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Autore: portamicontehaz    21/01/2016    0 recensioni
Buon giorno, il 7 luglio.
Pur ancora a letto, i miei pensieri volano a te, mia Immortale Amata, ora lieti, ora tristi, aspettando di sapere se il destino esaudirà i nostri voti, posso vivere soltanto e unicamente con te, oppure non vivere più. Sì, sono deciso ad andare errando lontano da te finché non potrò far volare la mia anima avvinta alla tua nel regno dello spirito. Nessun'altra potrà mai possedere il mio cuore - oh Dio, perché si dev'essere lontani da chi si ama tanto. Il tuo amore mi rende il più felice e insieme il più infelice degli uomini - Angelo mio, mi hanno appena detto che la posta parte tutti i giorni - debbo quindi terminare in fretta cosicché tu possa ricevere subito la lettera. - Sii calma, solo considerando con calma la nostra esistenza riusciremo a raggiungere la nostra meta, vivere insieme - Sii calma - amami - oggi - ieri - che desiderio struggente di te - vita mia, mio tutto - addio. Oh continua ad amarmi - non giudicare mai male il cuore fedelissimo del tuo amato.
Eternamente tuo.
Eternamente mia.
Eternamente nostri."
-Ludwig van Beethoven, 'Lettera all'Amata Immortale.'
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ottobre 2010, Holmes Chapel.
 
"Vieni a gelarti da noi!", cosi recitava lo slogan della gelateria sulla quale posai la mia attenzione. Scossi la testa ridacchiando per la banalità di quella frase e continuai a camminare sul marciapiede bagnato dalla pioggia che era caduta nei giorni precedenti, prendendo a calci qualche sassolino di tanto in tanto. Il silenzio che regnava in quella strada era quasi fastidioso per le mie orecchie ormai abituate al caos di New York. Non riuscivo ad evitare, infatti, di sentirmi un estranea in quella cittadina dove in realtà avevo vissuto per diciannove anni della mia vita. Mi rincuorava, però, essermi accorta che nulla era cambiato - a parte qualche nuova gelateria ambigua con slogan orribili - l'ufficio postale era sempre sulla strada principale, due negozi dopo l'atelier di Mary Jane, che invece si trovava di fianco al negozio di alimentari del Signor Dunkan, dove da bambina andavo a prendere le caramelle promettendogli che sarei tornata in seguito a portargli i soldi che gli dovevo, e ricordo chiaramente lui che annuiva sorridendo sotto i folti baffi grigi sapendo che non sarei mai tornata a restituirglieli. Persino la strada dove avevo vissuto la mia vita era rimasta uguale, le due schiere di villette che sembravano non raggiungere una fine, circondate da giardini verdi ben curati e in alcuni casi, brulicanti di fiori.
 
Più scrutavo attentamente il peasaggio che mi circondava più il senso di felicità che avevo provato inizialmente nel vedere che nulla era cambiato andava estinguendosi. Infatti, quando vidi uscire da uno dei portoncini marroni una ragazza che doveva avere all'incirca tredici anni, con dei lunghi capelli rossi e qualche lentiggine sugli zigomi, un senso di malinconia si impossessò di me, ricordandomi improvvisamente di quella bambina. Si chiamava Eveline, se non erro, e l'ultima volta che l'avevo vista prima di trasferirmi aveva si e no nove anni. Mi rivolse un sorriso cordiale quando mi sorpassò per poi immergere le mani nelle tasche del giubotto ed incamminarsi nel verso opposto dal quale ero arrivata io. La triste realtà dei fatti era che, anche se io non ero presente, la vita in quel paesino era andata avanti, i bambini erano cresciuti, il Signor Dunkan aveva continuato ad uscire di casa lasciando un morbido bacio sulla guancia della moglie, mentre la Signorina Annabelle - come mi costringeva a chiamarla quando ero bambina - ogni giorno, come di routine, aveva accompagnato il suo cagnolino a passeggio. Il tempo era andato avanti, non si era di certo fermato ad aspettare me, e questa cosa appena realizzata mi aveva destabilizzato. Ma la cosa che più mi aveva scosso era stato il pensiero che come la vita di tutti gli esseri umani era andata avanti in quei tre anni, anche le vite dei miei amici che avevo lasciato ad Holmes Chapel erano di sicuro cambiate, e avevo sinceramente paura di scoprire in che modo. Inoltre, avevo avvisato solo Clohè che sarei tornata, e non avevo la benchè minima idea di come gli altri avrebbero preso il mio ritorno. Me ne ero andata tre anni e mezzo prima, quando mi avevano offerto una borsa di studio per studiare giornalismo a New York, lasciando cosi i miei genitori, i miei più cari amici e lui. Sussultai quando sentii il mio cellulare squillare, cosi lo cacciai velocemente dalla tasca del cappotto e risposi prima ancora di leggere il nome sullo schermo.
 
