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Autore: ShioriKitsune    19/01/2016    5 recensioni
[College/Soulmate!AU ; TaeKook - side NamJin, JiHope]
"Ma, il giorno del suo sedicesimo compleanno, Jeongguk ricevette due delusioni.
La prima: il nome che, una sillaba alla volta, gli aveva marchiato il polso era quello di un ragazzo. E a questo poteva anche sopravvivere.
La seconda, e peggiore, era che accanto al nome non vi era nessun conto alla rovescia."

(Mi metto alla prova con una storia totalmente diversa dai miei soliti schemi, molto cliché e con tanto fluff. Enjoy!)
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La fine di ottobre portò con sé le foglie ingiallite, e i rami spogli vennero ben presto imbiancati dalla neve di metà dicembre.

Assieme alla neve, un'atmosfera natalizia che alla Corea del Sud apparteneva poco, e quell'occasione veniva vista e festeggiata più che altro come un secondo San Valentino, ancor più in pompa magna della già di per sé noiosissima giornata di febbraio.

Jeongguk sbuffò annoiato, facendo zapping tra i canali anche se in realtà non stava neanche prestando attenzione a ciò che trasmettevano. La neve aveva bloccato un sacco di strade e fuori faceva discretamente freddo: questo lo obbligava a passare le sue appena iniziate vacanze rinchiuso nel dormitorio a far nulla.

Jimin, assieme a Hoseok, era tornato a Busan per salutare la famiglia.

Anche se la signore Jeon aveva pregato suo figlio di tornare a casa per le feste, Jeongguk non ne aveva volito sapere. Preferiva restare chiuso nella sua stanza a Seoul, invece che essere costretto ad osservare le coppiette dare il meglio di sé in quel periodo dell'anno che, per lui, non aveva nulla di speciale.

«Siamo rimasti solo io e te, G-Dragon», sospirò, accarezzando la testa del peluche al suo fianco.

Non aveva smesso un solo giorno di rivolgersi a quei pupazzi con i nomi che V aveva affibiato loro. Come se questo gli permettesse di ricordarsi più vividamente di quello strambo ragazzo dai capelli arancioni, che in 24 ore gli aveva raccontato tutto di sé e poi era sparito.

Dopo quella mattina di metà ottobre, V era letteralmente sparito nel nulla.

Jeongguk continuava a sentirsi in colpa e sarebbe una bugia bella e buona affermare che l'incontro col ragazzo non gli avesse smosso qualcosa.

E l'aveva cercato, Jeongguk. L'aveva cercato al parco, alla lavanderia a gettoni e girando per quella zona; aveva fermato qualche passante che però aveva scosso la testa chiedendo scusa. Aveva persino sperato di incontrare il tipo inquietante che li aveva inseguiti quel giorno, ma nulla.

V era scomparso e Jeongguk, alla fine, se n'era fatto una ragione. Anche se continuava a parlare con i pupazzi.

Ma anche se l'aveva in qualche modo accettato, voleva delle risposte: perché aprirsi in quel modo e poi sparire? Si era forse pentito di essersi fidato di Jeongguk? Il minore non pensava di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Poi, la sera, arrivavano i pensieri e gli scenari peggiori: e se a V fosse accaduto qualcosa di terribile? Nessuno lo avrebbe mai saputo.

Andava a letto con una sorta di angoscia e si risveliava con la consapevolezza che V aveva vissuto sette anni senza nessuno a prendersi cura di lui ed era sopravvissuto. In qualche modo, quindi, sapeva cavarsela.

Aveva solo deciso di scomparire e Jeongguk non avrebbe mai scoperto il perché.

 

Le giornate passavano lente, senza Jimin a fargli compagnia. Più di una volta pensò che forse sarebbe stato meglio tornare a casa, ma puntualmente bocciava l'idea classificandola come “la peggiore che gli fosse mai venuta negli ultimi dieci anni”, che era parecchio tempo.

La Vigilia era ormai alle porte e Jeongguk non aveva piani speciali per quella data. Magari sarebbe andato a prendersi un cappuccino e l'avrebbe sorseggiato fissando il nome tatuato all'interno del suo polso sinistro, senza pronunciarlo perché non aveva senso godere della musicalità che Kim Taehyung possedeva, se mai lo avrebbe usato per chiamare la sua metà. Sospirò – aveva perso il conto di quante volte lo aveva fatto in quelle ultime settimane – e afferrò il cellulare quando la vibrazione lo avvertì della presenza di un nuovo messaggio.

 

»» Da: Jiminnie

“Portrei averti organizzato un appuntamento al buio per domani ;) ;) ;) Non c'è bisogno di dirmi grazie, sono il migliore e lo so”.

 

Jeongguk grugnì.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Scordatelo”

 

»» Da: Jiminnie

“Kookie!!!!!!! Non fare l'asociale. È solo per fare amicizia!!!!”

 

Jeongguk odiava gli appuntamenti al buio, e Jimin glieli rifilava da circa due anni. Di solito erano con gente che sì, aveva un'anima gemella, ma che magari cercava... un'altra persona con cui condividerla. E Jeongguk non era proprio in quel giro.

Jimin, troppo innocente per il mondo, pensava davvero che i tipi o le tipe con cui gli organizzava incontri cercassero un'amicizia, e il minore non voleva rompere l'idillio del suo mondo ideale dove tutti si amano e la gente è buona, così non gli aveva mai detto la verità. Certo, qualche volta aveva ceduto ad un tipo o due, ma era l'inizio e aveva voglia di sperimentare. Quando aveva capito che gli incontri di una notte e la condivisione del partner non facevano per lui, si era rinchiuso nella sua bolla fatta di studio, Jimin e autocommiserazionem senza mettere piede fuori casa se non per ragioni di mera sopravvivenza e guadagnandosi la nomina di “asociale d'oro” del gruppo. Gruppo, sì, perché in effetti un gruppo di amici lo aveva. Ma, oltre a quei pochi, non permetteva a nessuno di avvicinarsi troppo a lui.

