CAPITOLO
TRE
“After the Crimes, After
We’ve Lied”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD:
Albert
affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.
Anthony
costringe i suoi amici a girare un video sugli
sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è
nascosto dietro la
porta.
Subito
dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno
che si firma A e che minaccia di
smascherarlo su qualcosa.
Ognuno
dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La
sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric
viene
accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in
nessuna di
quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare;
Nathaniel
riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per
suo padre;
Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per
Nathaniel. Anthony sembra
conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero
gruppo, secondo Chloe,
la migliore amica di Sam.
Il
padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal
preside, a cui, probabilmente, è stato notificato
l’atto di bullismo in mensa.
E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da
Rider e Nathaniel.
Tornato
a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato
il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli
ha inviato la
minaccia a scuola: A.
Furibondo,
ha una violenta lite con il padre e finisce
per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.
Preso
dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici,
che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony,
apparentemente
tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e
costringe i
compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un
rapimento a
seguito di un furto in casa.
Diretti
alla stazione di Rosewood, Albert spunta,
improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo
investe. Scesi
tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony
trova il suo cellulare,
confermando la sua teoria: Albert era la A
che l’ha minacciato.
Mentre
il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta
accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di
portare
il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre,
per poi
bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata
più credibile e la
polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.
Aggiustata
la scena del crimine, i ragazzi accompagnano
nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a
sparire per
sempre.
Tre
giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la
polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al
funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene
assassinato…
~
AND
NOW...
In piedi, fuori
dalla
chiesa di Rosewood, i quattro ragazzi tenevano ancora fra le mani i
loro
telefoni, cercando di capire cosa stesse accadendo.
“Chi
diavolo è questa A?
E’ già la seconda volta che ne sento
parlare!” si innervosì Nathaniel, turbato,
cercando una risposta negli occhi
dei suoi compagni.
Rider si
affrettò a far
presente loro, un avvenimento di cui non erano a conoscienza:
“A ha scritto un messaggio
ad Anthony il
giorno in cui abbiamo girato quel filmato a scuola, non appena abbiamo
lasciato
l’aula. Ero con lui. Diceva che lo avrebbe
smascherato!”
Sam
fissò ognuno di loro,
confuso: “Smascherare cosa, esattamente?” e Rider
sollevò le spalle, non lo
sapeva.
Eric,
però, aveva altre
perplessità: “Un secondo, Anthony ha frugato negli
abiti di Albert, quella
notte, e ha tirato fuori il suo cellulare, scoprendo che era stato
proprio lui a
mandargli il messaggio, perciò…”
“Perciò,
cosa?” ribattè
Nathaniel, odiando quella suspence.
Fu Rider,
però, a mettere
in chiaro le cose: “Quello che sta cercando di dire Eric
è che A è
Albert, ma lui è morto e a noi è
appena arrivato un messaggio di A.”
Sam stava a dir
poco
impazzendo, ora, ma cercava di mantenere un contegno, di fronte alle
persone
che stavano lasciando la chiesa: “Ok, a meno che Albert non
sia magicamente resuscitato
come un personaggio di The vampire diaries
per mandarci questo video e il conseguente messaggio,
cosa diavolo significa tutto questo?”
“Mi
sembra chiaro, si tratta di due A!
Una era Albert e quest’altra…Beh,
forse, è un suo amico!” pensò
Nathaniel, in piedi accanto a lui, trovandolo
ovvio.
“Chiunque
sia, non ha ricavato
questo pseudonimo dal nulla. Avrà iniziato questo scherzo
con Albert!” suppose,
Sam.
Nathaniel
sussultò: “Uno
scherzo? – lo trovò un pessimo eufemismo -
Ragazzi, Anthony è stato assassinato!”
Sam, allora,
fece un
cattivo pensiero, per niente tranquillo: “Forse era
psicopatico! E lo è anche
questo suo amico segreto…insomma, è risaputo che
quelli come Albert sono come
tacchini del ringraziamento che si riempiono di cattiverie e
umiliazioni nel
corso della vita per poi uscire dal forno sottoforma di serial killer e
sociopatici!”
