Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Kite97    22/01/2016    2 recensioni
Flavio è un ragazzo di diciassette anni, ha qualche problema con il suo fisico e il suo essere, che lo hanno portato ad allontanarsi dai suoi amici.
cercherà di affrontare la realtà, in un viaggio in cui tenterà di battere il suo nemico numero uno, la sua mente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Flavio sveglia!

La voce di mia mamma mi rimbomba nelle orecchie, cerco di ignorarla rigirandomi nel letto.

La sua voce mi dice- alzati pelandrone, la scuola ti aspetta.

- mamma dai ho freddo, per oggi non ci voglio andare a scuola- le rispondo infilando la testa sotto al cuscino.

-ci sono altri modi per riscaldarsi, modi che dovresti adottare per perdere qualche chilo.

Sospiro e mi innervosisco, sono fatto così non sopporto mi si ricordasse il piccolo problema di peso che mi affligge.

 Anche se piccolo non è.

-su dai alzati pelandrone, devi andare a scuola.

Mi do una spinta e mi alzo dal letto, la sveglia segna le sette e trenta.

-Nemmeno oggi ho voglia di andare a scuola- penso tra me

La scuola sembra un luogo bello e felice, ma per me è un posto tetro e cupo, li non sono nessuno, solo un ragazzo da prendere in giro.

Mi dirigo in bagno con il viso ancora sofferente alla mancanza del cuscino-

- maledetto lunedì- esclamo dentro di me.

Mi guardo allo specchio, e trovo il solito me, stringo i denti e serro i pugni, sono sempre lo stesso ciccio bomba.

Ogni mattina mi sveglio con la speranza di non avere più quel fisico di merda, ma così non è.

Mi lavo in fretta, preparo lo zaino, faccio colazione e mi getto giù dalle scale.

Fuori dalla porta di casa mia mi accoglie una ventata di aria gelata, so per certo che entro mezz'ora quel freddo se ne andrà.

Mi stringo nelle spalle e inizio a camminare.

Odio sinceramente la strada che porta da casa mia a scuola, ma ormai fa parte della routine trovo in questo tragitto qualcosa di quotidiano:

La chiesa che inizia a svegliarsi, con il parroco che affligge e toglie gli avvisi dal tabellone, i bambini che vanno alle elementari che si divertono per strada e fanno baccano.

Mi scappa un sorriso, per quanto la mia vita faccia schifo, non posso non ricordare i tempi di me bambino.

Ogni mattina è la stessa storia, mi perdo nei pensieri, e quasi non mi accorgo di essere già a scuola.

Entro nel cortile, testa bassa, mani nei pantaloni, e rabbia verso chi ride appena mi vede.

Saluto il bidello e salgo in fretta le scale che portano al mio corridoio, mi faccio largo tra una folla di ragazzi che scherza allegramente.

Qui dentro sono l'opposto della felicità, sempre cupo e chiuso in me stesso, sono il tipo che quando tutti scappano per la ricreazione resta impassibile alla sua sedia.

Sono il tipo che saluta solo chi conosce, quello che a una battuta se può evitare non ride, il tipo isolato dalla classe, ma che quando serve aiuto è disponibile.

In sintesi sono lo sfigato della scuola, un capro espiratorio, su cui tutti ridono.

Prima di entrare nella mia classe, vedo una professoressa, che prima non ho mai avuto, come i ragazzi.

Alzo lo sguardo e sopra la porta c'è scritto terza C.

Vado verso il bidello che come al solito sta sbatacchiato sulla sedia, con i piedi sopra il tavolo.

-scusi, la classe quarta A, era in questo corridoio, adesso c'è n'è un’altra.

Il bidello mi guarda alzando un sopracciglio, sospira e dice: - siete stati spostati nel corridoio B.

-scusi, ma il corridoio B non è quello al piano di sotto?

-no siete nel complesso nuovo, corridoio B primo piano- risponde lui irritato.

Lo ringrazio e lo lascio al suo “riposino”.