Beh, fatta eccezione per V.

Sbuffando, digitò velocemente la risposta diretta a Jimin.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Ora e luogo?”

 

Non gli interessava davvero, perché non ci sarebbe andato, ma se questo bastava a mantenere alto l'umore del suo migliore amico, si sarebbe quantomeno finto interessato.

 

»» Da: Jiminnie

“18.00, caffetteria del campus. la ragazza si chiama kyomi e porterà la sua anima gemella, harumi. sono giapponesi in vacanza non è fighissimo?!?!”

 

Jeongguk roteò gli occhi. Fighissimo? Due ragazze in vacanza: non sarebbe potuta andare peggio di così.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Va bene, ci andrò. Grazie Chim-Chim”

 

L'altro non rispose ma il minore sapeva che stava sorridendo dietro lo schermo. Era una noia quel ragazzo, ma non poteva che essere felice di averlo nella sua vita.

Quella sera Jeongguk si addormentò sul divano, e un ragazzo mezzo matto dalla capigliatura arancione popolò i suoi sogni.

 

*°*°*

 

Jeongguk rispose al telefono senza neanche controllare chi lo stesse chiamando, ma non ebbe il tempo di spiccicare parola.

«Jeon Jeongguk, dove diavolo sei?!»

«Uhm». Jeongguk lanciò uno sguardo all'orologio del televisore: le 18.34. «Ehm, la linea è disturbata crrr-scusa Jimin, non ti sentcrrr-».

«Non usare questi trucchetti con me, moccioso! La mia amica Kyomi mi ha telefonato chiedendomi dove tu fossi! Avevi intenzione di lasciare due ragazze ad aspettarti all'infinito? Che immagine vuoi dare al mondo di noi coreani?»

Il tono indignato di Jimin quasi lo fece sentire in colpa.

«Senti, Chim-Chim...»

«Non chiamarmi “Chim-Chim”, Jeongguk! Lo fai sempre quando vuoi accattivarmi! Se non sarai alla caffetteria entro le 19.00, giuro sui miei adorati pupazzi di peluche che ti accompagnerò mano nella mano ad ogni prossimo incontro che ti fisserò!»

Oh, pensò Jeongguk. Quella sì che sarebbe stata una tragedia.

Sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

«Va bene, va bene, dì loro che sto arrivando».

Un “Sarà meglio per te” in tono minaccioso fu l'ultima cosa che udì prima che la chiamata venisse interrotta.

Borbottando, chiuse la zip della felpa e s'infilò le scarpe, uscendo di casa in tutta fretta.

Avrebbe detto alle ragazze che non era interessato a quello che loro avevano da offrirgli – magari pregandole di non dire la verità a Jimin, povera anima innocente – e sarebbe tornato a casa a far nulla.

Fortunatamente la caffetteria in questione on era poi molto lontana dal suo dormitorio, quindi non avrebbe dovuto patire il freddo troppo a lungo. Quando entrò nel locale, strofinando le mani tra loro per generare un po' di calore, due ragazze dall'altra parte del locale gli puntarono lo sguardo addosso.

Jeongguk sospirò, andando verso quel tavolo: dovevano essere loro Kyomi e Harumi.

«Jeongguk-sshi?», cinguettò una delle due, attorcigliandosi una ciocca di capelli al dito. «Sei ancora più carino di quanto ci aveva detto Jimin!».

Il ragazzo roteò gli occhi, a rischio anche di essere scortese – ma poco gli importava, sinceramente – infilando le mani nelle tasche anteriori dei jeans. «Grazie. Ehm, mi dispiace ragazze, ma io...».

Quello che successe dopo, Jeongguk non se lo sarebbe mai aspettato. Rimase a bocca aperta, seguendo con lo sguardo il cameriere dai capelli arancioni che scompariva dietro una porta riservata ai dipendenti.

«...devo andare».

Terminò la frase in fretta e furia, senza concedere alle due nemmeno un altro sguardo.

Non sapeva se le ragazze avessero detto qualcosa dopo oppure no, perché i suoi piedi si erano mossi da soli verso la porta che, riaprendosi, gli arrivò dritta in faccia.

«Mi dispiace!».

Jeongguk si coprì il naso con le mani, controllando che non stesse sanguinando e abbassando il capo, mentre il cameriere continuava a scusarsi e, dal suo tono, sembrava quasi che avrebbe potuto gettarsi in ginocchio implorando perdono da un momento all'altro. «Mi dispiace così tanto, signore! La prego, non si lamenti con il direttore, le offrirò qualsiasi bevanda lei desideri ma la prego! Ho bisogno di questo lavoro e sembra che quel vecchio stia solo cercando un pretesto per buttarmi fuori!». Poi spalancò gli occhi, mettendosi le mani sulla bocca. «Non le dica neanche che l'ho chiamato vecchio! Le offrirò da bere per una settimana, per favore!».

Fu quello il momento in cui Jeongguk sollevò il viso ed i loro sguardi s'incrociarono.

«Jeon Jeongguk». E il suddetto non poté impedire al suo stomaco di aggrovigliarsi quando l'altro pronunciò il suo nome.

Il silenzio si protrasse per qualche attimo di troppo, così come quell'intenso scambio di sguardi. Poi il maggiore chinò il capo stringendosi il vassoio al petto, e fece per andare via. Jeongguk, in un riflesso involontario, gli afferrò il polso per bloccarlo.

«V, aspetta un attimo».

«Devo lavorare».

«Allora aspetterò io. È la Vigilia di Natale e non ho niente di meglio da fare».

