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Autore: SamuelRoth93    23/01/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TRE

After the Crimes, After We’ve Lied”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD:

Albert affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.

Anthony costringe i suoi amici a girare un video sugli sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è nascosto dietro la porta.

Subito dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno che si firma A e che minaccia di smascherarlo su qualcosa.

Ognuno dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric viene accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in nessuna di quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare; Nathaniel riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per suo padre; Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per Nathaniel. Anthony sembra conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero gruppo, secondo Chloe, la migliore amica di Sam.

Il padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal preside, a cui, probabilmente, è stato notificato l’atto di bullismo in mensa. E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da Rider e Nathaniel.

Tornato a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli ha inviato la minaccia a scuola: A.

Furibondo, ha una violenta lite con il padre e finisce per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.

Preso dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici, che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony, apparentemente tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e costringe i compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un rapimento a seguito di un furto in casa.

Diretti alla stazione di Rosewood, Albert spunta, improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo investe. Scesi tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony trova il suo cellulare, confermando la sua teoria: Albert era la A che l’ha minacciato.

Mentre il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di portare il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre, per poi bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata più credibile e la polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.

Aggiustata la scena del crimine, i ragazzi accompagnano nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a sparire per sempre.

Tre giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato…

~

AND NOW...

In piedi, fuori dalla chiesa di Rosewood, i quattro ragazzi tenevano ancora fra le mani i loro telefoni, cercando di capire cosa stesse accadendo.

 

“Chi diavolo è questa A? E’ già la seconda volta che ne sento parlare!” si innervosì Nathaniel, turbato, cercando una risposta negli occhi dei suoi compagni.

Rider si affrettò a far presente loro, un avvenimento di cui non erano a conoscienza: “A ha scritto un messaggio ad Anthony il giorno in cui abbiamo girato quel filmato a scuola, non appena abbiamo lasciato l’aula. Ero con lui. Diceva che lo avrebbe smascherato!”

Sam fissò ognuno di loro, confuso: “Smascherare cosa, esattamente?” e Rider sollevò le spalle, non lo sapeva.

Eric, però, aveva altre perplessità: “Un secondo, Anthony ha frugato negli abiti di Albert, quella notte, e ha tirato fuori il suo cellulare, scoprendo che era stato proprio lui a mandargli il messaggio, perciò…”

“Perciò, cosa?” ribattè Nathaniel, odiando quella suspence.

Fu Rider, però, a mettere in chiaro le cose: “Quello che sta cercando di dire Eric è che A è Albert, ma lui è morto e a noi è appena arrivato un messaggio di A.”

Sam stava a dir poco impazzendo, ora, ma cercava di mantenere un contegno, di fronte alle persone che stavano lasciando la chiesa: “Ok, a meno che Albert non sia magicamente resuscitato come un personaggio di The vampire diaries per mandarci questo video e il conseguente messaggio, cosa diavolo significa tutto questo?”

 “Mi sembra chiaro, si tratta di due A! Una era Albert e quest’altra…Beh, forse, è un suo amico!” pensò Nathaniel, in piedi accanto a lui, trovandolo ovvio.

“Chiunque sia, non ha ricavato questo pseudonimo dal nulla. Avrà iniziato questo scherzo con Albert!” suppose, Sam.

Nathaniel sussultò: “Uno scherzo? – lo trovò un pessimo eufemismo - Ragazzi, Anthony è stato assassinato!”

Sam, allora, fece un cattivo pensiero, per niente tranquillo: “Forse era psicopatico! E lo è anche questo suo amico segreto…insomma, è risaputo che quelli come Albert sono come tacchini del ringraziamento che si riempiono di cattiverie e umiliazioni nel corso della vita per poi uscire dal forno sottoforma di serial killer e sociopatici!”

“Oppure il vero psicopatico, qui, è Anthony! – Rider attirò la loro attenzione, trovando ridicole le loro supposizioni – Ma dai, che razza di amicizie pensate che Albert frequentasse? E stiamo parlando dell’inetto-Albert, quello che a scuola sedeva in mensa con altre sedie!”

Nathaniel non capì: “Cioè? Spiegati!”

“Avete visto come si è comportato Anthony, quella notte, no? Prima diceva di aver ucciso il padre, poi che era stata legittima difesa, confondendosi. Mette in disordine la casa per fingere l’irruzione di qualche ladruncolo, poi investe un ragazzo e, anziché andare nel panico per il suo secondo omicidio della giornata, cosa fa? Pianifica un’altra scena del crimine? Decisamente psicopatico! – aveva ormai coinvolto i suoi amici, in quel ragionamento – Per non parlare del video che ci è appena arrivato…Avanti, avete davvero creduto a quei finti versi di soffocamento o qualunque cosa fosse? E’ tutta una montatura, è palese! Albert non ha nessun amico serial killer – anzi, correggo – non ha amici in generale! E’ stato assurdo anche solo persarlo. – rise - Parliamo di qualcuno che, abilmente, è riuscito a scambia due corpi, svalcando ogni tipo di sistema: una cosa totalmente impossibile!”

“Questo vorrebbe dire che qualcuno ha aiutato Anthony: nel video c’è una seconda persona, anche se non si vede. Non è un po’ assurdo?” pensò Nathaniel.

“Beh, Anthony è una persona assai influente, ha sempre saputo come manipolare le persone per aiutarlo. E poi, chi di noi lo conosceva veramente? – fissò i suoi compagni – Io non l’ho mai frequentato fuori dall’ambiente scolastico, eccetto qualche volta. Chissà che gente frequentava o che razza di vita aveva! Ha sicuramente contattato qualcuno dopo che ce ne siamo andati e quel qualcuno l’ha aiutato a girare il suo video da premio Oscar, prima di lasciare Rosewood e i suoi problemi per sempre!”

Cominciarono a scendere le gradinate della chiesa, mentre Sam continuava a parlare con toni bassi e ancora perlessi: “Io non capisco, allora…Perché Anthony avrebbe dovuto montare una recita del genere? Mandarci questo video falso.”

Rider marcò la risposta, a braccia conserte e sguardo acceso: “Perché non si fida di noi! E ora vuole farci credere che è morto, così da tenere la bocca chiusa per sempre!”

“Questa è follia! Pensava che saremmo stati vittima di una lobotomia, dopo aver visto qualcuno ucciderlo in video? Anche un bambino di otto anni denuncerebbe una cosa simile al volo!” commentò Nathaniel, andando contro l’opinione di Rider.

Eric, convinto dalla teoria di Rider, invece, cercò di convincere Nathaniel e anche Sam: “Rispondi, allora: Andresti mai alla polizia a raccontare che qualcuno ha ucciso il tuo amico, senza raccontare anche che con lui hai investito un ragazzo, l’hai caricato nel bagagliaio e trascinato accanto al cadavere di suo padre per poi accendere un fuocherello?”

Il silenzio di Nathaniel, rispondeva da sé; ciò non tolse che aveva ancora molti dubbi.

Vicini alla macchina di Rider, fu proprio quest’ultimo a prendere nuovamente parola: “Ascoltate, Anthony ha avuto quello voleva e ci ha lasciato il suo ultimo, epico e bizzarro regalo d’addio. Sono passati tre giorni, ormai, e non siamo nei guai. E’ finita! Andiamo avanti con le nostre vite, io ne ho già abbastanza!”

Quello, poi, aprì la portiera, pronto ad andarsene. Ormai la folla di persone davanti alla chiesa si era totalmente dileguata.

Sam lo fermò, però, ancora troppo insicuro: “E se non avessi ragione? E se quello nella bara fosse davvero Anthony e questa A ha scambiato i corpi per spaventarci? Siamo in gioco, stronzetti : non mi sembra una frase che miri ad una conclusione!”

L’altro sembrava assai indisposto ad ascoltare altro; aveva già la sua teoria, ormai: “Non scoperchierò una bara per capire se un pezzo di carbone è Anthony o Albert. E di A non me ne frega niente, perché è Anthony, ragazzi! Lui ci ha mandato il video e il messaggio, non l’immaginario amico fuori di testa di Albert che vuole fare giustizia!”

Lentamente, il gruppo sembrò convincersi del tutto, dopo essersi scambiato una rapida occhiata.

 “Spero che tu ed Eric abbiate ragione. Perché se il video e il messaggio non ci sono stati mandati da Anthony, allora avremmo un bel problema!” concluse Nathaniel, mentre si allontanavano, prendendo ognuno la propria auto.

In quell’esatto istante, Chloe passò a prendere Sam, dopo aver recuperato la sua auto. Quando se ne andarono tutti, anche un’altra macchina, dai vetri oscurati, che fino a poco prima era rimasta parcheggiata, partì.

 

*

Erano le quattro di pomeriggio, mentre Rider sedeva davanti al tavolo della cucina, su uno sgabello. Di fronte a sé, il suo PC, intento a scorrere la bacheca dei vari messaggi postati dagli studenti della scuola di Rosewood. Molti di essi riguardavano Albert Pascali e la sua scomparsa, dichiarata qualche giorno prima. C’erano addirittura foto con le dediche. Ogni messaggio che leggeva, si rifletteva sui suoi occhi, lucidi, assieme alla luce dello schermo.

Sappiamo perché te ne sei andato… - si soffermò su uno di essi, leggendolo a voce – Lo stronzo è morto, torna a casa!

Possiamo essere amici…

Non sarai più solo!

Quello che lesse subito dopo, però, lo costrinse a raddrizzarsi con la schiena e a sgranare un po’ gli occhi: “Morite, stronzetti!”

Scese in basso con lo sguardo per leggere chi l’aveva postato.

“…Anonimo.

A quel punto deglutì, cercando di rilassarsi. Pensò che chiunque avrebbe potuto scriverlo, data la situazione.

Improvvisamente, squillò il telefono, facendolo sobbalzare: era Sam.

“Ehi, Sam!” rispose.

“Stai leggendo anche tu i commenti?” chiese con la voce rotta, come di chi aveva pianto.

“Certo… - pensava che fossero il colmo – E trovo incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa gli passava davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina e adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono dediche…”

“Ci sono commenti anche su Anthony…e anche qualcuno su di noi.”

“Beh, la morte non ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo!”

