Lost Light 2.0
3 - Delirium
La grande porta si aprì meccanicamente con uno
scatto veloce, accompagnata da un suono cupo. Il laboratorio gelido che l’aveva
ospitata fino a quel momento le era sempre apparso come una struttura immensa,
con mille e mille stanze uguali tra loro, distinguibili solamente da chi ci
lavorava.
Tutti i corridoi erano speculari, senza alcuna
decorazione, con incolori ed anonime porte che ai suoi occhi di bambina
risultavano come la stessa ripetuta più volte; anche le persone non si riconoscevano
se non attraverso un’attenta occhiata: sia donne che uomini portavano lunghi
camici ben stirati, mentre il viso era coperto da un paio di occhiali stravaganti
simili a quelli che si vedevano solo nei film, una maschera sulla bocca e una
rete sui capelli.
Invece quella che ora le si apriva davanti in tutta
la sua austerità era un’enorme città sotterranea, che si estendeva anche oltre
l’orizzonte e non era neanche lontanamente paragonabile all’ospedale che così a
lungo aveva reputato l’edificio più grande del mondo. Ma, dopotutto, forse era
ancora troppo nuova a quel mondo per capirne le esatte
logiche.
Da quel che le avevano spiegato - senza addolcirle
la pillola nonostante la sua giovane età -, quasi la totalità della popolazione
umana era stata sterminata e le poche persone rimaste abitavano lì, nelle
profondità del territorio europeo, con sede centrale sotto Parigi. Tutto ciò
era opera della Nemesi, l’organizzazione che durante il periodo della
ribellione degli Alpha Nominus si era proposta come ultimo baluardo della razza
umana.
Le avevano spiegato anche che i suoi genitori erano
stati uccisi da quei mostri, e che lei ora sarebbe stata affidata a una nuova
famiglia. Una nuova famiglia. Come se i suoi genitori potessero essere
rimpiazzati da un giorno all’altro.
Aveva versato già un mare di lacrime e non riusciva
a capacitarsi di tutto quello che accadeva. Si sentiva insultata, offesa dal
modo in cui era stata costretta ad entrare nel mondo degli adulti, privata
delle persone che amava di più. Eppure sentiva di essere cresciuta in quei
pochi giorni passati nell’ospedale della Nemesi: era diventata più consapevole
e triste.
«Leef?» la chiamò la voce ormai nota della dottoressa
Marçon, la pediatra che si era occupata di lei durante il ricovero.
La donna aveva fatto il suo ingresso nell’atrio
dell’ospedale, giungendo in prossimità della bambina con il suo solito sorriso
fuori luogo.
«La tua nuova famiglia sta per arrivare, cara.» le
passò una mano tra i capelli e la prese per mano, una mano incredibilmente
piccola rispetto alla sua «Sei pronta?»
La bambina si fece seria tutt’un tratto, così tanto
che la dottoressa sentì il sorriso morirle in volto.
«No. Andiamo.»
***
Parigi, 11
Dicembre 2070 - 11.35
«Ci raggiungono! Accelera!»
La voce di Leef giungeva come un’eco lontana alle
orecchie di Lance, completamente concentrato sulla strada da percorrere. La
periferia di Parigi era un totale caos, le strade in buona parte distrutte, gli
risultava molto difficile zigzagare tra le montagne di detriti sparse ovunque.
Fortunatamente era parecchio abile nel guidare. La priorità era seminare gli
Alpha Nominus, poi avrebbero pensato a un modo per tornare alla Nemesi.
Era tutto così strano… quando mai si erano visti
dei Nominus collaborare? Se davvero avevano deciso di unirsi per raggiungere un
obiettivo comune poteva significare soltanto una cosa: avevano sviluppato il
loro intelletto fino a capire che insieme si hanno maggiori possibilità di
riuscita e, considerando la situazione, probabilmente l’obiettivo era l’insalatiera
sotterranea. Che avessero davvero scoperto la sede nella Nemesi?
