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Autore: Ulissae    15/03/2009    3 recensioni
[One Shot su Billy e Sarah Black, i momenti salienti del loro amore un pò troppo tralasciato]
Ed ora Morte? Cosa fai? Continui a fissarmi?
Sopra di te non c’è nulla
Sarah non è quella figura, no.
Lei è in ogni goccia di pioggia che scende, in ogni raggio di sole.
E’ il mare che calmo accompagna le serate estive, l’albero che ripara dal temporale.
Una farfalla che si posa su un fiore. Lei non morirà mai

Terza classificata al contest Amore Morte indetto da Schnussen
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Billy Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ululati vari'
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~ Dying Happiness ~


[Guida alla lettura: Eccomi con una nuova shot, ultimamente mi sto dando a questo genere. Parla dell'amore di Billy e Sarah ripercorrendolo in base a degli oggetti che attirano l'attenzione di Billy durante l'estrazione dalle lamiere(lei è morta in un incidente) ed all'ospedale. Per questo è presente un'alternanza di presenti(narrazione diretta) e passati remoti (flashback). Mi sono presa delle piccole licenze: in primis, il luogo di incontro dei due, durante una protesta pacifista, secundis, il sorriso di lei, simile a quello di Jake, così come il mento da bambino. Per ultimo il carattere di Jashua Uley, il padre di Sam, descritto come uno scavezzacollo dalla Meyer. Spero sia gradita.]
Dedicata a chi pensa che l'Amore sia veramente eterno, e che non bisogna essere un vampiro o un licantropo per renderlo tale.


Esiste una linea sottile che separa l’Amore dalla Morte. Un filo invisibile che l’uomo percorre alla ricerca della Felicità, come un equilibrista.

Attento, cerca di salvarsi dal cadere. A volte, però, capita che si rompa, spezzandosi con un sonoro rumore che echeggia nell’animo.
La caduta che ne segue è così dolorosa, lunga ed asfissiante che la Morte, quella corda che pende nel vuoto, sembra la migliore soluzione.
Purtroppo si continua a precipitare…

Sento qualcosa di caldo scendermi giù per la fronte, fa male, ogni singola particella di me urla il dolore che la pervade. Tento di aprire gli occhi, è un’impresa impossibile, sento le palpebre pesanti, e piano, piano sto perdendo la sensibilità del braccio sinistro, sono bloccato tra le lamiere.
La macchina! La macchina!
Ci aveva preso, sbattuto fuori strada.
Con uno scatto di terrore, paura per lei, la mia vita, la mia ragione d’esistenza, spalanco gli occhi.
Amore…
Un altro urlo di protesta si innalza in me, questa volta più profondo, più straziante. L’animo che grida, implora per la Morte. La mia, perché io senza lei non sarei stato nulla.
La mia mano libera si posa sul suo volto rilassato, anche nel momento eterno.
L’unica cosa che riesco a dire è  il suo nome, in un soffio impercettibile, perfino per me. –Sarah…-
Quel viso… così dolce, così buono…