Sam fece una pausa, prima di riprendere parola: “Ho pianto per quasi venti minuti, dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente libero né felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo nel bagagliaio, buttandolo lì dentro come si butta una busta della spazzatura. Mi rivedo nella mente e mi chiedo a cosa diavolo stessi pensando in quel momento, quando ho fatto quelle cose con Anthony.”

Rider deglutì a fatica, sentendosi strozzare, rosso in viso, ripercorrendo quella notte. Condivise perfettamente le sensazioni dell’amico: “Lo stesso vale per me. E’ come se quella notte, qualcosa si fosse impossessato di me per eseguire ogni richiesta di Anthony. Senza ragionare, senza pensare a quel povero ragazzo… - una nota di pentimento nella voce - Potevamo ribellarci, chiamare qualcuno e, invece, no. Volevo solo tornare a casa…”

“Mi sento in colpa come se l’avessi ucciso io e non riesco a respirare ogni volta che incrocio mio padre per casa con la sua divisa e il suo distintivo e tutti i valori che ha racchiuso lì dentro.”  aggiunse Sam.

“Beh, dobbiamo trovare il modo di superare la cosa. Non possiamo fare altro, Sam. Domani torneremo a scuola e Dio solo sa cosa dovremmo affrontare, ma passerà. Non saremo per sempre gli amici del mostro.”

Sentì un rumore provenire dal piano di sopra, qualcuno stava scendendo le scale.

“Ascolta, Sam, ora devo chiudere. Spegni il computer e riposati un pò. Ci sentiamo!”

“Ok!” concluse anche Sam, chiudendo.

Alle spalle di Rider, arrivò sua madre, Ellen Stuart, una donna elegante, all’apparenza, con indosso un cappotto nero e la ventiquattrore stretta alla mano destra. Stava per uscire.

“Ehi, com’è stato il funerale? – gli diede una bacio sulla testa – Stai bene?”

Tirò un sospiro, fingendo un sorriso: “Sto bene, Mamma. Starò bene!”

“Tesoro, non cercare di essere forte. Hai perso un amico, è più che comprensibile che tu soffra.” si soffermò, lei, a controllare le sue condizioni.

Improvvisamente, anche Lindsay entrò in cucina, dirigendosi verso il frigo.

Lo aprì, prendendo un piattino con sopra una fetta di torta, ignorando completamente i presenti.

Ellen, voltandosi, la ammonì: “Ehi, che stai cercando di fare?”

L’altra girovagò con lo sguardo, stranita per quella domanda: “Ehm, sto per mangiare questa fetta di torta, madre?”

“Quella è per tuo fratello, oggi ha seppellito un suo caro amico, sii gentile per una volta!”

“Ah, è così? – si infuriò, lei - Però quando è morta la mia amica di penna in Australia non ho trovato l’ultima fetta di torta in frigo con sopra il mio nome!”

Ellen, allora, le si avvicinò e le prese di mano il piattino: “Sei la maggiore, cerca di comportarti come tale! Abbi un minimo di rispetto.”

E quella rimase a braccia conserte, poggiata al frigo, tenendo il musone, la testa rivolta da un’altra parte, mentre la madre poggiava il piatto vicino al portatile di Rider.

Gli prese il mento, poi, premurosa: “Tesoro, mangia un pò, ok? E prenditi una pausa dallo studio, hai già fin troppeA’ sul tuo curriculum scolastico!”

Poi si voltò verso la figlia, tornando seria in viso.

“TU! Porta Toby allo studio, verso le sei, intesi?

L’altra reagì male, incredula: “Cosa? Perché io?” ricevendo immediatamente un’occhiataccia, che la costrinse a sbuffare.

“A proposito, come sta Toby?” chiese Rider, preoccupato.

“Credo si sia slogato la zampa, lo visiterò meglio. – fece un commento - Sapevamo quant’era vivace, quando l’abbiamo preso in casa nostra. – si voltò verso Lindsay, poi – Non mancare!” e uscì dalla porta sul retro della cucina, facendo un ultimo sorriso al figlio.

Rider tornò a fissare la sorella, che lo stava già fissando prima che lui incontrasse i suoi occhi. Scuoteva la testa, un sorriso cinico.

“Puoi anche smetterla con la recita della tristezza, fratellino. TUTTI possiamo finirla con questa recita, ora che Anthony è morto. Mi fissava come se fossi una sgualdrina, ogni volta che mi salutava per i corridoi, e io dovevo fare sempre la carina, affinchè non dicesse in giro ciò che sapeva di me. Dovresti essere contento anche tu, ora che non dovrai più essere suo amico per mantenere il mio segreto. Era un pessimo soggetto e nessuno piangerà sulla sua tomba!”

Rider rimase in silenzio, anche se dentro di sé voleva dirgliene quattro su ciò che pensava di lei e il suo professore. Lindsay, poi, si avvicinò a lui.

“E questa… - prese il piattino con sopra la fetta di torta, una smorfia perfida sul viso – la prendo io, per festeggiare!” e lasciò la stanza, seguita dallo sguardo irritato del fratello, furioso con sé stesso per non averla messa al suo posto.

 

*

 

Seduto su uno dei divanetti del Brew, anche Eric stava leggendo i commenti sulla pagina della scuola. Ad un certo punto, non ne potè più di leggere e chiuse il portatile,  sospirando e mettendosi più comodo sul divanetto, nel tentativo di scaricare la tensione. Osservava le persone che entravano e uscivano per un caffè o una ciambella, annoiato, finchè ad un certo punto non notò la barista, mai vista prima. Intuendo fosse nuova, si alzò e decise di avvicinarsi al bancone, ma non prima di essersi voltato verso le porte vetrate del locale, nelle quali si riflettè. Il suo primo istinto fu quello di aggiustarsi i capelli e la mano si portò quasi da sola fino alla testa. Eric, però, la fermò di colpo, poco prima di arrivare a toccarseli, fissandosi a lungo. Tornò, poi, ad avviarsi verso il bancone e comprese che non aveva bisogno di sistemarsi. Che non doveva essere come Anthony gli aveva insegnato ad essere.

“Salve, cosa le posso dare?” domandò la ragazza, dietro al bancone, notando Eric lì davanti. Aveva la carnagione chiara, dei lunghi capelli neri, raccolti a coda di cavallo, ma con due ciuffetti che cadevano ai lati del viso. Si intravedevano anche delle ciocche azzurre, che si abbinavano perfettamente con i suoi occhi.

Cadendo dalle nuvole, quello abbassò gli occhi sulla vetrinetta: “Ehm, vediamo, queste due focaccine sulla destra. Da portar via!

Quella eseguì, gentile, facendo, però, fatica a prenderle, dal momento che le cadevano in continuazione. Ad un certo punto, se ne imbarazzò, diventando rossa.

Eric non potè che lasciarsi sfuggire una risata: “Puoi prenderle con le mani, se vuoi. Sempre che tu non le abbia messe nel posto meno igienico della terra!”

L’altra, sempre più imbarazzata, rise a sua volta per sdrammatizzare la sua figuraccia: “Scusa, che imbranata, non le so usare queste grosse pinze… - riflettè, guardandole meglio - Sempre che si chiamino così! E comunque, no, le mie mani non sono mai state nel posto meno igienico della terra!”

Eric annuì, sfumando la risata in un accenno di sorriso: “Buono a sapersi e…Francamente non ho idea di come si chiamino quelle grosse pinze con cui si prende il cibo. Magari si chiamano proprio così, alla fine. Insomma, se le avessi inventate io le avrei chiamate pinze o grosse pinze!”

“Sì, anche io. Grosse pinze è proprio da me; praticamente io VIVO di cose banali! Sono la banalità fatta a persona. Sono quella che chiamerebbe il proprio figlio con il nome di un pazzo serial killer letto sulla prima pagina del giornale, senza sapere che è il nome di un pazzo serial killer!”  scherzò lei, mentre stava già incartando le focaccine.

“Beh, pare che i nomi dei serial killer siano parecchio carini. – quello azzardò una domanda - Non sei incinta, vero?”

Quella sgranò gli occhi: “Io? NO! No no, assolutamente no! Come minimo tra dieci anni e mezzo!”

Eric sollevò le sopracciglia, lasciandosi scappare un’altra risata: “Non so cosa c’entri il mezzo, ma aspettare dieci anni è più che giusto. Nemmeno io voglio essere padre così presto, sono ancora un moccioso!”

L’altra, consegnandogli le focaccine, scoppiò a ridere: “Ok, moccioso! – sfumò in un accenno di sorriso, restando impalata - Ma come siamo passati dalle pinze giganti al progettare la data di nascità dei nostri futuri figli?”

Ne era stupido anche lui, ma seppe trovare una risposta adeguata: “Benvenuta nel mondo delle conversazioni tra estranei, che, pur di chiecchierare, parlebbero di qualsiasi argomento.”

Ad un certo punto, però, la ragazza dovette sottrarsi dalla piacevole conversazione. Questo, perché fissata dal suo capo, a distanza: “Beh, credo che rimarremo due estranei, - si allacciò meglio il grambiule per poi passare uno straccio sul bancone - perché devo tornare a lavoro o il mio capo intensificherà ancora di più le sue occhiatacce!”

Eric si voltò a guardarlo: “Rilassati, ora non ti sta guardando più. – si voltò nuovamente verso di lei – Sei nuova, vero? Non ti avevo mai vista qui al Brew!”

Nonostante non fosse più osservata, continuò a muoversi: “Cosa mi ha tradita? Il fatto che non sappia usare delle grosse pinze o che mi preoccupo delle occhiatacce del  capo?”

“Le occhiatacce del capo: senza dubbio! Quando sei nuovo, ti preoccupi sempre che il capo non ti veda commettere errori, poi, con il passare del tempo, te ne freghi sempre meno.”

L’altra dovette congedarlo: “Ed è per questo che devo salutarti, lavoro qui da circa venti minuti! – spostando  lo sguardo tra lui e ciò che stava facendo - Riprendiamo la conversazione tra centoventi giorni, quando inizierò a fregarmene sempre meno.”

L’altro rise, stringendo tra le mani la busta di carta con dentro le focaccine: “Centoventi giorni, eh? – disse allontanandosi, verso la tromba delle scale interna al locale– Spero di sopravvivere senza conoscere il tuo nome!”

Perplessa nel non vederlo uscire dalla porta d’ingresso, si fermò dal pulire, domandandogli: “Abiti qui?”

Quello si voltò, sorridendo: “Già, al piano di sopra. Credo proprio che ci vedremo spesso!”