"Buongiorno, straniera! - la voce entusiasta di Clohè risuonò dall'altro capo del telefono - Allora, sei già arrivata?"
 
"Harrings! Si, sono di fronte alla mia vecchia casa." spiegai, dando una veloce occhiata alla villetta di mattoni di fronte a me.
 
"Perfetto, non vedo l'ora di vederti - sorrisi di fronte alla sua energia, e non potei fare a me di pensare a quanto mi fosse mancata quella ragazza - Ci vediamo tra dieci minuti al nostro bar, okay?"
 
"Bene, a dopo." Finiti i saluti, riattacai e mentre iniziai a camminare per raggiungere il bar dove avevo stabilito l'incontro con Clohè, mi presi qualche minuto per osservare tutto le case che si susseguivano in quella via, fino a che la mia attenzione non si fermò su una di esse che riconobbi immediatamente. Deglutii nervosa, fermandomi qualche secondo di fronte alla casa, i miei occhi passarono in rassegna il giardino, la facciata per poi sostare sul portico bianco arredato con un piccolo divano a stampe floreali e un tavolino da caffè. Un angolo della mia bocca si sollevò al solo pensiero di tutte le serate passate in quel posto a bere birra, abbracciati, o con l'idea di guardare le stelle, che immancabilmente finiva per essere bocciata, perchè lui e le sue labbra erano molto piu interessanti. Per un secondo pensai quasi di attraversare il giardino e suonare al campanello, ma scossi subito la testa per scacciare quel pensiero idiota dalla mia testa - e probabilmente anche i ricordi.
 
Quando raggiunsi il bar non aspettai altro e sgusciai all'interno, e mi rilassai visibilmente quando il mio corpo entrò in contatto con il tepore del locale. Cercai con lo sguardo i capelli biondi di Clohè e quando riconobbi la sua testa riccia tra tutte le persone che erano sedute ai tavolini, mi affrettai a raggiungerla, poggiandole poi una mano sulla spalla per farla voltare.
 
"Ana," mormorò con gli occhi spalancati per la sorpresa, nonostante sapesse che sarei arrivata di lì a qualche minuto. Le sue braccia si allungarono verso il mio collo, prima di attirarmi a sè e stringermi in un abbraccio.
 
"Mi sei mancata, Harrings." dissi finalmente, dopo quelle che sembrarono ore.
"Anche tu," disse poi rivolgendomi un sorriso mentre si staccava e riprendeva posto.
La imitai, ed iniziai a togliermi la sciarpa di lana che avevo al collo e il cappotto, sistemandolo poi sullo schienale della sedia. Dopo una buona mezzora passata a parlare di tutto quello che era capitato in quegli anni, la sua espressione si fece più seria, la vidi riflettere qualche secondo su qualcosa che stava, probabilmente, per dire, come se stesse scegliendo con attenzione le parole da usare.
 
"Questa sera i ragazzi hanno organizzato una serata al pub - iniziò, scrutando la mia espressione come se volesse coglierne ogni minima sfaccettaura - Te la senti di venire?"
 
Deglutii leggermente più nervosa rispetto a poco prima, abbassando lo sguardo sulla tazza di tè verde ancora piena a metà. Valutai tutte le mie opzioni, tenendo conto che quella sera ci sarebbe stato anche lui sicuramente, dal momento che faceva parte del nostro gruppo ed io potevo averlo cancellato dalla mia vita, ma sapevo benissimo che nessuno degli altri ragazzi l'aveva fatto. E mi accorsi come, anche a distanza di anni e benchè non fosse più parte integrale della mia quotidianità, lui condizionasse ancora le mie scelte; da quelle piu complicate a quelle più banali come decidere o no se passare una serata tranquilla con gli amici.
 
"A che ora devo venire?"
 