A quelle parole, il maggiore alzò lo sguardo. I suoi occhi erano criptici e, diversamente dall'ultima – e prima – volta, erano quasi... spenti. Eppure, il calore era ancora lì da qualche parte.

«Va bene. Stacco tra poco, puoi sederti a quel tavolo», disse, idicando un punto in fondo al locale, fortunatamente dalla parte opposta rispetto alle due ragazze – che, in ogni caso, sembrava stessero andando via. «Ti offrirò da bere, per scusarmi della porta in faccia», e Jeongguk pensò che quella fosse l'ultima cosa di cui V dovesse scusarsi. «Cosa vuoi?».

La domanda poteva essere intesa in tanti modi diversi, ma il minore optò per la risposta più semplice in quel momento. «Un caramel macchiato, grazie».

«Ricevuto».

V sparì dietro il bancone e Jeongguk prese posto al tavolo indicatogli, mentre una vocina nella sua testa gli domandava insistentemente che cosa diavolo avesse intenzione di fare adesso.

L'ordinazione gli fu portata da un'altra cameriera, a cui Jeongguk sorrise educatamente.

Era chiaro che volesse sapere perché V fsse sparito così, senza una parola, ma non era sicuro di sapere perché gli interessasse così tanto saperlo. Più volte aveva ricordato a se stesso che V era un estraneo e non gli doveva nulla, che aveva tutto il diritto di sparire se era ciò che voleva e che lui non era nessuno per chiedergli una spiegazione. Eppure sentiva il bisogno di averne e, nel caso, di chiedergli scusa.

Si disse, quasi autoconvincendosi, che era proprio quella la ragione alla base di tutto: voleva scusarsi se e per averlo turbato, chiedendogli di raccontare del suo passato. E, in fondo, magari accusarlo per averlo fatto preoccupare a causa della sua sparizione.

No, si ripeté. Non puoi accusarlo, non hai ragioni di preoccuparti per lui.

Sospirò, prendendo un sorso del caramel macchiato e beandosi del suo tepore dolce. Jeongguk non era un amante dei dolci, ma quella bevanda gli ricordava casa, la sua infanzia e i pomeriggi passati a studiare, interrotti dal quieto bussare di sua mamma che, chiedendogli se andasse tutto bene, gli posava sulla scrivania una tazza della calda bevanda.

Il calore era ormai solo un ricordo quando il ragazzo riusciva finalmente ad alzare la testa dai libri, ma il gusto dolce del caramello gli sarebbe rimasto sulla lingua fino all'ora di cena.

Jeongguk sorrise.

«Hai un bel sorriso quando non sei impegnato a tener su la tua facciata da duro».

Il minore sussultò, notando che l'altro si era liberato dalla divisa in favore di un largo maglione beige che gli lasciava scoperte le scapole, e che era seduto proprio di fronte a lui con una tazza fumante tra le mani.

«E tu sembri quasi una persona seria, sul posto di lavoro».

V sorrise e Jeongguk dovette mordersi l'interno della guancia per non emettere squittii imbarazzanti. Non sarebbe stato da lui, non importava quanto V fosse bello quando sorrideva.

«Visto? Non capisco perché il mio vecchio datore di lavoro mi abbia licenziato: sono il dipendente modello!».

Ci fu un momento di silenzio in cui entrambi abbassarono lo sguardo, immersi ognuno nei propri pensieri e alla ricerca delle giuste parole da usare. Quando parlarono, lo fecero contemporaneamente.

«Senti, V-».

«Jeongguk, mi-».

Si bloccarono, sorridendo, ed il maggiore fece segno all'altro di continuare.

«Mi dispiace per essere stato invadente, non volevo costringerti a-».

«No, dispiace a me per essere sparito senza una parola. Non hai detto niente di sbagliato, è che...», sospirò, indicando il polso sinistro di Jeongguk. «la vista di quello mi ha turbato. Non che sia colpa tua o cosa, ma...».

E qui V esitò, come quella volta nella cucina di Jeongguk, trattenendo il fiato. Ritirò il dito che quasi aveva sfiorato l'interno del polso di Jeongguk e nascose la mano sotto il tavolo. «...non mi piace l'idea di questa storia dell'anima gemella, sai. Di queste cose scritte nelle stelle e roba del genere. Perché se penso al fatto che ci sia un destino da seguire e che la nostra vita è già scritta e tutto il resto... beh, quello che ha scritto la mia è proprio un grande str-».

Si bloccò, portandosi una mano alla bocca e sgranando gli occhi, come shoccato dal fatto che avesse quasi detto una parolaccia. In effetti, Jeongguk proprio non riusciva ad immaginarselo mentre ne diceva una.

Fu quello l'esatto momento in cui lo sguardo del più piccolo cadde sull'interno del polso sinistro di V, rivelando nessun nome e nessun timer. Solo un'orrenda cicatrice guarita male, come se in quel punto V avesse cercato di strapparsi la pelle fino alle ossa. Jeongguk comprese quanto profondamente l'altro credesse nelle parole che stava pronunciando.

«Capisco».

Aveva di certo capito che nessuna domanda, per nessuna ragione al mondo, doveva essere posta a V su questo argomento. Evidentemente per il maggiore era un tasto dolente più di quanto lo fosse per lui.

V inclinò il capo, un velo di curiosità negli occhi, e Jeongguk si ritrovò a parlare prima ancora di avere la possibilità concreta di fermare il proprio flusso di parole.

«Neanche io credo tanto in questa storia. Cioè, beh, ci credevo... prima di rendermi conto che la mia “anima gemella” sembra essersi rifugiata in un'altra dimensione o qualcosa del genere».

Il minore si passò una mano dietro il collo, cercando di alleggerire la tensione con una risatina imbarazzata.

Per un brevissimo istante, gli occhi di V si riempirono di tristezza.