“Sono Alexis, comunque!”

“Ok, Alexis-grosse pinze!” esclamò, ormai sulle scale.

 Quella, sorrise da sola, come una stupida, per poi tornare al suo dovere.

 

Eric, arrivato alla porta del suo appartamento, girò la chiave, entrando. L’ingresso era completamente inondato da scatoloni, come di chi aveva appena traslocato, pochi mobili.

“Mamma, sono tornato! Ho portato le focaccine!” esclamò, cercando di capire dove fosse, girovagando con lo sguardo.

Quando fece silenzio, riuscì a sentire la sua voce, provenire dalla stanza accanto, dove c’era la cucina.

Senza rivelare la sua presenza, rimase nascosto, al lato della porta, ascoltandola parlare al telefono. Al quanto stanca nella voce, faceva avanti e indietro, dentro la sua tuta grigia.

“Quindi è andato bene il colloquio? […] Bene bene, noi siamo nel nuovo appartamento da qualche giorno e stiamo andando avanti con i soldi della vendita ricavata dall’auto di tuo figlio. Ho anche venduto qualche mio gioiello, perciò… – sospirò – ce la stiamo cavando, più o meno. – si grattò la fronte, portando poi i suoi capelli dietro le orecchie – Forse dovrei iniziare a cercarmi un lavoro, i soldi non sono molti. […] D’accordo, ci sentiamo stasera!”

Terminata la conversazione, Jennifer Blake, poggiò il telefono, sedendosi un’attimo, massaggiandosi le tempie, esausta. Eric, allora, si rivelò.

“Ehi!”

L’altra si voltò, colta di sorpresa, fingendo un sorriso davanti a suo figlio: “Ehi, sei tornato!”

“Era Papà?”  domandò, avvicinandosi.

“Sì, era lui. Ha trovato un lavoro!”

Eric si sedette, tirando un sospiro di sollievo: “Grazie a Dio!”

La madre fu d’accordo: “Già, dopo quello che è successo, è un miracolo!”

“Certo, è dovuto andare parecchio lontano, però!” commentò, triste.

“Ci rimetteremo di nuovo in sesto, ok? Tuo padre ha commesso un grosso errore, ma lo supereremo.– si rattristò per lui, accarezzandogli la guancia – Dev’essere dura per te, in più hai dovuto seppellire un tuo compagno di scuola, oggi… – prese il portafoglio, gli occhi lucidi, tirando fuori qualche contante – Tieni questi, forza, vorrai sicuramente comprarti qualcosa. So quanto ci tieni ad apparire sempre bello e con dei vestiti nuovi!”

“No, Mamma, no! – li rifiutò, spingendoli via – Ho ancora parecchi vestiti che non ho mai usato e poi…non mi interessa neanche più!”

“Mi dispiace tanto, Eric. I ragazzi della tua età dovrebbero stressarsi per lo studio e non per lo stato che ti confisca la casa. – pianse, cercando, però, di trattenersi – Ora vado a farmi una doccia, ok? – gli accarezzò la spalla – Ok.”

Ed Eric la seguì con lo sguardo, dispiaciuto per lei, per la situazione, gli occhi lucidi. Subito dopo, notò il giornale aperto sul tavolo: una foto di Albert, annunciato come scomparso alla cittadina di Rosewood. Fissò a lungo il suo viso, il sorriso forzato che aveva in quella foto, i suoi abiti, il suo aspetto, la sua evidente solitudine. Quell’immagine portò a galla diversi pensieri in lui.

 

FLASHBACK

 

Anthony era intento a frugare nel suo armadio, mentre Eric sedeva sul suo letto a contemplare ogni parete e soprammobile; era la prima volta entrava nella sua camera da quando lo conosceva.

“Mi dispiace per quello che è successo alla tua famiglia, vedrai che vi riprenderete. Anche la mia famiglia ha avuto i suoi alti e bassi, accade a tutti. Poi si ritorna sempre all’apice, alla fine. Più in alto di prima, magari.” parlò con la testa ancora dentro l’armadio.

L’altro rise, sdrammatizzando: “La mia famiglia ha subito un enorme danno, Anthony. Il Signor Lincoln ha fatto in modo che mio padre non lavorasse più per nessuna azienda di questo stato; è un uomo molto influente e pieno di conoscenze e non ha tollerato ciò è accaduto. – sospirò, sconsolato - L’apice è ben oltre le nuvole, credimi.”

L’altro fece un commento a caldo, mentre si risollevava con in mano tanta roba: “I ricchi e potenti sono proprio degli stronzi! – cambiò, poi, discorso, passandoli i vestiti - Ecco, questi non gli ho mai usati, perciò nessuno noterà mai che indossi i miei vestiti!”

Senza parole, Eric esclamò, quasi a disagio: “Ma sono nuovi, hanno ancora l’etichetta! Sembra che tu li abbia appena comprati.”

“Sciocchezze, li ho comprati qualche tempo fa e lasciati nell’armadio. Ho anche parecchie scarpe, sai?”

Eric era fortemente in imbarazzo: “Accidenti, non so che dire. Io-io non posso accettare, mi stai aiutando fin troppo e non siamo nemmeno così tanto amici. – aveva delle perplessità, a quel punto – Perché lo stai facendo?”

Anthony sorrise: “Semplice, Eric: se fossi al tuo posto, vorrei tanto che qualcuno mi aiutasse e mantenesse le apparenze per me. Nessuno dovrebbe precipitare senza un paracadute di salvataggio.”

“Già. Non è bello schiantarsi al suolo, quando ti sei vantato di saper volare…” pensò, ripensando a tutte le volte che aveva ostentato la sua immagine.

Quello, poi, scappò verso la porta: “Torno subito, vado a prenderti qualche paio di scarpe!”

Quando tornò, mise tutto in delle buste, poggiandole sul letto.

“Bene, ora puoi tornare nel mondo reale con la tua immagine intatta. Nessuno si accorgerà che nella tua vita è cambiato qualcosa. – gli sorrise – Sai, nessuno è poi così irrecuperabile. Anche se ti trovi nel pozzo più profondo, ci sarà sempre una corda abbastanza lunga a riportarti su. – fece uno stacco, prima di aggiungere una battutina ironica – Certo, tranne per Albert Pascali, sia chiaro. Per lui non esistono corde abbastanza lunghe a recuperarlo.”

Eric si lasciò scappare una risata, non trovando poi così maligna quella battuta; poi tornò serio, ma, soprattutto, riconoscente: “Grazie, Anthony. Grazie davvero! – trovò, infine, il coraggio di rivelare un suo pregiudizio - Sai, non ti facevo così gentile.”

“Le apparenze ingannano. E con i miei abiti addosso, ingannerai chiunque ti guardi!” concluse, per poi aiutarlo a far scendere tutto e caricarlo in auto.

 

E fu in quell’istante che Eric si voltò a guardare le scatole in cui erano chiusi i suoi vestiti; anzi, quelli di Anthony. Si rese conto di non aver ingannato la gente, ma sé stesso, credendo di poterlo fare e sentirsi bene.

 

*

 

Nathaniel, quel pomeriggio, intanto, fece un salto in ospedale da suo cugino, Tyler Blake, nel suo studio; egli era molto giovane per essere un medico e molto simile a Nathaniel, esteticamente.

“Bene, direi che è tutto apposto. Cerca solo di non sforzarti troppo; ad esempio, evita qualche allenamento, inventa una scusa. Insomma, sei eccezionale nel nuoto, non ne hai bisogno!” esclamò, andando a sedere alla sua scrivania, mentre Nathaniel, seduto sul lettino, si stava rimettendo la maglietta.

“Sì che ne ho bisogno! – si andò a sedere davanti a lui – Non ho voti molto alti e il nuoto è la mia unica possibilità per ottenere una borsa di studio e accedere ad un buon college, dopo il diploma!”

Tyler comprese perfettamente, ma con riserva: “Lo so, me lo ripeti ogni volta, ma cerca di andarci piano. Ne va della tua salute e della mia carriera, non dimenticarlo. Potrei essere radiato dall’albo per averti autorizzato ad entrare nella squadra di nuoto con un certificato che attestava tutto il contrario. Hai uno scompenso cardiaco, tenuto sotto controllo da un farmaco. E hai ancora due anni, prima di diplomarti. Fa attenzione!”

E Nathaniel, senza aggiungere altro, si alzò e prese il suo borsone sportivo, poggiato sull’altra sedia.

Prendendo sul serio, finalmente, le preoccupazioni del cugino, lo accontentò: “D’accordo…Per oggi salterò l’allenamento!”

Felice di sentirlo, accennò un sorriso: “Bene. Grazie!”

L’altro, voltandosi, si avvicinò alla porta, in procinto di uscire dalla stanza. Improvvisamente, si fermò, poco prima di aprire la maniglia e si girò nuovamente verso il cugino, costringendolo a distogliere il suo sguardo dalle cartelle che stava esaminando, con una domanda: “L’obitorio si trova al piano terra, vero?”

Tyler sollevò lo sguardo, rispondendo distrattamente: “Ehm, sì, assieme alla lavanderia, le cucine, patologia e radiologia, perché?”

“Frequento un corso alla Hollis, ultimamente: scrittura creativa! – mentì – Sai, per i crediti extra, perciò…Volevo capire bene dov’è collocato esattamente l’obitorio, per il racconto che sto scrivendo!” tornò leggermente indietro, mentre ne parlava.

Perplesso, Tyler si tolse gli occhiali da vista che portava: “Frequenti un corso di scrittura creativa? E da quando? Praticamente vivi dentro la piscina!”

“Ehm, a volte non mi sgridi a vuoto. Ho seguito il tuo consiglio e il Venerdì, anziché allenarmi, mi siedo e do sfogo alla mia immaginazione. Sì, certo, è un giorno a settimana, ma è pur sempre un giorno in cui il mio cuore non si forza molto.”

Finalmente convinto, la testa che annuiva, era curioso di saperne qualcosa in più: “Bello! Hai fatto bene. E di che parla questo racconto, se posso chiedere?”

Nathaniel era nuovamente alla sua scrivania, dietro la sedia, con le mani poggiate sullo schienale di essa, che spiegava: “Ehm, parla di un uomo che spia le infermiere attraverso le telecamere della sorveglianza – inventò sul momento – E’ un maniaco e quindi le spia e poi le uccide…Una volta finito il turno, ovviamente!”