Io ed Harry avevamo condiviso cosi tanti momenti insieme che inizialmente, quando mi ero imposta di dimenticarlo non ci ero proprio riuscita per paura. In quegli anni passati mi aveva fatta sentire cosi completa e viva che ero terrorizzata dal fatto che se lo avessi rimosso dai miei ricordi mi sarei sentita vuota e persa. E pensavo stupidamente che lasciarlo in un angolo del mio cervello avrebbe lasciato acceso quel fuoco al centro del petto che sentivo ardere ogni volta che mi avvicinavo ad Harry. Ma, la mia salvezza è stata rendermi conto che tutto ciò che mi teneva in vita non era Harry, ma solo il suo ricordo sbiadito. Poi il resto è venuto da sè, sapete, ti circondi di persone che ti infondo sicurezza e amore, ti laurei e riesci ad ottenere un posto di lavoro nella rivista che hai sempre sognato. E il passato rimane passato. O almeno era quello che pensavo prima di tornare a Holmes Chapel, e vedere con i miei occhi tutto quello che avevo lasciato. Perciò attribuii a questa rivelazione l'ansia che mi stringeva il petto e chiudeva in una morsa troppo stretta il mio stomaco quando mi ritrovai fuori dal vecchio pub nel quale avevo passato praticamente tutti i momenti più belli della mia adolescenza. D'altronde, sentii per un attimo il peso al petto alleggerirsi quando entrai e non vidi la testa riccia che solitamente sarebbe sbucata tra tutte le persone presenti.
 
Approfittai per godermi quel momento di serenità ed abbracciare tutti i miei vecchi amici che mi erano mancati come l'aria e salutare due ragazzi nuovi nel gruppo, che da quello che avevo capito si chiamavano Jonah e Corey ed erano cugini di secondo grado di Niall. Passati i primi venti minuti nei quali ci eravamo tutti seduti ed avevamo incominciato a chiaccherare di frivolezze, pensai che Harry non si sarebbe più presentato, ma mi dovetti mordere la lingua quando invece vidi la sua chioma fare capolino all'ingresso.
 
Il mio subconscio si affrettò ad aggiungere, come non detto. Sentii il mio povero cuore stringersi nel petto e trattenni il respiro per paura che se mi fossi lasciata andare sarei esplosa per colpa di tutte le emozioni che mi stavano soffocando in quel momento. Spostai poi la mia attenzione su un corpicino esile che era di fianco ad Harry e gli stringeva la mano. E quella differenza di grandezza tra le loro mani mi fece rabbrividire, perchè solo pochi anni prima c'erano le mie mani incollate alle sue. Era buffo, perchè mi ricordo che entrambi sentivamo quel bisogno carnale di avere sempre le mani unite, come se fossimo due fiori in mezzo ad un uragano che avevano bisogno di tenersi stretti per non volare via. Con la differenza che poi noi eravamo volati via e ci eravamo anche ridotti in brandelli, nel mentre.
 
"Chi cazzo è quella. - sibilò stizzita Clohè - Ti giuro, Ana, che non avevo idea si portasse dietro qualcuno..."
 
"Non fa niente Clohè - dissi composta, pregando in cinese che la mia voce non si incrinasse - Sarà la sua ragazza."
 
Non era la mia preoccupazione più grande in quel momento, visto che Harry non mi aveva neanche visto, ancora. Come se me la fossi tirata, proprio mentre Harry stava sorridendo alla ragazza al suo fianco, alzò la testa ed il suo sguardo incontrò il mio.
 
Nero contro verde. Un'altra volta, dopo quelli che sembravano secoli. Le tenerbre che lottano contro la purezza. Io che mi infrango contro di lui. Ancora.
 
Il sorriso luminoso che gli incorniciava il viso sparì, lasciando spazio all'espressione più sconvolta che gli avessi mai visto portare. Quasi mi venne l'istinto di alzarmi e sorreggerlo perche sembrava potesse collassare da un momento all'altro. Provai a tirare su un angolo nella bocca nel tentativo di accennare un sorriso, che fallì miseramente, mentre lui ancora non accennava a muoversi. Dopo quelle che sembravano ore, raggiunsero il tavolo e i ragazzi si alzarono a salutare il loro amico e la sua ragazza, che a quanto pare nessuno conosceva a parte Louis. Mi alzai anche io con nonchalance anche se mi ritrovai a dover fare attenzione per non incespicarmi nei miei passi e cadere a terra, per quanto sentissi le mie gambe molli. La prima a cui mi avvicinai fu proprio la ragazza che mi rivolse un sorrise dolce, anche se si vedeva che era tanto in imbarazzo quanto nervosa. Non potei fare a meno di provare un senso di amarezza alla vista di quella ragazza cosi carina e timida, per niente da 'una botta e via' e ciò mi fece arrabbiare ancora di più perchè stava a dire che era riuscita a far breccia nel cuore di Harry.
 