«Quello che voglio dire è che nessuno, neanche questo fantomatico destino, dovrebbe decidere per noi. Dovremmo essere liberi di innamorarci di chi vogliamo, di stare insieme a qualcuno perché lo abbiamo conosciuto, imparando ad accettare i suoi difetti ed ammirare i suoi pregi, e non a causa di uno stupido nome tatuato sulla pelle da qualche tipo di forza maggiore».

V sorrise. «Siamo simili, io e te, non credi? Per un motivo o per un altro nessuno di noi due è schiavo di quello che gli altri chiamano fato».

Jeongguk annuì incerto e il sorriso di V si allargò. Sorseggiarono ognuno la propria bevanda per un po', prima che il minore si schiarisse la voce.

«Allora... è tutto okay? Tra me e te intendo... siamo a posto?».

Una domanda celata malamente dietro una più banale: possiamo vederci ancora?

Il maggiore sfoggiò il suo ghigno rettangolare, incrociando le mani sul tavolo.

«Sì, Jeon Jeongguk, siamo a posto! Più che a posto, adesso siamo amici!».

E, nell'udire quelle parole, Jeongguk proprio non riuscì a reprimere un sorriso.

 

*°*°*

 

Essere amico di V voleva dire passare più tempo con lui che con se stesso. Dopo quel giorno in caffetteria, il maggiore aveva insistito per incontrarsi il pomeriggio dopo e quello dopo ancora. Avevano chiacchierato di tutto e di niente, come la prima volta e, alla fine, V aveva sottratto il cellulare a Jeongguk per salvare il proprio numero.

«Niente applicazioni bizzarre di messaggistica istantanea, questo rottame non ha la connessione dati», aveva poi ghignato, mostrando il vecchio cellulare a Jeongguk. «L'ho comprato ad un prezzo misero da un nonnetto che mi guardava in modo strano. Non sarà il massimo, ma meglio di niente».

Ma il minore non avrebbe mai immaginato di dover impostare l'apparecchio in perenne modalità silenzioso a causa degli sms agli orari più impensabili.

 

»» Da: V-hyung

“Jeonggukie!!! Stai studiando?? Cosa fai?? Ho appena finito di lavorare e mi annoio!!!!! :D :D :D”

 

Jeongguk si coprì la testa con il cuscino, aspettando gli altri millemila messaggi che sarebbero arrivati nel giro di qualche minuto.

 

»» Da: V-hyung

“Jeonggukie???”

“Jeon Jeongguk, rispondimi subito!!!!!”

 

Jeongguk grugnì, lanciando un'occhiata all'orologio sul comodino. Il quadrante digitale segnava le 02:38.

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Hyung, sono quasi le tre di notte. Dovresti tornare a casa a dormire”.

 

»» Da: V-hyung

“Stai proponendo un pigiama party? Ci sto! Come la vuoi la pizza?”

 

Sospirò, sorridendo appena.

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Salame”

 

Così era iniziata la loro amicizia e, in tutta onestà, a Jeongguk andava più che bene.

 

 

Quel pomeriggio di fine gennaio, i due lo avevano passato sul divano di Jeongguk, una ciotola di popcorn a dividerli, mentre commentavano il film senza staccare gli occhi dal televisore.

«È assurdo che tu preferisca questo al primo, hyung. Insomma, il primo è su un livello decisamente diverso».

«Come puoi dirlo? È qui che si mette davvero alla prova l'amicizia di BuzzLightYear e Woody. È toccante il modo in cui da nemici siano diventati quasi migliori amici».

Jeongguk roteò gli occhi. «Guarda che diventano amici già nel primo film, quando restano bloccati a casa del-».

«Okay», lo interruppe l'altro, infilandosi una manciata di popcorn in bocca. «Okay, ma penso che quella trama fosse decisamente ovvia. Di certo Woody non avrebbe potuto lasciare che Buzz saltasse per aria: che razza di insegnamento avrebbero dato ai bambini?».

Il minore roteò gli occhi, afferrò un popcorn e glielo lanciò dritto in faccia. «”V” sta per stupido».

E V si girò, lanciandogli a sua volta un popcorn. «Nerd. Se devi citare Jinx, almeno fallo con il giusto tono di voce».

Jeongguk aprì la bocca per replicare, ma fu interrotto dal trionfale ingresso di Jimin. «Toy Story e League of Legends? Davvero? Dio, che sfigati». I suddetti sfigati gli lanciarono un'occhiataccia. «Chim-Chim, te l'hanno mai detto che è da maleducati origliare?».

«Origliare? Non lo chiamerei origliare, quando sono state proprio le vostre irritanti voci a svegliarmi. Adesso, voi due perdenti, che ne dite di sfilarvi il pigiama e venire a fare un giro con me e Hobi-hyung?»

Jeongguk e V si scambiarono un'occhiata.

«Non ho vestiti adatti per andare in giro», borbottò V.

«Kookie-ah può prestarti qualcosa. O se preferisci posso prestarti qualcosa io».

«Uhm, Jiminnie, ho superato la taglia 10-12 anni da un po', ma grazie lo stesso».

Lo sguardo dell'altro divenne di fuoco: era sempre sensibile ai commenti riguardanti la sua statura. «Aish, fottuto-», si bloccò, sospirando per mantenere la calma. «In ogni caso, vi concederò esattamente due minuti prima di prendervi a calci in culo e-».

«Okay, okay! Andiamo a vestirci, noiosissimo nano da giardino!».

Jimin diventò rosso di rabbia. «È “hyung” per te!».

Ma Jeongguk aveva già chiuso la porta della sua stanza alle loro spalle, senza degnare l'altro di considerazione.

