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Autore: Lost In Donbass    18/01/2016    2 recensioni
Tom non ne vuole sapere di studiare, vuole vivere la vita sulla pelle, vuole suonare agli angoli delle strade, vuole rivoluzionare qualcosa che è solo nella sua testa. Ma forse è ancora troppo giovane.
Bill è semplicemente un genio, si sente un dio, vuole che lo osannino, passa tutto il suo tempo a studiare cose che non gli interessano per sentirsi uguale agli altri. Ma nasconde qualcosa di troppo doloroso per poter essere tenuto nascosto troppo a lungo.
Ed entrambi sono troppo e sono troppo poco, sono padroni e schiavi di loro stessi, e soprattutto sono nemici giurati da anni. E se quest'anno qualcosa cambiasse? In un saliscendi di amore, odio, passione, lacrime, incomprensioni, e segreti inconfessabili, riusciranno i due ragazzi a trovare l'accordo di pace tra loro stessi?
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO DUE: WORLD BEHIND MY WALL
It’s raining today
The blinds are shut
It’s always the same
I tried all the games that they play
But they made me insane
 
-E così mi tocca fare la ricerca di storia con Tom. È un’ingiustizia!- Bill si passò una mano tra i capelli, sbuffando rumorosamente, guardandosi lo smalto rosso carminio che faceva rilucere le unghie perfettamente curate.
-Ma su, Bill, è solo una ricerca.- tentò di consolarlo Anastasia, guardandolo con i grandi occhi verdi da cerbiatta, condendogli l’insalata.
-E potete anche farla a casa per conto vostro e poi metterla insieme dopo.- consigliò Nora, intenta a sistemargli le unghie.
-Non possiamo, tesoro, la Hoffman vuole che siamo i primi a esporla. E conoscendolo, quel sottoprodotto di troglodita, non la studierebbe se la dovesse fare per conto suo e così faremmo brutta figura.- Bill fece una smorfia, lanciando un’occhiata assassina al suo peggior nemico seduto qualche tavolo più in là a ridere e fare battute imbecilli con quei suoi bestiali amici.
-E a te che te frega? Il votaccio lo prende lui, mica te.- commentò Ria, smettendo di sottolineare gli articoli del giornale più belli da fargli leggere. Perché ormai aveva preso l’abitudine di fare questo lavoro per Bill, di sezionare accuratamente il Voce di Magdeburgo e estrapolarne le notizie più brillanti e complesse, degne del suo genio.
-Lo so, bambola, però quella strega vuole anche che io metta sotto torchio Tom per questa ricerca, quindi sarei negligente e “egoista”- Bill fece le virgolette in aria  - a non aiutarlo. E di storia non ho mai preso meno di A, non posso rovinare la stima che ha di me per colpa sua!
-Ma in quale casa andate? La tua o la sua?- si intromise Nora, mettendo a posto i piccoli strumenti che usava per sistemare le unghie del suo amico.
-Non lo so, dobbiamo ancora metterci d’accordo. Cercherò di convincerlo a invitarmi a casa sua; non voglio che venga a frugare tra le mie cose.- rispose il ragazzo, mettendosi finalmente a mangiare la sua insalata di pollo con aria stizzita.
-Magari poi non è così negativo come dà a vedere. Sicuramente non è uno stupido.- considerò Anastasia, addentando il panino vegano e lanciando un’occhiata vagamente interessata alla figura di Tom, girata di spalle che evidentemente doveva appena aver detto una battuta esilarante, a giudicare dalle risate sguaiate dei suoi amici. Inutile dire che anche le cosiddette Bill’s Angels avevano un “debole” per il rasta; in quanto ragazze, non erano immuni al fascino carismatico e vagamente da film che aveva. E Anastasia aveva sempre avuto più che un debole.
-Non è stupido; è solamente infantile.- precisò Bill – E comunque, Ana, cara, cerca di trattenerti un minimo quando siamo a scuola. Non sta bene quella tua aria vagamente cotta che gli rivolgi.
La ragazza recuperò immediatamente tutta la sua solita rigidità, arrossendo lievemente, nascondendo il viso dietro la cortina di capelli rossi.
-Però devi ammettere che è carino.- insisté Anastasia.
-Certo che è carino, anzi, obiettivamente è bello, però … - iniziò Bill, per poi essere interrotto di colpo da Nora
-Dicono che a letto ci sappia fare …
-Nora!- il ragazzo le diede un leggero schiaffetto sulla guancia. – Dai!