La nostra storia è nata in circostanza alquanto strane, per non dire uniche. Anche se entrambi eravamo abitanti della piccola riserva, vuoi per distrazione, vuoi per un progetto del destino, i nostri sguardi non si erano mai incontrati. Vivevamo due vite parallele, che non si erano mai incontrate, almeno non fino a quel giorno, quella mattina di fine primavera, quando perfino il violento tempo della penisola Olimpica ci aveva dato tregua.
Avevamo deciso, saremmo partiti. Io, e un’altra decina di ragazzi. Direzione Washington. Pronti a protestare contro la guerra, contro l’oppressione, contro quella voglia dei potenti di sopprimere le voci dissonanti. Eravamo giovani e quel clima di fermento era il più goloso per noi.
Il furgoncino malandato, comprato a poco prezzo, era stato adibito come camper, anche se non credevo che tutti quanti saremmo riusciti ad entrare in quello spazio così piccolo, il viaggio sarebbe stato lungo, ma la giovinezza era dalla nostra parte, e noi eravamo troppo curiosi per perdere questa occasione.
Mio padre non sapeva nulla, non avrebbe dovuto saperlo. Nessuno avrebbe accettato il fatto che noi, ragazzini ai loro occhi, potessimo dirigerci con quattro ruote recalcitranti quasi dall’altra parte dell’America.
Ma noi eravamo l’America, e dovevamo difenderla.
Quella mattina mi alzai presto, e dopo aver lasciato un bigliettino scritto di fretta sul tavolo della cucina uscii con in spalla il mio zaino enorme e colorato, fatto da me. Mi morsi il labbro chiudendomi dietro la porta pensando alla reazione di mia madre. Quando vidi Joshua Uley pronto, eccitato, quasi peggio di me, e scattante tutti i sensi di colpi furono scacciati, rimpiazzati da un sentimento ben meno generoso: l’eccitazione per l’avventura che ci aspettava.
-Sei pronto Black?- mi domandò mentre soffiava via uno sbuffo di fumo della sigaretta che teneva tra le mani.
-Prontissimo, dove sta il furgoncino?- ero fremente, volevo partire il prima possibile.
-Un po’ fuori, Altaera l’ha nascosto bene- ghignò mentre ci avvicinavamo al confine con passo svelto.
Più grande di me, definito scavezzacollo da chiunque lo conoscesse, anche se il padre faceva parte della tribù, era spesso sconsigliato come compagnia: troppo irruente, attaccabrighe, e strafottente.
Il tetto giallo acceso spiccava in mezzo alle fronte dei primi alberi del bosco, allungammo il passo e dopo pochi minuti arrivammo.
La fiancata sinistra era dipinta con della vernice arancione, un capo indiano si erigeva nella sua altera imponenza proprio là, in mezzo a quel colore così sgargiante ed acceso.
Un capanello di ragazzi stava vicino alla macchina e si alzavano delle mani, occupate a votare. I sussurri erano sottili ma decisi, ognuno cercava di far valere la sua idea, in questo caso dove accomodarsi durante il lungo viaggio.
-Salva ragazzi!- Jo salutò tutti con un gesto teatrale e posizionò la sua sacca sopra il veicolo, legandolo con delle corde, feci lo stesso ma silenzioso, accennando degli auguri di buona mattina con la testa. Mi sentivo in soggezione, seppur conoscevo ogni singola persona. Era come se all’improvviso fossi diventato un altro, un ragazzino più timido e imbranato, impacciato nei movimenti, pauroso che ogni suo gesto potesse essere sbagliato.
Ero diverso da Uley, non avevo la sua spigliatezza che gli permetteva di abbracciare le ragazze e dopo pochi attimi baciarle, a mala pena riuscivo a parlare con loro. Non avevo la forza necessaria per attaccare briga, anche se, dovevo ammetterlo, avevo un carattere deciso, testardo, che mi permetteva di proseguire in un progetto fino al compimento.
Questo, l’idea di protestare, era uno di questi.
Iniziato bruciando la cartolina di convocazione in guerra, lasciandomi crescere i capelli, anche se da noi non era una grande novità, professando la pace.
Mi avvicinai al focolaio della discussione e là Jhoanna, la ragazza ufficiale di Joshua si avvicinò per salutarmi, ricambiai in difficoltà.
-Ciao Billy!- esclamò raggiante –Hai visto che bello!? Ci siamo tutti! E adesso partiamo!- aveva un tono di voce un po’ metallico e fastidioso, ma non ci feci caso, ero troppo su di giri.
-Sì, anche io sono felice- annuii lentamente.
Dal gruppo si staccò una persona che si avvicinava a noi con un passo allegro, che sprizzava gioia da ogni movimento, il modo in cui le gambe si alzavano, le braccia che ondeggiavano.
-Oh! Bill! Tu conosci la Sakle?- domandò cingendo con un braccio il fianco della citata.
Bella. Bellissima. Come il sole che stava sorgendo all’orizzonte, vitale, allegra e… unica.
I capelli erano corti, rara nel suo genere in quegli anni, legati sul capo con una laccetto verde acceso, un gilet senza maniche di jeans, cucito da lei, supposi, con dei fiori multicolori, la maglietta tinta a mano.
Probabilmente smisi di respirare per alcuni  istanti, rapito da tanta bellezza. Gli occhi leggermente allungati, e il mento, quel mento così particolare, era tondeggiante, come quello di una bimba. Il naso era schiacciato ma poco, senza essere esagerato, vicino a quelle guance sempre rosse, come se avesse appena smesso di correre in quell’istante. Perché per lei la vita era così, una corsa continua, mai ferma a pensare al passato, sempre proiettata verso il futuro.
Negai con la testa e avvampai per l’imbarazzo.
Lei sorrise scoprendo quelle perle lucenti che erano i suoi denti.
-Piacere, Sarah- allungò la mano verso di me.
L’afferrai e la strinsi.
-Billy- risposi balbettando.
Non avrei mai potuto sapere che quelle mani non si sarebbero mai più lasciate.