V aveva già iniziato a spulciare tra i cassetti del minore, cercando qualcosa da indossare; Jeongguk si limitò ad afferrare un jeans e una maglia nera già scartati dall'altro. Si voltò per cercare un paio di calzini e, quando tornò a guardare nella direzione di V, questi si era già liberato della maglia del pigiama e si accingeva a calarsi i pantaloni.

«Who-oh! Aspetta!», esclamò il minore, mettendosi per riflesso le mani davanti agli occhi. «Perché diavolo fai sempre...così?». Il suo tono, partito come un grido, andò affievolendosi sempre di più, fino a diventare un mero sussurro. Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi e Jeongguk si ritrovò a fissare V come un idiota.

Il maggiore non aveva un fisico muscoloso, anzi le sue fattezze erano piuttosto femminee. Questo però non faceva che renderlo ancora più attraente.

Quando l'espressione vagamente confusa di V si trasformò in un ghigno, Jeongguk si rese conto di quanto dovesse risultare inquietante il suo fissare in quel momento. Arrossendo, afferrò i vestiti e annunciò che sarebbe andato a cambiarsi in bagno.

Cosa diavolo mi succede?, pensò, rinfrescandosi il viso sotto il getto d'acqua del lavandino. Da quando ho iniziato a considerare V attraente?

L'aveva definito carino, una volta, ma solo perché lo era... oggettivamente, s'intende. Considerarlo attraente era totalmente diverso e gli creava un certo imbarazzo. Loro erano amici, no?

Istintivamente, lo sguardo gli cadde sul polso sinistro.

Non poteva sentirsi in colpa nei confronti di un nome perché provava attrazione per qualcun altro, eppure era proprio ciò che stava provando in quel momento.

Si rivestì velocemente e, quando uscì dal bagno, trovò Jimin impegnato a sistemare la matassa ribelle di capelli di V. E diamine, Jimin aveva fatto proprio un bel lavoro.

Non fissare, Jeongguk, si impose, passando accanto ai due con nonchalance.

«Quanto sei carino, Jeonggukie!», cantilenò V, sfoggiando il suo sorriso rettangolare.

Il più piccolo incrociò lo sguardo divertito di Jimin – che sembrava aver capito la situazione più dei due soggetti in questione – prima di borbottare un “grazie” e affondare tra i cuscini del divano.

 

Una decina di minuti dopo - ovvero quando Jimin fu totalmente soddisfatto del suo lavoro con i capelli di V - i tre uscirono di casa e iniziarono a camminare verso il pub in cui avrebbero dovuto incontrare il resto dei loro amici.

Jeongguk era felice del fatto che V si fosse integrato così bene tra di loro e in così poco tempo: lui, V e Jimin erano ormai un trio quasi inseparabile, la maknae line della loro comitiva, e anche Hoseok e Seokjin sembravano aver preso a cuore il nuovo arrivato. In fondo, era difficile che a qualcuno risultasse antipatico V: era un po' fuori di testa, certo, ma se era riuscito a sciogliere anche i cuori – apparentemente duri - di Yoongi e Namjoon, allora non esisteva davvero anima al mondo che potesse resistere alla sua allegria e positività.

Namjoon-hyung e Seokjin-hyung erano anime gemelle, di qualche anno più grandi del resto di loro e conviventi da circa due anni, ed erano quasi i genitori – ovvero quelli vagamente più responsabili – del gruppo. Seokjin cucinava meglio di qualsiasi madre esistente e per questo, almeno una volta al mese, si riunivano per mangiare qualcosa tutti insieme a casa loro.

Yoongi-hyung era il più burbero, ma era un tipo abbastanza cool. Non aveva ancora incontrato la sua anima gemella ma la cosa non sembrava preoccuparlo più di tanto. Lui, Namjoon e Hoseok spesso si divertivano nel comporre musica e rappare, chiedendo certe volte la partecipazione degli altri.

Era un gruppo assortito, ma che funzionava bene. E V sembrava essere proprio il tassello che mancava per rendere il tutto più armonioso.

Quando arrivarono, erano già tutti lì. Jimin si fiondò immediatamente tra le braccia di Hoseok e Seokjin li accolse con un sorriso caloroso.

Iniziarono a parlare del più e del meno, bevendo e mangiando in allegria.

«Jeonggukie, non ci hai mai detto come hai conosciuto V», disse Namjoon ad un certo punto. «Ce lo stavamo chiedendo un po' tutti, prima che arrivaste».

Jeongguk tossì, imbarazzato, le guance rosse a causa dell'alcol. «Non è una storia interessante», e nella sua mente apparve l'immagine di V che faceva il bagno nel lago, nudo. Arrossì ancor più vistosamente.

«Allora perché sei diventato rosso fino alla punta delle orecchie?», lo stuzzicò Hoseok e tutti risero.

V lo guardava divertito dalla situazione ma, conoscendolo, probabilmente non avrebbe trovato nulla di strano nel raccontare come erano andati i fatti. L'imbarazzo in fondo non gli apparteneva neanche un po'.

Ma Jeongguk decise di tenere quel ricordo per sé, cambiando discorso così velocemente che, con la mente annebbiata a causa dell'alcol, nessuno se ne rese conto.

La serata continuò tra risate e scherzi, fino a quando V non si alzò per andare in bagno; a quel punto, il tavolo si ammutolì e tutti gli occhi furono puntati sul minore.

«Dovresti chiedergli di uscire».

Jeongguk quasi sputò la birra che stava bevendo. «...siamo già fuori, hyung».

Hoseok roteò gli occhi. «Tutti si sono accorti di come lo guardi e visto che... beh, visto che entrambi non avete un'anima gemella, forse dovresti... sai, chiedergli un appuntamento».

