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Autore: LesA7X    21/01/2016    1 recensioni
"Non si può capire una situazione del genere finché non ci sei dentro. La mia era una vita troppo difficile, dal passato burrascoso e dal futuro appeso a un filo. Sognavo un principe azzurro che mi salvasse da tutto, ma come potevo pretendere l'amore se non sapevo nemmeno cosa significasse 'amare' ?
Eppure lui aveva qualcosa che mi disorientava, lo odiavo, ma allo stesso tempo lo amavo; sembrava che in sua presenza il mio cuore iniziasse a battere di nuovo".
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5

 

 

Cosa voleva dire sentirsi a casa?
Era una delle domande che mi facevo più spesso e alla quale non sapevo dare alcuna risposta.
Secondo alcuni sentirsi a casa significa avere un tetto sopra la testa, altri ritengono che sia quella sensazione che provi quando sei in compagnia di qualcuno di cui ti fidi ciecamente.
Analizzando le mie ultime esperienze, molto probabilmente non avevo mai provato questo genere di sentimento: non riuscivo a pensare a una situazione di totale sicurezza nella quale mi sarei sentita libera di fare qualsiasi cosa senza preoccupazioni, senza guardarmi continuamente le spalle. Se solo avessi avuto una bacchetta magica capace di cancellare il mio passato, la avrei usata per rimuovere tutto, senza ripensamenti, e avrei ricominciato a scrivere la mia vita da zero.

Ma forse il mio unico problema era che fantasticavo troppo e non combinavo mai niente.

 

 

 

 



 

 

Mi ci volle un bel po' per realizzare quanto imprudente e immatura fossi stata la scorsa notte.
Normalmente, non avrei mai accettato inviti di questo tipo.
Forse a parlare era stato il mio sfrenato impulso, la mia irrazionalità del momento, non so…una Sam irrazionale? 
Non è così che ero conosciuta dagli altri.

Alla fine quel Jimmy poteva benissimo essere un malintenzionato, così come gli altri quattro, e allora sì che avrei avuto da ridere; e per qualche strano motivo, ho avuto la brillante idea di servirgli su un piatto d'argento le vicissitudini della mia vita.

E poi, su chi avrei potuto contare? 
Mi sorprendo di me stessa, a volte.

Mi alzo dal comodo letto e noto con altrettanta sorpresa che la sveglia segna le dieci del mattino.
Avevo già trascorso molto tempo in quella casa, sicché decido di parlare con Jimmy, restituirgli i vestiti e andare via.


Scendo timidamente al piano di sotto, sistemandomi la larghissima felpa nera di Jimmy, quando scorsi delle spalle enormi e un dorso nudo a ridosso dei fornelli. 
Non so perché, ma una vampata bollente mi attraversò la faccia:

<< Ehi, scusa, hai visto Jimmy? >>

La mia voce si era fatta più tremante di quel che volessi.
Il ragazzo si voltò e solo quando posò il suo sguardo sul mio riuscii a riconoscerlo: era lo screanzato di ieri che si fa chiamare Brian.
Da sobrio sembra molto più presuntuoso di quanto non lo sia da ubriaco:

<< No. >>

La risposta secca non fece altro che confermare le mie intuizioni; ero sicura che la scelta migliore sarebbe stata il mio silenzio, seguito dal rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle, ma così facendo non avrei ottenuto ciò che volevo:

<< C'è qualcun altro in casa? >> 

Era da ammirare la gentilezza con cui porsi la domanda, dal momento che Brian fece spallucce portandosi alla bocca una forchettata di uova e bacon.
Non avrei resistito un secondo in più in quella stanza.
Il suo ego era troppo grande per potersi contenere in delle misere mura di mattoni. 
Ma perché si comportava così? Se gli avessi fatto qualcosa avrei capito, ma visto che non gli avevo fatto un bel niente, meritava di essere pagato con la stessa moneta.