"Amelia." mormorò, cercando di camuffare il nervosismo nella sua voce. Se solo avesse saputo che io ero come minimo dieci volte piu in ansia. E infine, non mi sfuggì la vaga somiglianza tra i nostri nomi.
Egocentrica, sibilò il mio subconscio. Forse aveva ragione, diamine, non c'entrava niente con il mio nome. Probabilmente mi piaceva solo pensare che Harry avesse trovato qualcuno con un nome simile al mio per potersi ricordare di me ogni volta che lo pronunciava. Non è cosi malato come me, mi ricordai.
 
"Anastasia - sorrisi cordiale, afferrando la sua mano calda, poi però in un momento di lucidità mi accorsi che avrei dovuto fare qualcosa per metterla, comunque, più a suo agio - Ma puoi chiamarmi Ana."
 
Infine, era arrivato il momento cruciale, anche se avevo tentato di rimandarlo il più possibile. Il gruppo si era ammutolito e tutti scrutavano attentamente me ed Harry che a nostra volta ci guardavamo, mantenendo le distanze.
 
"Ciao." esordii, torturandomi le mani, dal momento che non avevo idea di dove tenerle.
 
"Ciao." mi seguì a ruota, e per poco non mi sentii male al suono della sua voce. Non era proprio come me la ricordavo, era più bassa e roca, diciamo da uomo. Il mio Harry era cresciuto. Vidi nei suoi occhi un espressione insicura, e desiderai con tutto il mio cuore poter sapere cosa frullava dentro la sua testa. Una volta, tutti i suoi pensieri li lasciava scivolare sui fogli, sulle tele, sulle pareti di camera sua, sulla mia pelle. Ero l'unica alla quale concedeva l'onore di poterli ammirare, toccare e studiare. Le notti intere passate sotto le lenzuola con una torcia a sfogliare i suoi quaderni, che poi finivamo a fare l'amore sui suoi disegni e poco ci importava.
Cosi sanno di noi ancora di più, diceva.
Non potevo lasciare che il nostro primo inconto dopo cosi tanto tempo fosse limitato a finire con un veloce scambio di convenevoli. Cosi, incerta, mi protrassi verso di lui, portando con cautela le braccia attorno al suo collo. Proprio nel momento in cui pensai di aver fatto una stronzata e che sarebbe stato meglio se non fossi mai tornata, le sue braccia si chiusero attorno a me, stringendomi. Mi rilassai visibilmente sotto il suo tocco,e per poco non mi abbandonai completamente a lui quando sentii il suo pollice sfregare sulla mia schiena, come faceva di solito per consolarmi. La mia mano arrivò ai suoi capelli e come un riflesso incondizionato, li accarezzai dolcemente. Quando ci staccammo, l'imbarazzo calò di nuovo tra di noi e tornammo ai nostri posti; e dopo di che rimasi in silenzio a fissare il vasetto di fiori al centro del tavolo, cercando di nascondere le mie mani che tremavano, e il mio cuore che batteva cosi forte che avevo seriamente paura anche gli altri riuscissero a sentirlo. Non potei fare a meno di pensare che mi ritrovavo in quelle condizioni ogni volta che mi aggiravo intorno ad Harry, e pensai, seriamente, a come avevo fatto a vivere senza di lui, a sopravvivere. Mi ritrovai a chiedermi persino come la nostra storia fosse finita, per quale motivo non avessimo lottato fino allo sfinimento per salvare quello che rimaneva di noi. Poi però la risposta veniva da sè; che senso avrebbe avuto combattere una battaglia già persa in partenza.
 
Io ed Harry eravamo stati un po' come un errore di battitura, si, avete presente quando magari siete per strada, state scrivendo al vostro amico e digitate una lettera sbagliata che toglie completamente il senso alla parola che volevate scrivere ma comunque vi fa morir dal ridere? Che poi magari che importa che siete per strada, ma sorridete lo stesso come degli ebeti di fronte al telefono. Poi però, sapete, il vostro amico sta aspettando dall'altra parte dello schermo, e allora cosa fate, cancellate la parola imperfetta, e la scrivete giusta, secondo i paramentri della grammatica corretta. Inviate e proseguite sulla vostra strada, senza più badare a quel piccolo errore, e chi lo sa, magari vi torna in mente dopo un paio di giorni, e ridete di nuovo ricordando quell'errore, che nonostante vi abbia migliorato nel piccolo una giornata che magari stava andando di merda, è comunque un errore; e come tutte le cose difettose è stato condannato ad una fine irrilevante.
Questo eravamo io ed Harry, due anime destinate ad una fine irrilevante, cosi sbagliati che solo insieme potevamo essere qualcosa di giusto.
 