-Su, Bill, potresti portartelo a letto, quando farete la ricerca. Così ci saprai dire se le voci sono fondate.- commentò Ria, beccandosi anche lei uno schiaffetto.
-Siete veramente senza speranza, pervertite!- sbottò Bill, esasperato – E comunque, Ria, pensi davvero che io mi voglia scoparmi quello lì?
-Assolutamente sì. E non ti ho mica detto che dovete fidanzarvi, sposarvi, andare in luna di miele alle Vergini, fare dieci figli e vivere tutta la vostra vita insieme.- Ria annuì convinta, legandosi i capelli in una coda, occhieggiando i movimenti del tavolo nemico e cercando la sua fidanzata nella folla.
-Ci mancherebbe.- Nora sogghignò – Però, su tesoro, almeno in questo sii sincero: Tom è oggettivamente un ragazzo affascinante e tremendamente sexy.
-E anche gay.- grugnì Anastasia, scuotendo la vistosa crocchia rossa.
-E anche gay- acconsentì Nora – Quindi?
Bill ridacchiò, sfarfallando le lunghe ciglia. Gli piaceva fare l’innocentino puritano con le sue amiche, ma in fondo lo sapevano tutti com’era veramente. Era solamente divertente tirare un po’ la corda, soprattutto quando si trattava del rasta. Perché Bill lo sapeva che oltre all’attrazione fisica praticamente ovvia, c’era qualcosa di più. Non sapeva nemmeno lui bene cosa, ma lo percepiva, quando lo guardava, quando si sfioravano; c’era un nuovo piacere adesso nel chiamarlo “pasticcino alla vaniglia”, c’era un brivido nuovo nella spina dorsale quando pensava a lui troppo, c’era uno sfarfallio di ciglia in più quando il suo sguardo languido e distruttivo si posava su di lui, c’era un impercettibile fremito delle labbra quando si parlavano. C’era qualcosa di completamente nuovo per Bill, talmente nuovo che ne aveva paura. Ma allo stesso tempo lo elettrizzava e gli faceva andare su e giù gli ormoni.
-E allora secondo voi cosa dovrei fare, aspettarlo a casa mia semi sdraiato sul divano, mezzo nudo, con le gambe spalancate come dirgli “vieni e scopami senza pietà”, magari già che ci sono con un vestitino di pizzo?- Bill scosse la testa, soffocando una risata e guardando deliziato le sue amiche sganasciarsi dal ridere. Non rideva mai veramente; non l’aveva mai fatto. Lasciava che fossero gli altri a sbellicarsi, a tenersi la pancia dal tanto ridere, a esplodere in sghignazzi senza pudore. Lui si lasciava trascinare nel ritmo del loro riso, sorrideva, si univa al rumore con nient’altro che un sorriso splendente. Ma non rideva. E non lo aveva mai fatto, di trovarsi a ridere veramente come fanno tutti, per nessuno motivo. Forse perché per farlo veramente aveva bisogno di qualcosa che lo risollevasse del tutto dal morale perennemente nebbioso che aveva.
-Vedi che ci siamo capiti, cucciolo?- ridacchiò Ria.
-A proposito, dov’è Gus?- si intromise Anastasia, occhieggiando nella folla rumorosa, allegra e disordinata della puzzolente mensa della scuola.
-Non vorrà incappare nella mia ira, immagino.- Bill sollevò un perfetto sopracciglio, ringhiando piano. Gliel’avrebbe pagata cara, quel bastardo. Non si abbandonava Bill Kaulitz in frangenti simili, glielo aveva sempre detto. Razza di voltagabbana. Che poi, accidenti a lui e a quelle due perverse di Nora e di Ria, adesso si stava già figurando, in un angolino remoto del suo cervello, Tom che entrava a casa sua con la roba per fare sta maledetta ricerca e lo trovava stravaccato sul divano, le cosce spalancate, e si avvicinava e … si diede una sberla mentale, ritornando con i piedi per terra. Lui odiava Tom. Lui odiava Tom. Lui odiava …
-Toh, parli del rasta e spuntano i tubi.- esclamò Nora, tirandogli la manica della camicia.