<< Bene, allora parlo direttamente con te. Ringrazia Jimmy da parte mia, io me ne vado. Digli anche che appena potrò gli restituirò i vestiti e sdebiterò il favore. >>

L'espressione di Brian era pressoché impassibile, come se non avessi parlato affatto; continuava a portarsi la forchetta alla bocca e poi volgeva di nuovo lo sguardo su di me: uno sguardo tetro, cupo, che da lontano metteva in suggestione e chissà, magari da vicino faceva anche paura.
L'intera sua figura creava sgomento: i jeans strappati, il busto completamente nudo coperto da mille tatuaggi, i capelli scuri arruffati e sparati in aria, gli occhi che minacciavano un imminente scatto d'ira. Quel ragazzo voleva dare un'impressione ben precisa sul suo conto.
Ma Sam non si faceva intimorire da nessuno, specialmente da uno come lui.

Sam era forte.

Sam era coraggiosa.

 

Scavalcai il suo interminabile ego e uscii frettolosamente sbattendo la porta, senza voltarmi indietro. 
Vagare da un posto all'altro poteva considerarsi una nuova abitudine.
Non so se sia più frustrante l'accettazione di una cruda verità o il fatto che me la voglia imporre, come se sapessi di essere già indirizzata verso questo stile di vita caotico e frenetico.

Feci per aprire il cancello, ma una deliziosa e umiliante sorpresa mi si presentò all'istante: il cancello non si apriva.

Fantastico, qualcosa mi diceva che avrei dovuto chiedere aiuto a mister ego. Sentivo che se la ridevano di grosso coloro che lassù avevano preludiato il mio destino.
Nonostante gli scossoni e una serie innumerevole di parole poco ortodosse che partivano come frecce dal mio subconscio, mi arresi a bussare con violenza lo stesso portone che sbattei pochi secondi fa e che speravo caldamente di non aprire più.
Complimenti Steinfield, sei riuscita a mantenere alta la tua dignità ancora una volta.

Non feci in tempo a dire 'ma' ed ecco che il portone si riapre, svelando un Brian dallo sguardo divertito e da un sorriso alquanto viscido.

Maledetto.

Sapeva tutto fin dall'inizio: sapeva che sarei rimasta ancora lì perché il cancello non si sarebbe aperto.

<< Sì? >>

<< Il cancello è chiuso. >>

<< Jimmy ha la chiave. >>

<< Non prendermi in giro Brian, apri questo cancello per favore. >>

Brian fece spallucce in segno di innocenza, ma il suo ghigno subdolo annientava la figura di angioletto che voleva crearsi.
Un bambino.
Un bambino che si divertiva facendo scherzetti squallidi e di cattivo gusto risalenti alla quinta elementare. Il suo sorrisetto si ampliò beffardo e una voglia matta di mettergli le mani addosso mi attraversò da capo a piedi, ma non mossi un muscolo. 
Ma perché mi stavo trattenendo? 
Non di certo perché ero intimorita da lui. No, sicuramente era la mia educazione che stava avendo la meglio in quel momento.

<< Sam! >>

Una voce familiare mi chiamò alle spalle e notai, con mio grande sollievo, che era quella di Jimmy e degli altri ragazzi. 
Ero felice come una pasqua.

<< Che ci fai qua fuori? >>

<< Io me ne vado Jimmy. Ti... >>

Non feci in tempo a finire la frase che l'espressione radiosa sul volto di Jimmy tramutò completamente.
Ma cosa si aspettava? Che sarei rimasta a vivere lì con lui, anzi con loro, per sempre?

<< E dove andrai? >>

<< Cercherò una camera, un appartamento, qualcosa troverò. >>

<< Con quali soldi, Sam? E cosa dirai agli altri quando ti chiederanno da dove vieni? >>

Ma perché si stava preoccupando in questo modo?