Soltanto l'idea gli fece battere il cuore più velocemente. Ma perché? A lui non piaceva V in quel senso. Erano ottimi amici, tutto qui. E a V sicuramente non sarebbe interessato uscire con lui: sarebbe stato strano e imbarazzante e non avrebbe mai fatto nulla che potesse rovinare la loro amicizia. Non che ci stesse seriamente pensando, s'intende.

«Avete preso un granchio, ragazzi. Io e V non-...».

«Io e te cosa, Jeonggukie?».

Silenzio.

«Non, uhm, amiamo bere troppo quindi non ci uniremo a loro per il giro dei pub notturno».

Wow, Jeongguk, ottima capacità di salvare la situazione.

V sorrise. «No, credo di aver già bevuto abbastanza per stasera».

«Allora dovresti accompagnarlo a casa, Kookie», suggerì Jin. «Conoscendo V, prenderebbe l'autobus sbagliato e si ritroverebbe dall'altra parte della città».

Era un suggerimento innocente, in apparenza, ma Jeongguk conosceva i suoi hyung e sapeva cosa nascondevano dietro quel sorrisetto compiaciuto. Roteò gli occhi, senza farsi vedere da V.

«Okay allora, V, andiamo».

«Uhm, 'Gukie, tu puoi rimanere se vuoi, io-».

«Non preoccuparti, tanto ero stufo di guardare le facce di questi idioti ubriachi».

«Yah! Moccioso! Modera il linguaggio con i tuoi hyung!».

Lo riprese Jimin, ma Jeongguk si limitò ad alzargli il medio e spingere via V prima che qualcuno dicesse altro.

L'aria fredda della sera lo fece rabbrividire e dopo qualche passo si accorse che V stava letteralmente tremando. Così si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle.

V guardò verso di lui, inizialmente sorpreso. Ma la sorpresa si tramutò in un sorriso riconoscente.

Nessuno disse nulla fin quando non furono davanti all'appartamento di V. Questi si sfilò la giacca e la porse al suo legittimo proprietario. «Grazie per avermi accompagnato, Jeonggukie».

Il minore si strinse nelle spalle, regalandogli un sorriso.

La situazione divenne improvvisamente imbarazzante, mentre si guardavano senza sapere cosa dire. V spostò il peso da un piede all'altro, giocando con le chiavi di casa, mentre Jeongguk si passava una mano tra i capelli. «Allora... a domani?».

L'altro annuì e il minore fece per voltarsi ed andarsene, ma V lo bloccò afferrandolo dal polso. Esitò. «Jeongguk, ascolta...».

Jeongguk aggrottò impercettibilmente le sopracciglia: erano rari i momenti in cui V si rivolgeva a lui con il suo nome intero, e quando lo faceva voleva dire che era serio.

L'altro aprì la bocca per dire qualcosa, ma proprio in quel momento il cellulare del minore squillò, rompendo il silenzio.

«Uhm, dovresti rispondere».

Jeongguk guardò il cellulare: era Jimin. C'erano altri 4 messaggi più l'ultima chiamata e sembrava che avesse dimenticato le chiavi di casa, e che quindi avesse bisogno di Jeongguk per entrare. Questi non rispose, infilando nuovamente il cellulare nella tasca. «È solo Jimin, è rimasto chiuso fuori. Cosa volevi dirmi?».

V sorrise. «Dovresti andare, fa freddo e Jiminnie si prenderà un malanno se resta troppo a lungo fuori. Ne parleremo un'altra volta».

Jeongguk non era molto d'accordo, ma se c'era una cosa che aveva imparato di V era che non bisognava forzarlo, quando non voleva dire qualcosa.

«Va bene. Buonanotte allora».

«Buonanotte Kookie».

V si chiuse la porta alle spalle e Jeongguk rimase a fissarla per qualche minuto, prima di voltarsi e andare via.

 

*°*°

 

Da quella sera in poi, era come se fosse stato premuto un interruttore nella sua testa: non riusciva più a guardare V nello stesso modo, a pensarlo nello stesso modo, trovandosi continuamente a domandarsi “cosa succederebbe se”. E questo era male, ripeteva sempre a se stesso. Molto male.

Lui che non amava particolarmente il contatto fisico, con V si ritrovò a cercarlo, le volte in cui il suo cuore batteva troppo forte in sua presenza stavano diventando decisamente troppe e Dio, quelle labbra, così invitanti e rosee...

Jeongguk guardò il suo riflesso nello specchio, certo di non essere mai stato così patetico in tutta la sua vita.

«È tutta colpa vostra. Avete condizionato la mia mente».

Jimin, accanto a lui, sollevò un sopracciglio. «I sentimenti non possono essere condizionati, Jeongguk. Ti sei preso una cotta per V e la cosa più semplice da fare è ammetterlo e chiedergli di uscire».

Il minore sospirò. Beh, a quel punto non c'era poi molto da negare, ma questo non cambiava le cose: V era sicuramente non interessato e poi Jeongguk...

«Smettila di pensare a Kim Taehyung», sbroccò Jimin, lo sguardo serio. «È solo un maledetto nome, coprilo con un altro tatuaggio. Quella persona non ha nessun valore nella tua vita».

Jeongguk serrò le labbra in una linea sottile. «Per te quel nome significa tutto».

«Io amavo Hoseok prima di tutta questa storia, lo amavo prima di scoprire che lo amassi. Se il suo nome non fosse stato sul mio polso, lo avrei amato comunque».

Il minore non credeva affatto a quell'affermazione ma decise di non contestare, concentrandosi invece sul resto della conversazione. Jimin non aveva tutti i torti, in fin dei conti: Jeongguk aveva bisogno di andare avanti con la sua vita, di dire al destino “Ehi, anche se ti sei preso gioco di me, posso essere felice lo stesso”, di innamorarsi perdutamente di qualcuno che aveva scelto lui.

«E se mi dicesse di no?»

