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Autore: Niruh    20/01/2016    1 recensioni
Quando una donna dice di aver dimenticato il suo primo amore, è davvero così?
Emma ha ventisette anni e sente di non essere adatta per l’amore.
La visita di una persona dal passato le farà cambiare idea e capire finalmente cosa vuole davvero dalla vita? O le farà solo risvegliare gli ormoni?
“Ok, senti” prese un respiro per trovare le parole giuste “abbiamo detto quella cosa a quattordici anni mentre io ero cotta di Filippo e pensavo di sposarlo appena avrei avuto il coraggio di dire a mia madre che la frangetta mi faceva sembrare un’imbecille. Non ho nessun problema a restare single. Non dobbiamo per forza sposarci nello stesso anno e avere i bambini nella stessa classe alle elementari. Sono più che sicura che questo tipo di promesse dopo dieci anni cadono in prescrizione”.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Amore e altri difetti

Capitolo 2

“Filippo, questi pancake sono ottimi, ma quelli di Emma sono imbattibili” esordì il signor Giuliano facendo cenno alla moglie di dargli un altro boccone. L’uomo aveva un debole per i dolci e fortunatamente un’abile figlia ai fornelli. Negli anni era diventato un intenditore, tanto da non sentirsi in imbarazzo ad imitare i giudici dei programmi culinari con assoluta convinzione.
Filippo sorrise e guardò Emma come si guarda qualcosa di prezioso, con gli occhi brillanti, in modo talmente sincero che ad Emma quasi andò di traverso il suo, di boccone.
Lo faceva sempre, da quando erano ragazzi. A lei facevano un complimento per il buon voto a scuola o la torta appena sfornata  e lui sorrideva come se avessero elogiato lui. Era destabilizzante.
Devo smetterla di bere ai matrimoni.
“Beh, non sempre l’allievo supera il maestro, Daniel-san” rispose semplicemente imitando il maestro Miyagi.
“In Giappone, all’inizio, avevo un sensei che gli assomigliava in modo impressionante” commentò Giulio ridendo.
“Eccolo che inizia con i vocaboli strani” scherzò Filippo. “Sono stato da lui e mi sono perso in un negozio di giocattoli di nove piani. C’erano bambini dappertutto strafatti di zuccheri e non facevano che indicarmi e chiamarmi con appellativi strani. Ancora devo capire se mi hanno offeso o no”.
E’ stato da Giulio? Emma se lo chiese venendo presa alla sprovvista. Chiamava spesso suo fratello e lui le raccontava persino quante volte era andato in bagno il nipotino, quali erano i dipendenti più strani al lavoro e se la moglie faceva l’isterica. Persino se il postino gli aveva portato la posta e lo diceva davvero spesso, per vantarsi della velocità e puntualità dei nipponici. Emma l’ultima volta gli aveva anche risposto facendogli notare che era un po’ triste sapere precisamente quando arriverà qualcosa. Gli italiani non sanno mai se e quando arriverà loro la posta e il mistero rende tutto più eccitante.
Lei  e suo fratello avevano un rapporto speciale da sempre. Quasi si sentì tradita a sapere che non le aveva parlato di quel dettaglio. Ma avrebbe indagato, eccome.
“Emma, raccogli i piattini” la riscosse la madre sistemando il cuscino al marito sul divano. Nel frattempo Filippo, Giulio e suo padre avevano intavolato una discussione sul calcio così Emma prese la palla al balzo.
“GiuGiu, non penso che a papà interessi di Holly e Benji, mi aiuti con i bicchieri?”
Finse perfino di essere in difficoltà con i cinque enormi piattini in una mano ed il bicchiere nell’altra. Era un piano perfetto. Suo fratello avrebbe preso i bicchieri, lei i piatti e si sarebbero avviati verso la cucina dove lei l’avrebbe ammanettato e illuminato con la lampada da interrogatorio.
Quasi sorrise per la soddisfazione di aver avuto un’idea così brillante.
“Ti aiuto io” disse Filippo alzandosi e prendendo i bicchieri.