<< Jimmy, a me non va di mettervi in mezzo. >>

<< Non mi sembra che tu abbia molta scelta. >>

Ancora una volta, ero molto alquanto sorpresa dal suo atteggiamento; il calmo e pacato Jimmy per un attimo si era fatto da parte e un Jimmy dalla premurosa arroganza prese il sopravvento: una combinazione letale e apparentemente infattibile. Tuttavia non potevo dargli torto: incontrare qualcuno che mi avrebbe creduto e trattata come lui era di sicuro un'occasione che non si sarebbe più verificata.
Jimmy pareva un bravo ragazzo, ma mai mi sarei permessa di invadere casa sua, insomma, mi sembrava inappropriato e decisamente scorretto.
Non volevo rendere nessuno partecipe del mio essere schifosamente infelice. 
Loro erano amici spensierati e io ero solo una macchia d'olio nera che inevitabilmente avrebbe condizionato la loro vita.
I ragazzi mi esortavano a cambiare idea e mi mettevano nella posizione di accettare la loro proposta; tutti sembravano interessarsi, tutti tranne quel ragazzo che, spavaldo, se ne stava ancora appoggiato sulla cornice della porta godendosi a pieno la scena.

<< Perché vuoi fare tutto questo per me, Jimmy? >>

<< Perché sei in difficoltà e noi vogliamo darti una mano. >>

<< I-io… >>

<< Non ti costringiamo a restare qui, ma almeno lasciati aiutare a cercare un alloggio e a provvedere a tutto, insomma. >>

<< No! Ok, starò qui, ma sarò io a pagarmi l'alloggio quando avrò i soldi. >>

<< Quindi resterai qui? >>

<< Sì. >>

Gli occhi di Jimmy si liberarono subito da quelle nubi scure, schiudendo il cielo che vi risiedeva in essi, e istantaneamente sorrise proprio come gli altri ragazzi: sembravano felici del fatto che avrei condiviso un tetto con loro, di certo lo erano più di quello che sull'uscio della porta teneva sotto controllo la situazione: lo sguardo vigilante di quel ragazzo mi fece tornare alla memoria Gisele, ma scacciai immediatamente il pensiero.
Tornai in casa con ancora addosso quel senso di petulanza, ma accompagnata dalla premura e dalle risa dei ragazzi che in qualche modo lenivano il disagio e che mi facevano sentire partecipe della loro quotidianità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tornare sotto quel getto d'acqua fu come una medicina per il mio corpo: il rumore dell'acqua non fece altro che distogliere la mia mente dai soliti pensieri e potevo dire che in quegli attimi riuscivo a non pensare a niente.

Niente.

C'era solo un delizioso e benvenuto silenzio.

Dai vestiti che Jimmy mi aveva gentilmente comprato presi una maglietta grigia e dei pantaloni di pile, e prima di mettermi a letto mi soffermai a guardare dalla finestra la città di Huntington Beach in una fredda serata d'inverno che, nonostante il Natale fosse passato da un pezzo, era ancora in pieno spirito natalizio: le facciate delle case luccicavano di ogni colore, così come gli alberi e i lampioni, e i bambini facevano suonare i campanelli e intrattenevano i passanti con i loro canti melodici. Molti sorridevano, si scambiavano saluti. I papà tenevano sulle spalle i figli e ridevano, ridevano e ancora ridevano, e le mamme rispondevano con una carezza e perché no, un bacio. Le vetrine dei negozi invece avevano ancora le decorazioni natalizie e le ragazzine si fermavano a contemplarle scambiandosi sguardi di meraviglia. 
Mi appoggiai a quella finestra sgranando gli occhi, come se quello davanti a me fosse un portale che conduceva alla felicità eterna: lentamente ogni genere di emozione si scatenò, un calore mi scaldò il gelido cuore e una scossa elettrica di nostalgia mi attraversò la spina dorsale e mai nella vita ebbi un tale desiderio di vivere.

Volevo vivere, ma 'Vivere' con la 'v' maiuscola.

Vi-ve-re… suona così bene.