«Andrai avanti, Jeongguk. Non cascherà il mondo se ti dice di no e sono certo che V vorrà continuare ad essere tuo amico. Ma sono convinto – e non solo io – che non accadrà».

«Parlate sempre della situazione sentimentale degli altri, voi coppie formate?».

Jimin sghignazzò. «Non ne hai idea».

 

Passò un'altra settimana e il giorno di San Valentino si affacciò carico di rosa, cuori e stucchevole amore. Jeongguk decise, per il bene della sua sanità mentale, di barricarsi in camera lontano da qualsiasi contatto col mondo.

Ovviamente, non aveva fatto i conti con i desideri della sua cotta.

 

»» Da: V-hyung

“Jeongguuuukieeeee!!!!”

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Cosa”

 

»» Da: V-hyung

“dove sei??”

 

»» Rispondi a: V-hyung

“In un'altra galassia”

 

Jeongguk sorrise, immaginando V che roteava gli occhi.

 

»» Da: V-hyung

“Sto arrivando!!!!!”

 

Non passarono che pochi minuti da quell'ultimo messaggio all'udire della porta che sbatteva.

«Cosa ti ha fatto di male quella porta dal meritare una tale brutalità?».

Ma non ci fu bisogno di una risposta, perché V entrò in camera di Jeongguk e le sue braccia erano stracolme di scatole di cioccolatini.

Jeongguk sollevò un sopracciglio.

«Ho dovuto fermarmi e mollarli per scriverti, ero terrorizzato che qualche passante me li rubasse!».

«Da quando in qua sei così popolare? Chi ti ha dato tutta questa cioccolata?».

V fece spallucce, lasciando cadere tutte le scatole sul letto. «Le clienti del bar dove lavoro».

Al che, Jeongguk avvertì un moto di gelosia farsi strada dentro di lui... e di certo non perché V aveva delle ammiratrici e lui no.

«E le hai accettate tutte?»

«Certo!», affermò il maggiore, contento. «Così avrei potuto dividerle con te».

All'udire quella frase, il suo stomaco si strinse e non riuscì a mascherare del tutto il sorriso.

Si sedettero sul letto, l'uno di fianco all'altro, scartando i cioccolatini e parlando del più e del meno, del lavoro e delle dichiarazioni che V aveva ricevuto quel giorno.

«...e poi si è dichiarata ma ho cercato di essere il più gentile possibile nel rifiutarla».

«Perché l'hai rifiutata?», domandò Jeongguk cercando con tutto se stesso di non far trasparire il suo sollievo. «È una ragazza carina».

V si portò il cioccolato alle labbra, distogliendo lo sguardo. «Uhm, sì lo è, credo. Però a me interessa qualcun altro».

Jeongguk poté giurare che il suo cuore si fermò per un istante. «Davvero? E...uhm», abbassò lo sguardo, focalizzando la sua attenzione sul cioccolatino che stava scartando. «chi è?».

Ci fu silenzio per qualche attimo, la tensione cresceva e il cuore del più piccolo batteva sempre più freneticamente, mentre si preparava ad ascoltare il nome della persona che avrebbe portato V via da lui senza dover battere ciglio. Ma quando i momenti divennero un minuto, e un minuto due, Jeongguk fu costretto ad alzare lo sguardo.

V lo stava fissando con una luce negli occhi che poche volte gli aveva visto, le labbra dischiuse e un accenno di sorriso. Non era mai stato così bello, probabilmente.

«Credevo di essere io lo stupido tra noi due, Jeonggukie».

Ma questi non ebbe il tempo di replicare, perché le parole morirono quando le labbra di V catturarono le sue.

Durò troppo poco, il calore era andato via e Jeongguk non aveva neanche avuto il tempo di rispondere al bacio. Puntò lo sguardo in quello del maggiore, cercando qualcosa da dire e provando anche ad emettere suoni, ma al terzo tentativo V scoppiò in una fragorosa risata.

«Sei tutto rosso, Kookie-ah».

Jeongguk avrebbe voltuto dire che no, non era arrossito perché lui era un uomo e gli uomini non arrossiscono, ma la sua mente era annebbiata e tutto ciò che voleva era bearsi del calore delle labbra di V ancora una volta. Ancora cento volte, se possibile.

«I-io... t-tu, non avevo capito c-che...-».

V gli posò un dito sulle labbra, sorridendo. «Sei così adorabile quando sei imbarazzato. Neanche io ero certo che tu ricambiassi, Jeongguk, ma poi ho visto il tuo sguardo quando ho detto che mi interessava qualcuno e mi sono detto che provare non sarebbe costato nulla. Ho fatto bene?»

Jeongguk riuscì ad annuire, stringendo la mano che V aveva posato sulla sua gamba.

Stava succendendo davvero? Non stava sognando? Jeongguk non riusciva a crederci.

«E adesso?».

«Adesso penso che tu debba chiedermelo come si deve. Visto che il primo passo l'ho fatto io, adesso tocca a te», ghignò il maggiore.

Jeongguk arrossì nuovamente, il cuore che gli batteva a mille. «V-hyung, vuoi...cioè, vorresti. Vorresti essere... vorresti diventare, cioè, vorresti...».

«Oh, al diavolo le formalità!».

E le loro labbra s'incollarono di nuovo.

 

Jeonggukie, vorresti essere il mio ragazzo?”

... ma non avrei dovuto chiederlo io a te?”

Eri troppo lento, non voglio invecchiare senza che tu me lo chieda”.

Sei troppo impaziente. Un uomo ha bisogno dei suoi tempi per certe cose”

Allora?”

...sì, hyung. Voglio essere il tuo ragazzo”.

 

*°*°*

 

Jeongguk e V come coppia non erano molto diversi da Jeongguk e V come amici. Facevano le stesse cose, dicevano le stesse cose con la differenza che c'erano un sacco di baci in più.