«Maledizione!» esclamò l’uomo, dando una violenta
sterzata che quasi fece perdere l’equilibrio a Leef «Usa il cristallo!»
«Non so come fare! Credo che funzioni solo per
contatto fisico!»
Ma valeva comunque la pena di provare, perciò scavò
nella sua borsa finché non lo trovò, stringendolo poi tra le mani sudate e
tremanti. Si affacciò dal finestrino, esponendolo alla luce del giorno. Non
accadde niente. Ovvio, prevedibile. Non erano prestigiatori e il minerale non
avrebbe operato un miracolo. Dovevano usarlo per dare il colpo di grazia a un
Alpha Nominus precedentemente messo a tappeto, come una normale spada?
Lance lo comprese e cambiò strategia «Non importa,
Leef. Hai le pistole con te? Ce la fai a sparare a questa velocità, o prendi tu
la guida e io cerco di colpirli?»
«No, posso farcela. Mi raccomando, cambia strada
molto spesso, magari ci perdono di vista!» esclamò l’altra, dunque impugnò le
armi, sollevandole con una forza inaudita sviluppata in quegli anni a causa
delle necessità.
Aprì la capote della macchina, uscendo di soppiatto
mentre già le pistole puntavano sulla piccola folla di mostri che li
inseguivano. Scaricò una manciata di proiettili addosso agli Alpha Nominus,
ferendone molti; gambe e braccia scheletriche volavano via come se non necessarie
alla sopravvivenza, mentre i mostri si alteravano ancora di più, urlando più
forte.
La donna sapeva cosa significava: quando un Alpha
Nominus veniva ferito sviluppava un urgente bisogno di tessuti ricchi di
proteine, le uniche fibre capaci di fargli ricrescere in meno di dieci minuti
un arto nuovo di zecca. Tali tessuti erano per la precisione i muscoli umani. I
muscoli di coloro da cui erano stati, non esattamente con successo, clonati. Il
processo attraverso cui un Alpha Nominus sbranava e successivamente convertiva
i tessuti ingoiati in vere e proprie parti del corpo, si chiamava assorbimento. Ed era ciò
che era accaduto ai suoi genitori quella fatidica sera.
Perché diavolo si avventuravano lì, in superficie?
Avrebbero potuto tranquillamente nascondersi sotto terra come tutti gli altri,
ad aspettare la morte.
Un nuovo proiettile colpì un Alpha Nominus dritto alla
testa, in mezzo agli occhi gialli.
«Muori, stronzo!» strepitò la ragazza in un attimo
di cinismo: quello era uno dei pochi punti che non riuscivano a riparare,
dunque uno dei mostri era fuori gioco.
Il rumore dei colpi risuonava nelle sue orecchie
con forza, ma ormai vi era abituata. Mentre Lance sfrecciava, prendendo una
curva che di nuovo le fece perdere l’equilibrio, la ragazza decise di concentrarsi
su uno alla volta.
«Lance, dannazione! Guida come gli esseri umani!»
«Meno acidità e più efficienza, grande scienziato!»
Leef, mugugnando un’imprecazione, tornò a
concentrarsi sul suo secondo Alpha Nominus; questo non aveva riportato ferite
da prima, dunque sarebbe stato più difficile da abbattere. Gli sparò quattro
volte, colpendolo all’addome, alla testa e, incredibilmente, alla mano destra;
tra varie urla, l’Alpha Nominus perse letteralmente la testa, lasciando una
scia di liquido giallo prima di accasciarsi.
“Fuori due!” pensò Leef.
Sentì un brivido di speranza percorrerle le
braccia; strinse le mani sulle pistole, arrischiandosi a pensare che forse
potevano farcela.
Lance imboccò un vicolo piuttosto stretto e buio,
senza alcun tipo di illuminazione; imprecò a denti stretti: come se la
situazione non fosse stata già abbastanza difficile!