“Mh, interessante… - finse che fosse così, agitando gli occhiali, la stecca stretta fra le dita, roteando il polso – Certo, diretto, forse un pò troppo, ma… - non riusciva a trovare le parole per non offendere la sua poca originalità – Interessante!”

“Scusa se te lo chiedo, ma… – azzardò, Nathaniel – non è che potresti farmi dare un’occhiata alla stanza della videosorveglianza? Sai, un racconto dev’essere parecchio descrittivo, affinchè il lettore sia quasi in grado di vedere quello che vedono i personaggi, perciò…Ho bisogno di vedere com’è fatta una stanza della videosorveglianza. Sai, per coglierne i dettagli!”

Dopo un breve attimo di titubanza, Tyler decise di aiutarlo: “D’accordo: perché no! – si alzò – Vado a prendere le chiavi, ma cerca di fare in fretta!”

Sospirò grato, l’altro, con ripetute pacche sulla spalla: “Sei il migliore!” e insieme lasciarono lo studio.

Recuperate le chiavi, Tyler era di fronte alla porta che portava ad accedere alla stanza della videosorveglianza, Nathaniel alle sue spalle che volgeva lo sguardo verso entrambi i lati del corridoio. Il mazzo pieno di chiavi, faceva rumore e Tyler non riusciva ad aprire.

“Oh, ma certo! – ebbe un lapsus – C’è una nuova chiave nel mazzo, quella vecchia non può aprire, hanno cambiato la serratura. – prese la chiave giusta, stavolta – Me l’avranno detto almeno dieci volte!”

Nathaniel, trovando strano ciò che gli era stato appena detto, chiese, curioso: “Come mai hanno deciso di cambiare la serratura a questo antro polveroso?”

Finalmente, la porta si era aperta. Tyler rispose poco prima di entrare: “Nicholas, il sorvegliante, non becca mai la chiave giusta e finisce per incastrarci dentro almeno venti chiavi. L’infermiera pensa che sia stato lui a romperla, la serratura. La chiave giusta non girava più, per quanto danneggiata!”

Senza aggiungere altro, nonostante fosse rimasto parecchio perplesso da quella storia, Nathaniel lo seguì, ma quasi andò a sbattere contro di lui, pochi passi dopo. Tyler si era fermato di colpo, in seguito ad un suono proveniente dalla tasca del suo camice.

“Il mio cercapersone, accidenti! – lo rimise in tasca – Senti, dai un’occhiata veloce e richiudi la porta senza danneggiare la serratura. Lascia le chiavi nel mio studio, ok?”

E l’altro annuì, contento che quel cercapersone abbia squillato, assicurandogli che avrebbe eseguito: “Si si, vai pure, ci penso io!” e quello se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle e lasciando solo il cugino, che si voltò sul sistema di sorveglianza in funzione, il display che mostrava i diversi corridoi dell’ospedale.

 

*

 

Rider, seduto nella sua stanza, davanti alla scrivania stracolma di libri aperti e il lume accesso, stava cercando di distrarsi con lo studio, mentre la sera calava sulla città. Al telefono con sua madre, si stava assicurando delle condizioni del suo cane, prima di tornare a dedicarvisi.

“Quindi è soltato una slogatura, si rimetterà? […] Bene, è una fortuna avere una madre come veterinario, sai quanto io tenga a Toby. Il fatto di non averlo qui, in camera, sdraiato sul letto che mi fissa studiare, mi destabilizza! E’ come una sorta di musa ispiratrice dello studio.”

Un suono acustico, notificò un’altra chiamata in arrivo. Rider tolse il telefono dall’orecchio, guardando lo schermo, per poi riportarselo all’orecchio nuovamente.

“Mamma, ho un amico sull’altra linea, ci vediamo più tardi a cena!” e premette sul display per congedarla e prendere l’altra chiamata.

“Pronto?” rispose.

“Ehi, ho bisogno di aiuto, - era Nathaniel – sono all’obitorio!”

Irrigidendosi, Rider, si distanziò dalla scrivania, confuso: “Da paziente deceduto o in visita?”

L’altro, fermo in mezzo alla stanza, le barelle con i lenzuoli sopra, attorno a lui, cercò di mantenere la calma: “Non sono un fantasma, Rider! – esclamò, una nota isterica nella voce – Mi ha fatto entrare mio cugino, ho detto per finta che frequento un corso di scrittura creativa e che devo descrivere com’è fatto un obitorio nel mio racconto da quattro soldi!”

“Prima che ti faccia i miei complimenti per la menzogna perfetta, cosa ci fai all’obitorio?”

Nathaniel titubò, mentre cominciava a muoversi all’interno della fredda stanza: “Ehm, volevo…volevo…”

Rider, però, intuì: “Scoprire se nella bara c’è davvero Anthony?”

A quel punto, quello dovette sputare fuori il rospo: “Sì! – fece una pausa, prima di riprendere – Ascolta, Rider, per quanto tu sia stato convincente, fuori dalla chiesa, io vorrei esserne sicuro. Anche Sam aveva delle buone motivazioni!”

Sospirando, Rider si arrese; in fondo al cuore, nemmeno lui era del tutto sicuro: “Ok, scopriamo la verità! – iniziò a dargli indicazioni, avvicinandosi alla finestra e poggiandosi di schiena – Allora, per scoprire chi c’è nella bara, dobbiamo controllare i referti del medico legale. Dovrebbe esserci una pila di cassetti d’acciao, lì nella stanza. ”

L’amico li notò con lo sguardo: “Sì, eccoli! – si diresse verso di essi, continuando a parlare - A proposito, avevo una penna USB nel borsone, con dentro qualche film che ho dovuto cancellare per guadagnare spazio. Ho fatto una copia dei filmati delle telecamere di sorveglianza che vanno dal giorno dopo l’incendio a casa di Anthony fino alla giornata di ieri. In pratica, il lasso di tempo in cui A avrebbe potuto scambiare i corpi.”

“Oh mio Dio!” esclamò Rider, fermando Nathaniel, che aveva già aperto qualche cassetto.

“Che c’è?”

“Sei intelligente!” pensò.

Nathaniel prese quel commento come un’offesa, più che un complimento: “Pensavi fossi stupido, per caso?”

L’altro si rese conto di aver parlato a sproposito: “Ehm, no, che dici! E solo che, gli atleti sono più per l’azione che per i colpi di genio. Insomma, non hanno tempo di ragionare, no? – si accorse di aver detto un’altra stupidaggine – Ok, dimentica tutto, forse sei un ibrido!”

“RIDER!” urlò Nathaniel, esasperato, cercando di mettergli un freno.

“Ok ok, la smetto! – tornò finalmente serio – Allora, ogni cassetto, dovrebbe essere classificato per anno.”

“2015…2015 – stava controllando le etichette, una ad una – 2015! Trovato! – aprì quel cassetto, in attesa di altre istruzioni - Adesso?”

“Tutti i referti sono in ordine alfabetico: iniziale del cognome, poi del nome!”

“Dimitri, Anthony…Dimitri, Anthony… - scorreva le dita fra le cartelle – Ok, - lo trovò – Dimitri, Anthony!” e la aprì, trovando dentro diverse pagine.

“Leggimi cosa c’è scritto!” richiese, Rider, in attesa.

Nathaniel, parve in difficoltà, già alla prima pagina: “Ehm, allora, fontanella occipitale… - si morse le labbra, passando alla seconda pagina, più complicata della precendente.”

Intuendo dalla voce dell’amico che per lui era difficile comprendere il contenuto delle pagine, suggerì: “Ok, Nat, lascia perdere, vai alla pagina riassuntiva del referto, si trova verso la fine!”

L’altro eseguì, trovandola proprio tra le ultime pagine, come detto da Rider: “Ma chi sei? – si sbalordì di come sapeva muoversi fra quelle cose – The mentalist?

“Spero di no! Patrick Jane lavorava in un circo itinerante, prima di trovare la sua strada.”

Tralasciando quel commento, Nathaniel illustrò la pagina riassuntiva: “Allora, qui dice che: L’impatto sul lato posteriore del cranio della vittima, indica che non era rivolto verso l’aggressore. Il cranio era deformato verso l’interno per l’impatto. Il corpo contundente era curvo e smussato. – smise di leggere, incredulo – Non parla di ossa rotte, solo un colpo alla testa!”

Anche nel tono di Rider, vigeva la stessa preoccupazione: “No, non è possibile. Albert non ha ricevuto un colpo alla testa, è stato letteralmente investito. Sicuro che quel referto non parli di ossa rotte o altro?”

“E’ la pagina riassuntiva, dice solo questo. – Nathaniel fu costretto a sottolineare la realtà dei fatti – Rider, il corpo nella bara è quello di Anthony, non di Albert. Nel filmato che abbiamo ricevuto, si vedeva chiaramente che l’aggressore puntava alla sua testa, anche se non abbiamo visto quello che è successo dopo. – dopo una breve pausa, ribadì nuovamente il concetto – Rider, il referto non combacia con Albert, ma con Anthony!”

Rider urlò, non riuscendo a capacitarsi: “Ma-ma com’è possibile? Come diavolo può aver fatto questa persona, A, a rubare il cadavere di Albert dall’obitorio e scambiarlo con quello di Anthony, indisturbato? E’ surreale!”

Nathaniel, sconvolto quando l’amico, richiuse la cartella: “Ascolta, io qui devo rimettere tutto apposto, prima che qualcuno se ne accorga…”

Nonostante il nervosismo, Rider non risparmiò il suo sarcasmo melodrammatico: “Ma figurati, se A ha scambiato due corpi senza essere beccato, puoi anche farci un pigiama party con quei referti!”

“Io devo comunque andare, ho un impegno. – richiuse il cassetto, dirigendosi, poi, verso la porta – Ascolta, se vuoi, posso passare a casa tua dopo, oppure vieni tu a casa mia e guardiamo assieme i filmati della videosorveglianza, ok?”

L’altro ci mise un pò a rispondere, pensieroso: “Ok, vieni pure a casa mia!”

“Ok, a dopo!” concluse Nathaniel, lasciando la stanza e chiudendo la chiamata.

Rider, poggiando il suo telefono sul bordo della finestra, si torturava le mani, non riuscendo ancora a credere di avere a che fare con una A, che sembra non essere Anthony.

Improvvisamente, si voltò verso la sua scrivania, posando gli occhi sulle chiavi della sua auto.

