come esperienza” esordì, venendo interrotto da Louis che si finse offeso.

“Ehi, grazie tante, mi dispiace se la mia vita non offre chissà quali esaltanti avvenimenti, perché mi hai voluto come modello, se pensi questo allora?” gli chiese, facendo una smorfia e tirando fuori la lingua.

Harry ricambiò come fanno i bambini dell’asilo, muovendo una mano per aria. “Lasciami finire, non sto dicendo che la tua vita sia noiosa, ma solo che non mi interessa seguirti nel quotidiano tanto per, vorrei che tu fossi semplicemente te stesso, cogliere gli attimi in cui non stai pensando a niente, men che meno al fatto che devi apparire in un modo anziché un altro solo perché sai che ti sto fotografando” cercò di spiegargli. “Non voglio che ti senta addosso chissà quale pressione, Louis. Mi piacerebbe riuscire a catturare con la mia macchina la tua vera essenza, come quel giorno al parco con le gemelle” chiarì e quando vide l’altro annuire e lasciarsi di nuovo andare di schiena sul letto, tornò al proprio libro.

Louis stette un attimo in silenzio, poi rotolò sul materasso e prese dal comodino la macchina professionale di Harry, togliendo il copri obbiettivo e iniziando a scattare qualche foto alla stanza, posizionò davanti all’occhio artificiale la propria mano che stringeva la pallina, perché gli sembrava una cosa piuttosto artistica. Si alzò, camminando per la stanza, fermandosi poi dietro Harry e pasticciò un po’ con i filtri impostando un classico bianco e nero, regolando poi la messa a fuoco e scattando quando si sentì soddisfatto.

Harry si accorse della sua vicinanza e si voltò, trovandolo a pochi passi da lui.

“Cosa stai combinando?” gli chiese divertito, abbandonando definitivamente l’idea di riuscire a continuare a studiare, alzandosi dalla sedia.

Louis prese posto ai piedi del letto, stringendosi nelle spalle, guardando gli scatti che aveva appena fatto.

“Vedere!” disse il riccio, salendo sul letto e scivolando con il sedere verso il muro, per poggiarsi con le spalle e stare più comodo.

Louis allungò un braccio verso di lui, restituendogli la macchina.

“Non male” apprezzò e Louis gattonò verso di lui, sedendosi al suo fianco, piegando le ginocchia che si scontrarono con le cosce del riccio e i piedi incastrati sotto le lunghe gambe che l’altro aveva disteso.

“Questa è un po’ fuori fuoco” gli spiegò, mostrandogli quella che ritraeva la sveglia sul comodino.

“Quando vuoi riprendere solo dei dettagli bisogna fare attenzione a diverse cose, l’angolo di luce e la messa a fuoco” gli spiegò, voltando poi la macchina verso di lui, muovendo le dita sul selettore della messa a fuoco dell’obbiettivo, quando inquadrò i suoi occhi.

“Fermo così” mormorò, premendo poi il pulsante di scatto e mostrando a Louis l’anteprima.

“Wow!” si complimentò il più grande. “Non sembrano neanche i miei. Sono così belli!” disse ridacchiando.

“Oh, lo sono. Dal vivo anche di più” Harry gli fece quel complimento sorridendo e Louis abbassò lo sguardo in imbarazzo.

“Fammi provare!” gli chiese, prendendogli di mano la macchina e inquadrando stavolta il suo viso, prima uno scatto agli occhi, poi parte degli zigomi sui quali i suoi ricci si posavano delicatamente e poi l’abbassò ancora, cercando di fotografargli le labbra.

“Ehi, il modello qui sei tu, non io!” si schernì il più piccolo quando Louis gli tese di nuovo la macchina, per guardare gli scatti fatti.

“Sono molto ben riuscite comunque” si complimentò con lui, voltando appena il capo. In quel momento Louis si rese conto che, per osservare meglio la foto nel piccolo display, si era completamente poggiato sul corpo del riccio, i loro volti erano a un solo soffio di distanza: se si fosse chinato appena sarebbe riuscito a sfiorargli le labbra con le proprie.

Sospettoso di quel suo improvviso mutismo, Louis mosse la testa e i loro occhi si incontrarono, quelli i Harry erano davvero vicini e Louis si scoprì a trattenere il fiato. Nessuno dei due si mosse per alcuni secondi e fu Harry a distogliere per primo lo sguardo, sorridendo appena quando si rese conto di come, in modo assolutamente casuale e naturale, i loro corpi si fossero facilmente incastrati.

Louis seguì il suo sguardo e quando si accorse della loro posizione, fece per muoversi, ma l’altro lo fermò, poggiandogli una mano sulla coscia con fermezza.