Leef sentiva il sudore freddo calarle a grandi
gocce lungo le tempie, mentre le pistole si facevano sempre più pesanti. Cominciava
ad essere stanca. Ricominciò a sparare alla cieca, sentendo i colpi andare
spesso a vuoto; nella frenesia generale le parve di scorgere qualcuno cadere ed
essere calpestato senza tanti complimenti.
Accucciandosi contro il freddo metallo della
vettura, Leef portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che le impediva una
visione completa; poteva orientarsi solo seguendo il giallo acceso degli occhi
dei mostri, ed era proprio a quei barlumi luminosi che mirava.
Ne abbatté uno, poi un altro.
“Forza… ancora quattro!” si disse, mentre con una
mano sparava e con l’altra afferrava una nuova cartuccia. Si concentrò su un
nuovo paio di occhi, ricominciò a sparare. Colpito. Ma dopo una decina di colpi
cominciò a disperare: gli altri avevano demorso molto prima, perché questo no?
Eppure lo aveva colpito come minimo sei volte ed un
normale Alpha Nominus dopo le prime due sarebbe scappato, dopo tre morto. Alcuni,
se a digiuno da molto tempo, addirittura crollavano dopo un solo colpo. Eppure
questo sembrava molto più forte degli altri…
Gli occhi della donna erano puntati su quelli del nemico;
con concentrazione e tenendo a stento sotto controllo l’agitazione, Leef sparò
un altro colpo che, di nuovo, colpì il mostro, il quale finalmente cadde con un
urlo.
«Finalmente!» gridò lei, ma il suo grido venne
strozzato poco dopo, quando da dietro il paio di occhi che aveva fissato fino a
quel momento ne emerse un altro.
Per poco alla scienziata non caddero le pistole di
mano quando capì perché non riusciva a uccidere il mostro di prima. In quel
momento Lance sterzò ancora, tornando in una via illuminata.
«Dannazione!» imprecò l’uomo da dentro l’abitacolo,
guardando lo specchietto retrovisore. I mostri non erano più una decina, ora
erano almeno raddoppiati «Ma che sta succedendo!?»
«Hanno chiamato i rinforzi!» esclamò questa,
riprendendo a sparare, stavolta agevolata dalla luce che filtrava attraverso le
nuvole «Non era mai successa una cosa simile!
Più andavano avanti, più la situazione peggiorava:
la strada era così piena di detriti che spesso Lance era costretto a svoltare o
far manovre pericolose, per di più i proiettili non sarebbero durati per
sempre. Dovevano far qualcosa, il prima possibile.
«Leef!» la chiamò allora, cacciando una mano dietro
di sé per afferrarle una gamba «Scambiamoci!»
«Sei sicuro? Va bene!» acconsentì la ragazza,
accettando la realtà: era troppo agitata per essere efficiente e Lance lo
sapeva.
«Al mio tre!» continuò lui, ma la sua voce era
appena udibile, sovrastata com’era dalle urla infernali degli Alpha Nominus,
che ora erano a pochi metri dall’auto, nel pieno della sua corsa folle.
In effetti era folle anche quello che i due ragazzi
si apprestavano a fare.
«Tre!»
Con uno scatto all’insù, Lance si allungò al suo
limite, tenendo il piede sopra sull’acceleratore e una mano sul volante fin
quando non fu sicuro che Leef, scattata all’indietro nello stesso momento,
avesse preso il suo posto. La ragazza afferrò lo sterzo con mani tremanti e
tanto sudate da essere scivolose.
Gli occhi si posarono sulla strada, allora si
accorse che il compito di Lance non era stato meno gravoso del suo fino a quel
momento. La via era un inferno di macchine capovolte, detriti, edifici crollati
e, di tanto in tanto, persino scheletri.
«Leef! Cerca di svoltare alla prima occasione, ci
sono addosso!»
«Ci provo!» fece in risposta lei, sull’orlo di una
crisi di nervi. E ci provò veramente alla prima occasione, ma non servì a
molto; avevano, in compenso, messo un po’ di distanza tra loro e i mostri.