 

*

A casa Havery, nel frattempo, il campanello suonava incessantemente. Sam, scendendo per le scale, non molto in forma per i pensieri legati all’assurda notte vissuta con i suoi compagni, andò ad aprire, trovandosi davanti Chloe con in mano delle bustine da centro commerciale nelle mani e il PC sottobraccio.

Quello, impalato a fissarla, attese di sentire qualcosa da lei, dato che era sorpreso di vederla.

“Prima di tutto, hanno rinnovato Game of Thrones, perciò: super maratona della prima stagione, per festeggiare! – entrò, mentre l’altro chiudeva la porta, seguendola nell’altra stanza – SECONDA COSA: Mi devi tagliare i capelli!” concluse, appoggiando tutto sul tavolino del salotto, per poi voltarsi verso l’amico.

“COSA? Sei ubriaca, per caso?” reagì, stranito, Sam.

“Non sono ubriaca! – esclamò con un’occhiataccia cinica e leggermente offesa – Voglio solo cambiare look, tutto qui.”

Sam si prese un momento, prima di dire qualcosa: “Ok, ecco che le tue personalità multiple riemergono puntualmente. Ad esempio, oggi sei venuta con me al funerale di Anthony, quando una volta mi hai detto che se, un giorno, fosse morto, non saresti mai andata al suo funerale nemmeno se ci fosse stato Ian Somerhalder in prima fila! Poi, adesso, mi chiedi di tagliarti i capelli e fare una maratona di Game of Thrones per festeggiare il suo rinnovo, quando il rinnovo di Game of Thrones è scontato quanto quello di The Walking dead, che tra l’altro non finirà mai!”

Chloe, abbassando lo sguardo, mostrò per la prima volta la sua fragilità, raccontando le sue ragioni: “E’ solo che…La morte di Anthony ha scombussolato un pò tutti e ha riportato a galla tutti i momento in cui ha tormentato me e gli altri sfigatelli della scuola!”

Sam fu più comprensivo e risoluto: “Ma non ti ha mai tormentata, Chloe. Ti ha dato solo un soprannome!”

L’altra, non la considerò una cosa da poco: “Un soprannome che mi ha segnata profondamente e che mi ha reso meno desiderabile agli occhi dei ragazzi, Sam. – una lacrima le scese lungo il viso - Sai cosa vuol dire per una ragazza, stare seduta davanti alla sua serie tv preferita e invidiare una qualsiasi Meredith Grey, amata così immensamente dal suo Derek Shepherd, e sapere che nessuno ti amerà mai come viene amata lei, o guardata come viene guardata lei? Sam, non posso vivere l’amore attraverso un telefilm per sempre. E se oggi sono venuta al funerale di Anthony, non è stato di certo per compassione. Anzi, ridevo dentro di me ed ero sollevata…Sollevata perché non c’era più e perché non avrebbe mai più umiliato nessuno o distrutto i suoi sogni. – si asciugò le lacrime – Cambiare il taglio di capelli è solo un modo per ricominciare da zero. Una sorta di…Nuova era!”

Commosso, Sam corse ad abbracciarla, non immaginando minimamente cosa avesse provato negli ultimi anni: “Chloe, scusami. Non avevo capito quanto la cosa ti avesse fatto soffrire!”

In quell’istante, il Signor Carson Havery stava rientrando dalla porta, notando i due, chiudendo la porta un po’ troppo forte, senza farlo apposta, maldestro.

I due si voltarono.

“Spero di non aver interrotto qualcosa!” esclamò, sperando fosse così.

“Non dire sciocchezze, Papà!” disse Sam, in maniera scocciata, staccandosi da Chloe, che si stava asciugando le lacrime con le maniche del maglione. Carson la notò, preoccupandosi con premura.

“Ehi, tutto bene?”

L’altra finse un sorriso, continuando a strofinarsi gli occhi, giustificandosi: “Ehm, sì, è solo che sto ripensando al povero Anthony – mentì e Sam non la smentì, annuendo – e ad Albert, il ragazzo scomparso. E’ davvero molto triste quello che è accaduto loro.”

L’uomo fu della stessa idea: “Già, che triste storia! – tirò un sospiro, turbato - Peccato che non sia finita qui…”

Sam si lanciò un’occhiata con Chloe, inquietato da quanto aggiunto da suo padre, prima di porre una domanda: “Che vuoi dire?”

“La morte di Anthony e suo padre è stata classificata come omicidio, ma questo lo sapevate già. Quello che non sapete è che la polizia ha osservato attentamente la scena del crimine e la cassaforte spalancata e il disordine in casa, ci ha fatto subito pensare ad un furto finito male e quindi abbiamo dovuto indagare più a fondo.”

“Quindi è stato un ladro ad uccidere Anthony e suo padre?” chiese Chloe, a braccia conserte, il volto irrigidito.

“Esatto. Probabilmente, quando si sono accorti della sua presenza in casa, quello ha reagito con violenza…” ma Carson sembrava molto ritirato nelle parole, come se volesse omettere qualcosa.

Quel suo atteggiamento, confuse Sam, naturalmente, in cerca di una certezza che lo rassicurasse: “Sì, ma è finita, no? – reagì nervosamente - Il caso è stato archiaviato, giusto? Non troverete mai questo ladro!”

I due lo fissarono, quasi spiazzati da quella reazione.

“Ehm, no, figliolo – cercò di spiegare, Carson – Non si può archiviare un caso di omicidio senza aver trovato prima l’assassino e poi…non puoi essere certo che non troveremo mai l’assassino. – rise – Ne sembri quasi sicuro!”

Sam si rese conto di aver esagerato troppo nella sua reazione e cercò di rettificare: “No, cioè, non ho detto di essere certo che non troverete mai l’assassino. Dico solo che un ladro è abbastanza furbo da sparire nel nulla.”

“In questo caso, noi sappiamo perfettamente chi è stato. – Chloe sgranò gli occhi, ma non quanto Sam, incredulo - Quest’oggi, la Signora Dimitri e il figlio maggiore Clarke, sono rientrati a Rosewood per i funerali del figlio e noi li abbiamo interrogati su chi pensino possa aver fatto una cosa del genere. Insomma, il ladro sapeva bene dove trovare quei soldi, la cassaforte era ben nascosta!”

“Sì, li abbiamo visti, eravamo due file più dietro io e Sam!” esclamò Chloe, mentre Carson annuiva, dirigendosi verso le scale.

“Beh, vi auguro una buona serata, domani ho molto lavoro da svolgere. Quello che c’è da sapere, lo scoprirete dal notiziario di domani. Non serve che vi racconti tutti  i dettagli!” e appoggiò la gaccia sull’appendiabiti, poco prima di mettere piede sul primo gradino.

Sam, rimasto accanto a Chloe, più calma rispetto a lui, aveva gli occhi che non smettevano di muoversi per l’ansia che cresceva dentro di sè e d’impulso, fermò il padre, affamato di risposte.

“Aspetta, perché non puoi raccontarci il resto? Sai perfettamente che i notiziari non riportano mai tutto quello che c’è dietro e Anthony era mio amico! Ho il diritto di sapere!”

L’altro si voltò, serio: “Non avete l’età giusta per ascoltare una storia simile e la Signora Dimitri ha chiesto privacy in merito alle dichiarazioni fatte. – fece uno stacco, prima di tornare a parlare – Sam, sarai anche mio figlio, ma ho etica nel mio lavoro e lo sai. Adesso andate a guardarvi quelche film o qualunque cosa abbiate in programma di fare. Vado a letto!” e si congedò, irremovibile.

Sam rimase fermo, imbambolato, davanti alle scale, con Chloe alle spalle.

“A quanto pare, anche la famiglia Dimitri ha dei segreti! – esclamò quella, per poi voler tornare nella stanza dov’erano – Allora, vieni a tagliarmi i capelli o no? Tuo padre ha ragione, dobbiamo distrarci da questa assurda storia!”

E Sam, restando voltato, cercò di non mostrarle quanto fosse bianco in volto, rispondendo: “Ehm, sì, arrivo subito. Devo-devo solo andare un attimo in cucina a bere!”

Quando Chloe seguì il suo suggerimento, passando nell’altra stanza, senza di lui, Sam tirò fuori il telefono dalla tasca, scrivendo un messaggio, le mani che tremavano.

 

Messaggio a: Nathaniel, Rider, Eric.

“La polizia ha trovato un assassino. Sto impazzendo.”

 

Il secondo dopo, ricevette un messaggio di risposta da uno di loro.

 

Messaggio da: Rider.

“Cosa? Ma quale assassino? Sono da te tra un quarto d’ora!”

*

 

Il messaggio era arrivato anche ad Eric, solo che non lo sentì per via della vibrazione impostata, il display accesso dentro il cestino della sua bici, mentre la fermava nei pressi di un boschetto dietro al cimitero. Con lo zaino in spalla, stracolmo, a giudicare dalla cerniera non perfettamente chiusa, fissò il terreno, come in cerca di un punto preciso e lo trovò, posizionandosi lì e tirando fuori dallo zaino una piccola paletta, con la quale iniziò a scavare una buca.

Una volta raggiunta la profondita giusta e la larghezza giusta, ci svuotò dentro il contenuto dello zaino: si trattava di vestiti.

Completata l’azione, gettando lo zaino a terra, ormai vuoto, per poi fissare quei vestiti per qualche secondo, Eric tirò fuori un accendino dalla tasca, che accese, tenendolo stretto fra le dita.

“Non mi devi più alcun favore, Anthony; i tuoi, non sono mai stati favori, del resto. Volevi solo rendermi di tua proprieta, ma adesso è finita!  Non ho più bisogno dei tuoi abiti, ormai. Non ne ho mai avuto. E mi dispiace tanto di averlo capito soltanto adesso.”

E gettò l’accendino nella buca, che fece prendere fuoco agli abiti, mentre contemplava le fiamme della sua rivincita, per quanto minima, ma necessaria per lui stesso.

Improvvisamente, la sua attenzione fu distolta da un rumore tra le frasche, poi da quello di un ramoscello calpestato.

“Chi c’è?” domandò, aguzzando la vista nell’oscurità.

Non fece un’altra domanda, che si affrettò a richiudere la buca, buttando la terra sul fuoco, mantenendo lo sguardo fisso nel punto dal quale pensava di aver sentito provenire il rumore. Richiusa la buca, rimontò sulla bici, velocemente, con il fiatone, dimenticando lo zaino. Corse più veloce del vento.