Bill alzò di scatto lo sguardo dall’insalata, fissandolo su Tom che avanzava strafottente tra la folla, diretto verso il loro tavolo, lo sguardo fisso addosso a lui, tanto da sentirselo strisciare da tutte le parti. Aveva sempre quella camminata un po’ scanzonata, menefreghista e smaliziata, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni troppo larghi, gli occhi fissi sul suo obbiettivo (in questo caso Bill. Che si stava figurando una scena altamente a luci rosse con loro due come protagonisti indiscussi. E grazie al cielo che era il dio della simulazione).
-Ehi.
Tom non era mai stato uno di tante parole. Ma come saluti era proprio limitato.
-Pasticcino, siediti pure. Cosa cerchi?- miagolò acidamente Bill, sentendo le tre ragazze stringerglisi addosso. Erano la sua forza, le sue tigrotte della Malesia. Erano i suoi angeli infernali, e lui era Satana. Quel piccolo arcangelo non poteva niente contro il Male.
Tom si grattò la guancia, rimanendo in piedi e facendo un sorrisino di traverso ad Anastasia. Ma lei non arrossì e non fece segno di mollare le armi come aveva sperato. L’influenza di Bill doveva essere più forte del previsto.
-Voglio levarmi subito il dente per quella stupida ricerca di storia, non ho testa di trascinarmi dietro l’idea di un pomeriggio con te.
Tom cercò di sembrare serio e freddo, come era solitamente, eppure non riuscì a non pensare alle battute cretine di Johann qualche minuto prima, a quanto doveva essere trascendentale andare a letto con Bill. E anche da solo non si poteva trattenere dal pensare di quanto dovesse essere bello baciare quel collo da cigno e sentire quelle meravigliose gambe da modella avvinghiate al proprio bacino, a quanto dovessero essere eccitanti i suoi capelli che ti accarezzano il viso.
-Se è per questo, anche io ne farei a meno volentieri. Quindi, oggi pomeriggio ti va bene?- Bill si guardò le unghie perfette, lanciando un’occhiata scottante al rasta. – E ce l’hai un computer funzionante a casa? Possibilmente anche con la stampante, o perlomeno con un programma decente per fare un Power Point.
-Ma dai per scontato che andremo a casa mia?- Tom si grattò il collo.
-Cosa ti aspettavi, pasticcino? Non si va a casa di una signora senza un invito formale, non trovi?
Le tre ragazze risero, mentre Bill si limitò a fare un sogghigno che aveva un che di diabolico, in fondo, i grandi occhi luccicanti di qualcosa di simile a malizia mista a un divertimento quasi infantile.
-Allora, quando finiamo le lezioni vieni direttamente a casa con me. E sì, per tua informazione ho un computer funzionante.- grugnì Tom. Era una sensazione strana, quella che provava quando si trovava a dover affrontare Bill e le sue ragazze. Non aveva paura di una banda di teppisti, non aveva paura di un pazzo assassino, non aveva paura di trovarsi a menar le mani con una banda di uomini grandi e grossi, ma aveva paura di trovarsi da solo con quelle tigri e col loro effeminato padrone. C’era qualcosa, nei loro occhi, che portava le persone a stare in guardia.
-Sarà fatto, pasticcino alla vaniglia. Oh, e spero che camera tua sia pulita.- Bill si alzò, imitato immediatamente dalle tre ragazze, e si congedò da Tom con un affettato gesto della mano e un sogghigno artificioso – Sono allergico alla polvere.
Se ne andò ancheggiando dalla mensa, un sorrisino appena accennato sulle labbra carnose dipinte di nero, conscio dello sguardo di Tom che indugiava su di lui, catturato dalle sue mosse volutamente provocanti. Probabilmente ora non stava sorridendo, ma lo stava fissando con odio viscerale, odio permeato però dall’ammirazione sconsiderata che provavano l’uno per l’altro da tempi immemorabili. Quello sguardo torbido e tempestoso che entrambi sfruttavano solo quando si trovavano ad affrontarsi in campo aperto, senza muri e gente a proteggerli. Quelle occhiate brucianti che da sole valevano più di mille parole.