Cosa?! NO! Assolutamente no! Non doveva andare così!
Guardò quello sfaticato cronico di suo fratello e lo fulminò con lo sguardo, ma lui fece l’indifferente.
“Oh, grazie” e sorrise a Filippo. Era senza speranza.

Neanche al cenone di Natale aveva desiderato avere una lavastoviglie più di quel momento. Quei cinque piattini sembravano infinitamente sporchi. In realtà il suo piano originale non era affatto lavarli, ma cosa poteva fare? Lui li aveva posati sul lavandino e non era tornato in salotto. Così Emma aveva iniziato anche a sistemare la cucina e pulire i fornelli.
Ad un certo punto suo fratello Giulio era persino andato a chiudere la porta e lei ne era rimasta altamente sconcertata.
Ma che ha mio fratello oggi?
“Beh, allora“ Filippo prese tempo. “Come stai?” aveva detto poi afferrando uno straccio ed iniziando ad asciugare i piattini.
Uh, vediamo un po’. L’averti visto dopo tanto tempo sembra avermi turbata più di quando mi ricoverarono per l’appendicite, mio fratello è diventato completamente pazzo da un giorno all’altro e per di più non riesco a guardarti negli occhi senza sentirmi le gambe molli.
“Bene”, rispose. Grattò un po’ di pastella dai fornelli e sentì di dovergli la verità se ne voleva altra in cambio.
“Io sono-“ iniziò Filippo con un sorriso sulle labbra.
“A ripensarci non sto affatto bene” disse Emma nello stesso momento poggiandosi al piano della cucina. Filippo perse il sorriso ed un lampo di preoccupazione gli offuscò gli occhi. Emma si pentì subito di averlo interrotto perché lui non continuò la sua frase. La dualità dell’essere donna, quante volte l’aveva rovinata? Eppure non riuscì a fermare la domanda che aveva sulle labbra da quando l’aveva visto.
“Perché sei tornato?” non voleva neanche usare quel tono aspro, in realtà.
Gli occhi di Filippo si aprirono per lo stupore, ma si riprese in fretta e strinse la mascella mentre posava il piatto asciutto.
“Per tuo padre. Fra qualche giorno è il suo compleanno o non lo ricordi? Il mondo non gira intorno a te”. Ed uscì dalla cucina.
Non era la prima volta che le diceva una cosa del genere. L’ultima però era stata la peggiore. Era stato poco prima che lui se ne andasse e ad Emma non piaceva affatto ricordarlo. Quando pensava alla se stessa ventitreenne stava male nel rivedersi seduta sulle scale a piangere. Con la certezza che la vita fa schifo e che il cuore, a volte, fa maledettamente male.
Uscendo sul retro e sedendosi su quelle stesse scale quasi sperò di esorcizzare quel momento. Per quanto scherzasse e avesse sempre la battuta pronta non era affatto brava con le parole. Fin da piccola aveva capito quanto fossero pericolose. Bastava una virgola messa più in là in una frase o un tono diverso che qualcuno cambiava idea su di te.
“Emy… oh, no…” Anna era arrivata tardi, ma abbastanza presto da vedere Giulio prendere un furioso Filippo per un braccio e condurlo su per le scale. Eppure alla ragazza sembrava di averlo visto non solo arrabbiato, ma anche combattuto.
“Ti va di parlarne?”
Anna aveva usato quel tono protettivo che solo un’amica che sa tutto di te può rivolgerti. La prima volta che si erano parlate le aveva fatto la stessa domanda, ma il tono era più che altro curioso.
Avevano entrambe quattordici anni ed era la prima assemblea scolastica del liceo. In realtà era la prima in assoluto a cui Emma avesse mai partecipato.
Aveva scelto quel liceo per frequentare la stessa scuola di suo fratello, o meglio questo era quello che diceva in giro. In realtà era il ragazzo dagli occhi verdi la causa.