Mi risvegliai di scatto dai miei pensieri quando sentii il gomito di Clohè puntare sul mio fianco.
 
"Ana, cosa prendi da bere?" bisbigliò cosi che solo io potessi sentirla.
 
"Un Long Island." dissi ad alta voce, sigillando poi la bocca quando sentii scivolare fuori dalle labbra di Harry la stessa cosa. Non aveva perso le sue abitudini, almeno. Gli diedi una rapida occhiata, mentre lui mi fece un leggero accenno col capo prima di parlare di nuovo, "Due."
 
Feci, ovviamente, finta di non notare le espressioni divertite sulle facce dei nostri amici, e la piccola risata che emise Clohè al mio fianco. Divertimento che di certo io non avevo provato, e quella apatia che sembrava essersi insinuata fin dentro le mie ossa, si tramutò ora in fastidio,e un leggero calore si espanse nel mio petto e salì fino alle mie guance quando vidi che Harry era tornato tranquillamente ad intrattenere una conversazione con Louis e Amelia, un suo braccio intorno alle sue spalle ed un sorriso stampato sul volto ogni volta che le rivolgeva l'attenzione. E diamine, conoscevo bene quel sorriso perchè solo pochi anni prima lo rivolgeva a me.
 
Lui amava lei, ed io amavo lui.
 
* * * *
 
Harry's POV.
 
"E' stata una stagione lavorativa davvero pesante, cosi Harry ha pensato che venire qui ci avrebbe distratti un pò,".
 
Annuii distrattamente mentre ascoltavo solo qualche pezzo della conversazione che Amelia aveva intavolato con Liam. Inutile dire che i miei pensieri erano completamete rivolti alla ragazza che era seduta proprio di fronte a me e teneva lo sguardo basso sulle sue mani. Se solo avessi saputo che ci sarebbe stata anche lei, mai e poi mai sarei tornato. O almeno sarei tornato solo per fiondarmi a casa di mia mamma, salutare e poi scappare via di nuovo. E sicuro come la morte, non avrei portato con me Amelia. Lei l'avevo conosciuta una sera quando ero ubriaco marcio sdraiato sul bancone di un bar e circondato da piccoli bicchierini di non so quale schifezza.
 
Dopo che Anastasia se n'era andata quello era diventato il mio stile di vita: mangiavo poco e niente, non tornavo mai a casa perchè ogni cosa sapeva di lei, e passavo le mie serate a bere in un bar diverso ogni volta perchè ero cosi debole, fisicamente e mentalmente, che non riuscivo a sopportare il vuoto materiale che aveva lasciato la prima ragazza che avevo amato per davvero. Poi, come se non bastasse, pensavo a quanto fosse stato facile per lei lasciarmi andare, e la frustrazione che pervadeva il mio corpo mi incitava a buttare giù altra merda, ancora e ancora, fino a che non perdevo conoscenza e solo cosi potevo spegnere il mio cervello.
 
La parte più difficle è venuta però dopo i primi due mesi, quando parlai con Clohè, la sua migliore amica e mi disse che Anastasia aveva passato intere settimane prima della sua partenza a tortutarsi su quale fosse l'idea migliore e in quel momento nel pub, seduto proprio di fronte a lei, me la immaginai con la fronte corrucciata, le gote leggermente arrosate e i capelli tirati su malamente in una coda, seduta sul suo letto a rimuginare sulle scelte da prendere. Dopo quella confessione di Clohè le cose peggiorarono drasticamente, tornai a casa e presi a pugni tutto quello che mi capitava sotto mano, perchè non riuscivo a mettermi il cuore in pace sapendo che nonostante Anastasia ci avesse messo mesi a prendere una decisione, alla fine mi aveva lasciato lo stesso. Nonostante aveva avuto tutto il tempo per spolverare il cassetto dei ricordi che avevamo costruto insieme, non era riuscita a restare con me.
Passai i giorni successivi a piangere chiuso in camera mia come un bambino, soffocando i singhiozzi nel cuscino, fino a che i miei occhi non si chiudevano da soli, gonfi e rossi. E quando avevo incontrato Amelia mi ricordava cosi tanto Ana che era riuscita d alleviare almeno un po' il peso sul mio petto.
 