 
Tom seguì con lo sguardo la figura allampanata di Bill avvicinarsi a lui ondeggiando sulle zeppe vertiginose di un paio di stivali rosso fuoco laccati, la borsa con le borchie che dondolava su una spalla, le gambe fasciate in un paio di skinny mostruosamente aderenti, la camicia di raso nera semi slacciata sul petto emaciato, le collane, gli anelli, i bracciali e gli orecchini che risplendevano di una triste luce argentea addosso alla sua pelle troppo pallida, i capelli che gli facevano da aureola intorno al viso talmente femmineo e perfetto da sembrare un’opera d’arte. Era bello, indubbiamente. Era qualcosa di angelico nella sua limpidezza incorporea e allo stesso tempo di diabolico per la sua maliziosità e il suo essere così dannatamente seducente. Aveva un che di sporco dentro ma allo stesso tempo di puro e innocente.
-Sembri una puttana da night club.- lo accolse Tom, lanciando un’occhiataccia all’abbigliamento piuttosto procace dell’altro ragazzo. Ma senza riuscire a trattenersi dal pensare a quanto sarebbe stato bello vederselo nudo a letto che gemeva e miagolava sotto i suoi tocchi. Oh no, non doveva pensare a quelle cose. Non poteva permettere ai suoi antipaticissimi ormoni da diciottenne perennemente eccitato di fare certi pensieri sconci proprio su Bill. Dai, Bill no. Tutti ma lui doveva starsene lontano anni luce. Erano due pianeti divergenti, uno viveva di azoto e l’altro di cripto, non potevano stare sulla stessa orbita per troppo tempo.
-Lo prendo come un complimento, pasticcino.- rispose Bill senza scomporsi, passandosi una mano tra i folti capelli corvini.
-Non mancherai alle tue amichette?- Tom lanciò un’occhiata allusiva al gruppetto di ragazze che li seguiva con lo sguardo, parlottando nervosamente tra loro.
-E tu ai tuoi?- Bill indicò con un gesto del capo il capannello di ragazzi che borbottavano additandoli mentre si avviavano a casa del rasta.
-Ci siamo solo noi in casa, o c’è qualcun altro?- continuò Bill a voce leggermente più bassa, una volta che svoltarono l’angolo e cominciarono a percorrere una via residenziale piccola e nebbiosa, il marciapiede uggioso e bagnaticcio a causa dell’umidità perennemente alta di quella città, umidità che si attaccava a tutto e ti lasciava a soffocare. C’era un silenzio tombale, a parte giusto il rombo di qualche macchina che passava veloce con i fari accesi e si perdeva nuovamente nell’intrico di vie larghe e piatte di Magdeburgo, la città della pianura pannonica. A Tom non era mai piaciuta Magdeburgo, da quando era nato. Era così piatta, così esattamente tutta uguale, tutta a incastro. Un lavoro premeditato, nulla di innovativo nelle villette singole con il triste giardinetto fiorito. Niente di speciale, di importante, di grandioso in mezzo a quei due parchi sfioriti e grami, in quegli edifici bianchi e grigi che si alternavano nella loro misera situazione. Nessun sole brillante, ma solo i fantasmi di piccoli e pallidi raggi tristi. Nessuna vera nuvola, solo ammassi di riserva di goccioline d’acqua di scarico grigiastra. Nessuna vera pioggia, solo un po’ d’acquetta sporca che scivolava e inumidiva i loro miseri giardinetti. Solo nebbiolina e uggiosità, solo squallore e raccapriccio. Solo pianura solitaria e senza sbocchi, nessun orizzonte degno di essere chiamato tale. Non c’erano tramonti infuocati e albe dorate, non c’erano notti stellate e temporali estivi. Non c’era nulla su cui lasciar vagare lo sguardo all’infinito, se non un deserto dei Tartari senza fine né inizio, qualcosa di tangibile nella sua infinita noia.
Tom voleva un orizzonte dove spingere lo sguardo ogni sera; voleva un tramonto di fuoco per bruciare insieme a una persona speciale, voleva un’alba dorata e dirompente per potersi far cullare dalle illusioni del mattino. Voleva sentire una pioggia liberatoria e violenta sulla pelle, e sentirla riscaldata da un solleone bollente e scottante. Voleva sentire un cuore che batteva al suo ritmo nelle tempeste notturne e vedere i lampi che si lasciavano cadere con rabbia sul selciato. Voleva un mondo senza umidità e senza acquetta sudicia, voleva un mondo dove tutto era diverso, dove potevi distinguere le cose e non essere uniformato con niente e con nessuno. Sognava un posto dove vedere i propri sogni realizzati, o perlomeno ascoltati. Desiderava una città incasinata, senza regole e senza leggi, una città di eccessi e divertimento sfrenato, dove l’orizzonte fosse sempre lì, pronto a portarti cose di cui a stento potevi sognare. Un mondo libero dalla pianura e dalle costrizioni, una città infinita dove correre sempre e trovare qualcosa di nuovo ad ogni angolo, senza finire mai di stupirsi.