I loro amici, seppur ricordandogli ogni secondo quanto erano disgustosi e quando non avrebbero voluto vedere le loro lingue intrecciate ogni cinque minuti, erano davvero contenti.

La vita non era stata gentile con nessuno dei due e meritavano un po' di felicità.

Passarono mesi e tutto andava bene. Il fatto di non essere anime gemelle non li toccava poi tanto e spesso gli altri se lo dimenticavano, nel vederli così affiatati.

Era Jeongguk, però, a non riuscire a dimenticarselo. Accantonava quei pensieri in un angolo della sua mente e andava avanti, perché ora c'era V ed era tutto ciò che contava.

V era perfetto per lui, sotto ogni aspetto. Ma certe volte non riusciva a non domandarsi “come sarebbe stato se”.

 

Quel giorno pioveva e faceva freddo, clima piuttosto insolito per quel periodo.

Jeongguk era seduto sul letto – aveva rinunciato a studiare da qualche ora – e guardava fuori con aria assente. Con movimenti distratti si accarezzava l'interno del polso sinistro, senza pensare a nulla in particolare. Così preso dal nulla, non si accorse neanche che V era entrato e si era seduto accanto a lui, prima che questi si schiarisse la voce.

«Ehi». Gli sorrise, ma V non sembrava neanche lui. Se ne accorse quando focalizzò l'attenzione sul suo viso e notò le profonde occhiaie che lo decoravano e le sue labbra, costantemente piegate all'insù, non mostravano un accenno di sorriso.

«Ehi, V, tutto bene?».

Questi si alzò, dandogli le spalle. «Jeongguk, devo dirti una cosa».

Ed era mortalmente serio.

«Ma prima», si voltò. «devo farti una domanda».

Jeongguk scese dal letto, alzandosi per avvicinarsi a lui. «Che succede?».

«Se...», abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello del minore. «Se Kim Taehyung tornasse. Se comparisse magicamente dal nulla. Tu mi lasceresti?».

Jeongguk si paralizzò, la sua mente completamente in black out.

Era da V essere così diretto, lo sapeva bene, ma non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere. Nonostante lui stesso ci avesse pensato più e più volte, non era mai riuscito a darsi una risposta. Rimase lì, con il braccio a mezz'aria, fissando un punto dietro l'altro.

«Jeongguk».

«...non lo so».

Aveva optato per la sincerità perché se avesse mentito V lo avrebbe capito subito, ma allora perché si sentiva così tremendamente in colpa?

Il volto dell'altro si svuotò di qualsiasi residuo di emozione ci fosse, mentre le braccia gli cadevano dritte lungo i fianchi.

«Capisco».

«V, perché mi hai fatto questa domanda? Cosa c'entra adesso Kim Taehyung?».

«Kim Taehyung c'entra, Jeongguk! Perché tu stai con me ma continui ad essere legato ad un nome! Mi lasceresti per una persona che non conosci neanche!».

Jeongguk realizzò quanto grave fosse la situazione proprio in quel momento. V non si arrabbiava. V non gridava, mai. Ed in quel momento stava facendo entrambe le cose.

«Calmati, hyung. Ho detto non lo so, cosa-».

«Sì che lo sai, Jeongguk. Non prendiamoci in giro».

Calò il silenzio per qualche istante.

«Mi ami, Jeongguk?».

Non se lo erano mai detto.

Il minore alzò lo sguardo, gli occhi sbarrati.

«Perché io ti amo, ma inizio a pensare che questo non basti più».

«V, ma cosa stai dicend-».

«Tu non ami me. Tu non ami me come persona, per come sono fatto. Mi ameresti di più se mi chiamassi Kim Taehyung?».

«Smettila».

«Mi ameresti di più se quello fosse il mio nome? Se fossimo la stessa persona?».

«V, basta così! Stai dicendo un sacco di stronzate!». Adesso anche Jeongguk stava gridando, e si sentiva male ad ogni parola urlata in faccia all'altro. Non avevano mai litigato così, prima d'allora. «Perché oggi stai tirando fuori il discorso Kim Taehyung? Cosa ti è preso?».

Il voltò di V si trasformò in una smorfia. «Cosa mi è preso, eh?».

Fece qualche passo indietro, afferrando il pomello della porta come se fosse pronto a fuggire. Jeongguk gli era di fronte, i pugni stretti e le labbra serrate.

«Probabilmente mi avresti amato di più, se lo avessi saputo da subito, no? Forse avrei dovuto dirtelo la prima volta che ti ho visto, o quando ne ho avuto la conferma. Ma mi ero illuso che tu potessi innamorarti di me, non del mio nome. Non perché qualcun altro ha deciso che tu dovessi farlo». La sua voce si era abbassata così tanto da divenire un sussurro. Scosse la testa, una risata triste a riempire il silenzio. «Sono stato uno sciocco a credere che qualcosa del genere potesse accadere, non è vero?».

Jeongguk era rimasto immobile, confuso. «Non ti seguo, V, cosa stai cercando di dirm-».

«Jeongguk, sono io Kim Taehyung».

E detto questo, uscì dalla stanza senza guardarsi indietro mentre Jeongguk, bloccato sul posto, avvertiva il suo intero mondo che gli crollava addosso.

 

Sono io Kim Taehyung.

 

Jeongguk rimase lì per tutto il resto del giorno e per tutta la notte, senza muoversi e senza parlare. Senza pensare, quasi, perché era tutto troppo confuso.

Soltanto la mattina dopo si sarebbe reso conto che il suo cellulare aveva squillato per tutta la notte.

Soltanto la mattina dopo avrebbe letto uno dei centosettantuno sms che aveva ricevuto.

 

»» Da: Jiminnie

“V ha avuto un incidente, devi correre in ospedale”.

 
   
 
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