Non restava che una cosa da fare…
«Prendi la dinamite! E’ l’unico modo per guadagnare
tempo!»
«Cosa? Vuoi farci saltare in aria?» Lance strabuzzò
gli occhi, con una nota di stizza nella voce.
Era troppo pericoloso! Andavano a velocità folle e
tra l’accensione della miccia e l’esplosione vi sarebbero stati al massimo
cinque secondi: considerando la velocità con cui gli Alpha Nominus li stavano
raggiungendo, il moto della macchina e il tempo che il candelotto avrebbe
impiegato ad attraversare lo spazio che li divideva, c’era un margine d’errore
elevato. Tuttavia, Lance sapeva che la ragazza aveva ragione, infatti le armi
da fuoco ormai poco potevano contro i nemici, con la sua spada avrebbe avuto
risultati migliori.
La situazione necessitava di una svolta decisiva.
Aveva fatto pratica anche con l’esplosivo, ma l’idea di tenerlo in mano fino a
due secondi prima dell’esplosione non lo allettava granché…
Tuttavia lo fece. Si abbassò in un attimo, quanto
bastava per afferrare la borsa che aveva lasciato sul sedile libero ed estrarne
un candelotto.
«Abbiamo davvero pochissimo tempo. Accenderò la
miccia e quando mancheranno due secondi la lancerò. Appena ti do il via
accelera ancora, vedi quell’incrocio laggiù? Svolta in una qualsiasi direzione,
almeno ci toglieremo dalla traiettoria dell’esplosione. Capito?»
Combattendo col sudore che le imperlava la fronte,
Leef annuì trepidante.
I mostri erano sempre dietro di loro, sempre più
vicini. Deglutendo, Lance si rimise in piedi, tirò fuori dal taschino della giacca
un accendino e con uno scatto secco lo accese. Si chiese se questa era davvero
l’unica soluzione, ma il suo cervello era atrofizzato, addormentato: se quella
non era l’unica soluzione, non lo avrebbe mai saputo.
“Cinque.”
Odiava quel suono. Lo aveva sempre odiato. Qui non
si giocava con un proiettile o una lama, ma con della dannatissima dinamite.
“Quattro.”
L’odore di bruciato gli invase il setto nasale,
provocandogli un breve giramento di testa. Sparò un colpo a un Alpha Nominus
che si era avvicinato un po’ troppo per i suoi gusti.
“Tre.”
Un urlo lo fece raggelare. I mostri erano a
pochissimi metri dall’auto. Due secondi erano troppi? Che senso aveva pensarci
ormai?
“Due!”
O andava o… andava.
Lanciò il candelotto e contemporaneamente si
rifugiò dentro la macchina, mentre questa svoltava a sinistra d’improvviso;
l’impatto con il sedile fu così forte che sentì una fitta allo stomaco. Non
vide più la dinamite, ma ne sentì il botto. L’onda d’urto fu così forte che
l’auto venne letteralmente sbalzata in aria. Un drago di fuoco si allungò dalla
strada che avevano appena abbandonato, divorando le creature ignare.
***
L’intera zona attorno all’esplosione era ridotta in
cenere, così come i cadaveri di quindici dei venti mostri. Non troppo lontana
dal luogo della deflagrazione, un’automobile giaceva rovesciata, dalle sue
macerie si sollevava pigramente del fumo; le ruote, ancora fumanti, indicavano
una corsa pazza che faceva tanto film americano.
Leef era riuscita a uscire per miracolo da sola
dall’abitacolo. Era un po’ ammaccata, ma nel complesso si sentiva bene, felice
di vivere come non era mai stata.
«Lance?» chiamò subito il compagno non appena ebbe
recuperato la voce. Le fischiavano le orecchie.
«Sono qui… sono vivo! Non so come, ma sono vivo!
Ahia, che dolore…» dai sedili posteriori si alzò un urlo di vera gioia «Siamo vivi! Vivi! In culo a
quei fottutissimi bastardi!»