-No, c’è mamma a casa.- borbottò Tom, infilandosi le mani in tasca, cercando di guardare il lurido marciapiede e non il suo nemico.
-E tuo padre? Dimmi di no, ti prego, sarebbe imbarazzante rassicurare i tuoi che sono qui solo per una stupida ricerca e non per fare qualcosa di poco consono.- Bill sfarfallò gli occhi, rivolgendo un’occhiata rammaricata al cielo grigiastro. Dietro batteva un sole forte e sorridente. Dietro batteva il cuore che il ragazzo avrebbe tanto voluto avere. Dietro quella cortina di nuvole umide c’era qualcosa che lo avrebbe salvato ma che lui non avrebbe mai potuto afferrare.
-I miei sono divorziati. Mio padre è scappato non so dove.- mormorò Tom, legandosi i dread in una coda alta.
-Oh, scusa. Non lo sapevo.
Bill non voleva scusarsi davvero, Tom glielo leggeva in faccia. Lo aveva detto solo per circostanza. Il tipico bon ton magdeburghese che faceva vomitare Tom: avrebbe tanto preferito un po’ di sana schiettezza. Un “davvero? Beh, meglio per noi” acido e amorale che quel finto “scusa, non lo sapevo” che dicevano tutti, per educazione.
-Succede a tutti, non ti devi dispiacere.
Si fermò davanti a un portoncino di legno scuro di una delle solite casette a schiera che caratterizzavano il suo inferno personale, e si chiedeva come faceva a ricordarsi sempre qual’era la porta giusta. Era sicuro che prima o poi avrebbe bussato alla vicina senza accorgersi minimamente di aver sbagliato.
Sentiva la presenza di Bill dietro la sua schiena, muto e incombente, come una geisha ficcanaso e vagamente grottesca che attendeva solo il momento buono per colpirlo al cuore.
Anche quando aprì la porta ed entrò, facendolo accomodare e urlando
-Ehi, ma’, sono a casa!
sentiva la sua presenza inquietante e stravagante come un vago e malvagio presagio.
-Bentornato tesoro, come è andata … oh, ma hai portato un’amichetta!
Una signora bionda, con un grembiule bianco e rosso a quadretti e un largo sorriso comparve da una porta, un grosso mattarello stretto in mano.
-No, mamma, aspetta … - iniziò Tom, tentando di staccarsi dall’abbraccio da piovra della madre e dalla valanga di baci che lo accolse.
-Buongiorno signora, scusi l’intrusione ma la professoressa di storia ci ha commissionato una ricerca da fare in coppia e io e Tom siamo finiti insieme. Voglia scusarmi per il nullo preavviso, ma sa com’è.- disse Bill, stringendo dolcemente la mano della signora, sfarfallando gli occhi come se la conoscesse da una vita, e soprattutto come se lui e Tom andassero d’accordo da secoli. Non avrebbe mai capito il comportamento di quella checca isterica, benché meno in quei frangenti.
-Ma cara, figurati! È un piacere avere a casa un’amica di Tom ogni tanto, è così schivo, non mi porta mai a vedere i suoi amici.- la signora Kaulitz sorrise affettuosamente.
-E’ un maschio, ma’, non è una ragazza!- sbottò arrossendo Tom. Odiava quando sua madre lo trattava come un bambino davanti agli altri. Si vergognava un po’, soprattutto ora che aveva davanti il suo peggior nemico. Insomma, non era mica un bambinetto, aveva diciotto anni! Ma lei non sembrava averlo capito.
-Come ?- la signora sfarfallò le ciglia, guardando Bill con rinnovato interesse.
-Ehm, sì, signora. Mi chiamo Bill.- rise di gusto, arrotolandosi una ciocca di capelli attorno al dito lungo e magro.
-Oh. Ah. Ehm, scusami caro, ma sai, non sono più una ragazzina, sono un po’ miope, io … vado in cucina, eh, voi andate pure a studiare! E anzi, dovrai poi spiegarmi dove hai comprato quello smalto, l’ho notato subito, sembra di ottima marca!- la signora fece un largo sorriso, spingendo Tom verso le scale e correndo in cucina dai suoi biscotti.