“Aspetta, fermo un secondo!” gli chiese, guardando direttamente attraverso la macchina e scattando una foto.

E anche se Louis poteva spostarsi adesso, non sentì più il desiderio di allontanarsi da lui, perché in fondo, stava bene così: gli piaceva sentire il corpo del riccio contro il proprio, il calore della sua gamba contro la sua, nonostante la propria tuta e i jeans dell’altro a fare da barriera. Quella vicinanza con Harry, nonostante l’imbarazzo iniziale da parte di entrambi, non era qualcosa che trovava difficile gestire, una parte di sé gli diceva che non vi era nulla di male, nulla di sbagliato nello trovarsi così con Harry. Pertanto rimase fermo, rilassandosi meglio contro i cuscini sul letto, tornando a guardare il più piccolo che aveva poggiato la macchina sulle proprie gambe e stava giocando con la fascia, passando le dita sulle lettere del proprio nome, perso in chissà quali pensieri dato il sorriso che gli aleggiava sulle labbra.

“Stavo pensando una cosa” esordì.

“Riguardo?”

“Hai detto che vuoi catturare la mia essenza, no?”

“Esatto” annuì Harry, curioso.  

“Beh, potresti venire agli allenamenti un giorno di questi e non so, ti siedi sugli spalti o in panchina e potresti osservarmi giocare. È una cosa che amo fare e non so, non mi sono mai osservato bene, sotto questo aspetto, perché quando riguardiamo le partite ci concentriamo sulla tecnica di gioco, per cui non so se faccio delle smorfie o, beh sai, si legge qualche emozione non propriamente onorevole sul mio viso, però…” si strinse nelle spalle, sperando che Harry avesse compreso cosa volesse dirgli nonostante a lui il discorso paresse abbastanza sconclusionato.

Quando vide Harry sorridere e annuire, però, capì che l’altro doveva averlo apprezzato e sorrise a sua volta.

“Se non disturbo i vostri allenamenti, mi piacerebbe molto, Louis, grazie” gli disse, sinceramente entusiasta.

“Non credo ci siano problemi, a volte abbiamo degli spettatori o il tifo di qualcuno che segue gli allenamenti” spiegò.

“Qualche bella ragazza, immagino” scherzò Harry spingendo la spalla di Louis con la propria e il più grande gli diede un piccolo pugno, facendo ridacchiare il riccio.

Un leggero bussare alla porta ruppe quella piccola bolla nella quale si erano estraniati e quando Harry diede il suo via libera per entrare, Gemma fece capolino, cercando Harry alla scrivania, ma trovandolo invece sul letto con Louis.

La ragazza bionda sorrise osservandoli, sollevando appena le sopraciglia, e Louis si sentì incredibilmente in imbarazzo sotto quello sguardo attento: raccolse le gambe al petto, spostando i piedi da sotto quelle di Harry e il riccio si sentì momentaneamente perso senza più quel contatto tra loro.

“Volevi qualcosa?” chiese Harry alla sorella maggiore e la ragazza annuì.

“La cena è quasi pronta. Louis, se ti va puoi unirti a noi, ci farebbe piacere” aggiunse, prima che l’altro potesse sentirsi di troppo o pensare che lo volessero cacciare,
chiudendo poi di nuovo la porta della stanza di Harry.

“Forse è il caso che vada” disse, invece Louis, alzandosi dal letto, recuperando le scarpe.

“Resta” gli chiese Harry, mettendo forse fin troppa speranza nella voce, aggiungendo poi, con più calma. “Insomma, sì, se tua madre non ha bisogno e le tue sorelle sono apposto.”

Louis lo guardò per un attimo, sinceramente tentato per quell’invito. In realtà quella era una delle poche sere in cui Jay aveva la serata libera e Louis avrebbe dovuto tornare a casa per passare una tranquilla serata in famiglia, ma allo stesso tempo voleva continuare a stare con Harry.

“No, ok, va bene, mi farebbe piacere restare!” annuì, accettando l’invito.

Harry sorrise e gli fece strada verso la cucina, trovando la sua famiglia riunita in cucina, indaffarata a preparare la tavola.

“Buonasera, grazie di avermi invitato a restare” disse educato, sorridendo ai genitori di Harry e Gemma.

“Sono felice che abbia deciso di rimanere, Louis. Harry ci ha parlato molto di te, così ti ha costretto a fargli da modello, eh?” gli chiese Gemma, mentre lo faceva accomodare a un lato del tavolo, vicino a Harry.

“Non l’ho costretto!”

“In realtà mi ha preso per sfinimento, non ho potuto fare altrimenti per evitare le sue continue insistenze!” stette al gioco, alleandosi con la ragazza ai danni del riccio.