-come è possibile che in tre giorni che sono mancato ci hanno spostato nel nuovo plesso? - penso io.

Come mai così lontano? Sono preoccupato, non tanto per la distanza ma per la paura di trovare vecchi ricordi abbandonati.

Esco di nuovo nel cortile, gli ultimi ritardatari si affrettano a entrare, il plesso nuovo è abbastanza distaccato da quello vecchio infatti ognuno ha la sua segreteria e il suo chiosco.

Passo sotto l'arco, guardando l'orologio, segna le otto e trentatré, percorro la strada che porta alla palestra, per poi andare a sinistra.

Il nuovo complesso ha poco più di cinque anni, ma già è letteralmente “sporco” dai lavori dei “writer”.

Entrato mi dirigo dalla bidella intenta a sistemare delle carte e le chiedo - scusi, posso sapere dov'è la classe quarta A I.P.S.A.S.R?-

Mi stampa un piccolo sorriso e dice- certo giovanotto.

Prendi le scale, arrivato al primo piano ti fermi, vai verso destra, e il primo corridoio che vedi è quello in cui c'è la tua classe-

-grazie- le rispondo accennando un sorriso, e prendendo le scale, mi dirigo nel corridoio indicatomi.

Butto un occhio sull'orologio, sono le nove meno venti, sono abbastanza in ritardo.

Volto l'angolo che porta al corridoio, la mia spalla urta qualcuno.

Gli cade per terra una pila di fogli, istintivamente mi chino a raccoglierli.

-scusa-dico mentre inizio a prenderli, poi la mia mano incrocia la sua, quel tocco mi è lontanamente familiare, come di tempi passati.

Alzo lo sguardo e i miei occhi verdi incrociano quelli castano chiari di Francesca.

Appena realizzo chi è, mi alzo prendo la mia strada, e la lascio con i suoi fogli da raccogliere.

Cerco la mia classe finché non ne leggo il nome sopra una porta, entro in classe di corsa, la professoressa mi rimprovera, chiedo scusa e prendo posto in disparte.

Passo tutte le ore che mi separano dalla ricreazione, con il pensiero di Francesca, per quanto ci siamo allontanati, forse era meglio almeno aiutarla.

Quando suona la ricreazione tutti si gettano verso la porta, compresa la prof, solo io rimango al mio posto.

Quando tutti sono fuori, mi alzo per chiudere la porta.

Getto un occhio fuori, e vedo che dalla classe accanto esce Francesca con due amiche.

Lei mi vede, e mi fissa qualche secondo, io invece abbasso lo sguardo a terra e chiudo la porta.

Per sfortuna mi hanno messo nello stesso corridoio, per quanto grande sia la scuola, il destino vuole così.

Mi siedo al mio posto, non sfioro nemmeno la merenda.

La mia mente inizia a viaggiare su vecchi ricordi, anche se il tocco e gli occhi di lei ancora mi aleggiavano addosso.

Adesso gli occhi iniziano a bruciarmi, posso quasi sentire le lacrime al limite.

Si perché per quanto io sia asociale, per quanto le persone mi definiscono cupo, anche io ho dei sentimenti, anche io come gli altri soffro, specialmente pensando al mio passato.

Mi asciugo gli occhi con la mano e cerco di distogliere l'attenzione da vecchi ricordi, prendo il libro di storia, la prossima ora c'è interrogazione,  inizio a leggere, ma niente.

Ho la mente fissa sempre lì.

Non la vedo da due anni ormai, e dopo due anni la devo incontrare a scuola? Mi ero persino cambiato di corso per non incontrarla, andando nel vecchio plesso.

Alla fine non riesco a concentrarmi su altro, la mia mente inizia ad andare per i fatti suoi, non mi accorgo quasi del suono della campanella.

Il mio primo compagno di classe a rientrare è Pietro, che mi dice- ma sempre in classe sei? Non hai qualche amico per la ricreazione?

-amico? Non ci tengo grazie- rispondo io.

-sei sempre più strano, fino a due anni fa non eri così.