Tom alzò gli occhi al cielo sbuffando, precedendo Bill lungo una scala che portava in un ballatoio dove si aprivano tre porte. Entrò nella seconda senza parlare, chiudendola alle spalle di Bill.
-Ma che camera fashion, pasticcino!- trillò Bill, osservando i poster di qualche vecchio gruppo punk anni ottanta e quelli di Bob Marley che ricoprivano le pareti color crema, il letto con le coperte di Spiderman e la lucina da notte di Batman, i libri sparpagliati per la stanza, fogli di carta, spartiti, una chitarra, uno skate, alcuni vestiti sformati buttati alla rinfusa nel meraviglioso marasma che vigeva in camera di Tom. Qualcosa di allegro, di vivo. Qualcosa di così umano che Bill non avrebbe mai potuto avere e quanto avrebbe dato per poter possedere una casa così. Rumorosa. Disordinata. Concitata. Con una mamma che faceva i biscotti e scambiava ragazzi per ragazze usando la scusa della miopia. Chissà come si sarebbe divertito allora, invece di convivere con l’oscurità appiccicosa di casa sua. Chissà che non avesse cambiato qualcosa nel suo modo di vivere provare a rischiare.
-Scusa mia madre, è una ficcanaso assurda.- ridacchiò Tom, lasciandosi cadere sul letto e levandosi il berretto. – Siediti dove ti pare.
Bill sorrise, accarezzando il poster gigante dei Green Day che campeggiava sopra alla testata del letto e si accoccolò su una sedia verde pistacchio, davanti a una scrivania piena di penne, foglie e il libro di chimica ricoperto da un sacco di fumetti di Cino e Franco. Gli si proiettò per un attimo davanti il salotto di casa sua, sterile e asettico. Con la voce di suo sorella che rimbombava nel buio “Non puoi toccare quello, non puoi fare questo, non puoi mangiare quest’altro. Quando lo vorrai capire, cretino? Potresti cercare di comportarti in modo meno scellerato, la prossima volta”.
-Vogliamo iniziare o farci una chiaccheratina?- miagolò, giocherellando con la penna di Superman.
-Iniziamo, che poi ho da fare dopo. Di certo non posso perdere tempo con te.- borbottò Tom, riesumando un piccolo portatile da sotto una felpa – Sperando che il computer vada e che non si sia intasato …
-E meno male che mi avevi assicurato che funzionava … - Bill prese un quadernetto dalla borsa sbuffando – E se no ci toccherà farlo a mano, ma perderemo un sacco di tempo. E io devo aiutare Nora a rifarsi le unghie, quindi sono socialmente impegnato.
-Ma dai, quanto vuoi che ci mettiamo a fare una ricerca sulla … - iniziò Tom, dando qualche botta all’aggeggio.
-Toooom, Tom caro, vieni giù! Ho preparato i biscotti per la merenda, per te e il tuo amico! Forza, ci sono anche i succhi alla pesca che ti piacciono tanto, chiedi a Bill se gli vanno bene! E sbrigati, che vi sto imburrando pane e Nutella. Non vorrete saltare la merenda, spero?!
I due ragazzi si guardarono, Bill sogghignando, con una punta di dolcezza nelle pupille e Tom sbiancando e sbuffando.
-Con questa pantagruelica merenda credo che dovrò stare più del dovuto … - ridacchiò Bill, dando una leggera spinta a Tom – Forza, pasticcino alla vaniglia, vai giù da tua mamma e portaci i vettovagliamenti da esercito! A essere sinceri, avrei una certa fame.

****
Ciao ragazze! Sarò breve, che mi aspetta la seconda stagione di American Horror Story. Intanto, sono grata alle persone splendide che hanno recensito e messo nelle cartelle la mia storia: grazie! Spero ovviamente che questo capitolo vi abbia incuriosito e che vi spinga a continuare la lettura delle epiche gesta di questi due squinternati ... vi intriga? Vi diverte? Fatemelo sapere con una recensione, ci terrei moltissimo a collezionarne almeno una a capitolo (ok, lo so che non ce la farò mai, ma. Non si sa mai, noi ci speriamo). Vabby, ancora grazie, vi saluto e che la forza del Titan's Break sia con voi!
Baci, :-*
Voster Semper Voster Charlie
  
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