Volevo anch'io cantare per le strade, avere qualcuno con cui sorridere e scambiare idee e opinioni e anche soffermarmi sulle vetrine, magari a braccetto con Claire, e ridere, ridere, ridere fino a quando non fanno male le guance, prendere i pop-corn e andare a vedere un film romantico, scambiare i regali con gli amici, prendere la macchina e andare via, lontano, senza meta, ma sempre in compagnia delle persone a cui vuoi bene, divertirsi per una sera, ballare e bere fino al collasso, tornare a casa e dormire al fianco della persona alla quale si vuole più bene di tutti, anche di noi stessi. 
Volevo anch'io qualcuno che mi amasse.
Questo sentimento di cui tutti parlano e che ho sempre vissuto da spettatrice esterna…l'amore.
Quell'amore narrato sui libri, quel genere di amore.

Mi asciugai la lacrima ribelle dal viso con la consapevolezza che qualcosa doveva cambiare, qualcosa doveva succedere, ora; una svolta, qualcosa; perché non credo di poter continuare così, non ce la faccio, non più. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era da tanto che qualcuno non si mostrava così gentile nei miei confronti. Mi ero da poco svegliata e con piacevole sorpresa trovai la colazione pronta in cucina: Zacky stava attivamente partecipando all'abbuffata, ed era impossibile non trovare simpatica tale scena; Jimmy invece era particolarmente concentrato a leggere degli spartiti musicali mentre Johnny stava goffamente affondando i suoi denti in una ciambella zuccherata; Matt beveva tranquillo la sua tazza di caffè americano e approfittò della pausa per narrarmi alcune scene di vita vissuta. Stavo iniziando a conoscere meglio quei ragazzi e potevo dire con fermezza che erano dei tipi in gamba: ognuno nel suo piccolo e nel suo grande aveva qualcosa per cui essere ammirato, e anche nei difetti c'era qualcosa che meritava la mia stima. 

Erano genuini, contrariamente a ciò che la prima impressione lasciasse a immaginare: i tatuaggi, i piercing, l'aria da "spaccone" e da padrone del mondo potevano dare un'idea contorta sul loro essere, ma conoscendoli ci si sorprende anche di questo contrasto tra fisicità e personalità. Tutto sommato, ero contenta di condividere la mia vita con loro.
Loro sapevano di me e io sapevo di loro. 

O meglio, di alcuni di loro.

Tutti parlavano di sé, tutti si esprimevano, tutti tranne Brian: lui se ne stava semplicemente seduto o lontano almeno due metri di distanza da noi mostrando totale disinteresse e ogni minimo oggetto nelle vicinanze sembrava essere più stimolante delle nostre conversazioni. 
Ogni tanto volgeva uno sguardo verso di noi, ma poi ritornava subito sulla sua lattina di birra o sul suo pacchetto di Marlboro. 
Non capivo questo suo distaccamento e freddezza nei miei confronti, ma ciò che non sopportavo era il fatto che non riuscivo a leggerlo.

Molto spesso mi capita di studiare le persone, vedere ogni loro movimento e ascoltare i loro discorsi, in modo da avere prematuramente un'idea su di loro: è un comportamento che ho da sempre e suppongo sia un modo per avere la situazione sotto controllo.
Ma con lui non ci riuscivo, e il pensiero di non esercitare alcun controllo su di lui mi irritava.
Quegli occhi cupi che non lasciavano trasparire alcuna emozione e di un colore marrone intenso, un colore che certamente doveva essere illegale, mi mettevano a disagio facendomi sentire debole e inerte.
Ma lui sembrava consenziente a questa strana situazione, anzi, sembrava quasi essere in pace con se stesso. 

E ciò mi dava ancora più noia.

