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Autore: Purity    16/03/2009    2 recensioni
Una ragazza distrutta dal dolore e la sua ultima follia d'amore.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corri bambina, corri.
Corri con le lacrime che ti rigano il viso esausto.
Corri su quella strada deserta, sotto la luna nuova e il cielo buio.
L’unica luce proviene da quei radi lampioni ai lati della strada asfaltata.
Con questa oscurità nessuno può vederti, ma questo lo sai già.

Perché è esattamente quello che vuoi, vero piccola?

Tu vuoi non essere vista. Non vuoi che qualcuno veda quelle lacrime, da troppo tempo trattenute.
Corri ancora e ti accorgi di correre a fianco all’argine del fiume. Quell’argine, dove un tempo ormai troppo lontano per te, il ragazzo che dicevi di amare ti portava in moto durante l’estate.

È sempre stato troppo spericolato vero?

Ma per quella moto aveva una passione particolare, e la portava sempre al limite, spesso con te sopra con lui.
Continui a correre anche se ormai sei stanca, i lampioni illuminano una curva, il guardrail distorto e i mazzi di fiori adagiati nelle vicinanze.

Finalmente ti fermi, guardi le due corsie della strada continuare su un ponte di ferro poco distante. Lo raggiungi. Scavalchi il muretto di protezione e guardi di sotto.
O meglio, vorresti guardare di sotto, ma l’unica cosa che riesci a vedere è il buio. Niente luna e niente lampioni ad illuminare il fiume, che pigro, si spinge verso valle.
Ti siedi in quel metro e mezzo di cemento che ti separa dal vuoto.
Hai il respiro affannoso e fitte di dolore alle ginocchia per il troppo correre. I tuoi capelli mossi sono bagnati e ti si sono attaccati al collo. Il sudore ti imperla il viso, mischiandosi alle ultime lacrime.
Giri la testa indietro, verso la strada, e tendi l’orecchio.
Nessuna moto. Ma su questo c’erano ben pochi dubbi bambina. Non sentirai il rombo della moto alle tue spalle, né tanto meno, vedrai lui superarti in impennata salutandoti con gli occhi.
Quegli occhi così belli, eppure sempre con un fondo di malinconia.

Ti ricordi ancora il loro colore?

Verde intenso, ma che avvicinandosi alla pupilla diventava quasi ambra.
Ma se pensi ai suoi occhi non puoi fare a meno di pensare al suo viso, rotondo ma dai bei lineamenti segnati, e con labbra che sembravano invocare costantemente un bacio. I capelli mori sempre arruffati dal vento di quando sfrecciava per le colline. Quel fisico, non muscoloso, ma solido, tipico di chi lavora duramente.

Tutto un insieme che ti dà più ricordi di quelli che vorresti, vero?

Ricordi anche le sue mani e come a volte ti bramavano mentre altre volte ti accarezzavano la guancia.

E la voce?

Quella voce che ti chiedeva sempre di più, che ti consolava, che ti raccontava. Quella voce che avresti ascoltato per ore ed ore.
Ti manca. Odi ammetterlo. Come odi ammettere di averlo amato così a lungo. Lui e la sua dannata arroganza.
Ti accendi una sigaretta, le mani tremano. La fiamma dell’accendino le illumina: sono sporche di sangue.

Di chi è quel sangue bambina? Come ha fatto a finire sulle tue mani?

Mentre con la destra reggi la sigaretta, la mano sinistra scende sul ventre. Mille paure e dubbi ti assalgono, paure che non vuoi e non puoi condividere.
Ti sfiori e senti la maglietta bagnata ma non di sudore, e probabilmente sono così anche i tuoi jeans.

Ma tutto quel sangue non è di certo tuo, no?

Buttati nel fiume. Sentirai l’acqua pulirti dal sangue e rinfrescarti. Ti sentiresti meglio. In fondo è solo un piccolo salto nel vuoto, e tu, nell’ultimo periodo ne hai fatti parecchi.

Ecco che ti alzi, getti la sigaretta nel fiume. Non è ancora ora.

Ma dove vuoi andare da sola e insudiciata così? Hai ancora una cosa da fare, ma cosa?

Infili una mano nella tasca destra dei jeans ed estrai una chiave, la fai tintinnare contro il gancetto metallico. Il portachiavi è una piccola mucca di peluche. La guardi e un triste ed inquietante sorriso si apre sul tuo volto.
Torni sul ponte, sei intenzionata a fargliela riavere.

Questa volta cammini lentamente, quasi ti trascini, ma non hai più la fretta di prima. O forse ce l’hai ancora, ma sei semplicemente troppo stanca per correre.
Ti aspetta tanta strada, ma non sembrava così lunga però.

Eccoti arrivata. Le prime luci dell’alba illuminano debolmente la piazza. In lontananza vedi i fari accesi della polizia.
Chissà da quanto sono lì fermi, e chissà quanto sono felici della scena che hanno davanti.

Oh sì, lo sai che ci godono nel vederlo riverso a terra in una pozza di sangue?
In fondo per loro non è altro che la fine di fin troppi problemi.
Quanto avranno aspettato prima di chiamare l’ambulanza? Ma non sarebbe servito a niente comunque, vero?

Ti guardi in giro e finalmente vedi la moto. È impossibile per te non riconoscerla, è impossibile per chiunque non riconoscerla, con quel faro blu, a sostituire quello normale, troppo banale per voi due.
Il casco è lì, sul manubrio; nessuno ha avuto il coraggio di toccarlo.
Alzi la visiera e lo infili nel braccio, come faceva lui.
Monti sul sellino e inserisci la chiave. Senti il motore rombare e dai gas.Vuoi partire in impennata.

Parti e continui ad accelerare, non t’importa se qualcuno ti sentirà, non t’interessa se qualcuno ti vedrà. Lo farai lo stesso.
Le lacrime minacciano il loro ritorno, ma tu le ricacci indietro. Non serve più a nulla piangere, ti è bastato al fiume.

Odi piangere bambina mia, ti umilia.

Raggiungi il ponte ad una velocità spaventosa e poi rallenti fino a fermarti. Da lì non puoi passare, non ci avevi pensato.
Ma non è un problema, torni indietro e tagli per i campi che circondano la strada.

Hai ragione piccola, perché tentare dal ponte quando puoi direttamente farlo dal fianco del fiume?

Arrivi sul limite del precipizio e freni. Guardi di sotto. Ora il sole, anche se ancora basso, ti permette di vedere il fiume placido.

Un bel salto bimba, davvero un bel salto.

Fai rombare il motore ancora una volta, alzando lo sguardo al cielo.
È presto.
Ancora due minuti, come faceva lui.
Solo due minuti.

  
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