Mentre i suoi compagni di classe si avviarono verso la palestra per sentire parlare i rappresentanti, Emma cercò Giulio. Fu solo quando arrivò all’ultimo piano, dove si trovavano le aule del quinto anno, che desiderò averlo aspettato di sotto.
Filippo stava baciando una ragazza vicino ai distributori. Una ragazza che sembrava avere tutto al posto giusto, pensò Emma in quel momento, al contrario suo che aveva quei chili di troppo e la frangetta. Alla ragazza sembrò che il mondo le fosse caduto addosso schiacciandola senza pietà. Corse nel bagno delle ragazze e iniziò a torturare la carta igienica per ridurla in mille pezzetti e iniziò a singhiozzare sentendo di aver perso ogni speranza.
I lacrimoni le offuscarono talmente tanto la vista che quasi non si accorse che la porta era stata aperta.
Sulla soglia c’era Anna, al tempo frequentava l’altra sezione ma Emma la ricordava perché vestiva sempre in modo molto colorato e portava degli orecchini buffi.
“Ti va di parlarne?”
La se stessa ventisettenne accennò l’ombra di un sorriso all’amica. Fortunatamente non aveva più quattordici anni ed il suo mondo non girava più intorno a Filippo.

Giulio batté la porta talmente forte che cadde un po’ di intonaco. Stava già per staccarsi, ma fece lo stesso il suo effetto.
“Cosa diavolo era quello?”
“Di che parli?” iniziò Filippo.
“Amico, ti faccio un piccolo resoconto dell’ultimo mese. Piombi a casa mia –in Giappone!- alle due di notte e dici che la tua vita è vuota e senza senso. Non faccio in tempo a rendermi conto se sono io il pazzo o tu che te ne esci con questa storia di essere innamorato di mia sorella.
E ora, dopo che abbiamo preparato il discorso così bene, e credimi per farmi andare giù questa cosa ce n’è voluta, la tratti male? Mia sorella non è mai stata egocentrica, cazzone”
Filippo non si scompose per l’appellativo, dopotutto erano come fratelli e si erano detti di peggio. E poi come…?
“Ma hai origliato?”
La faccia arrabbiata di Giulio mutò impercettibilmente facendo capire all’amico di averlo beccato.
“Questo che… che cavolo centra?!” ribatté piccato.
“Era una conversazione privata”
“Lei è la mia sorellina e devo sapere se le fai del male”
“Giu, sei il mio migliore amico e sai che darei la vita per te, ma l’ultima volta che abbiamo fatto questo discorso non è andata bene. Penso, anzi ” sospirò “ sono sicuro che mi odia proprio per questo”
Giulio trasalì. Non ci credo mi sta dando la colpa per-
“Era una ragazzina! E tu un deficiente arrapato!”
Filippo si sedette sul letto distrutto e offeso. “E’ bello sapere quando gli amici hanno una buona considerazione di te”.
Era davvero così male come amico? Come possibile ragazzo? Aveva sempre trovato Emma simpatica, talmente tanto da preferire la sua compagnia a molti coetanei. E poi lei aveva sempre avuto quel modo di ridere che lo faceva sentire bene e in pace con il mondo.
Era come una sorellina per lui, ma l’aveva vista crescere sempre di più e diventare donna. E la cosa l’aveva turbato non poco.
Quella mattina aveva preparato i pancakes per darsi una seconda possibilità. Non solo perché era stata proprio lei ad insegnargli come farli, ma perché quel pomeriggio di tanti anni prima aveva assicurato una cosa a Giulio, una cosa che non sarebbe mai potuta accadere, ma che invece era successa.
Di quel giorno ricordò di essere rimasto in camera con Giulio e di aver scelto un gioco a caso da inserire nella consolle. Sua madre si era addormentata tranquillamente dopo giorni ed Emma era passata poco prima per portare loro il pranzo. Filippo aveva trovato talmente buona la pasta e il purè con i piselli che gli sembrò naturale elogiare Emma con il fratello.
“Tua sorella è davvero brava a cucinare. Se mamma lo fosse la metà di quanto lo è lei, sarei una botte e dico poco” disse sicuro di suscitare l’ilarità dell’amico battendo una mano sulla pancia. Giulio però diventò leggermente scuro in volto.