Quello che uscì dalla gola di Leef fu una specie di
mugugno disperato; si mosse dalla sua posizione – a terra, in mezzo alle
macerie, con il borsone a tracolla – per raggiungere l’uomo e aiutarlo ad
uscire dal finestrino. Avevano avuto una fortuna incredibile.
La testa di Lance emerse per prima dalla trappola
di metallo, seguita, con un po’ di difficoltà, dalle spalle e poi dal resto del
corpo. Fecero la conta dei danni: avevano vari tagli sparsi in tutto il corpo,
alcuni anche abbastanza gravi, come quello di Leef sul braccio destro, ma nel
complesso sarebbe potuta andare molto peggio. La ferita più brutta l’aveva lui:
una spalla rotta.
«Dobbiamo tornare immediatamente alla sede.
Soprattutto ora che siamo feriti.»
«Sì, hai ragione.» fu la risposta rapida dell’altro
mentre si massaggiava la parte indolenzita.
Ripresero il passo, stavolta senza auto e con molta
più calma; si fecero persino prendere un po’ dall’euforia per il massacro
appena compiuto: erano non proprio sani, ma almeno salvi. Lance rise,
affermando che l’adrenalina li stava rimbambendo, ma Leef trovò come sempre una
spiegazione psicofisica che zittì l’altro.
Il problema adesso era trovare uno degli ingressi
per la Nemesi. La donna estrasse dalla tasca un pezzo di carta bianco ripiegato
e lo aprì frettolosamente, mostrando così quella che sembrava una mappa molto
dettagliata di Parigi: in blu spiccavano le zone di accesso alla città
sotterranea, in verde le uscite, in rosso quelle più pericolose, cioè quelle in
cui gli incontri con Alpha Nominus erano probabili. La zona d’accesso più
vicina alla loro posizione era a due isolati.
«Ci conviene prendere un’altra auto, così faremo
prima.» propose.
Lance non era dello stesso avviso e scosse la
testa, provocando una cascata di polvere dai capelli bruni «No, faremmo troppo
rumore. Andiamo a piedi.»
Pensandoci bene sì, era la cosa migliore. Leef era
felice di avere con sé qualcuno abituato ad uscire nel mondo superiore,
soprattutto ora che si sentiva stravolta dall’inseguimento. Prese Lance
sottobraccio e s’incamminarono. Ad ogni passo lo sentiva gemere per il dolore,
e lei, pur sapendo di non essere la causa del suo infortunio, non poteva fare a
meno di soffrire con lui.
«Leef.»
Si sentì chiamare. Alzò lo sguardo, incontrando
quello dell’altro, sorridente nonostante tutto. Si sentì arrossire e si diede
della sciocca: non era il momento adatto per sentimentalismi «Dimmi.»
«Smettila di preoccuparti. Ho sopportato di peggio,
lo sai.» la rimproverò lui, scoccandole un bacio sulla fronte, prima di
ricordarsi improvvisamente una cosa «Ah, il cristallo di Berg?»
«Ce l’ho qui…» rispose lei, brusca, irritata per il
cambio d’argomento; cacciò la mano nella sua borsa, cercando distrattamente…
almeno finché non si accorse che niente lì dentro, tra pistole, munizioni,
candelotti, ricetrasmittenti e persino una confezione di burrocacao… «… Merda.»
«Leef…» il verso di Lance sembrava più disperato
che arrabbiato «Non dirmelo, ti prego.»
«Okay, non te lo dico!» sorrise forzatamente Leef,
lasciando poi andare il compagno. Doveva esserle caduto durate la colluttazione,
non c’era altra spiegazione. Sicuramente era ancora lì, doveva solo tornare indietro
a prenderlo. Ritirò tutto ciò che aveva pensato sulla loro buona stella «Io
torno alla macchina, tu corri all’ascensore.»