Dove sono? Cosa succede?
Rumore! Rumore! Nient’altro che rumore…
Fa caldo, si soffoca qua dentro.
Fumo! Fumo! Troppo nero, troppo minaccioso.
Dove sei? Amore! Dove sei?!
Non posso far altro che chiedere a me stesso, allarmarmi, cercarla nuovamente. Le immagini che ricordo sono confuse.
Però, qualcosa di preciso e nitido nella mia mente è presente.
Il fuoco. Che si avvicina come un serpente sinuoso. Voleva noi. Voleva lei.
Fiamme… Dolore… eppure non posso fare a meno di pensare a quella notte…

La capitale dello stato in quei giorni era tutto fuorché bianca, sembrava quasi uno sberleffo alla casa del presidente. In ogni angolo gente multicolore rideva e scherzava, urlando la pace e professando l’amore. Era impossibile non ispirare del fumo, sia in modo attivo che passivo, tentai inutilmente di non ingerire niente che assomigliasse ad un allucinogeno, per fortuna gli effetti furono molto lievi, e dopo qualche ora riuscii a riprendere facoltà di pensiero.
Quella sera faceva caldo, era estate ormai e il sole tramontò scocciato molto tardi. La festa non finì al tramonto… diciamo che iniziò in quel preciso momento.
All’istante iniziarono a sbucare, uno dopo l’altro, una serie di falò, che illuminavano i parchi e i campi all’interno della città o appena fuori.
Dove eravamo noi, il punto con il massimo numero di gente, sembrava giorno.
Ognuno intorno cantava, ballava, appena oltre il nostro furgone, circondato dai nostri sacchi a pelo improvvisati con delle coperte, un gruppo di ragazzi aveva improvvisato un concerto, al quale erano accorsi tutti.
Io rimasi silenzioso accanto al nostro fuoco, sedendomi su un tronco abbattuto che gli stava di fronte.
Osservavo le fiamme danzare di fronte a me, mi rapivano, fin da quando ero piccolo, quando appena sotto la scogliera, con il mare compagno, la tribù organizzava i falò e mio nonno danzava con la pelle di lupo per propiziare una buona riuscita dell’anno.
Ripensai ai miei, che stavano a casa, ansiosi per il mio ritorno, preoccupati per quello che mi poteva capitare.
Sospirai affranto e spostai leggermente lo sguardo dal punto sul quale lo avevo posato.
Sobbalzai preso alla sprovvista quando la notai vicino a me, ecco un altro mio difetto: sognatore, troppo, troppo sognatore.
-Ciao Billy- mi salutò con un sorriso raggiante.
Avvampai di colpo e lei lo notò, me lo disse solo anni dopo, una volta sposati.
-Ciao Sarah- mormorai imbarazzato ed in difficoltà.
-Come mai qui? Non ti piace la musica?- domandò curiosa sporgendosi un po’, per vedermi meglio.
-No, cioè sì, mi piace la musica, ma preferivo stare da solo- spiegai impacciato ed articolando fin troppo le mani.
Rise, ma poi si fermò di colpo, come se avesse paura di ferirmi.
-Sei molto simpatico come tipo- osservò con uno sguardo acceso, quello che l’ha sempre resa unica.
-E tu sei molto spigliata- risposi a mia volta guardandola con la coda dell’occhio.