“Ehi, voi due!” si indispettì Harry, mentre riempiva il piatto di Louis con dell’insalata, passando poi il recipiente alla madre.

“O me o mia sorella, Harold ho dovuto sacrificarmi per amore della mia famiglia!” continuò il più grande, vedendo che nonostante la presa in giro ai suoi danni, Harry continuava ad avere la gentilezza di riempirgli il piatto e servirlo senza neanche chiedergli cosa preferisse o meno.

“Oh, come siete antipatici! Quando diventerò famoso, poi, non venire da me a rivendicare diritti sulla nostra amicizia, perché fingerò di non conoscerti!” lo stuzzicò.

“Se diventerai famoso” lo corresse Louis, per il semplice gusto di vedere Harry spalancare la bocca indignato, “lo dovrai a me. Avrò tutti i diritti di pretendere i miei diritti!” formulò divertito, mentre Gemma batteva il cinque con Louis per essere riuscito a tenergli testa.

I genitori di Harry osservarono i due battibeccare, scuotendo la testa a quella scenetta, specialmente quando Harry si rivolse loro con un lamentoso: “Mamma, Gemma mi maltratta e anche Louis!” aggiunse, come se la donna potesse avere qualche influenza anche sul loro ospite.

Anne ridacchiò passando una mano tra i capelli del riccio per consolarlo, ma Harry sbuffò, sicuro che anche la donna fosse dalla parte dei due.

La cena proseguì in modo molto tranquillo, per lo più chiacchierarono dell’università, del nuovo lavoro di Gemma e della passione di Louis per il calcio. Il più grande si trovò incredibilmente a proprio agio con la famiglia del riccio e gli venne naturale farsi conoscere da loro, parlando di sé e della propria famiglia, tanto che Anne espresse il desiderio di voler conoscere Jay e le ragazze e Louis pensò che le due donne sarebbero sicuramente andate d’accordo.

Quando poi Louis, data l’ora, ritenne opportuno togliere il disturbo, Harry lo accompagnò alla porta, non prima di avergli impacchettato qualche biscotto da portare come assaggio alle sue sorelle e Louis sorrise, ringraziandolo.

“Mi ha fatto piacere la tua compagnia, Louis, i miei ti adorano, se non si fosse capito!” gli disse ridacchiando.

“E loro piacciono decisamente tanto anche a me, sono in gamba” ricambiò sincero il più grande, stringendo i manici della busta di carta tra le mani.

“Allora, passa agli allenamenti, va bene?” gli ricordò di nuovo Louis e Harry sorrise.

“Scrivimi se dovessero esserci problemi!” replicò il riccio e Louis sollevò gli occhi al cielo per quella sua ennesima preoccupazione.

“Buonanotte, Harry!” gli disse solo, salutandolo, prima di tornare a casa.

Prima di voltare all’incrocio di due strade, poi, si girò, in seguito a una strana sensazione e quando lo fece vide che Harry era ancora sulla porta e adesso lo stava salutando con una mano, Louis ricambiò il gesto e sparì dietro l’angolo.


***

Quando Louis arrivò sul campo quel pomeriggio, si sentiva nervoso: aveva parlato con il coach prima di iniziare gli allenamenti, spiegandogli a grandi linee la presenza di uno spettatore quel pomeriggio e l’uomo non aveva avuto nulla da obbiettare, fortunatamente, l’importante, gli aveva detto, era che Louis, nonostante questo, rimanesse concentrato, continuando a giocare bene come sapeva fare e il ragazzo aveva sorriso, annuendo, assicurandogli che questo non avrebbe compromesso gli allenamenti, anzi, probabilmente, grazie alla presenza di Harry, avrebbe dato ancora di più il massimo. Dal momento che aveva accettato di essere il fulcro della tesi di laurea del riccio voleva che questi facesse bella figura, voleva che i suoi scatti fossero i migliori che il più piccolo avesse fatto fino a quel momento, in fondo era questo il compito di una Musa ispiratrice, no? Essere il migliore. E Louis lo era, decisamente.

Quando sollevò la testa verso gli spalti, Louis vide che il ragazzo riccio era già lì, sedeva un po’ a disagio sulla panca, fregandosi le mani per il freddo dell’esterno e Louis sorrise intenerito nell’osservarlo: se avesse avuto il proprio telefono gli avrebbe fatto una foto di nascosto, ma non portavano mai effetti personali durante l’allenamento, quindi quell’idea passò veloce così come era arrivata.

“Lou!”

Quando Harry si accorse della sua presenza a bordo campo, sorrise, agitando una mano per salutarlo e il calciatore mosse pochi passi verso le gradinate, facendo cenno
all’altro di raggiungerlo.

