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Autore: VV_23    19/01/2016    5 recensioni
"Aveva parlato al plurale. Aveva sottinteso un noi. Un minuto prima ero sola, apatica, pronta ad accogliere la morte in ogni istante. Lui, con una semplice parola, aveva reso di nuovo possibile ipotizzare di riaccogliere la vita"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Paint'
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Noi IX

               Capitolo IX


“Ti va una passeggiata nel bosco?”.
Non so da dove mi esca fuori questa proposta, in una nuvolosa domenica mattina di inizio ottobre. È il primo giorno completamente libero che spenderemo insieme dopo quella colazione al sapore di verità, e mi sento preoccupata ed euforica insieme alla prospettiva di un'intera giornata con Peeta; certo, ci sono state altre domeniche nella nostra convivenza, ma avevamo l'abitudine di stare un po' per conto nostro, limitandoci a lanciare sguardi l'uno verso l'altra e a parlare del più e del meno; alle volte, io andavo a caccia e lui tornava a casa sua per dipingere, dividendoci per qualche ora. Ma adesso è tutto molto diverso – da quando le attenzioni di Peeta sono la normalità, da quando posso stringermi al suo petto non solo per scappare dagli incubi; adesso l'idea di separarmi da lui nella nostra unica giornata libera da impegni mi sembra un'assurdità, e voglio approfittare di quest'occasione per fare qualcosa di diverso dal solito.
Forse è per questo motivo che la mia mente elabora l'idea di andare insieme nel bosco. So che per Peeta sarebbe una prima volta: lui non ha mai avuto bisogno di avventurarsi oltre il recinto per cercare del cibo, prima, e poi io non l'ho mai invitato a venire con me; l'unica volta che c'è andato, è stata per cogliere le primule che ha piantato nel mio giardino, ma quelle crescono proprio al limitare del Prato. E mentre insieme risistemiamo la cucina dopo una colazione abbondante e gustosa, guardo il suo volto così sereno e la domanda sfugge dalla mia bocca prima ancora che me ne renda conto. Peeta si volta di scatto nella mia direzione, e il suo viso si apre in un sorriso luminoso e contento, che un po' mi destabilizza. Non mi aspettavo chissà quale entusiasmo per questa richiesta – o meglio, non mi aspettavo proprio niente – e invece lui ora sembra il ritratto della felicità.
“Mi piacerebbe molto”.