-Lo so- sospirò –dovrei essere più pacata e riservata, ma non ci riesco- sorrise.
Non credo di aver mai visto un sorriso più bello ed aperto, sembrava il sole.
-Stai bene così- dissi senza pensarci sopra –sei molto meglio delle altre ragazze, sei più vera-
Avevo parlato troppo così chiusi la bocca, letteralmente terrorizzato.
Non avevo mai avuto una ragazza, o per lo meno, nessuna si era avvicinata a ciò che io ritenevo tale. I rapporti che avevo con il gentil sesso si recludevano unicamente al buongiorno e alla buona sera.
Lei arrossì a sua volta e scostò lo sguardo sorridendo un po’ in difficoltà.
-Bhè anche tu sei diverso…- mormorò in un sussurro –sei meno avventato, più riflessivo e… interessante, sì, direi interessante- le labbra si aprirono un poco.
-Uhm allora siamo due diversi- conclusi con un tono scherzoso facendo spallucce.
-Troppo rispetto alla massa- sospirò lei poggiando la testa fra le mani.
L’osservai confuso e lei mi fece segno di non preoccuparmi.
-Jhoanna mi ha detto che ti piace leggere- riprese allegra inchiodandomi con i suoi occhi. Annuii impacciato e iniziai a stringere l’indice destro tra la mano sinistra.
-Molto, non è un passatempo molto in voga però- storsi la bocca ripensando alla considerazione che avevano i miei amici riguardo alla lettura.
-Anche i tuoi “compagni” non amano i libri?- era una domanda retorica, che pose con le labbra appena all’insù.
-Il mondo non ama leggere, è ben diverso- corressi accigliato.
-A me piace scrivere- se ne uscì così, come sempre d’altronde. Imprevedibile, forte, impetuosa, come l’acqua di un torrente, che ti travolge quando meno te l’aspetti trascinandoti con se nel suo percorso.
-Scrivere?- questa volta il curioso ero io. Chissà cosa poteva creare una ragazza così bella e simpatica.
-Sì, storie, stupidaggini per ora, però il mio sogno è diventare una giornalista…- aveva gli occhi rivolti alle stelle e la sua voce era sognante.
-Vorrei leggere qualcosa di tuo…- mormorai seguendo il suo sguardo e osservando il carro maggiore, con la stella Polare.
-Sono storie d’amore, cose stupide… da ragazzine innamorate- sospirò ironica, quasi sarcastica.
-Amore?-
-Sì, magari il non provarlo nella mia vita, porta al crearlo nella finzione- sussurrò mesta, si spostò un attimo verso il furgoncino, con un gesto veloce si passò il braccio sul volto e rimase qualche attimo in quella posizione.
Dentro di me sentivo una vocina impaziente farsi avanti, mi suggeriva di agire, fare il primo passo. Baciarla. Esatto. Quello che non avevo mai fatto. Perché lei mi piaceva…e non sapevo se sarebbe stato amore eterno… però… io l’amavo.
Inspirai profondamente e quando si voltò la baciai.
Cose da ragazzini? Di sicuro. Ma non posso dire di aver mai baciato in modo più dolce, passionale, desideroso. Quello fu IL bacio. E le sue labbra si sciolsero, le mie dita smisero di titubare, le lingue si scoprirono.
Amore… quante volte pensai il tuo nome da quella notte…