«Perfetto. Torniamo alla macchina!» senza prestarle
ascolto, Lance fece marcia indietro, tornando sui suoi passi.
«Lance!» Leef lo raggiunse subito, tirandolo per il
braccio sano; riuscì comunque a fargli male e perciò si diede dell’idiota, ma
la sua preoccupazione per lui era dieci volte maggiore di quella per il resto
dell’umanità «È troppo pericoloso!»
Egli si voltò a guardarla in maniera severa «E vorresti
lasciare il cristallo lì?» chiese poi, evidentemente annoiato da quello spreco
di tempo.
«Il cristallo è al sicuro. Gli Alpha Nominus non
possono avvicinarsi.» continuò lei, cercando di essere convincente, ma la sua
decisione morì quando Lance le prese la mano. Che colpo basso.
Leef non oppose più resistenza, del resto sapeva
che quando Lance si fissava con qualcosa era impossibile smuoverlo, dunque, sospirando,
acconsentì tacitamente.
«Come ho potuto essere così stupida?» non si
risparmiò comunque, rivolgendosi tutti gli improperi che ricordava. Se fosse
accaduto qualcosa a uno dei due sarebbe stata tutta colpa sua.
«Basta con questa lagna. Se mi accadrà qualcosa
sarà perché non sarò stato abbastanza attento.»
«La smetti di leggermi nella mente?»
Lance ridacchiò piano mentre si massaggiava la
spalla, cercando di sorridere nonostante il dolore. Non era la prima volta che
si rompeva un osso, ed aveva imparato a resistere alla sofferenza, almeno per
un po’…
Rimasero in silenzio, o meglio in ascolto, poiché
anche un semplicissimo suono poteva rivelare la presenza di un mostro. Leef
teneva stretta in mano la pistola, contando ogni passo. Ogni qualvolta che
sentiva un rumore improvviso scattava, cominciando a puntare a destra e a manca
l’arma, alla ricerca di nemici inesistenti. Lance non cercava di fermarla, in
quanto sapeva che la ragazza aveva ragione a farlo: con lui quasi fuori gioco,
ella era la loro unica speranza di salvezza in caso di attacco.
E poi, senza preavviso, le pose una domanda strana.
«Tu credi in Dio?»
Quella domanda fu per Leef come una doccia fredda.
Si voltò verso l’uomo, guardandolo sconcertata. Era davvero il momento adatto a
una discussione a sfondo teologico? Tuttavia non se la sentì di lasciarlo senza
una risposta, quindi scosse la testa «No.»
Esattamente come egli credeva, o forse temeva. Benché si conoscessero da una vita, non glielo
aveva mai chiesto. Sorrise amaramente, in effetti non era affatto il momento
migliore per quel genere di domande «E non ti senti sola a volte, quando
nessuno ti è accanto?»
«Che razza di domande sono queste?» un cipiglio
irritato sul volto di lei fece capire che quell’argomento era off-limits. Gli
indirizzò un’occhiataccia che sembrava metterlo in guardia dall’abusare della
sua pazienza «Non è il momento di fare certi discorsi.»
«Sì, hai ragione. Perdonami.»
Lance non faticava a comprendere perché Leef fosse
atea: dopo aver perso tutto, dalla famiglia ai beni materiali, molti avrebbero
perso la fede. E poi era una scienziata, e spesso gli scienziati non si mostrano
anche solo vagamente aperti alla possibilità che esista qualcosa di più
intelligente di loro e più potente degli Alpha Nominus.
«Oh, ecco!» la voce della ragazza richiamò l’uomo
alla realtà.
Lance si diede dello stupido per essere stato così
provveduto: potevano essere attaccati in qualsiasi momento, non era il caso di divagare.
Il suono dei caricatori di Leef riecheggiò varie
volte, mentre il cacciatore preparava le sue armi, maledicendo per l’ennesima
volta quell’esplosione.
La spalla gli doleva, la donna lo vedeva benissimo.
«Io vado avanti.» asserì, poi lo precedette.