L'aria fresca delle prime settimane di autunno ci colpisce i volti e ci arrossa subito le guance. Cammino sicura tra i sentieri che conosco, tenendo la mano di un Peeta dallo sguardo rapito: ammira tutto quello che ha intorno con gli occhi puri di un bambino, e sorrido nel pensare che mi ricorda molto me stessa quando venni qui per la prima volta, quando la meraviglia di questo posto mi faceva tenere la bocca aperta e il naso all'insù, finché non inciampai in una radice non vista e caddi maldestramente a terra, suscitando l'ilarità di mio padre.
Andiamo avanti per almeno mezz'ora in silenzio, persi ognuno nei suoi pensieri, e sento un misto di serenità e apprensione all'altezza dello stomaco. Perché non l'ho portato prima qui? mi ritrovo a chiedermi. Perché non ho voluto condividere tutto questo con lui? E poi, all'improvviso, la visione di un coniglio che entra lesto e indisturbato nella sua tana mi dà la risposta: perché questo è il mio regno...mio e di Gale.
Gale. Il mio compagno di caccia. Il mio unico amico. Il mio finto cugino. Il mio possibile amore.
Questo posto mi parla di Gale e di tutte le avventure che abbiamo affrontato insieme. Alle volte penso ancora distrattamente a lui, a come avrebbe potuto essere senza gli Hunger Games; chissà se alla fine sarebbe riuscito a convincermi a sposarlo, o addirittura ad avere dei figli. Poi mi ricordo delle bombe, dello sguardo determinato ma preoccupato di Prim prima che venisse divorata dalle fiamme, e tutto diventa troppo doloroso per pensare oltre. Eppure gli ho voluto bene – gli ho voluto bene davvero. Cos'è rimasto di quell'affetto che provavo per lui, di quell'attrazione per il suo corpo alto e muscoloso e per i suoi occhi grigi? Mi chiedo se io abbia mai davvero deciso che tutto doveva finire tra di noi, o se mi sia solo fatta trascinare dagli eventi e dal dolore che mi impedivano di affrontare la realtà intorno a me; mi chiedo se sia davvero riuscita a lasciarmelo alle spalle, o se lo spettro del nostro passato insieme mi perseguiterà per sempre. All'improvviso mi sembra che le fronde degli alberi bisbiglino maliziose contro di me, che ora non sono qui con Gale, ma con un altro. Hai fatto una scelta. Ma è davvero la tua scelta?
“La prossima volta” mi dice Peeta, spezzando il silenzio “mi porto dietro la tela e i colori. Devo assolutamente dipingere questo posto”.
La sua voce mi risveglia dai miei pensieri, e sento di nuovo le sue dita, calde, intrecciate alle mie. Lo guardo, la sua figura che si staglia in questo panorama boschivo: gli occhi azzurri come il cielo lucidi per via del vento, i capelli biondi come un cherubino, la pelle chiara e il naso rosso a causa del freddo, che gli dà un'aria infantile e un po' buffa; eppure, non provo nessun divertimento nel vederlo così, anzi, sento un vago senso di vuoto allo stomaco nel realizzare quanto lui sembri quasi fuori luogo in questo posto – non come Gale, che era così forte e bello e agile da sembrare una creatura della foresta. Staresti con Peeta, se Gale non avesse ucciso tua sorella?
“Avevi molta voglia di venire qui?” gli chiedo, tentando di mettere a tacere i miei pensieri.
“Beh, sì” mi risponde solamente. Aggrotto un po' le sopracciglia.
“Perché non mi hai mai chiesto di portartici?” domando, e lui scrolla leggermente le spalle, mentre mi risponde con semplicità “Aspettavo che me lo proponessi tu”.
Ed è così che Peeta, ancora una volta, è in grado di rovesciare tutte le mie convinzioni e contemporaneamente di mettere un senso laddove prima c'erano solo i dubbi. Mi sento spiazzata e insieme leggera, e non per la risposta in sé, ma perché realizzo, ancora una volta,  quanto Peeta abbia a cuore i miei sentimenti: sapeva – più di quanto lo sapessi io, probabilmente – che una richiesta da parte sua di venire qui mi avrebbe messa in difficoltà, e ha aspettato che fossi pronta a compiere un passo che, evidentemente, mi costava più fatica di quanto non immaginassi. E penso di nuovo a Gale, in un modo che non avevo mai contemplato prima d'ora: rifletto su quanto la sua impazienza – di fare qualcosa, di ottenere delle risposte, di avere la sua vendetta – mi mettesse sotto pressione, quanto riuscisse a farmi sentire così inadeguata, lui, sempre così certo del suo modo di pensare e di agire. Benché sapessimo leggere l'uno nella mente dell'altra ed essere in grado di lavorare come una squadra, non c'è mai stata reale empatia tra di noi, non quando si trattava delle nostre idee o dei nostri sentimenti.
Mi torna alla mente quella conversazione che ascoltai tra Gale e Peeta, quella frase crudele origliata dal pavimento della casa di Tigris, nascosta sotto strati di pelliccia.
Tra noi, Katniss sceglierà quello che ritiene indispensabile alla sua sopravvivenza.
Ripenso alla rabbia che provai nel sentire che il mio più caro amico diceva quelle cose di me, sapere che mi considerava così fredda e calcolatrice, percepire, in qualche modo, che mi stava giudicando, pur conoscendomi e sapendo cosa avevo dovuto affrontare in quegli ultimi mesi; ma quello che fece davvero male fu ascoltare il silenzio assenso del ragazzo per cui stavo mettendo in pericolo la mia vita in quello stesso momento, un silenzio che mi fece sentire intimamente ferita, accusata, per certi versi rifiutata. La differenza stava tutta lì: Gale era la causa della mia ira - superficiale, eppure logorante 
 Peeta quella del mio dolore – profondo, radicale. Ma se Gale non era in grado di placare la rabbia che accendeva in me – anzi la fomentava, come prima degli Hunger Games, come durante la rivolta – Peeta sapeva lenire il male che avevo dentro, riusciva a curare ogni mia ferita, anche quelle che lui stesso causava. Sapeva essere una luce di bontà alla fine di un tunnel di odio e cattiveria. Forse non si tratta di scegliere. Forse è così da sempre, ma non lo sapevo. E, adesso che lo guardo ancora – gli occhi azzurri e lucidi dal vento, i capelli biondi da angelo, l'aria infantile e buffa con quella pelle chiara e il naso rosso per via del freddo – non mi sembra così fuori luogo in questo posto, mi sembra che sia esattamente dove deve stare: vicino a me. Adesso che lo guardo, so che ho fatto la mia scelta, una scelta che non riguardava decidere freddamente chi tra Peeta o Gale fosse più adatto come compagno di vita, ma che riguarda il sapere, l'accettare, l'accogliere i sentimenti che ho sempre avuto dentro e che ho fatto così tanto fatica a decifrare. E tutto questo, oggi, non può che portarmi in un'unica direzione.
Ti vedo. Ti riconosco. Non puoi che essere tu, nel mio domani.
Presa dall'euforia di questa consapevolezza, mi getto tra le sue braccia con una nuova spontaneità e leggerezza, affondando il viso nel suo collo. Peeta sembra perdere un momento l'equilibrio a causa della mia foga, poi risponde con vigore al mio abbraccio e una risata cristallina raggiunge le mie orecchie, un suono così leggero e sereno che sembra riempire quel vuoto che solo qualche minuto fa mi attanagliava lo stomaco. Mi prende il viso tra le mani e strofina il suo naso freddo contro il mio con tanta naturalezza da farmi venire gli occhi lucidi dall'emozione. All'improvviso, sembra tutto così semplice.