Cosa sono queste luci che mi scorrono sopra la testa?
Queste urla?
E questi volti? Perché mi guardano così preoccupati?!
Andate da lei! ANDATE DA LEI!
Io posso anche morire.
Questo rumore ritmico, cosa è?
Sembra il battito di un cuore…
Ora la mano sinistra… cosa state facendo?! Lasciate! Lasciate la mia fede! E’ MIA! E’ nostra!
-Anestesia, sembra si stia svegliando- questa voce gelida, cosa vuole da me?
Vi prego lasciatemi andare, lasciatemi andare da lei.
Il rumore metallico dell’oro che rimbalza in un recipiente…Il nostro matrimonio…

Mi girava la testa, non riuscivo a respirare, la cravatta era troppo stretta, lo avevo detto a mio padre.
Eppure lui aveva insistito per farmela indossare, troppo testardo, lui.
La camicia mi prudeva ovunque, e l’anulare sinistro mi pizzicava in un modo assurdo.
Continuavo a grattarmelo freneticamente. Mia madre mi guardava truce finché, con una mossa serpentina, non mi mollò uno schiaffetto doloroso sulla mano destra. La guardai imbronciato ed entrambi scoppiarono a ridere.
-Nostro figlio si sta per sposare ma è ancora un bambino- cinguettò lei al marito, guardandolo con affetto. Lui non smise di ridere ma parcheggiò la macchina davanti alla sala dove si sarebbe tenuto il matrimonio.
Per volere di Sarah la cerimonia sarebbe stata di stampo cattolico, la sua famiglia era molto credente, una delle poche nella riserva. Mio padre non la vedeva molto bene come cosa, ma a me poco importava il modo, il dove, ed il quando l’avrei spostata, ma il fatto in se. Io l’amavo, giorno dopo giorno il sentimento che avevo per lei aumentava, e aumentava! Ed ora! Il matrimonio! Non potevo pensarci… io e lei… per sempre.
Scesi e socchiusi gli occhi quando guardai il cielo: sole. C’era il sole.
Ogni respiro diventava sempre più faticoso una volta entrato nella sala addobbata al meglio per la cerimonia, tutta la riserva era stata invitata, ognuno aveva puntato lo sguardo su di me e mia madre, che mi accompagnava. Possibile che fossi così interessante?
Joshua mi guardò con un ghigno divertito e appena nessuno, oltre a me, lo guardava fece finta di impiccarsi, con una chiara allusione al fatto che il matrimonio, almeno per lui, era un vero e proprio suicidio.
Gli altri ragazzi, chi prima, chi dopo, erano in gran parte già sistemati, o in procinto di farlo.
Cercavo ogni particolare per tentare di scacciare l’ansia che mi attanagliava lo stomaco, ma quando entrò lei… bhè fu tutto inutile.
Il raggio di sole che entrava sembrava seguire i suoi movimenti lenti, e leggermente impacciati a causa della tensione; aveva il volto scoperto e raggiante, tra le mani teneva dei fiori.
Ricordo solo questo. Tutto in quel momento mi sembrava così superficiale e inutile da non essere degno della mia attenzione, non volevo sprecarla, doveva essere rivolta unicamente a lei.
Il mio piccolo raggio di sole.
Arrivò al mio fianco e mi prese una mano tremante, stringendola con forza nella sua. Si voltò un attimo fissandomi negli occhi, sorrise sicura. Io seguii ogni suo movimento come rapito.
La cerimonia durò relativamente poco, o dannatamente a lungo. Dipende dai punti di vista.
Se quel tempo che avevo lo avessi riservato solo alla sua contemplazione, bhè, l’aggettivo poco non è molto adatto. Purtroppo però ero ansioso di finirla, di scendere da quel piedistallo con lei, pronti ad una nuova avventura.
Le parole del prete mi sorpresero.
-Signor Black mi ha sentito?- domandò agitato sporgendosi un po’.
Tutti mi fissavano insistentemente. Scossi la testa sorridendo, presi fiato e la guardai con quanto più amore mi era possibile trasmettere.
-Lo voglio, per sempre- pronunciai queste parole a gran voce.
Il mio amore, il suo amore, il nostro amore. Per sempre.
Mi ero scordato un particolare del giuramento, un qualcosa che ognuno di noi ignora, o ignorerà in quel momento: finché morte non vi separi. Parole vere, troppo vere.