<< Tutto bene Sam? >>

<< Certo! Perché? >>

<< Non so, ti vedo distratta. >>

<< No Matt, tranquillo, sono solo un po' assonnata. >>

All'improvviso Zacky e Johnny si alzano e si rincorrono, così, senza un senso logico, e io, sconvolta, mi giro interrogativa verso Matt:

<< Non preoccuparti, è tutto normale. >>

Mi scappò una risata e quasi mi sorpresi: stavo ridendo in modo così spontaneo che non mi sembrò neanche vero. Anche Matt rise con me e dall'altra parte della stanza si unì anche Jimmy, che scherniva la mia risata, ma dall'altra c'era un serissimo Brian che scrutava imperturbabile i miei occhi, come per studiarmi.
Smisi all'istante di ridere, evidentemente a disagio.
Era dura fissarlo a mia volta, dopo pochi secondi era imprescindibile distogliere lo sguardo dal suo, ed era frustrante lasciare sì che fosse lui il primo a studiare la mia persona.

Andava contro ogni regola prestabilita.

Matt e Jimmy notarono la sua severità e il mio conseguente disagio ancor prima di me e ormai era impossibile, e anche stupido, far finta di nulla:

<< Brian, c'è qualche problema? >>

<< No. >>

<< Non dire cazzate. >>

<< Matt, ho detto che non c'è niente >>

<< Si può sapere perché ti comporti così? >>

<< Rev, non ti ci mettere anche tu. >>

<< Come vuoi Syn, ma ti avviso: sembri una donna nel suo periodo. >>

<< Vaffanculo Jim. >>

D'istinto scappò a tutti una risata, tutti tranne che a Brian, che sorseggiava la sua birra mattutina, noncurante del giudizio degli altri.

<< Ridete pure, cazzoni, vi ricordo che abbiamo un appuntamento nella sala prove. >>

<< Tra cinque minuti andiamo Syn. >>

<< Che genere di musica suonate? >> Azzardai. Matt  si girò verso di me per rispondermi:

<< Beh, in realtà… >>

<< Generi che non ti interessano, ragazzina. >> Brian azzardò a sua volta, con il suo far arrogante.

<< Se l'ho chiesto significa che mi interessa, non credi? >>

Brian si avvicinò a passi lenti con aria di sfida, attonito.

<< Ciò non significa che sei tenuta a saperlo. >>

<< Dev'essere qualcosa di tanto pericoloso allora. >>

<< No, si tratta semplicemente di affari nostri. >>

<< Affari che molto probabilmente non vuoi dire tu, data la tua infinita presunzione. >>

Brian era sicuramente esterrefatto, lo sentivo dal fiato irregolare che accelerava.

Ma il gioco è più bello se fatto in due, o no?

In quel momento non prestavo attenzione agli altri, che intanto ci guardavano divertiti e stupiti allo stesso tempo, piuttosto a quella massa di muscoli scolpiti che avevo a due centimetri da me, che mi guardava minacciosa ma che non agiva. Da vicino i suoi occhi erano ancora più tenebrosi e profondi, due buchi neri intenti a risucchiare ogni emozione che tralasciavi, di certo i miei non potevano competere. Ero profondamente imbarazzata, cercavo di mantenere alto lo sguardo, ma le gambe minacciavano di cedere da un momento all'altro e sembrava che non fossi in grado di mettermi alla pari con lui.
Ma cos'era?
Perché facevo così? Perché mi faceva quest'effetto?

Cedetti.

Distolsi lo sguardo e lo posai sullo sgabello, che all'improvviso divenne molto più interessante da guardare.
Sentivo Brian sogghignare e avvicinò il suo viso dai perfetti lineamenti al mio orecchio:

<< Sta' attenta, ragazzina. >>

E si allontanò con i ragazzi.

 

 

 

 

 

 

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Buonasera, cari lettori!
Come ve la passate?
Io ho appena terminato questo episodio (sono le 2:49 di mattina) che, a essere sincera, non mi piace molto…spero che però possa piacere a voi… In ogni
caso, non esitate a scrivere una recensione, non necessariamente del capitolo, ma anche di come vi sembra la storia, se tutto sommato vi piace oppure no.
Insomma, fatemi sapere, che la vostra opinione per me conta più di qualsiasi altra cosa :)
Detto questo, vi auguro una buona notte (o buon giorno o buon pomeriggio, come volete) e una buona giornata di scuola :)
Vi voglio bene <3

LesA7X

   
 
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