“Ciao Harry!” lo salutò quando gli fu abbastanza vicino da parlare senza bisogno di sollevare la voce.

“Ciao! Grazie per oggi!” gli disse subito e Louis rise.

“Non ho ancora fatto niente” minimizzò, indicando poi con un cenno della testa il rettangolo verde. “Ho parlato con il mio allenatore, se vuoi puoi sederti vicino a lui” gli suggerì.

“Davvero? Sarebbe grandioso, grazie!” gli disse, guardandosi intorno per cercare un’entrata per raggiungere il campo.

“Di qua” lo istruì Louis, camminando in modo speculare a come stava facendo Harry, concedendogli l’accesso aprendo uno spiraglio oltre la rete divisoria.

“Ecco!” gli disse, indicando poi con un largo cenno delle braccia l’intera area.

“Grazie!” annuì Harry, tirando fuori la propria macchina fotografica e puntandola sul volto del più grande.

“Cosa fai?” lo riprese il calciatore, spingendolo per una spalla.

“Lavoro! E poi sei incredibilmente carino con i capelli tirati indietro con questa fascetta, sai?” gli disse candidamente e Louis sperò con tutto se stesso di non essere arrossito a quelle parole.

Vide Harry scattare altre foto di lui a figura intera, prima di muovere una mano davanti all’obbiettivo.

“Smettila adesso, non credo che un mio book fotografico in tenuta da calcio fosse l’argomento della tua discussione!” lo riprese, per nascondere l’imbarazzo che provava per tutte quelle attenzioni: il modo in cui Harry lo guardava lo agitava incredibilmente.

“Oh, queste non sono per la tesi” gli rispose semplicemente il riccio, ampliando il suo sorriso e Louis si ritrovò definitivamente senza parole.

“Ragazzi, tutti qui!” la voce del coach riportò all’ordine la sua squadra e con un cenno del capo Louis si congedò da Harry, raggiungendo il proprio gruppo.

Il riccio si avvicinò all’area di gioco, restando in disparte per non disturbare, ascoltando le raccomandazioni dell’allenatore. Approfittò per fotografare Louis nel suo ambiente, mentre con sguardo serio prestava la sua totale attenzione alle parole dell’uomo e poi a sua volta diceva qualcosa ai propri compagni sul modo in cui si sarebbero divisi per fare dei passaggi, incaricando ciascun giocatore di svolgere un determinato esercizio in base a quali fossero i loro punti deboli o quelli da rendere ancora migliori.

Harry si sedette poi sul prato, vicino alla linea bianca e continuò a seguire le mosse di Louis attraverso l’occhio preciso della sua macchina fotografica, controllando di tanto in tanto le anteprime, regolando l’esposizione delle foto e la messa a fuoco.

Quando vide Louis impegnato nell’esecuzione di qualche tiro in porta, trovandolo che si allenava da solo, decise di avvicinarsi a lui, di modo da poterlo riprendere da una distanza significativa, concentrandosi particolarmente sull’espressione del suo viso, quella determinazione che era riuscito a cogliere in più occasioni nel suo sguardo proprio prima di effettuare un tiro potente, la curva leggera delle sue labbra quando, mandando la palla in rete, si sentiva soddisfatto del risultato.

Quando sentirono l’allenatore fischiare per tre volte e richiamare i suoi giocatori per informarli che per quel pomeriggio la sessione di allenamento fosse finita, Louis si lasciò cadere sull’erba con l’asciugamano attorno al collo, distendendosi completamente inspirando l’odore di terra.

“Ottimo lavoro!” gli disse Harry, scattandogli un ultima foto e quando Louis aprì gli occhi lo vide sedersi accanto a lui e tendergli una bottiglietta d’acqua dopo averla aperta per lui.

“Grazie, sono sfinito!” ammise, ma il sorriso compiaciuto che gli illuminò il viso, lasciò intendere quanto quella sensazione lo facesse comunque stare bene.

“A te come è andata?” gli chiese, prendendo l’acqua e bevendola a piccoli sorsi controllati nonostante la sete.
Harry sorrise.

“Benissimo, come pensavo sei un modello davvero perfetto. Ho fatto diverse foto, quando le passerò al pc le vedrò meglio, ma posso ritenermi abbastanza soddisfatto” spiegò, battendo una mano sulla custodia che teneva appesa alla spalla, sorridendo al più grande. “Grazie ancora, Lou” gli disse poi a voce bassa, un tono dal quale traspariva non solo riconoscenza, ma anche una incredibile dolcezza che toccò qualcosa dentro Louis e gli scaldò il cuore che iniziò a battere leggermente più veloce.

Il calciatore sorrise, scuotendo il capo, ma non disse nulla; ancor prima di poter pensare di rispondergli, magari sminuendosi per l’ennesima volta, sentì Niall chiamare il suo nome e avvicinarsi a loro insieme a Stan.