“Oppure
il vero psicopatico,
qui, è Anthony! – Rider attirò la loro
attenzione, trovando ridicole le loro
supposizioni – Ma dai, che razza di amicizie pensate che
Albert frequentasse? E
stiamo parlando dell’inetto-Albert, quello che a scuola
sedeva in mensa con
altre sedie!”
Nathaniel non
capì: “Cioè?
Spiegati!”
“Avete
visto come si è
comportato Anthony, quella notte, no? Prima diceva di aver ucciso il
padre, poi
che era stata legittima difesa, confondendosi. Mette in disordine la
casa per
fingere l’irruzione di qualche ladruncolo, poi investe un
ragazzo e, anziché
andare nel panico per il suo secondo omicidio della giornata, cosa fa?
Pianifica
un’altra scena del crimine? Decisamente psicopatico!
– aveva ormai coinvolto i
suoi amici, in quel ragionamento – Per non parlare del video
che ci è appena
arrivato…Avanti, avete davvero creduto a quei finti versi di
soffocamento o
qualunque cosa fosse? E’ tutta una montatura, è
palese! Albert non ha nessun
amico serial killer – anzi,
correggo –
non ha amici in generale! E’ stato assurdo anche solo
persarlo. – rise - Parliamo
di qualcuno che, abilmente, è riuscito a scambia due corpi,
svalcando ogni tipo
di sistema: una cosa totalmente impossibile!”
“Questo
vorrebbe dire che
qualcuno ha aiutato Anthony: nel video c’è una
seconda persona, anche se non si
vede. Non è un po’ assurdo?”
pensò Nathaniel.
“Beh,
Anthony è una persona
assai influente, ha sempre saputo come manipolare le persone per
aiutarlo. E
poi, chi di noi lo conosceva veramente? – fissò i
suoi compagni – Io non l’ho
mai frequentato fuori dall’ambiente scolastico, eccetto
qualche volta. Chissà
che gente frequentava o che razza di vita aveva! Ha sicuramente
contattato
qualcuno dopo che ce ne siamo andati e quel qualcuno l’ha
aiutato a girare il
suo video da premio Oscar, prima di lasciare Rosewood e i suoi problemi
per sempre!”
Cominciarono a
scendere le
gradinate della chiesa, mentre Sam continuava a parlare con toni bassi
e ancora
perlessi: “Io non capisco,
allora…Perché Anthony avrebbe dovuto montare una
recita
del genere? Mandarci questo video falso.”
Rider
marcò la risposta, a
braccia conserte e sguardo acceso: “Perché non si
fida di noi! E ora vuole
farci credere che è morto, così da tenere la
bocca chiusa per sempre!”
“Questa
è follia! Pensava che
saremmo stati vittima di una lobotomia, dopo aver visto qualcuno
ucciderlo in
video? Anche un bambino di otto anni denuncerebbe una cosa simile al
volo!”
commentò Nathaniel, andando contro l’opinione di
Rider.
Eric, convinto
dalla teoria
di Rider, invece, cercò di convincere Nathaniel e anche Sam:
“Rispondi, allora:
Andresti mai alla polizia a raccontare che qualcuno ha ucciso il tuo
amico,
senza raccontare anche che con lui hai investito un ragazzo,
l’hai caricato nel
bagagliaio e trascinato accanto al cadavere di suo padre per poi
accendere un
fuocherello?”
Il silenzio di
Nathaniel,
rispondeva da sé; ciò non tolse che aveva ancora
molti dubbi.
Vicini alla
macchina di Rider,
fu proprio quest’ultimo a prendere nuovamente parola:
“Ascoltate, Anthony ha
avuto quello voleva e ci ha lasciato il suo ultimo, epico e bizzarro
regalo d’addio.
Sono passati tre giorni, ormai, e non siamo nei guai. E’
finita! Andiamo avanti
con le nostre vite, io ne ho già abbastanza!”
Quello, poi,
aprì la
portiera, pronto ad andarsene. Ormai la folla di persone davanti alla
chiesa si
era totalmente dileguata.