Con uno sbuffo, Lance rimase indietro a caricare le
armi.
Leef si guardò intorno, scrutando le cime dei
palazzi, da cui i mostri amavano lanciarsi per saltare addosso alle loro
vittime. Sembrava che non ci fosse niente. Prese un profondo respiro, sentendo
l’aria fredda penetrarle nei polmoni; c’era ancora una gran puzza di morto e di
fumo, era così disturbante.
Quasi nevrotica attraversò la strada, a passi
piccoli e leggeri, sfruttando le ombre come copertura. Non doveva correre il
rischio di attirare l’attenzione fin quando Lance non sarebbe stato pronto. Un
passo mosso avventatamente provocò lo spostamento repentino di un sasso e il
rumore riecheggiò nella distesa silenziosa.
Leef trattenne il fiato. Un attimo dopo le erano letteralmente
addosso.
«Leef!»
La ragazza cadde a terra, spinta con violenza da
una mano nera munita d’artigli. Non sentì più le gambe, ma solo un ammasso di
corpi addosso al suo e la mancanza di aria. Nella confusione e nella paura, non
riuscì a capire che i colpi e le onde d’urto che sentì subito dopo erano i
proiettili con cui Lance stava massacrando i mostri che l’avevano atterrata.
Le urla degli Alpha Nominus si alzarono stridule.
Tre di loro la tenevano con forza, cercando di non cedere sotto i colpi mirati
del cacciatore; quest’ultimo, avendo finito di caricare le armi, ora cercava in
tutti i modi di allontanarli da Leef.
«Maledetti, qui! Sono qui!» prese a urlare e
provocarli, senza smettere di sparare.
Riuscì ad allontanare il primo, sbalzandolo dalla
ragazza. Tra un battito e l’altro del cuore, notò con estremo sollievo che era
ancora viva, anche se visibilmente shoccata. Per fortuna ancora non procedevano
con l’assorbirla. Un urlo risuonò al di sopra degli altri, mentre il più alto
degli Alpha Nominus si voltava verso il ragazzo, alzando una mano; gli altri
due si bloccarono, e così anche Lance.
Rimasero tutti e tre a fissarlo, mentre la mente di
Lance ricominciava a mettersi in moto.
Sorrise amaramente, sussurrando «E così collaborate
davvero, pezzi di merda…» e sparò dritto in faccia al capo.
Il mostro evitò con un urlo il proiettile, che, non
avendo incontrato il bersaglio, andò sprecato senza scatenare la sua onda
d’urto.
«Provate a prendermi, allora.» Lance iniziò ad
allontanarsi, continuando però a sparare al capo dei mostri.
Gli altri due fecero dei balzi invidiabili e
raggiunsero i tetti delle abitazioni più vicine e basse, poi sparendo: si
preparavano a un agguato? Ormai dovevano essere entrati nella mentalità del
gruppo, perciò difficilmente però avrebbero abbandonato il loro comandante.
Quest’ultimo ora inseguiva il cacciatore, che,
diretto all’auto, cercava di correre il più velocemente possibile, combattendo
contro il dolore alla spalla. Lanciò una fugace occhiata a Leef, svenuta, poi
riprese la sua corsa disperata con alle calcagna l’Alpha Nominus alto,
infuriato e soprattutto affamato.
Si lanciò dentro l’auto rovesciata, ancora ferma sul
luogo della strage.
A quel punto non si udirono più suoni, neanche
quello dei passi dell’Alpha Nominus che lo inseguiva. Con le mani sudate, il cacciatore
cominciò a scavare senza sosta, cercando con gli occhi il cristallo.
“Dove cazzo è?!” pensò.
In quel momento la paura che le loro convinzioni
fossero false lo avvolse. E se davvero quel misero pezzo di minerale non fosse
servito a niente, come aveva insinuato Mason? Sarebbero stati entrambi
assorbiti o avrebbe trovato la forza di combattere? In quel momento notò un
flebile bagliore celeste alzarsi dai sedili posteriori.