“Capitano!” lo chiamarono e Louis si alzò, passandosi una mano sui pantaloncini, scuotendosi il sedere.

“Ragazzi!” li chiamò, vedendo Harry accanto a lui voltarsi a osservare i due nuovi arrivati.

“Ciao!” li salutò il riccio quando gli altri due furono abbastanza vicini e Niall gli sorrise con fare incredibilmente amichevole.

“Ehi! Sei per caso un ammiratore?” gli chiese il biondo, battendogli una mano sul braccio, guardando poi Louis.

“Deduco che lui sia la cosa bella alla quale dobbiamo il tuo umore di queste ultime settimane?” insinuò Stan e Louis spalancò gli occhi, muovendo velocemente le mani, riprendendo il compagno di squadra.

“Finiscila di far arieggiare la bocca, Stan!”

Harry fece passare uno sguardo confuso tra i tre e quando si fermò su Louis, questi sfuggì il suo sguardo.

“Harry” lo presentò il più grande, indicandolo. “Sta svolgendo la sua tesi su di me!”  spiegò loro cercando di non arrossire.

Niall, prevedibilmente, scoppiò a ridere in modo assolutamente poco carino, piegandosi in avanti, tenendosi la pancia, incredulo.

“Ridi, ridi tu, intanto quando io diventerò famoso ne riparleremo!” si finse offeso, incrociando le braccia al petto.

“Sei serio?” chiese il biondo direttamente a Harry, il quale annuì, spiegando brevemente la situazione.

“Caspita!” disse poi e anche Stan, di fianco a lui, era sinceramente incredulo.

“Io gliel’ho detto che non ero un soggetto adatto, ma ha insistito” Louis si strinse nelle spalle, guardando Harry, il quale a sua volta gli sorrise.

“Non avevo bisogno di un modello professionista, non mi bastava una bella faccia. Sai quanti amici modelli ho che sarebbero stati disposti a posare per me se solo avessi chiesto?” sottolineò con fare un po’ snob che fece spalancare la bocca di Louis incredulo.

Harry scoppiò a ridere, seguito da Stan e Niall.

“Che faccia, amico!” gli disse il biondo.

“Ma io ho scelto te” continuò Harry, circondando le spalle di Louis con il proprio braccio, attirandolo leggermente verso di sé, stringendolo appena prima di lasciarlo andare come fosse stato un gesto casuale.

“Ehi! Harry!” Niall prese di nuovo la parola, guardando il riccio. “Se non hai da fare adesso, perché non ti unisci a noi? Volevamo andare al pub per un aperitivo, ci stai?” gli chiese.

“Sì, sei un’ottima spalla per prenderci gioco del nostro caro capitano!” Stan sfotté l’amico, il quale non aveva davvero parole per il comportamento insubordinato dei suoi compagni di squadra.

“Se non sono di troppo, sì, mi farebbe piacere!” affermò, accettando l’invito.

“Ma quale di troppo!” lo rassicurò Stan, battendogli una mano sulla spalla e per sicurezza, Harry guardò Louis, mordendosi un labbro, in attesa anche della sua approvazione.
“Stai pensando che puoi scattare qualche altra foto, vero? Riconosco quella luce” indicò vagamente il suo viso, all’altezza degli occhi, riferendosi allo sguardo del riccio.

“Per puro interesse didattico!” ghignò Harry, sorridendo.

“Vado a farmi una doccia veloce. Aspettatemi!” ordinò a tutti e tre, indicandoli uno per uno. “E non parlate alle mie spalle in mia assenza!” li avvertì, facendo due passi indietro e poi correndo a cambiarsi.

Si ripresentò dai suoi amici che, come aveva pensato, si trovavano estremamente a loro agio con Harry, con i capelli ancora umidi per la doccia e perfettamente avvolto nella sua tuta preferita, la borsa sportiva a tracolla.

“Possiamo andare” li informò, sistemandosi tra Niall e Harry che stavano chiacchierando e ridendo di Dio solo sapeva su cosa, come fossero amici di vecchia data e non si fossero conosciuti solo una manciata di minuti prima. Mentre camminarono verso il pub nel centro della città, Louis registrò distrattamente di come il proprio corpo tendesse naturalmente verso quello del riccio al suo fianco: le loro spalle si scontravano di tanto in tanto e a volte sentiva il dorso della mano di Harry contro il proprio in un gesto casuale, le nocche sfregavano contro le sue dita quando magari gesticolava troppo esponendo un concetto o parlando di qualcosa che lo coinvolgeva totalmente.