“Antonio ha iniziato a dire cose strane da quando vede te ed Emma di più insieme e non so, da quando me l’ha detto mi è scattato qualcosa in testa” inspirò per poi puntare gli occhi in quelli dell’amico in modo duro “Ti piace mia sorella, per caso?”
“Eh?!” A Filippo sembrò che a Giulio fosse spuntata un’altra testa tanto era assurda quella domanda. Mise in pausa il gioco e tranquillizzò l’amico.
“Ma no, che dici, è come una sorella per me, lo sai” gli spiegò calmo e Giulio lesse la sincerità nei suoi occhi.
“E tuo fratello Antonio è pazzo, da rinchiudere se vede cose che non esistono” constatò.
“Bene” Giulio riacquistò tranquillità e riprese a sorridere.
“Scusa amico, ma, anche se sembra più grande della sua età, è piccola sai e mi spaventa che qualcuno possa fare pensieri su di lei”
“Giu, ti assicuro che mai e poi mai potrei fare pensieri su tua sorella. Cioè, sarebbe troppo strano!”
Ma era stato proprio quel discorso casuale a far scattare qualcosa dentro di lui quella sera. Quando lui ed Emma si erano trovati con i visi vicini e aveva pensato che il suo braccio era caldo e che sarebbe stato bello carezzarle il viso, si era sentito un verme. Da allora aveva perso un po’ di naturalezza insieme a lei e cercava sempre di pensare a quello che faceva, ma a volte era così preso dalle emozioni che non ci riusciva.
Gli sembrava giusto quindi, in un modo sconsiderato e senza senso, cercare di rendere diverso quel ricordo. Avrebbe trasformato il diciannovenne complessato nel trentunenne che può finalmente togliere la pastella dal mento della ragazza che gli piace senza sentirsi in colpa. Lei però quella mattina non l’aveva aiutato, l’aveva guardato dalla soglia della cucina e poi era andata in salotto.
Filippo non aveva affatto considerato l’eventualità che a lei non andasse di cucinare insieme a lui. Forse il test del quoziente intellettivo e le statistiche di “business people” non erano state così veritiere nel suo caso.
“Non penso male di te” Giulio si sedette accanto all’amico e gli posò una mano sulla spalla.
“Ma al tempo cambiavi ragazza in continuazione”
E perché secondo te? Pensò Filippo.
“Ti va una partita alla play?”
Si trovavano nella vecchia stanza di Giulio e sua madre sembrava aver incapsulato nel tempo ogni istante della loro adolescenza.
“E me lo chiedi pure?”


“Tipico”
“Cosa?” chiese Emma.
Anna era pensierosa, come se stesse analizzando un problema di fisica quantistica. Al liceo non metteva affatto quella concentrazione, proprio no.
“Che lui ti risponda male perché in realtà vuole dirti altro. E’ autodifesa”.
“Non iniziare a parlare come Antonio ora. Uno psicologo in famiglia già mi basta”
“Sai che è così”
“No, non lo so. Filippo è qui per mio padre. Ed ha senso. Verrà anche tutta la banda nei prossimi giorni, sicuro”. Si alzò dalle scalette ed insieme entrarono in casa.
“Ma è così ovvio, Emy” le fece notare l’amica scuotendo la testa.
Emma non voleva parlarne più così, furbamente, cambiò argomento.
“Ancora non mi hai detto del quarto appuntamento” colpo sparato.
“Oh, non puoi immaginare!” affondato.
“Mi ha portata in riva al mare e abbiamo camminato a piedi nudi sulla sabbia. Solo che poi ci siamo resi conto che faceva un freddo boia e così mi ha presa in braccio e portata fino alla macchina!” Gli occhi di Anna luccicavano.
“Ma non avevate le scarpe con voi?”
“Le avevamo lasciate in macchina” ammise Anna ridacchiando e facendo dondolare gli orecchini di fimo che aveva appesi alle orecchie.