Non mi degno di rispondere, e riprendo a cercare di leggere.

Quando tutti i compagni di classe sono dentro, mi viene quasi un gran mal di testa, insieme fanno un casino pazzesco.

A calmare la situazione è l'entrata del professore, che seda gli entusiasmi proponendo due a chi non si fa interrogare, la mia mente non ne vuole sapere, è persa nel mio mondo.

-Flavio Manto- mi sento chiamare dal prof.

- si professore- rispondo riprendendo quasi possesso della mia mente.

- vieni interrogato oggi?

Anche se non ho studiato, ricordo vagamente la spiegazione e dico di sì.

Ripeto tutto quello che ricordo, e prendo un sei, il prof mi dice di portargli un’altra parte dopodomani, e mi prefisso di studiare quel pomeriggio.

Quando la mia mente ha di nuovo carta bianca rimango imbambolato a fissare il sudiciume del muro e penso a momenti migliori.

Le ore volano, e in men che non si dica arriva l'ultimo suono della campana, l'orologio segna le tredici e trenta.

Fingo di perdere tempo a sistemare lo zaino, non ho voglia di rincontrare Francesca.

Passato qualche minuto e calmata la folla esco dalla mia classe.

Il corridoio mi sembra vuoto, do un’altra occhiata e accertato il fatto di essere solo e percorro il corridoio.

Arrivato davanti la porta della classe di Francesca, sento un: - da quanto tempo Flavio.

Resto fulminato da quella voce inconfondibile.

Mi giro e la vedo, capelli lunghi corvini le scendevano sulla spalla destra, lineamenti rosei e delicati, viso e corpo da ragazza quasi donna ormai.

Cerco di ignorarla, tiro dritto, ma vengo bloccato, la mano di lei mi afferra il braccio.

-dove pensi di andare? credi che ti lasci andare così? Non ti vedo da due anni, non rispondi al vecchio numero.

Quando vengo a casa tua a cercarti, tua madre dice sempre che sei uscito, persino Fabio che era il tuo migliore amico non ti vede da secoli.

Capisco che sei rimasto sconvolto da ciò che successe due anni fa, ma la vita continua.

Sei così cambiato, prima eri molto più solare, eri in forma, e adesso sei totalmente l'opposto.

Ti prego parlami...da due anni che io e Fabio ti cerchiamo per aiutarti- conclude lei.

Mi divincolo dalla presa di lei e rispondo- tu non puoi capire.

Non le do il tempo di controbattere che me ne vado.

Percorro tutto il tragitto scuola casa con passo veloce, asciugo ogni tanto le lacrime che mi scendono dal viso.

Sento un nodo in gola, il cuore mi sfonda la gabbia toracica, un po' per la velocità del mio passo e per quel contatto con Francesca.

Appena sono a casa, getto lo zaino in un angolo, saluto mia mamma e mi dirigo nel mio letto.

Mia madre fa capolino dalla porta e mi dice- non mangi?

Non ho fame- rispondo mentre cerco di nascondere la protesta dello stomaco

Mi madre protesta qualche secondo ma quando vede che non la considero lascia perdere e si ridirige nel soggiorno.

Prendo il vecchio cellulare, e lo accendo, come sfondo quella vecchia foto di un vecchio me, ormai morto.

Dopo qualche minuto dall'accensione, mille suoni mi martellano dritti sulle tempie, miliardi di notifiche a riempire la home.

Nel vecchio numero ci sono trecentovent’otto chiamate perse insieme a quattrocento e passa messaggi.

Mia madre viene di nuovo e dice: - cos'è tutto questo casino?

-niente, è il cellulare- le dico infilandomi sotto le coperte.

Inizio a leggere i messaggi che non ho letto, e quelli che risalgono a vecchi tempi.

Vari messaggi semplici, alcuni di Fabio, altri di Francesca, tutti o quasi a dire: “dove sei? Che fine hai fatto? Chiamami, anche noi abbiamo parte della colpa” e via discorrendo.