Quando arrivarono a destinazione e scelsero un tavolo, fu altrettanto naturale per Louis scivolare seduto accanto a Harry sulla panca lasciando che gli altri due prendessero posto sulle sedie davanti a loro.

Niall sorrise e così fece Stan, guardandolo, ma Louis non se ne curò più di tanto, optando per il metodo dell’ignorare qualsiasi commento a riguardo per non dare modo alle loro supposizioni di ingigantirsi e diventare qualcosa di reale.

Ma lui stesso dovette ben presto arrendersi all’evidenza che effettivamente qualcosa era già diventato ovvio, quando si sorprese a fissare il riccio più di quanto fosse stato necessario, ritrovandosi in qualche modo incantato e incapace di distogliere lo sguardo dal verde dei suoi occhi, e studiando la maniera in cui si passava la lingua sul labbro inferiore mentre parlava o ascoltava quello che gli altri avevano da dire. Si riscosse poi totalmente quando Harry stesso lo sorprese a guardarlo e Louis se ne avvide quando sentì lo scatto della macchina fotografica di Harry puntata dritta verso il suo viso.

“Eh?”

“Alla buon’ora Louis!” ridacchiò Stan. “Stavi sognando a occhi aperti?” gli chiese, sollevando un sopraciglio e guardandolo con fare esauriente.

“Oh, no, scusatemi, mi ero un attimo distratto!” farfugliò, scoccando poi un’occhiata di rimprovero a Harry. “E tu smettila di rubarmi delle foto quando meno me lo aspetto!”

“Ma sono le foto migliori queste! Penso che questa finirà dritta dritta nella mia tesi!” annuì convinto, guardando l’anteprima.

Louis si sporse verso di lui, guardando insieme la foto che lo ritraeva e data la loro vicinanza il più grande poté bearsi del buonissimo profumo che Harry emanava, prima o poi gli avrebbe chiesto che fragranza avesse il suo shampoo, perché era qualcosa di incredibilmente particolare. Inoltre il suo corpo emanava tantissimo calore, Louis si sarebbe volentieri adagiato contro di lui e immaginava che se l’altro l’avesse abbracciato, non avrebbe faticato ad addormentarsi lì.

Si sentiva estremamente rilassato e la stanchezza dell’allenamento, ora che il suo corpo non era più carico di adrenalina, ne stava risentendo. Era solo perché le sue difese razionali erano così basse, si disse, che stava facendo quegli strani pensieri su Harry e sul fatto che desiderasse con tutte le sue forze che fossero soli e che il riccio lo abbracciasse.

Solo per quello, ne era certo, in condizioni normali non vi avrebbe indugiato.

“Non hai freddo così?” gli chiese Harry a bassa voce, guardandolo e sollevando una mano dietro la sua nuca, fece scorrere brevemente le dita tra i corti capelli, ritirandola però immediatamente, non abbastanza perché Louis non sentisse un brivido percorrergli la spina dorsale.

“Mh?” gli chiese solo, non fidandosi ad articolare una vera e propria frase dal momento che non aveva idea, se solo avesse dato fiato alla gola, di come sarebbe risultato roco e fraintendibile il suo tono.

“Avresti dovuto asciugarli meglio” lo riprese, indicando i suoi capelli e Louis si strinse nelle spalle, accennando un breve sorriso.

“Ci sono abituato” disse piano e quando si rese conto di riuscire a mantenere un minimo di controllo su quello che gli si agitava dentro, iniziò a chiacchierare con i compagni di squadra, cercando di distrarsi e di non pensare a quanto l’interesse di Harry nei suoi confronti gli avesse fatto piacere.

“Oh! Ragazzi, è davvero tardi!” esclamò Louis quando, diversi bicchieri di birra dopo e due taglieri di stuzzichini ormai vuoti erano stati abbandonati sul tavolo, guardò l’ora nel proprio telefono. “Mi dispiace essere il solito guastafeste, ma devo andare, mia madre tra poco deve andare a lavoro e devo essere a casa” spiegò pratico, alzandosi e lasciando sul tavolo la sua parte per pagare le consumazioni. “Voi che fate?” chiese loro, non voleva che solo perché lui aveva degli impegni, tutti concludessero prima la loro serata.

Niall e Stan si guardarono e il biondo propose all’amico di andare da lui per una partita a FIFA estendendo ovviamente l’invito anche a Harry.

Il riccio, però, si congedò a sua volta, ringraziandolo e assicurando che sarebbe stato con loro per una prossima uscita, decidendo di rientrare con Louis.

Niall insistette affinché il Harry gli desse in proprio numero, facendogli squillare il telefono per memorizzare il proprio e Louis sorrise, sinceramente compiaciuto del fatto che non si era sbagliato e che i suoi amici più cari e Harry si trovassero così bene e in sintonia.