Devo conoscere questo tipo, decisamente.
Aiutarono la signora Lisa a preparare il pranzo, dopotutto era domenica e suo padre, ora che era infortunato, pensava a due cose: cibo e televisore. Il più delle volte le due cose coincidevano persino e lei e sua madre spesso trovavano l’uomo a guardare programmi di cucina. Per Emma era una cosa davvero positiva, suo padre non aveva mai saputo riconoscere le melenzane dalle zucchine ed ora le sapeva dire cos’era il roux o la pasta brisè.
“Aspettate che tolga questo gesso e poi vedrete come imparerò a cucinare”
continuava a dire. Emma ogni volta rideva, senza contegno.

Mentre lei ed Anna stavano apparecchiando, Giulio e Filippo scesero dalle scale. Erano esaltati e gioiosi come Emma non li vedeva da tempo.
Due adolescenti mai cresciuti.
“Panda, papà vuole le paste. Devi andarle a prendere da Fiorucci però” Giulio guardò l’amico come a dire e stavolta non fare casini e continuò “Ti accompagnerà Filippo, io devo sentire Akari per spiegarle le ultime cose sul viaggio”
Proprio ora deve sentire sua moglie, la sua organizzatissima moglie che è stata decine di volte in Italia?
Ad Anna sembrò che persino Filippo la considerasse una scusa scialba, come se non fosse quella a cui avevano pensato. Emma si infurierà. Attenti al fuoco.
“Andrete con la macchina di papà” e prese le chiavi dal vaso che suo fratello Antonio aveva fatto in seconda elementare. Ne aveva sentite di cose, quel vaso.
“GiuGiu, so che ora viaggi solo in bici, ma io ho la patente”
In risposta il fratello le si avvicinò e parlò piano, per non farsi sentire da nessuno.
“Vuoi che racconti a papà della fiancata rigata che il tuo fratellone ha prontamente aggiustato con i suoi soldi?”
Oh, già. Non era una grande guidatrice in realtà.
“Non puoi continuare ancora con quella storia. Te li ho tornati” bisbigliò. Il fratello alzò le sopracciglia “Ok, quasi tutti. In parte.” Ma lui continuava a stare con quell’espressione da idiota.
“Va bene, vado!” esclamò sfinita.
Per gli altri la scenetta in cui Giulio faceva quella faccia ed Emma cambiava tre colori sul viso era stata abbastanza buffa.
Emma passò le chiavi a Filippo e lui le strinse come si stringe una possibilità. Non l’avrebbe mandata all’aria questa volta.

Il tragitto fu silenzioso, ma era un tragitto lungo visto che la pasticceria si trovava a venti minuti da casa loro. Guardando fuori dal finestrino Emma non vide i mille tentativi di Filippo di iniziare a parlare. Apriva la bocca e poi la chiudeva subito dopo dandosi dell’idiota.
A metà strada, passando per la piazzetta, quasi venne naturale ad entrambi ricordare il mercatino di natale di tanti anni prima.
Emma aveva diciassette anni, Filippo ventuno e lei era contentissima che lui fosse tornato a casa per le vacanze. Da quando era andato all’università infatti si sentivano sempre di meno. L’aveva trovato dimagrito e un po’ stanco, con i capelli un po’ più lunghi sugli occhi.
Lei, comunque, lo trovava sempre bellissimo.
Filippo, da temerario, indossava una giacca per niente pesante e l’aveva anche lasciata aperta per qualche assurdo motivo.
Emma, invece, era sepolta sotto strati di lana e pelliccetta sintetica. Quasi le sembrò ingiusto che lui non potesse notare i chili che, con fatica, aveva perso in quegli ultimi mesi.
Persero subito Giulio, fermo alla bancarella di un signore giapponese. Era così orgoglioso dei suoi primi progressi nella lingua che non perdeva occasione per confrontarsi con qualcuno che ne sapeva più di lui.