Passo l'intero pomeriggio a distruggermi gli occhi su quello schermo, tanto che appena distolgo lo sguardo nel buio vedo ancora la luce del telefonino,

Quando finisco di leggere tutto sono le otto, il dito è sopra l'icona della galleria, so già cosa troverò.

Appena clicco una distesa infinita di fotografie, fotografie con lei, fotografie che rimpiango.

Tutti momenti che al solo pensarci mi scaldano il cuore, momenti che fanno letteralmente male all'anima.

Sospiro e soffoco le lacrime sul cuscino, i singhiozzi mi scuotono da capo a piedi.

Perché sono arrivato a questo punto? Se solo allora non avrei ceduto ai miei sentimenti, adesso sarebbe tutto apposto.

Mi alzo, mi dirigo in cucina, mia madre è uscita per delle compere, prendo un coltello da cucina appuntito e affilato, penso seriamente che non ha senso continuare a vivere.

Non è la prima volta negli ultimi due anni che osservo quell'opzione, ma la forza di vivere è ancora presente dentro di me.

Poso il coltello con le mani tremanti, mi getto sul frigo e sulla mensola, carico di cibo mi dirigo correndo nella mia stanza.

La bocca chiede porcherie, e io la soddisfo, per quanto sappia che mi fa male, mangio fino scoppiare, si perché in quei momenti il mio unico amico è il cibo.

Lo è ormai da tanto, l’unico che forse mi dà conforto anche se per qualche minuto.

Quando spazzolo tutto, le lacrime mi vengono agli occhi, e mi pento di essermi abbuffato a quel modo.

-maledetto ciccione! -mi urlo contro- non riesci a lasciare indietro il passato!

Sono uno schifoso lardone che non riesce a perdere peso, che a ogni problema si rifugia nel cibo!

Odio... mi odio seriamente, dal fondo dello stomaco cresce incontrollata molta rabbia.

Sfogo quel sentimento dando un pugno al muro, una nocca si spacca, e mi esce sangue.

Provo un forte dolore, quasi da urlare, non è come nei film, o nei libri, che tutti si feriscono e non provano niente.

La vita reale è molto più dolorosa, non solo nel dolore fisico, ma anche in quello derivato da scelte sbagliate e perdite

Mi alzo dal letto e vado a prendere un cerotto, sciacquo la ferita e gli applico della garza, mi strappo i vestiti di dosso e mi butto a pancia sotto sul letto.

Chiudo gli occhi ignorando il dolore che mi proviene dalla mano, cerco il sonno inutilmente.

Sono nervoso e non riesco a stare fermo per più di qualche minuto, le coperte andarono per i cazzi suoi.

Dopo più di mezz'ora fui meno arrabbiato, mi metto a sedere sul letto, constatando che del sangue ha macchiato il muro.

Prendo uno straccio e inizio a pulire, non voglio mica che mia madre si spaventi.

All'improvviso il suono del cellulare interrompe il silenzio, è quello con il mio numero vecchio,leggo il nome di Fabio, rifiuto la chiamata, e mi rimetto sotto le coperte.

Dopo qualche minuto spunta il nome di Francesca su quel display, ignoro di nuovo.

Molte chiamate seguirono quella, ma faccio finta di non sentire la melodia del cellulare, che inizio a odiare.

Quando non rispondo forse alla decima chiamata, arrivano i messaggi che mi segnalano le chiamate perse.

Sono in procinto di spegnerlo, quando mi arriva un messaggio di lei diceva- se stai leggendo ti prego, di rispondere.

Domani ti aspetto a scuola con Fabio alla ricreazione, ti prego di esserci, noi due abbiamo affrontato il passato.

Tu sei rimasto indietro, e sai bene che aiuto chi voglio bene, ti prego vieni, anche Fabio vuole rivederti, adesso è qui ed è ansioso ti prego.

Finito di leggere, spengo il cellulare, tolgo la sim e lo riaccendo.