 

*

 

Intanto, a casa Havery, con davanti il PC e una puntata di Game of Thones in esecuzione, Sam aveva finito di tagliare i capelli a Chloe, ad altezza spalle, nonostante avesse la testa da tutt’altra parte. Le tinse anche alcune ciocche di capelli per dare un effetto biondo luminescente al suo nero naturale, a giudicare dalla scatola del colorante. Subito dopo, le arrotolò nella carta stagnola.

“Non vedo l’ora di asciugarli e vedere come sto. Soprattutto le meches bionde , non le ho mai fatte!” era eccitata Chloe, tenendo gli occhi fissi sullo schermo del portatile, mentre Sam continuava a fissare il telefono ogni due secondi.

Finalmente, la chiamata che stava aspettando: quella di Rider.

Prese il telefono, allora, impostato sulla vibrazione, nascondendolo dietro alle sue spalle.

“Ehm, Chloe, vado a buttare la spazzatura!” la avvertì, indietreggiando.

Quella, impegnata nella visione dell’episodio, un piattino di patatine fra le mani, esclamò distrattamente: “Ok ok!”

Sam, allora, passò nel corridoio d’ingresso, rispondendo alla chiamata: “Ehi, allora?”

“Sono qui fuori, esci!”

E quello, aprendo la porta il più piano possibile, uscì, raggiungendo Rider, parcheggiato lì davanti, con il motore ancora acceso. Sam fece il giro, aprendo la portiera ed entrando in macchina.

“Grazie a Dio, uno di voi, si è degnato di rispondermi. E’ da mezz’ora che sto…”

Ma non potè completare, perché Rider partì a tavoletta, costringendolo non solo a reggersi, ma a fissarlo di stucco.

“Rider, che cavolo stai facendo?” gli domandò, mentre l’altro era impegnato nella guida, molto serio.

“Devo togliermi il dubbio, una volta per tutte!”

“Il dubbio di cosa? Hai letto il messaggio che ti ho mandato?”

“Anthony, Albert. Albert, Anthony: ecco quale dubbio! Perciò, adesso, noi andremo alla stazione di Rosewood e scopriremo la verità, osservando da più vicino la scena del crimine!”

E Sam, dopo aver deglutito, cercò di restare calmo: “Ok, lo sai che ho lasciato Chloe da sola con della carta stagnola in testa e un episodio di Game of Thrones?”

“Bene, per un’ora resterà impegnata!” esclamò, mentre l’altro rimase a fissarlo, scuotendo la testa, seccato.

All’entrata della stazione, i due stavano scendendo le scale. Durante il tragitto in macchina, si erano aggiornati su tutto.

Sam, allora, a dir poco isterico e terrorizzato per le notizie apprese, quasi inciampava: “Quindi tu e Nathaniel siete sicuri che il corpo nella bara è di Anthony? Lo sai che mi stai spaventando, vero? E che questa storia ci sta sfuggendo di mano, dal momento che la polizia arresterà un tizio che non c’entra assolutamente niente!”

Rider era ancora confuso, in merito a quella parte: “Ancora non capisco in base a cosa la polizia pensi che questa persona sia l’assassino!”

“Beh, la polizia non sa quello che sappiano noi. Non sa che Anthony ha ucciso sia Albert che suo padre e che ha usato Albert per farlo passare per lui. E io-io non riuscirei nemmeno a dormire, sapendo che il tizio che cattureranno, finirà in prigione da innocente!”

Rider si sentì in dovere di fargli una predica: “Forse sarebbe meglio che iniziassi a renderti utile, Sam. Hai un padre poliziotto, fingi di andarlo a trovare in centrale e buttati su qualche scrivania ad indagare. Cerca di scoprire chi è questo sospettato e quali dichiarazioni ha fatto la Signora Dimitri. – era indignato – DIO, solo Nathaniel ha avuto un briciolo di fegato in questo gruppo? E’ entrato dentro la stanza di un’obitorio, Sam. – sottolineò con enfasi - Con dei morti!”

L’altro cercò di giustificarsi: “HO PROVATO ad indagare! Mio padre non ha voluto dirmi niente, ero lì, in piedi con Chloe, e diceva che non era una storia adatta a noi e che la Signora Dimitri ha richiesto discrezione!”

“Te l’ho detto, devi intrufolarti in centrale!” suggerì nuovamente, Rider.

“E cosa dovrei dirgli se mi becca lì? – si innervosì, Sam – Ciao, Papà, d’un tratto mi sento Veronica Mars?”

Ma non ricevette risposta, solo un’occhiata, per poi voltarsi di fronte a sé: erano giunti all’interno della stazione, davanti ai binari. La stazione era al coperto, all’interno di un tunnel. Ma, soprattutto, non c’era anima viva.

“Dimenticavo quant’è inquietante la stazione di Rosewood a quest’ora…” rabbrividì, strofinandosi le braccia. Subito dopo, si accorse di non avere più di fianco Rider, voltandosi a cercarlo.

Quello, poco lontano, aveva la testa rivolta verso l’alto, osservando le telecamere, vicino alle luci, intermittenti, che illuminavano il pavimento della fermata, sul quale camminavano. Altre, invece, erano poste vicino alle colonne portanti.

“Che stai facendo?” gli domandò Sam, ora.

“Studio la direzione delle telecamere per trovare un punto cieco!” esclamò distrattamente.

L’altro lo fissò, stranito: “Un punto cosa?”

Finalmente, Rider si voltò verso di lui: “Un punto non coperto dalle telecamere… – allungò lo sguardo dietro Sam, indicandoglielo – Ecco, lì, ad esempio!”

E Sam si voltò a vederlo, mentre Rider si avvicinava a quel punto, continuando a parlare: “Anthony, mentre aspettava il treno, doveva essere per forza in piedi qui!” esclamò, inginocchiandosi ad osservare il pavimento da più vicino.

“Suppongo di sì o le telecamere avrebbero ripreso l’aggressione. – Sam si guardò attorno, sentendosi poco al sicuro, poi posò nuovamente il suo sguardo sull’amico – Ma che stai facendo?”

Quello stava toccando il pavimento, scuotendo la testa, perplesso: “Il pavimento è poroso e il referto medico riporta un cranio ripetutamente colpito. Solo che… - osservò attentamente quel pavimento - Dov’è il sangue? Anche se l’aggressore avesse provato a pulirlo, una traccia sarebbe comunque rimasta, nei piccoli fori…”

Una volta risollevato, Sam fece lui, un osservazione: “Hai appena parlato di aggressione…Inizi a credere anche tu che Anthony sia stato ucciso?”

“Ci sono delle prove, Sam. E il referto è una prova schiacciante, ma non capisco come la scena non sia stata contaminata. Insomma, questo posto non è mica a gravità zero, il sangue dovrà pur essere schizzato da qualche parte, no?”

Ad un purto morto, i due si guardarono attorno, sospirando per quel buco nell’acqua. Improvvisamente, si udì un suono molto basso.

Rider lo avvertì e alzò subito un dito davanti a Sam, in segno di non fare alcun fiato: “Shhhh!”

“Non ho detto una parola!” esclamò l’altro, a voce bassa, mentre l’altro attizzava le orecchie.

“Sembra lo squillo di un telefono e… - si voltò verso i tunnel – Proviene dal percorso del binario A…”

“Ok e quindi?” gli domandò Sam, vedendolo avvicinarsi al bordo, vicino alla linea gialla.

“E’ nel tunnel! Nel tunnel del binario A c’è un telefono!” esclamò, nuovamente, per poi scendere sopra il binario.

Sam spalancò la bocca, basito: “Ti prego, dimmi che non stai per entrare in quel tunnel spaventosamente buio!”

L’altro si dimostrò indifferente: “Sì, è quello che sto per fare!” e si voltò, iniziando a camminare lungo il binario, seguendo il suono, mentre Sam lo seguiva da sopra, cercando di fermarlo.

“E se passa un treno?”

Rider rispose senza nemmeno voltarsi, fisso su quella direzione: “Vedi qualcuno aspettare il treno? – un breve stacco e rispose per lui – No! Perciò continuo a camminare!”

Il suono, però, si interruppe. Rider si fermò e anche Sam.

“E’ cessato!” esclamò, quest’ultimo.

Rider, fissando a lungo il tunnel, chiese, poi, a Sam: “Chiama Anthony!”

“Cosa?” sussultò, l’altro.

“Prendi il telefono e fai uno squillo al numero di Anthony!” gli urlò.

Sam, sempre più atterrito, lo prese ed eseguì, tenendo il telefono sul palmo della mano per qualche secondo, fissando Rider.

Il suono, all’interno del tunnel, ricominciò. I due si voltarono per poi tornare a guardarsi, agghiacciati; Sam lo era molto di più, però.

“Rider, giuro su Dio che me ne sto andando!” esclamò, spaventato.

Ma quello riprese a camminare, incurante.

“RIDER!” gli urlò, Sam, rincorrendolo, sempre da sopra.

“Non me ne vado senza averlo preso!” fu chiaro.

L’altro mantenne un tono medio basso, nervoso, mentre cercava di fermarlo: “Ti rendi conto di cosa stai facendo? Stai per entrare dentro un tunnel buio per recuperare uno stupido telefono! – gli urlò contro, ancora – RIDER!”

Quello si bloccò, lansciandogli un’occhiataccia: “L’angoscia del non sapere è più forte della paura!” e ricominciò a camminare, addentrandosi nel tunnel, accendendo la torcia del suo telefono.

Per Sam, invece, la strada era finita e non poteva più seguirlo, se non scendendo anche lui.

“Rider? – provò a chiamarlo ancora, chinandosi in fuori, sul bordo – RIDER!” ma non rivette risposta.

Dopo aver tirato un sospiro furibondo ed essersi guardato intorno, roteò gli occhi, arrendendosi. A quel punto, scese sul binario anche lui, raggiungendolo di corsa.

Accendendo anche la torcia del suo telefono, arrivò alle spalle di Rider.

“Ehi, aspettami!”

Finalmente camminavano a pari passo, la luce puntata davanti a loro. Rider si voltò verso di lui, accennando un sorriso: “Hai acquistato un po’ di fegato, vedo.”

“E’ una follia, ma non potevo lasciarti entrare da solo!”