Quando si divisero, prendendo strade opposte, Louis si ritrovò di nuovo a camminare al fianco di Harry, guardandolo con fare curioso.

“Allora, cosa ne pensi dei ragazzi?” gli chiese.

“Sono davvero in gamba e simpatici!” affermò Harry, sorridendo ampiamente. “Mi piace la loro compagnia. Sono stato bene!”

“Anche io, insomma, io esco sempre con loro, ma ecco, non è male neanche che tu sia entrato nel nostro giro” gli disse, spingendolo appena con la propria spalla, sorridendo.

“Ouch!” Harry finse di essersi fatto male, portandosi una mano contro il  muscolo, massaggiandolo.

“Ma finiscila!” lo riprese Louis, ridacchiando, e quando si accorse che Harry stava allungando il suo percorso per seguire lui si fermò in mezzo alla strada deserta.

“Che c’è?” chiese Harry, tornando indietro di pochi passi quando vide che l’altro non lo seguiva più.

Louis scosse il capo, ma no si mosse ancora, indeciso e imbarazzato.

“Louis?” lo chiamò Harry, fermandosi a un passo da lui, abbassando il viso e inclinando appena la testa per cercare di indovinare dal suo sguardo quale fosse il problema.

“Dovresti andare adesso, non c’è bisogno che mi accompagni” gli disse con voce bassa il più grande, sollevando la testa per guardarlo, trovandolo vicinissimo a sé e questo lo mandò ancora più in confusione.

“Oh, sì… già, hai ragione, non mi ero accorto di…” Harry mosse le braccia come a voler racchiudere chissà quale pensiero, infilando poi le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Ok, vado” annuì, ma non si mosse, continuando invece a guardare il ragazzo dagli occhi chiari. “Louis, sei sicuro di stare bene?” chiese per sincerarsene ancora una volta.

Louis annuì e poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli, portando indietro il ciuffo più lungo dalla fronte.

“In realtà, ho pensato una cosa” esordì, spostando il peso da un piede all’altro, indeciso se continuare a esporre quel suo pensiero, sollevando finalmente lo sguardo sul riccio.
“Dimmi” lo esortò a continuare il più piccolo.

“Ho pensato a cosa vorrei in cambio per il favore che ti sto facendo” spiegò.

“Ah!” esclamò Harry, sorridendo ampiamente, di modo da far capire all’altro che potesse parlare tranquillamene. “Certo! Cosa?” chiese curioso.

“Probabilmente è una cosa che non sarà fattibile, nonché poco, ecco, potremo dire professionale” spiegò, perdendosi nelle parole.

Harry scoppiò a ridere, divertito dallo strano comportamento dell’altro.

“Andiamo, Lou, cosa potrà mai essere di così-”

Si interruppe di colpo, quando Louis azzerò la distanza che ancora li separava, posando le mani sugli avambracci di Harry per tenersi in equilibrio e si sporse tirandosi appena sulle punte dei piedi, posando le labbra su quelle del riccio.

Era stato un contatto brevissimo, un semplice bacio a stampo, ma quando Louis si allontanò da Harry, si rese conto che il ragazzo lo sta fissando immobile, gli occhi grandi che lo fissavano intensamente.

Louis non riusciva a interpretare la sua espressione: avrebbe voluto fare diverse cose al momento e non avrebbe saputo quale scegliere.

La prima, e la più improbabile, era quella di voler tornare indietro di cinque secondi per impedire al proprio corpo di muoversi verso Harry e baciarlo.

La seconda, più classica, scavarsi una fossa e sparire dall’altro capo del globo per non fare più ritorno, ma anche quella era abbastanza difficile da attuare senza i giusti mezzi.

La terza era scusarsi.

L’ultima opzione era effettivamente quella che gli sembrava più congeniale e la più logica da fare, nonché la più fattibile in quel momento.

Fece per parlare e chiedere a Harry di dimenticare, magari avrebbe potuto dare la colpa a una birra di troppo e quindi giustificare il tutto come un colpo di testa dovuto all’avere avuto la mente annebbiata dall’alcool, quando Harry prese la parola, precedendolo.

“Non posso farlo, Louis” esordì, scuotendo il capo, facendo ondeggiare i ricci.

Louis per un istante perse un battito e il respiro gli si bloccò in gola, perché avrebbe dovuto aspettarsi che Harry avrebbe risposto così.

A dire il vero, Louis non sapeva neanche cosa gli fosse passato per la mente quando aveva azzardato nel baciarlo: il solo fatto che Harry l’avesse scelto come modello per la sua tesi non voleva dire che provasse per lui qualcosa che andasse al di là di un’amicizia. Il fatto che avessero passato tanto tempo insieme in quelle ultime settimane, non voleva sottintendere che Harry avesse altri fini e Louis si riteneva un grandissimo idiota per aver solo pensato che le sue fantasticherie potessero concretizzarsi.