Sto fermo nel letto a fissare la foto della home per qualche minuto, la mente persa per i fatti suoi.

Verso le nove mia madre rientra, mi giro dall'altra parte facendo finta di dormire, sto così finché non chiude la porta.

Sento del chiacchiericcio proveniente dalla cucina, sicuramente è la vicina, non sento bene la voce, ma a quell’ora non riesco a pensare a chi altro possa essere

La loro discussione tira per le lunghe, mi addormento con la luce del telefono sul viso e il basso chiacchiericcio fisso nelle orecchie.

Dopo qualche ora nel sonno sento la porta aprirsi, calde labbra posarsi sulle labbra, reputo tutto un sogno e ignoro quella sensazione.

Per il resto la nottata passa tranquilla, quasi aspetto di avere un incubo, ma mi basta la vita.

Mi sveglio presto, cosa insolita, la sveglia segna le sei, provo a riprendere sonno ma non ci riesco.

Il vecchio cellulare è spento, cerco a tentoni il comodino e lo poso lì sopra, quando  ritiro la mano sento qualcosa di freddo sfiorarmi la mano.

Sposto la faccia in direzione del comodino e vedo un bracciale maschile sopra una lettera, quando lo riconosco mi alzo di scatto, lo prendo e me lo rigiro tra le mani.

 Mi getto sulla lettera e la scarto, appena aperta leggo:

-anche se non rispondi ai messaggi o alle chiamate, spero che questa arrivi a te.

Ti ricordi quel bracciale vero? Te lo avevo regalato io.

L'ho conservato da quando al cimitero me lo hai buttato letteralmente addosso.

Adesso te lo restituisco, non avevo trovato mai il coraggio di lasciartelo nella buca delle lettere.

Ma dopo che ti ho rivisto, te l'ho voluto regalare di nuovo, sappi che anche se sei cambiato, dentro sei sempre il solito e solare Flavio.

Ti prego domani a scuola fatti trovare, incontriamoci e parliamo.

Poso la lettera sul letto, e mi rigiro il bracciale tra le mani.

Un miscuglio di emozioni contrastanti mi invade la mente.

Non so cosa fare, se presentarmi all'incontro o meno, quella lettera e il bracciale mi tentano per davvero.

Ma poi getto uno sguardo sul mio fisico, e tutte le idee che mi sono fatte svaniscono, sono troppo codardo per affrontare la realtà a viso scoperto, come hanno fatto Fabio e Francesca.

Posso definirmi antipaticamente paranoico, ma le persone non possono capire cosa si prova a essere sovrappeso, e essere presi in giro da tutti.

L'autostima è bassissima, altre persone nelle mie stesse condizioni affrontano meglio la propria situazione.

Purtroppo per la mia coscienza non c'è più speranza, è stata colpita duramente, anzi no non solo la coscienza ma soprattutto il cuore, e da allora non si è più rialzato.

Però sono abbastanza curioso di sapere come quella lettere sia giunta sul mio comodino, mi rimetto nelle coperte e cerco di aspettare almeno che mia madre si alzi.

Passa mezz'ora, prima di sentire dall'altra parte il rumore di stoviglie.

Prendo la lettera e il bracciale, metto addosso un paio di jeans, con una felpa e mi dirigo in cucina.

-giorno-esordisco.

Mia madre si spaventa visibilmente, si porta la mano al petto e dice: - mi hai fatto prendere un colpo, cosa fai alzato?

-come prima ti lamenti che mi alzo sempre in ritardo, e ora ti lamenti che mi alzo in anticipo? Deciditi.

Lei sbuffa sedendosi su una sedia, vederla con il viso gonfio e i capelli arruffati mi fa un certo effetto.

Di solito è sempre pronta per andare a lavoro, mi fa quasi piacere per una volta vedere che non è poi così perfetta come credo.

-allora, come mai alzato a quest'ora?

-ho trovato questi sopra il comodino, come ci sono finiti?

Lei sorride, e dice- ieri ho fatto salire la tua amica Francesca.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Kite97