Sbatto le palpebre ripetutamente, non riesco a mettere a fuoco molto bene, le immagini sono confuse intorno a me. E questi singhiozzi? Rachel? Oddio! Cosa ti è successo? Devo alzarmi subito, immediatamente, non posso lasciare i nostri figli da soli.
Loro hanno bisogno di me. No, hanno bisogno di noi. Amore devi farcela. Ti prego. Non so dove sei, ma ti supplico: vivi.
Di colpo vedo nuovamente. Il nero di quelle iridi mi scalda il cuore, uguali a quelli di sua madre. Mi ricordo ancora la prima volta che ti ho visto piccolo.
-Jake- sussurro con un fil di voce. Proprio come ho fatto quella mattina.

Le gemelle mi stringevano le mani eccitate, l’idea di un bambolotto vivente le rendeva estasiate, erano giorni che parlavano di come lo avrebbero vestito, di quello che gli avrebbero fatto fare. Sorrisi sotto i baffi augurando a quel bambino gambe agili per scappare dalle grinfie di quelle due streghette.
All’ospedale non c’era nessuno quel giorno, metà novembre eppure non pioveva. Metà mattina e il sole brillava. Strano, pensai, doveva essere un segno del destino. Eppure io non riesco a ricordare un singolo giorno che ho passato con Sarah in cui le nubi oscuravano la luce vitale del sole.
Forse la sua presenza bastava per riscaldarmi, per farmi dimenticare l’umidità e la pioggia che scendeva fuori. Lei era esattamente il mio sole personale.
Entrammo nella sala parto e davanti alla nursery cercammo tutti e tre il piccolo bimbo che avrebbe presto fatto parte della nostra famiglia.
-Papà ma non c’è nessun bambolotto- protestò Rebecca con veemenza mentre la riposavo a terra dopo averla alzata per farle vedere.
-Sarà con la mamma- suggerii mentre le accompagnavo dentro la stanza di mia moglie.
Là lei guardava il piccolo come se stesse custodendo una preziosa opera d’arte, aveva lo stesso identico sguardo di quando aveva preso tra le mani le bambine per la prima volta. Quel umanità indescrivibile che nasce nel cuori delle madri e che in lei la rendevano il più bello dei fiori.
Mi avvicinai e le scansai leggermente una ciocca ribelle baciandole la fronte.
-Amori!- esclamò a Beck e Rachy allargando il braccio libero stringendole a sé.
Aveva la faccia sfinita, tutta la notte di travaglio, che io avevo passato con lei, nonostante questo sembrava la personificazione della vita. Con le due fossette che le scavavano le guance e quel mento da bambina che la rendeva così adulta.
-Mamma posso prenderlo?- chiese mormorando Rebecca.
-Sta dormendo…- rispose la madre sistemando il frugoletto un po’ meglio, ma a quel punto lui si svegliò iniziando a piangere. Smise subito. Non è mai stata abitudine di Jake versare lacrime, e questo forse è un bene, forse è un male. Spalancò i suoi occhietti curiosi e li puntò su di me. Aspettò un attimo, come se mi stesse studiando e poi distese le labbra beato. Sembrava un sorriso.
Lo so, i padri e le madri vedono i figli compiere miracoli ovunque, ma non voglio negare che per me quello era il sorriso di Sarah. E lo terrò sempre nel cuore. La mia adorata moglie lo osservò piena d’orgoglio, mentre io stringevo da dietro le spalle delle gemelle in un abbraccio che comprendeva anche quei due, che se ne stavano sul letto.
Non esiste immagine più dolce e felice della mia vita. Noi cinque, insieme per sempre.