Era stata mia amica inizialmente, fino a che non si era spinta più in là ed io l'avevo lasciata fare perchè avevo bisogno di ricominciare a respirare, di riprendere vita. E pensavo di essere persino innamorato di lei, fino a quando non avevo incontrato di nuovo Anastasia in quel pub, e tutto le mie convinzioni erano andate a puttane nel momento in cui le sue piccole mani mi avevano accarezzato la nuca proprio come aveva sempre fatto; quando stavamo coricati sulle lenzuola, dopo che le nostre anime si erano intrecciate nel più intimo dei modi, e lei stava zitta mentre io fumavo una sigaretta, poi si avvicinava e metteva una mano nei miei capelli, incastrando le sue dita tra i ricci e la teneva ferma lì, accarezzandomi di tanto in tanto. Come se quel contatto bastasse per farmi sapere che lei era lì con me, e ci sarebbe stata sempre. Non mi ero mai dimenticato di Ana, la parte più dura è stata ammettere che io non amavo Amelia, ma amavo il ricordo di Anastasia. La rivedevo in ogni piccola cosa che mi circondava.
 
Nel vecchio pick-up parcheggiato nel mio garage, con il quale avevamo deciso di partire ed andare in Germania, perchè lei aveva sentito da qualche parte che in una città con un cazzo di nome impronunciabile si vedevano le stelle più brillanti che in tutti gli altri posti del mondo. Cosi dopo un bel po' di ore, una bella dose di canzoni degli Eagles e un centinaio di baci arrivammo in Germania.
 
La rivedevo nei film in bianco e nero che mi costringeva a guardare il lunedì sera, e che mi facevano schifo, dannazione. Ma dopo che se n'era andata ogni lunedì come di tradizione mi sedevo davanti alla tv e guardavo uno di quei film, lasciandomi traspostare dalla corrente travolgente dei ricordi e sperando che lei, ovunque si trovasse, stesse guardando lo stesso film.
 
Mi sentivo cosi perso e fottutamente ridicolo che un giorno, quando mi ritrovai sul mio portico a piangere, pensando alle serate che passavamo a guardare le stelle - rettifico: lei guardava le stelle, io la baciavo - decisi che era arrivato il momento di prendere la mia roba ed andare via da quel paesino dove persino gli alberi sembravano parlare di lei.
 
Rinsavii di colpo dai miei pensieri, scuotendo leggermente i ricci e risistemandoli con una mano prima di spostare l'attenzione sul tavolo. Stavano tutti parlando animatamente e mi costrinsi a non guardare nella sua direzione per vedere cosa stava facendo. Quando però cedetti alla tentazione - con Anastasia era dannatamente impossibile resistere alle tentazioni - alzai lo sguardo su di lei ed incontrai i suoi occhi neri puntati su di me. Il mio cuore fece un tuffo e per poco non vomitai a quella vecchia e strana sensazione di avere i suoi occhi addosso.
 
Me l'ero quasi dimenticato com'era averla vicino, poterla guardare, sentire i suoi sussurri mentre leggeva i suoi libri preferiti, "Nella mia testa c'è troppo casino, se leggessi tra me e me mi distrarrei ogni due secondi.", diceva. Ed era vero, gli passavano cosi tante cose nella testa che anche se avessi passato tutta la vita con lei non sarei riuscito a scoprirla fino in fondo. Era un po' come uno di quei grandi quesiti umanitari, sui quali tutti fanno teorie e quando tu pensi di avere la risposta corretta, loro stravolgono le tue certezze.
Ana era un'avventura, ma una di quelle che ti ricorderesti per tutta la vita, una di quello che quando giunge al termine, torni a casa e ti fai un tatuaggio per averla impressa addosso, per sempre. I suoi occhi erano ancora fissi sui miei, come se stesse torturando la sua mente già confusa per cercare di capire cosa mi stesse passando per la testa in quel momento. Poi sembrò sconcentrarsi per un attimo, e tirò sù un angolo della bocca in un sorriso. Un sorriso che non arrivò agli occhi però, era un sorriso arrendevole.
 
Non mi ero mai chiesto se in tutti questi anni anche lei avesse provato quel dolore fortissimo alla bocca dello stomaco, che ti logora dall'interno e ti corrode la carne: in molti lo chiamano rimpianto. Il rimpianto di non averci provato magari, di non aver lottato fino in fondo e con i denti per salvare la nostra storia. Più la guardavo e più si faceva largo dentro di me quel calore leggero, non di rabbia o di dolore, era tipo appagamento, una sorta di felicità. Quel sorriso era bastato per cancellare tre anni di agonia e dolore, lei era lì in quel momento e mi bastava, mi sentivo completo e mi andava bene cosi.
 
Anche se non aveva cosi tanta importanza, perchè lei ormai non mi amava più.
 