Di nuovo, avrebbe voluto dire qualcosa, fingere un sorriso di circostanza per far capire all’altro che capiva e soprattutto per non uscire con l’orgoglio, e il cuore, a pezzi più di quanto già non fossero, quando Harry parlò di nuovo, avvicinandosi e posando le sue grandi calde mani sui fianchi di Louis, tirandolo leggermente verso di sé.

“Non può essere questo il tuo tornaconto, Louis, perché non sarebbe equo, devi scegliere una cosa che io non voglia già… di nuovo” confessò piano, mostrando a Louis, più confuso e incredulo che mai un sorriso che gli illuminò lo sguardo e che gli disegnò quelle adorabili, invitanti fossette sulle guance.

Preso alla sprovvista, e oltremodo imbarazzato, Louis rilasciò il fiato trattenuto fino a quel momento e che aveva tutta l’aria di essere un vero e proprio sospiro di sollievo. Sollevò un braccio e stringendo il pugno colpì il petto di Harry per ripicca, tornando finalmente a respirare normalmente, il cuore che comunque batteva veloce contro il suo petto, stavolta però per un motivo diverso e molto più piacevole.

“Ti odio, ho perso dieci anni di vita!” lo rimproverò, parlando piano.

Harry rise, intrappolando meglio il più grande nella sua stretta, bloccandogli le braccia che subito Louis strinse attorno alla sua schiena. Abbassò il capo, congiungendo di nuovo le loro labbra, questa volta in un contatto più lungo e più profondo al quale Louis si abbandonò completamente, scoprendo finalmente quando morbida fosse quella bocca dispettosa. Schiuse le labbra per permettere alla lingua di Harry di segnare le proprie, prima di chiedere gentilmente l’accesso, e sfiorare la sua in modo lento e cadenzato, tanto che Louis si riscoprì a concordare con se stesso, in una piccola parte del suo cervello, che era esattamente così che aveva immaginato sarebbe stato baciare Harry.

Quando poi, in difetto di fiato, si dovettero separare, rimasero stretti l’uno all’altro, vicini. Louis gli sorrise, facendo scivolare un braccio via da lui e affondando l’indice dentro una delle fossette, sorridendo soddisfatto.

“È dalla prima volta che ho visto la tua foto che volevo farlo” confessò, posando poi il palmo della sua mano contro la guancia del più piccolo.

Harry gli sorrise, incorniciandogli il volto con le mani e carezzandogli gli zigomi con il pollice.

“Quindi perché ci hai messo così tanto a farlo?” mormorò, chinandosi di nuovo su di lui.

Louis si strinse nelle spalle e scosse il capo.

“Non lo so. Mi hai preso alla sprovvista, non capita tutti i giorni che un perfetto, bellissimo, sconosciuto, ti chieda di posare per lui. Insomma, questa cosa riguarda il tuo futuro e io non sono certo di essere in grado di assumermi questa responsabilità” ammise.

Harry strofinò appena le loro labbra insieme in un mero ricordo del bacio che si erano appena scambiati, sorridendo dolcemente.

“Non hai di che preoccuparti, perché sono certo che passerò con il massimo dei voti. Insomma, posso dire di essere piuttosto bravo con la macchina fotografia” affermò senza alcuna falsa modestia.

“Su questo devo concordare” annuì Louis.

“E poi tu sei davvero speciale Louis, non posso fallire. Come hai potuto constatare, sono testardo quando mi impunto, per cui se voglio qualcosa riesco nel mio proposito!” affermò, sorridendo ancora di più e stringendo maggiormente Louis contro di sé.

Il più grande gli tirò una ciocca di capelli per dispetto, mettendo su un piccolo broncio.

“Questo perché anche io volevo la stessa cosa, non pensare di prenderti tutto il merito!”

“Ti piaccio lo so!”

“Mh, può darsi” gli rispose vago, ma il sorriso che gli sfuggì dalle labbra era una risposta molto più definitiva.

Harry ridacchiò e gli rubò un baciò, sollevandolo appena da terra, facendo un mezzo giro su se stesso.

“E io amo quando cerchi di fare il sostenuto, anche se sappiamo benissimo che finirai per cedere e io avrò vinto! Vinco sempre!”

“Qui non vince proprio nessuno. Al massimo perdiamo entrambi!”

“O vinciamo entrambi” lo corresse Harry.

Louis si tese, stringendogli le braccia al collo e annuì.

“Sì, come vuoi. Ma ora fai silenzio e baciami!”
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: _ichigo_85