Continuarono a girare per il mercatino. Suo fratello Antonio si fermò ad una bancarella in cui vendevano braccialetti fatti a mano e ne comprò uno per la nuova fidanzata. Erano tornati anche loro per le vacanze e aveva presentato ufficialmente la ragazza a casa. Di primo impatto Emma non l’aveva trovata per niente il tipo di suo fratello, ma si stava abituando.
“Venti colpi, tre euro!” gridò il ragazzo del tiro a segno. Suo fratello si illuminò ed andarono tutti e quattro a vederlo sparare.
“Anto, sai che ti batterei ad occhi chiusi, vero?”
“Ah, vediamo”
E fu così che anche Filippo iniziò a sparare. Sembrava una sfida tra loro due più che una vincita per la ragazza di Antonio.
Filippo prese tutti i bersagli senza sprecare nemmeno un colpo. Emma ne fu un po’ impressionata in realtà. Quando il ragazzo dietro al banco riprese i fucili e chiese loro dei premi, Emma pensò che avrebbero unito i due punteggi per prendere un peluche più grande, come già aveva visto fare in passato.
Invece Filippo la stupì. Suo fratello scelse un piccolo cuore che diede prontamente alla fidanzata. Il ragazzo del banco prese un peluche più grande da una scatola vicino a lui e lo diede a Filippo. Nel guardare la renna di peluche con il maglioncino a maglia, Emma si perse lo sguardo d’intesa dei due.
Ha un’altra ragazza? E’ per lei?
Filippo si guardò intorno e poi come se fosse la cosa più naturale e casuale del mondo diede a lei l’animaletto peloso.
Emma davvero non sapeva cosa dire. Era molto più grande e bello rispetto a quello che aveva vinto suo fratello. Insomma, aveva sparato alla metà dei bersagli, ma era abbastanza sicura che il distacco non fosse così netto.
Era così morbida e le sembrò quasi buffo che avesse un maglioncino simile a quello che lei metteva sempre.
“Grazie” disse semplicemente a Filippo, sorridendo. Lui scrollò le spalle e le sorrise di rimando.

Non c’era bisogno di ripensare a quello, no? Eppure Emma in macchina sorrise. Aveva quella renna ancora sul comodino. Era ancora troppo legata al passato? Probabilmente.
Ma era oggettivamente un bel peluche e l’aveva riscaldata nel cuore quell’inverno di dieci anni prima.
Quando arrivarono di fronte alla pasticceria, Emma scese subito e ritirò il vassoio di dolci.
Quando risalì in macchina e guardò verso Filippo però lo vide… nervoso? Le nocche gli erano diventate bianche tanto stringeva il volante.
“Non volevo dirti quello stamattina” esordì. Emma lo sapeva e non c’era bisogno che lui si scusasse, lei aveva anche fatto di peggio negli anni, sia da mestruata che non.
“Non preoccuparti” gli disse.
Ma Filippo continuò “Non conosco persona altruista come te. Ho detto una cazzata e non solo questa volta”
Era teso come mai l’aveva visto. Filippo pensò di essere un idiota.
Ho trentuno anni, quattrocento dipendenti, ma ho paura del rifiuto di una donna?
“Davvero, non preoccuparti” ripeté lei. Si tolse la giacca, senza malizia né nulla, aveva solo caldo per via dell’aria condizionata. Suo padre doveva decisamente farla riparare. Nei mesi primaverili ed invernali quel calore era piacevole, ma d’estate non faceva che ucciderli. Fortunatamente era ancora marzo quindi era piacevole.
Filippo non poté fare a meno di guardarle la scollatura e di colpo il suo corpo reagì.
Magnifico.
“Accetta le mie scuse lo stesso” riuscì a dire. Filippo capì dalle sue stesse parole che non si stava scusando solo per quella mattina.
Lei le accettò, davvero. Era ora di buttarsi il passato alle spalle, no? O almeno doveva provarci.
“Come va il lavoro?” buttò lì. Era la maga dei cambio-discorso.