“Eccolo!” allungò una mano lo afferrò come se fosse
stato l’acqua nel deserto, il solo sentirlo di nuovo tra le mani gli donò un
leggero sollievo.
Con fatica uscì dall’auto, spingendosi coi piedi e
una mano. Teneva il cristallo luccicante stretto nella mano libera. Una volta
fuori, si guardò con circospezione intorno, riprendendo fiato: non c’era
nessuno. Leef giaceva ancora sul ciglio della strada, nessun Alpha Nominus in
giro.
Se ne erano davvero andati? Dopo essersi guardato
con attenzione intorno alzò lo sguardo e… due occhi gialli e un sorriso
mostruoso gli diedero un caloroso bentornato.
In contemporanea sia l’Alpha Nominus che Lance
lanciarono un urlo: il primo di vittoria, il secondo di paura. L’agguato era
andato decisamente a buon fine, e adesso era il momento di una bella merenda
sostanziosa!
L’Alpha Nominus si gettò da sopra la macchina
capovolta addosso a lui, che tentò di darsela a gambe ma non fu abbastanza
veloce per evitare che la bestia gli affondasse i denti nella gamba e tirasse
via con gusto un pezzo di carne.
Lance si piegò in due, urlando di nuovo come un
pazzo, mentre il dolore lo assaliva ancora; la sua mente si annebbiò
velocemente, era sul punto di lasciarsi svenire quando Leef comparve nel suo
campo visivo, trascinata per i capelli un altro Alpha Nominus. Il cacciatore
sentiva il sangue sgorgare dalla ferita, la sofferenza era così intensa da impedirgli
di ragionare lucidamente. Si fece forza, nonostante persino respirare fosse
difficile, e mosse appena la mano, mostrando l’oggetto che vi teneva stretto.
La luce del cristallo si espanse a quel punto, riflettendosi
sui corpi dei mostri che cominciarono a urlare come forsennati. Quello che ancora
si gustava la carne di Lance si coprì gli occhi, ma, troppo preso alla
sprovvista, non seppe come reagire e fu il primo ad esplodere. Letteralmente.
Uguale fu la sorte del capo, quello che stava innanzi all’uomo, grazie al quale
Lance poté finalmente dire con certezza che l’interno degli Alpha Nominus aveva
decisamente molto in comune con quello degli uomini.
Quello che teneva per i capelli Leef si unì al coro
di urla, lasciando cadere la ragazza sull’asfalto. Infine scappò, lanciando a Lance
un’occhiata che prometteva vendetta.
«Scappa, bastardo… scappa! Non… l’avrete vinta…»
mormorò il cacciatore, soddisfatto. Strisciando e lottando contro i muscoli che
gli urlavano di star fermo, riuscì con molti sforzi ad avvicinarsi infine a
Leef. Sembrava star bene, a parte le ferite che si erano procurati durante
l’esplosione.
«Grazie, Dio, grazie…» sussurrò al cielo grigio,
ormai allo stremo delle forze.
Ora aveva avuto la prova definitiva che qualcuno li
aveva salvati. Subito dopo, però, un sonno molto insistente lo colse, e
stavolta Lance fu sicuro che non sarebbe riuscito a resistere: era esausto.
Mentre stringeva la mano di Leef, poggiando tra loro il cristallo, si chiese se
si sarebbe mai svegliato; la lunga striscia di sangue e la gamba per metà
distrutta non ne erano così sicure.
Eppure aveva dimostrato che il cristallo funzionava
e che le teorie di Leef erano giuste: l’aveva salvata. Era riuscito a
proteggere davvero qualcuno. D’un tratto, mentre chiudeva gli occhi e scivolava
nell’incoscienza, sentì d’aver per la prima volta in vita sua qualcosa di cui
andava fiero.
Poco dopo che Lance svenne, un voce maschile
tonante e bassa spezzò il silenzio.
«Portateli via, prima che arrivino altri mostri…»