Din, Don, Din, Don.
Le campane oggi sono inopportune, non capiscono quanto io stia soffrendo. Guardare il suo volto bianco mi rende pazzo, non riesco a smettere di piangere.
Annuisco quando la gente si avvicina e mi porge le sue condoglianze, lo facciamo tutti e quattro, io e i miei figli. In fin dei conti però nessuno ascolta veramente tutto questo ciarlare.
Soffro. Sento dolore. Muoio.
Vorrei raggiungerla nella bara, stringerla a me, baciarla finché non arrivi la notte, e poi di nuovo, fino al mattino seguente, fino al giorno in cui non sarà concesso anche a me di riabbracciarla.
Il discorso del prete è pomposo, si loda il suo buon animo, ma alla fine la gente qua dentro cosa ne sa?
Chi, in questa sala, è capace di vivere senza il sole?! Chi avrà la condanna di tale dolore?
Lei… è morta. E sento che dentro di me qualcosa se ne è andato con lei.
Il piccolo Jake fissa la madre imperterrito, si morde un labbro ma non piange, anzi, guarda la sala scettico, con quel insolenza gentile di cui solo i bambini sono in possesso.
Dopo poco si volta verso di me e tira i miei pantaloni, mi fa segno di chinarmi; sfinito seguo il suo consiglio, chiude le mani per coprire il mio orecchio e inizia a sussurrare.
-Papà perché piangi? La mamma non vuole- mi sgrida preoccupato.
In quel momento non posso che sorridere ed accarezzargli la testa. Ha ragione, il mio piccolo ometto ha ragione.
C’è una corda che pende nella mia direzione, si chiama Morte, è attraente, alla fine di essa è presente un’immagine sfuocata che ognuno di noi riconduce al suo amato, intanto io,però, cado.
Cado in quel burrone senza fondo che si chiama Vita e che i miei figli illumineranno con ogni loro gesto.
E saranno i loro sorrisi a dirmi che Sarah è viva, i loro battibecchi, i loro pianti.
Perché il mio amore vive, in ognuno di noi. Vive nel sole che a La Push non c’è mai, ma che in questo momento è nel sorriso di Jacob.
Quando si ama si muore ogni singolo giorno: si muore quando il proprio amato piange, quando soffre, quando ride.
Io ora voglio vivere. Vivere per lei. Vivere per il nostro amore.
Perché io l’amerò vivendo.

Ed ora Morte? Cosa fai? Continui a fissarmi?
Sopra di te non c’è nulla
Sarah non è quella figura, no.
Lei è in ogni goccia di pioggia che scende, in ogni raggio di sole.
E’ il mare che calmo accompagna le serate estive, l’albero che ripara dal temporale.
Una farfalla che si posa su un fiore.
Lei non morirà mai




Riporto i giudizi del contest Amore-Morte a cui ha partecipato la storia:
3° posto: “Dying_Happiness” di princess of vegeta 6

Grammatica e sintassi: 7,5/10
Lessico e stile: 8/10
Originalità: 9/10
IC: 8/10
Gradimento personale: 4/5
Totale: 36,5/45

Giudizio: La storia è molto carina e dolce. Hai descritto benissimo l’amore profondo tra Billy e sua moglie e hai reso i sentimenti molto bene. Purtroppo ci sono degli errori di punteggiatura, che a volte rendono difficoltosa la lettura e anche di concordanza di tempi verbali o singolare e plurale, sicuramente dovuti alla distrazione, che però hanno abbassato il punteggio. L’IC era abbastanza buono anche se, visto il poco spazio dedicato a Billy nei libri, è difficile dirlo. Nel complesso è una storia molto bella e dolce, brava, devi solo fare più attenzione alla punteggiatura e alla grammatica


Ringrazio chi l'ha letta, e commentata. Merci.

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