* * * *
 
Aspirai dalla sigaretta che tenevo tra le labbra, il familiare gusto del fumo caldo pervase i miei sensi, trattenni il respiro per qualche secondo prima di incavare le guance leggermente e dare piccoli colpetti su di esse per cercare di far uscire dei cerchi di fumo, e mi imbronciai quando notai solo la scorpa scia grigia lasciare le mie labbra.
 
"Non hai ancora imparato," risuonò una voce roca al mio fianco, per poco non mi cadde la sigaretta che tenevo salda tra le dita quando alzai lo sguardo.
 
"E' impossibile farlo," risposi divertita, guardandolo mentre si avvicinava. Fece un cenno con la testa rivolto al muretto sulla quale ero seduta, ed io annuii incerta. Quello gli diede il via libera per prendere posto di fianco a me. Feci viaggiare il mio sguardo sulla sua intera figura, soffermandomi sulle braccia coperte di tatuaggi.
 
"Quello è il mio preferito." esordii, indicando l'inchiostro sulla sua pelle che formava un cuore. Non il solito stereotipo che ci hanno rifilato del cuore, ma il vero e proprio organo. Lo sentii ridacchiare, allora alzai lo sguardo verso il suo viso con un espressione confusa.
 
"Lo so," annuì col capo voltandosi verso di me per guardarmi negli occhi.
 
"Come?" domandai, senza riuscire a capire.
 
"Tutti dicono che questo tatuaggio fa schifo, perciò è ovvio che a te invece piace." ripose come se fosse la cosa più scontata del mondo. Forse Harry mi conosceva meglio di quanto volessi pensare. Continuai a passare in rassegna quei disegni e sussultai quando ne riconobbi uno. Una scritta proprio sotto il tatuaggio del cuore-organo, cosi piccolo che se non l'avessi osservato con attenzione non l'avrei notato.
 
Eternamente tuo. Eternamente mia. Eternamente nostri.
 
Quella frase risaliva ad una lettera, un manoscritto di Beethoven dove sfogava tutto il suo amore per una sconosciuta che lui chiamava 'L'amata Immortale'. Ne parlai ad Harry distrattamente un giorno in cui eravamo chiusi in camera sua a parlare mentre fuori pioveva a dirotto. La sua reazione non mi sembrò particolamente stupita o curiosa riguardo quella lettera cosi affascinante, almeno per me. Mi dovetti ricredere però, quando tre mesi dopo la mia partenza per New York, non chè il giorno del mio compleanno mi furono recapitate nella casa in cui vivevo due lettere, una scritta in prima persona ed una contenente l'intero manoscritto ricopiato a mano. Il mittente era Harry. Non risposi mai a quella lettera.
 
"Dopo qualche mese che te n'eri andata, ho trovato una copia di quella lettera in un libro che avevi lasciato sul mio comodino - disse all'improvviso, riferendosi chiaramente al tatuaggio che si era accorto stavo ammirando. - Ogni sera la rileggevo nel letto, e mi chiedevo come avessi fatto a non scoprirla prima. Avrei voluto mandartela subito, ma la paura di un tuo rifiuto era troppo forte, e quando finalmente trovai il coraggio, ero deciso a riprendermi ciò che era mio. Ma non ricevetti mai una risposta."
 
Una morsa stretta allo stomaco mi impedì di respirare regolarmente, mi sentii cosi male immaginandomi un Harry disperato seduto sul suo letto ad aspettare un qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
Ma io avevo pensato a lui, cavolo se lo avevo fatto. Non avrei mai lasciato scivolare nell'oblio una persona che mi aveva dato cosi tanto. Cosi decisi che era arrivato il momento di mostrargli una cosa, che nessuna aveva mai visto.
 
Mi scoprii leggermente la spalla sinistra sotto gli occhi confusi ma al contempo curiosi di Harry, mi voltai mostrandogli l'inchiostro nero sulla mia pelle. I suoi occhi si spalancarono per lo stupore, e persino le sue labbra rosee si schiusero delicatamente. Lo vidi boccheggiare per un po' d'aria, ma quando non trovò le parole da dire sollevò un braccio esitante verso la mia schiena, mentre l'ansia cominciava a farsi spazio tra le ossa del mio petto. Un suo dito si appoggiò delicatamente sopra il disegno, e risucchiai silenziosamente un respiro quando la sua pelle ruvida entrò a contatto con la mia dopo troppi anni.
 
"E' un mio disegno," mormorò, ancora fissando la mia spalla.
 