“Penso che quando torneremo a casa, dovremo chiamare Haymitch e dirgli di organizzarsi da solo, per la cena”. Lo guardo interrogativa, e un sorriso malizioso spunta sulle sue labbra. Guarda caso, arrossisco. “Non voglio condividerti con nessuno, oggi”.
Mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e cedo totalmente. Come posso negargli questa piccola richiesta?

Rientriamo a casa che è pomeriggio inoltrato, con gli stomaci che rumoreggiano un po' per la fame. Quando ci richiudiamo la porta alle spalle, c'è una frazione di secondo in cui sento l'elettricità riempire l'aria. Peeta mi abbraccia da dietro, posandomi le mani calde sulla pancia, e quell'elettricità sembra concentrarsi tutta lì, in quel punto dove lui mi tocca. Mi volto e mi ritrovo il suo viso a una distanza millimetrica dal mio, con i suoi occhi azzurri che mi scrutano. Stranamente, non ho più fame.
“Che ne dici di un tè e qualche biscotto?” mi chiede con quel suo modo di fare che sembra sempre sottintendere una proposta indecente. Annuisco e lui sorride, sfiorandomi una guancia bollente. “Aspettami in sala. C'è quel bel tappeto davanti al camino che potrebbe fare al caso nostro”. Lo guardo, un po' confusa.
“Bel tappeto? Ma se è orribile!” gli rispondo. È un enorme tappeto dall'aspetto antico che medito già da tempo di far sparire per sostituirlo con qualcosa di più moderno. Peeta mi afferra per il mento e si avvicina pericolosamente alle mie labbra.
“Ha l'aria morbida. E andrà benissimo per la nostra merenda”.
Ed è così che passiamo il resto della serata seduti lì, a mangiare biscotti e focaccine e bere tisane profumate. Quell'elettricità diventa calore puro nel momento in cui Peeta mi accarezza la nuca e mi attira a sé in un bacio dal sapore di zucchero e di fiori.
Mani che si sfiorano, dita che si intrecciano, respiri sulla pelle, sospiri a fior di labbra. Credo che, nel linguaggio adolescenziale, ci sia tutta una serie di vocaboli per definire quello che stiamo facendo. Io non ne conosco nessuno: so solo che l'intimità e la prossimità fisica sono diventati parte del nostro rapporto, che i benefici che mi dà il contatto col corpo di Peeta sono simili a quelli della morfamina, e che, allo stesso modo, non potrei più rinunciarvi. Fortunatamente per me, Peeta sembra del mio stesso avviso, mentre mi scosta i capelli dalle spalle, lascia una carezza sul mio collo, riempie il mio viso di baci e le mie orecchie di parole sciocche e dolcissime – “Sei bellissima”, “Mi piace un sacco tutto questo”, “Promettimi che lo rifaremo spesso”.
E mentre il languore cresce, le labbra quasi pizzicano per l'intensità dei baci, le mani di Peeta conquistano nuovi centimetri della mia pelle, sfioro inavvertitamente con una mano il tappeto sotto di me, e nella mia mente si forma un pensiero distratto: non lo cambierò mai.


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Eeeeeeed eccoci di nuovo qui! :3  In questo capitolo ho azzardato un po' più del solito, perché mi sono presa la libertà di dare una mia personalissima e ben definita interpretazione della conversazione tra Peeta e Gale e di come Katniss abbia vissuto il tutto: spero che l'abbiate apprezzata e qualsiasi commento sarà ben accetto! :)
Quello che cerco con questa storia è un'accettazione graduale e totale da parte di Katniss  dei suoi sentimenti. Chi di noi, in fondo, non ha avuto il dubbio, leggendo il finale del libro, che lei non si sia "attaccata" a Peeta solo per mera sopravvivenza e non per amore profondo? Penso che l'intento dell'autrice fosse proprio quello, di lasciare questo dubbio. In questa storia io ho voluto vedere Katniss come davvero innamorata, ma con grandi difficoltà a capirlo e ad accettarlo.
Insomma, vi ho tediati abbastanza con le mie elucubrazioni eheheheh!!! Vi saluto e vi avviso che il prossimo sarà l'ultimo capitolo, ma sappiate che non è finita qui! ;)
VV**
  
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