Tornati a guardare avanti, Sam digitò nuovamente il numero. Lo squillo riprese, erano vicini; tant’è che Rider, potè finalmente notare il telefono, illuminandolo con la torcia.

“Eccolo!” esclamò, avvicinandosi con Sam, velocemente. Si chinò a prendendolo.

Fu, poi, l’amico a prendere parola per primo: “E’ suo e sembra pulito e… - puntò la luce lì intorno – Niente cadaveri macabri o topi!”

Iniziarono ad osservare il telefono, quando, di colpo, vibrò, facendoli sobbalzare: era un messaggio.

Prima di aprirlo, i due si scambiarono una rapida occhiata, tesi.

“E’ un’immagine!” esclamò Rider, per poi aprirla.

Sam parve confuso, nel vederla: “Una tabella con degli orari?” cercando spiegazioni negli occhi dell’amico.

Binario A, ore 23.45,  - lesse – trasporto merci!” esclamò, sollevando lo sguardo dallo schermo, fissando Sam, che stava controllando l’orologio.

“Sono le 23.48!” riferì, mentre Rider guardava avanti, puntando la luce.

Anche i loro telefoni, ricevettero un messaggio.

“Ciuff, ciuff!”

-A

 

I due non ebbero nemmeno il tempo di reagire, che furono investiti da una luce abbagliante, il treno del trasporto merci spuntò a pochi passi da loro, facendo sgranare i loro occhi per la sorpresa.

“CORRIII!” gridò Rider, tirando Sam per la giacca, mentre tornavano indietro, correndo a più non posso. Il fracasso del treno copriva le loro voci, che si sentivano a malapena.

“Non ce la facciamo, non ce la facciamo!” urlò Sam, l’uscita era troppo lontana, il treno sempre più vicino, così decise di prendere l’iniziativa del loro salvataggio. Con entrambe le braccia, spinse Rider al lato del binario, spiaccicandolo contro la parete, poi fu il suo turno, quello di buttarsi dal lato opposto al suo.

Il treno passò, coprendo le loro urla per lo spavento. Per pochi millimetri, davvero ad un palmo dal loro naso, se la cavarono.

Tornato il silenzio, i due si fissarono, senza fiato, gli occhi fuori dalle orbite per l’adrenalina, inginocchiati  a terra. Non dissero una parola, in merito a quanto appena passato.

 

*

 

Un’ora dopo, a casa di Rider, i ragazzi furono raggiunti da Nathaniel ed Eric. Assieme a Sam, erano davanti al portatile di Rider, sulla scrivania, mentre lui stava rannicchiato sul letto con una tazza di thè fumante fra le mani e lo sguardo assente, fisso sulla parete.

“Ma sta bene?” bisbigliò Eric, riferendosi proprio a Rider.

“E’ traumatizzato e anche io. Per poco un treno merci non ci trasformava in tappetti umani! – fece una pausa, ancora cercava di metabolizzare quanto accaduto – Se quel tunnel fosse stato più stretto…Beh, non voglio neanche pensarci, non saremmo qui a parlarne, probabilmente.” esclamò Sam, fissandolo assieme ad Eric, mentre Nathaniel era impegnato a visionare i filmati, seduto, con loro, in piedi, ai lati.

“Quindi è tutto vero? A esiste e non è Anthony?” era ancora incredulo Eric, quando dodici ore prima, erano arrivati ad una conclusione ben diversa

A esiste e HA UCCISO, Anthony! – sottolineò, Sam -  A ha scambiato i corpi all’obitorio e, sempre A, ci ha fatto quasi ammazzare stasera!”

“E in tutto questo, la polizia sta per catturare qualcuno che in realtà non ha ucciso nessuno? – Eric non riusciva davvero a crederci – Dov’è il manicomio? – sussultò – Seriamente, qui sembra di stare ai confini della realtà!”

Nathaniel, finalmente, fece sentire la sua voce, attirando l’attenzione dei compagni: “Ascoltate, ho già visto il filmato di Martedì, Mercoledì e ora sto guardando quello di Giovedì. Aiutatemi, è l’ultima registrazione e ancora non si è visto niente. – quelli si avvicinarono meglio - Non scollate gli occhi!”

Dopo qualche minuto di calma piatta, nel filmato, i tre cercarono di non demordere.

“Lasciate perdere Mercoledì e Giovedì. Soffermatevi su Martedì! – Rider spuntò alle loro spalle, facendoli lievemente sobbalzare – In un caso del genere, la polizia avrà fatto pressioni al medico legale. Se A ha scambiato i corpi, l’ha fatto Martedì, subito, senza perdere tempo, o l’autopsia sarebbe stata fatta ad Albert e non ad Anthony.”

Nathaniel, rapido, tornò  sulle registrazioni di Martedì, mentre Eric si sincerava delle condizioni di Rider.

“Stai bene?”

“No, per niente. – aveva un’espressione avvilita, gli occhi lucidi – Cercavo di avere ragione e invece avevo torto e…ho quasi ucciso me e Sam per questo.  – si impuntò sulle registrazioni, determinato – Troviamo quel figlio di puttana!”

“E dopo? Che facciamo?” chiese Sam.

“Parleremo con tuo padre e lui sapra come aiutarci. Ci basta solo un volto, una prova e tutto si collegherà perfettamente alla nostra storia!”

Nathaniel si voltò, mentre il filmato continuava, intervenendo: “Se raccontiamo tutto, finiremo in galera. Siamo complici!”

“Siamo teenager! – esclamò con enfasi - Raccontiamo bugie ogni giorno ai nostri genitori e alle persone che ci circondano. E’ il nostro pane quotidiano, siamo abili in questo. Quando saremo sotto interrogatorio, ci basterà aggiustare la verità in modo che ci danneggi il meno possibile. – si voltò verso l’amico - E tuo padre, Sam, ci aiuterà ad aggiustarla, perché è un poliziotto, che sa come muoversi in queste cose, e perché è tuo padre e non vorrà perderti.”

E quello abbassò lo sguardo, pensando alla vergogna che avrebbe provato nel raccontare a suo padre a cosa aveva preso parte.

Qualche minuto più tardi, concentrati a scorgere qualcosa, nulla si decideva a comparire.

“Io mi rifiuto!” sbuffò Nathaniel.

“Torna indietro!” esclamò Rider, invece, come se avesse notato qualcosa. Naturalmente, mentre quello eseguiva, Sam ed Eric spostarono lo sguardo tra lui e lo schermo, con il fiato sospeso.

“L’infermiera!” esclamò, concentrando l’attenzione dei presenti su di lei, che era appena passata davanti alla porta dell’obitorio.

“Che ha che non va, l’infermiera? E’ solo passata davanti alla porta!” pensò Sam, non trovando nulla di insolito.

Rider si affrettò a dare una risposta: “E’ passata cinque volte davanti alla porta, ad intervalli regolari di otto minuti. Da destra a sinistra, senza mai tornare indietro.”

Anche Sam ed Eric lo trovarono strano, ora che Rider glielo aveva appena fatto notare.

“Ehm, ci sono due ascensori nel piano. Uno nell’ala est e uno nell’ala ovest. Avrà fatto il giro!” aggiunse Nathaniel, giustificando la scena.

Rider, allora, si chinò in avanti, fermando il video, nel momento esatto in cui l’infermiera passa davanti alla porta.

“Guardate! Ogni volta che passa, ha sempre il telefono nella mano destra. Stessa espressione, stessa camminata, poi guarda un attimo a terra e risolleva lo sguardo. – andò avanti di otto minuti – Di nuovo: telefono nella mano destra, stessa espressione, guarda giù e continua a camminare. Ogni otto minuti, per cinque volte, è tutto uguale!”

I ragazzi se ne convinsero, a quel punto. Anche Nathaniel.

Eric commentò a bruciapelo, impressionato: “Ha montato lo stesso pezzo per cinque volte. – riflettè, poi - Saranno almeno 40 minuti!”

“E 40 minuti sono più che sufficienti per scambiare due corpi, alle 3.25 del mattino!” aggiunse Nathaniel.

Sam era incredulo: “Quindi non abbiamo nessun volto? La polizia non troverà mai questa persona!”

“Non importa! – esclamò, Rider, per poi rivolgersi all’altro amico – Nathaniel, prendi il portatile, lo portiamo al padre di Sam e glielo mostriamo.”

“Prima, però, dobbiamo raccontargli tutto.” non dimenticò, Eric.

“Ovvio!” esclamò Sam, mentre si scambiavano tutti uno sguardo di coesione. Nathaniel chiuse il portatile e si alzò, avviandosi assieme agli altri, uscendo dalla stanza, silenziosamente.

 

*

 

Parcheggiati davanti all’abitazione di Sam, tutti si tolsero la cintura di sicurezza, pronti a scendere.

Rider volle accertarsi di una cosa, prima di entrare, rivolgendosi proprio a Sam: “Chloe è ancora a casa tua?”

“No, è tornata a casa sua, dopo avermi mandato un messaggio con venti faccine arrabbiate per averla lasciata da sola.”

Aprirono le portiere, pronti a scendere, ma l’arrivo di un nuovo messaggio, dovette fermarli. I quattro ragazzi si lanciarono nuovamente l’ennesima occhiata fra loro, prima di aprirlo.

“E’ di A!” anticipò, Eric.

“Pensate di avere la verità in tasca e di poterla manipolare? Fate una sosta qui, prima della prossima tappa.”

-A

 

Subito dopo, comparve un immagine: un computer, poggiato sul banco centrale di un’aula.

 

“Ma è la nostra classe, quella!” la riconobbe, Nathaniel.

“Ho imparato la lezione, grazie. Ho chiuso con i posti bui!” si riufiuto Rider, mettendo le mani in avanti.

“Ma non lo capite? A ci ha sentiti e ci sta dicendo che se faremo un altro passo, avrà anche lui qualcosa da dire! Ragazzi, ho fin troppi guai per averne altri!” gridò, esageratamente.

Tutti lo fissarono, non riuscivano a seguirlo e quello si rese conto di aver parlato a sproposito, riferendosi ai suoi problemi personali, che non loro non potevano conoscere, abbassando lo sguardo, calmandosi, sperando di non ricevere domande in merito.

“Quali altri guai avresti, scusa, a parte quelli con noi?” chiese, Sam, non risparmiando quella domanda.

Rider, intanto, stava riflettendo su altro, dimenticandosi di ciò che aveva detto Eric, ancora fissato dagli altri due, in attesa di una risposta: “Ragazzi!”