“Tutto bene, anche se la crisi si sente anche ai piani alti. A te? Giulio mi ha detto che stai sostituendo tuo padre”
“Eh, già” replicò. Forse non era poi una così abile maga, di mille cose aveva scelto di parlare dell’ambito in cui lui era un famoso imprenditore e lei una… non sapeva neanche lei cosa.
“E il gruppo?” chiese lui svoltando a destra. La maglietta si alzò un po’ verso l’avambraccio ed Emma pensò che aveva un polso davvero sexy.
Oh, Dio. Anna mi sta contagiando.
Si aspettava di vederci un Rolex lì, invece c’era solo un cordoncino di pelle intrecciato. Possibile che fosse quello che gli aveva dato lei? No, impossibile.
“Tutto bene, suoniamo ai matrimoni ora, siamo rock’n’roll all night, o meglio fino a che il padre della sposa ci paga”
Filippo la guardò alzando le sopracciglia e rise.
“Ho fatto parecchie conquiste di vecchi ereditieri, sì, lo ammetto” disse con fare orgoglioso e gli fece la linguaccia.
Filippo rise, ma pensò che poteva esserci, o esserci stato, davvero qualche giovane ereditiero. E poi quei due del gruppo che le stavano sempre appiccicati.
“E quel tuo amico” buttò con nonchalance “Patrizio qualcosa?” finse di non ricordare il suo nome.
“Patrick” lo corresse lei. “Continua a fare il cascamorto” Emma si riferì ai continui agguati che l’amico faceva verso le sue prede ai matrimoni e nei bar, non aveva idea che Filippo non sapesse della sua omosessualità. Semplicemente lo diede per scontato.
Filippo strinse di nuovo le mani sul volante. Aveva sempre trovato odioso quel Patrick. Non faceva che guardarlo e studiarlo, come se lo sfidasse.
“E…?” indagò.
Emma sorrise “Ha un talento innato a mio parere. Forse è il gel”
A Filippo venne per reazione naturale il guardarsi nello specchietto e toccarsi i capelli.
Dovrei metterne un po’?
Tornò a guardare la strada e capì che mancava poco per la casa della ragazza. Doveva capire a che punto era con quell’idiota.
“Le paste si staranno ammollando come Giulio” Emma aprì un po’ la carta per averne la conferma. “Eh, sì”
Si tese leggermente in avanti per girare la manopola e provare ad abbassare la temperatura, ma nulla. “E’ inutile. Papà ogni estate dice che l’aggiusterà, ma poi arriva l’inverno e non se ne interessa più”
Filippo era rimasto alla prima parola. Nel vederla muoversi, di nuovo, il suo autocontrollo aveva vacillato e pensò che doveva assolutamente fare qualcosa. Quel Patrick coso la vedeva tutto il giorno fare così, era ovvio che ci provasse con lei, no?
“…so che ora è invalido, ma continua a dire che deve andare o chiamare solo lui perché il meccanico è amico mio” imitò così bene il padre che Filippo capì che non era la prima volta che lo faceva.
Filippo parcheggiò e decise che doveva sapere cosa c’era tra lei e l’idiota, altrimenti sarebbe morto lì.
Ma lei non smetteva di parlare. E lui fremeva nel trovare le parole giuste.
“…e ora sa perfino cos’è la creme brûlée, pensa tu. Mamma -”
La baciò. Lo fece d’istinto e davvero, ripensandoci in seguito, non sapeva dire se l’aveva fatto perché non c’era metodo più efficace per zittire una donna o perché lo desiderava da tanto tempo o per entrambe le cose. Ma non gli importò granché saperlo perché, beh, funzionò.



Note dell'autore:
Bene, in questo capitolo Filippo finalmente fa qualcosa di concreto. Emma invece capisce sempre meno della situazione e non intercetta i sempre più evidenti segnali. Ma dopotutto è giustificata, ha la testa altrove.
Come avrete capito, sono tutti d'accordo per aiutare Filippo, anche se Giulio tende, da buon fratello maggiore, a essere un po' troppo protettivo. E non è ancora arrivata la "banda", come la chiama Emma. Ne leggerete delle belle.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere, mi fa piacere :)
  
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