Annuii incerta prima di continuare, "Già, sono le mani intrecciate. Mi avevi fatto stare con la mano immobile incastrata nella tua per un intero pomeriggio solo perchè dovevi disegnarle." ridacchiai, sistemando la maglia com'era prima e voltandomi nuovamente verso di lui. La sua espressione era ancora sbalordita ed aspettai che dicesse qualcosa, o dasse un minimo segno di vita.
 
"Non pensavo che io fossi..." - le parole gli morirono in bocca ma io terminai prontamente quello che stava dicendo.
 
"Davvero cosi importante per me - sorrisi annuendo impercettibilmente - Sei sempre stato molto scettico sull'amore che provavo nei tuoi confronti."
 
Provavo.
 
"Non riuscivo solo a capacitarmi di come qualcuno potesse amarmi per quello che ero veramente."
 
"Mi hanno detto che ti sei trasferito a Londra?" chiesi, cambiando discorso velocemente perchè la piega che stava prendendo era sconvenevole e non ci avrebbe portati da nessuna parte. Sorrise amaramente spostando lo sguardo davanti a sè, forse un po' deluso.
 
"In effetti sì, ora vivo e lavoro lì." Sorrisi sincera poggiando una mano sul suo ginocchio, scrutando in silenzio il suo profilo leggermente illuminato dalla luce artificiale dei lampioni che costeggiavano la strada.
 
"Prima o poi saresti riuscito a trovare il tuo equilibrio, avevi solo bisogno di tempo." mormorai cercando di infondergli un po' di sicurezza, che di sicuro in quel momento gli mancava. Sapevo benissimo quanto era stato male ed aveva sofferto e avrei tanto voluto che sapesse che se avessi potuto mi sarei presi tutti i suoi dolori e me li sarei trascinati sulla schiena per il resto della mia vita, se fosse servito a non farlo soffrire.
 
"Tornerai mai?" chiese deciso, facendo finalmente incontrare i nostri occhi. Quella domanda mi spiazzò e non riuscii a capire se si riferisse semplicemente al tornare in Inghilterra oppure a tornare da lui. Questa volta fu il mio turno si spostare lo sguardo davanti a me, fissando la strada.
 
"Il prossimo mese inizio uno stage come assistente dello style editor di Vogue Magazine, se farò tutto bene mi assumeranno, farò quello che ho sempre voluto fare, quindi la risposta è no: credo mi sistemerò a New York." sussurrai lasciando che le mie parole finissero nella leggera brezza autunnale che si era alzata in quei minuti. Forse le parole cullate dal vento avrebbero fatto meno male ad Harry, una volta arrivate alle sue orecchie. Il suo viso contorto in una smorfia mi diede, invece, la conferma che il vento non era servito proprio ad un cazzo, e quelle parole lo avevano colpito come uno schiaffio ben assestato in pieno viso.
 
"Ascolta Harry, - saltai giù dal muretto, e mi posizionai in mezzo alle sue gambe prendendo tra le mani il suo viso - Capita, a volte, che due persone non sono fatte per stare insieme. Non c'è un perchè, e neanche delle forze superiori avverse. Succede e basta."
 
Lo guardai negli occhi sperando con tutto il cuore che leggesse in essi quello che stavo provando.
 
Caro Harry,
 
Che si specchiasse nelle mie iridi per riscoprire se stesso.
 
Non importa quanti confini ci separeranno.
 
Che comprendesse a pieno tutto quello che avevo da dirgli.
 
Non importa neanche di quanta acqua scorrerà tra noi.
 
Che percepisse la mia presenza senza il bisogno di dover pronunciare parole.
 
Se due anime si amano davvero, troveranno la via del ritorno.
 
Mi alzai sulle punte e gli lasciai un lungo bacio sulla fronte, prima di tornare sui miei passi.
 
Per sempre tua, Anastasia.
 
- - - -
Ehilà, sono tornata. Questa volta è una one shot alla quale sono particolarmente affezionata perchè è il primo lavoro che sento veramente mio, le emozioni, le parole scritte, tutto. Ero molto in dubbio se pubblicarla o no, perchè quando si è cosi emotivamente legati ad uno scritto è sempre un po' una sfida condividerlo, e vedere cosa ne pensano gli altri.
Ho eliminato tutti i miei lavori su questo sito perchè non mi appartenevano più, ora sono cresciuta soprattutto in questo ambito e mi sento di ricominciare, proprio con questa piccola storia!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se avete commenti, critiche costruttive che mi possano aiutare a migliorare, qualsiasi cosa! ​
Un abbraccio, Giulia x
  
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