Quelli si voltarono verso di lui, anche Eric, che risollevò lo sguardo.

“Se A – abbassò la voce a quasi un bisbiglio - ha sentito quello che abbiamo detto, significa che…”

“Oh mio Dio, - reagì Sam, sempre a toni bassi, gli occhi sbarrati – era in casa tua?”

Rider scosse la testa: “No, il sistema d’allarme era attivo, non può conoscere la password per disattivarlo.”

Subito dopo, si apprestò a tirare fuori qualcosa dalla giacca: il telefono di Anthony.

Fissando ognuno dei suoi compagni, Rider indicò il telefono con il dito, arrivando a comunicare con il labiale: “E’ qui! – poi si mise il dito davanti alla bocca – shhh – si diresse, infine, verso la macchina, tornando a parlare normalmente, con un tono da recita – Bene, ragazzi, andiamo a scuola e vediamo di cosa si tratta!”

Gli altri rimasero come imbambolati, per qualche secondo, prima di rientrare in macchina. Non dissero una parola per tutto il tragitto, scoperto che A li ascoltava in qualche modo, attraverso il telefono di Anthony.

 

*

 

Giunti a scuola, i ragazzi scesero dall’auto, avvicinandosi alle gradinate, mentre si guardavano attorno.

“Forse possiamo entrare dalla palestra, c’è una porta, ma dovremo snellirci, di notte è incatenata e si apre di poco!”

Mentre ragionavano sul come entrare, Eric salì le gradinate, con lo sguardo fisso sulla porta d’entrata. Con un dito, osservato dagli amici, fece pressione sulla gigantesca porta, che si mosse leggermente verso l’interno, scricchiolando.

“E’ aperta. – si voltò – Ragazzi, è aperta!”

Quelli si scambiarono una rapida occhiata.

“Era ovvio! – esclamò, Rider, ironicamente – A ci tiene molto a mostrarci il suo stupido portatile!”

“L’hai lasciato in macchina, vero?” gli domandò Nathaniel.

“Il telefono di Anthony? Certo!” rispose l’altro.

Sam guardò l’orologio, notificando ai suoi amici: “Mio padre si sveglierà fra due ore e se non mi trova in casa, darà di matto. Sbrighiamoci!”

E salirono.

Percorsero, subito dopo, i corridoio dell’istituto, con accese le torce del telefono. Rider ed Eric camminavano più avanti, mentre Nathaniel e Sam erano più dietro. Tutti e quattro mantenevano lo sguardo vigile, mentre raggiungevano l’aula.

Sam, d’un tratto, ebbe un attimo ti panico, fermandosi. Solo Nathaniel se ne accorse, fermandosi anche lui.

“Ehi, che ti prende?”

“Ho paura!” esclamò, preoccupato, guardandolo negli occhi.

L’altro accenno un sorriso, quasi rassicurante: “Sam, non ci sono binari ferroviari nei corridoi della nostra scuola. Andrà tutto bene. Qui dentro siamo quattro contro uno, non può farci niente!”

Sam finse un sorriso, ancora impaurito: “Sai, prima Rider è completamente crollato a casa sua, quando in quel tunnel era stato COSI’ coraggioso, mentre io non volevo entrarci, perché ne ero talmente terrorizzato. Eppure, sarei dovuto crollare io per primo, perché ero io quello che aveva paura.”

“Che stai cercando di dirmi?”

“Se dici di essere coraggioso, non è detto che tu lo sia. Ora, sei così sicuro di te, ma non sai cosa sia la paura vera, finchè non la vivi!”

“Alcune persone vivono la paura ogni giorno, Sam. Che sia di morire o, addirittura, di vivere. Fidati, sono sicuro di essere coraggioso e – sorrise – sapere che lo sei stato anche tu, in quel tunnel, salvando la vita a Rider, mi rende ancora più coraggioso. – poi lo prese per un braccio, costringendolo a camminare di nuovo – E ora andiamo. Sono Mister Muscolo, ricordi? Non c’è niente da temere con me!”

E finalmente, un piccolo sorriso, spuntò sul volto di Sam, che sentiva Nathaniel stringergli il braccio, toccarlo. Fu in quell’istante che la paura, finalmente, sembrò abbandonarlo temporaneamente. Non si era mai sentito così al sicuro, mentre lo osservava con occhiate rapide, arrossendo. Lui non se ne accorse, naturalmente.

Arrivati alla soglia della porta, si fermarono ognuno dietro l’altro, per poi entrare, lanciandosi delle occhiate, nel vedere un portatile accesso, poggiato sul banco centrale dell’aula.

Si avvicinarono, lentamente.

“Quello è il banco di Albert!” lo riconobbe, Nathaniel.

“Già!” esclamò Sam.

E ormai ci erano davanti: il desktop era completamente privo di cartelle, o quasi.

“Aspettate un secondo… - Eric osservò meglio il portatile – Questo è di Anthony!”

“Potrebbe essere, - Rider fece mente locale - quella notte ho seguito Anthony in camera sua e lo stava mettendo nel borsone. A possiede tutta la roba che si è portato dietro per lasciare Rosewood!”

Nathaniel fu il primo a mettere le mani sul portatile, muovendo la freccia verso un’unica cartella, posta al centro del desktop: “Ha cancellato tutto, sembra. Ha lasciato solo questa cartella, rinominata come La mia verità!”

Prima di aprirla, si guardarono tra loro. Entrati nella cartella, c’era un filmato, che Nathaniel avviò.

I primi minuti, mostravano l’incidente con Albert e loro cinque che lo caricavano in auto, subito dopo, quella notte.

Nathaniel: “Ok, mettiamo che tutto fili come dici tu, ma come la mettiamo con Albert? Qualcuno si accorgerà che è scomparso!”

Rider: “E troveranno il suo sangue sulla mia auto e a quel punto io andrò in galera, mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con addosso una ghirlanda di fiori!”

Anthony: “Metti l’auto nel tuo garage, lavala con il tubo e il sangue verrà via. I tuoi torneranno Mercoledì, no? Più tardi ti darò il numero dell’autofficina di un mio amico, và da lui e tutto tornerà come nuovo. Per quanto riguarda Albert, non c’è niente che ci collega a lui e il suo telefono me lo porterò via con me”

A bocca aperta, non riuscendo nemmeno ad aggiungere una parola, i ragazzi proseguirono con il video, che mostrava loro, a casa Dimitri, ripresi da dietro una finestra, mentre Anthony versava la benzina sui corpi.

Anthony: “Fortuna che Rider è un tipo previdente e ha sempre della benzina di riserva!”

Rider: “Possiamo fare in fretta, per favore? Non ce la faccio più!”

Nathaniel: “Già, facciamola finita, Anthony! Muoviti!”

Terminato il filmato, fu Eric a trovare le parole per primo, mentre avevano tutti lo sguardo fisso sullo schermo, sconvolto: “A ci ha seguiti dal momento in cui abbiamo investito Albert.”

“Siamo nella merda, ragazzi. Questa è chiaramente una minaccia!” la trovò palese, Nathaniel.

“Nemmeno mio padre può aiutarci, non con una prova così schiacciante. – Sam andò nel panico, come suo solito – Ci daranno l’ergastolo come minimo!”

“Non esagerare, ha fatto tutto Anthony!” cercò di minimizzare Eric, nonostante fosse spaventato: tutti lo erano.

“Sì, ma siamo ugualmente complici di un doppio omicidio, - aggiunse Rider - la polizia la vedrà in questo modo! Se non ci danno l’ergastolo, usciremo di galera nel 2080, se siamo fortunati!”

E fu in quell’istante che andarono tutti quanti nel panico; chi faticava a respirare bene, chi si metteva le mani nei capelli e chi rimaneva immobile a fissare vari punti del pavimento o delle pareti, con gli occhi sgranati, il volto pallido.

La comparsa di un messaggio, sullo schermo del portatile, costrinse i quattro ragazzi a voltarsi nuovamente verso di esso.

 

“Visto, stronzetti? La verità non può essere manipolata, ma…può sempre rimanere nascosta!”

-A

Anche questo nuovo messaggio, portò l’ennesima ventata di confusione.

“Che-che vuol dire questo? – indicò, Sam, lo schermo del pc con il braccio, tremante – Che non ha intenzione di mostrare questo filmato alla polizia?

Intervenne Eric, di seguito: “Ora che ci penso, sono passati quasi quattro giorni e A ha questo filmato da quattro giorni. Avrebbe potuto mandarlo dall’inizio. Perché non l’avrà fatto secondo voi?”

“Se non vuole denunciarci, che intende fare? Che c’è di peggio della galera?” pensò Nathaniel, guardandosi confuso con gli altri.

“Ha scambiato i corpi, no? Questo vuol dire che ha un progetto, non vuole denunciarci. Credo che A voglia… - fissò ognuno di loro, Rider, agghiacciandoli - qualcosa di più!”

 

SCENA FINALE

A si era appena seduto davanti alla sua scrivania, di legno, molto mondana. indossava una felpa nera, il cappuccio sulla testa, i guanti di pelle nera; in mano, una tazza fumante di caffè, semplicemente bianca, che appoggiò sulla superficie. Sopra vi erano poggiate diverse cose, tra cui un portatile, lo zaino di Eric sporco di terra, quello che aveva dimenticato nel boschetto, e alcuni volantini con il volto di Albert sopra. La parete dietro alla scrivania, invece, era di metallo, con dei tubi che si intravedevano più alto, che gocciolavano. Attaccata ad essa, altre foto di Albert, in momenti diversi della sua vita, raggruppate tutte nel lato destro. Nel lato sinistro, le foto di Nathaniel, Sam, Rider ed Eric, fuori dalla chiesa di Rosewood, altre di Eric che si disfava degli abiti di Anthony, altre di Sam e Rider alla stazione e, naturalmente, le foto di quella notte: quella l’omicidio.

Improvvisamente, su quella scrivania, A poggiò una telecamera, che altro non era che quella utilizzata da Anthony per girare il video assieme ai suoi amici, dove aveva parlato male di parecchi studenti della scuola. Attaccato un cavo, passò il video sul PC, che era aperto sulla pagina della scuola.

Dopo aver digitato qualche tasto, A aveva caricato quel video e, ora, chiunque poteva visualizzarlo…

 

CONTINUA NEL QUARTO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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