Sam lo
fermò, però, ancora
troppo insicuro: “E se non avessi ragione? E se quello nella
bara fosse davvero
Anthony e questa A ha scambiato i
corpi per spaventarci? Siamo in gioco,
stronzetti
: non mi sembra una frase che miri ad una conclusione!”
L’altro
sembrava assai
indisposto ad ascoltare altro; aveva già la sua teoria,
ormai: “Non
scoperchierò una bara per capire se un pezzo di carbone
è Anthony o Albert. E
di A non me ne frega niente,
perché
è Anthony, ragazzi! Lui ci ha mandato il video e il
messaggio, non
l’immaginario amico fuori di testa di Albert che vuole fare
giustizia!”
Lentamente, il
gruppo
sembrò convincersi del tutto, dopo essersi scambiato una
rapida occhiata.
“Spero
che tu ed Eric abbiate ragione. Perché
se il video e il messaggio non ci sono stati mandati da Anthony, allora
avremmo
un bel problema!” concluse Nathaniel, mentre si
allontanavano, prendendo ognuno
la propria auto.
In
quell’esatto istante, Chloe
passò a prendere Sam, dopo aver recuperato la sua auto.
Quando se ne andarono
tutti, anche un’altra macchina, dai vetri oscurati, che fino
a poco prima era
rimasta parcheggiata, partì.
*
Erano le quattro
di
pomeriggio, mentre Rider sedeva davanti al tavolo della cucina, su uno
sgabello.
Di fronte a sé, il suo PC, intento a scorrere la bacheca dei
vari messaggi
postati dagli studenti della scuola di Rosewood. Molti di essi
riguardavano
Albert Pascali e la sua scomparsa, dichiarata qualche giorno prima.
C’erano
addirittura foto con le dediche. Ogni messaggio che leggeva, si
rifletteva sui
suoi occhi, lucidi, assieme alla luce dello schermo.
“Sappiamo perché te ne sei
andato… - si soffermò su uno di essi,
leggendolo a voce – Lo stronzo
è morto,
torna a casa! ”
“Possiamo essere amici…”
“Non sarai più solo! ”
Quello che lesse
subito
dopo, però, lo costrinse a raddrizzarsi con la schiena e a
sgranare un po’ gli
occhi: “Morite,
stronzetti!”
Scese in basso
con lo
sguardo per leggere chi l’aveva postato.
“…Anonimo.”
A quel punto
deglutì,
cercando di rilassarsi. Pensò che chiunque avrebbe potuto
scriverlo, data la
situazione.
Improvvisamente,
squillò il
telefono, facendolo sobbalzare: era Sam.
“Ehi,
Sam!” rispose.
“Stai
leggendo anche tu i
commenti?” chiese con la voce rotta, come di chi aveva pianto.
“Certo…
- pensava che
fossero il colmo – E trovo incredibile quanto la gente sia
ipocrita e falsa.
Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa gli
passava
davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede
l’elemosina e
adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono
dediche…”
“Ci
sono commenti anche su
Anthony…e anche qualcuno su di noi.”
“Beh,
la morte non
ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del
diavolo!”
Sam fece una
pausa, prima
di riprendere parola: “Ho pianto per quasi venti minuti, dopo
essere tornato a
casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere
liberi e felici, dopo
l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente
libero né felice. Penso ad Albert
e a come l’abbiamo messo nel bagagliaio, buttandolo
lì dentro come si butta una
busta della spazzatura. Mi rivedo nella mente e mi chiedo a cosa
diavolo stessi
pensando in quel momento, quando ho fatto quelle cose con
Anthony.”
Rider
deglutì a fatica,
sentendosi strozzare, rosso in viso, ripercorrendo quella notte.
Condivise
perfettamente le sensazioni dell’amico: “Lo stesso
vale per me. E’ come se
quella notte, qualcosa si fosse impossessato di me per eseguire ogni
richiesta
di Anthony. Senza ragionare, senza pensare a quel povero
ragazzo… - una nota di
pentimento nella voce - Potevamo ribellarci, chiamare qualcuno e,
invece, no.
Volevo solo tornare a casa…”
“Mi
sento in colpa come se
l’avessi ucciso io e non riesco a respirare ogni volta che
incrocio mio padre
per casa con la sua divisa e il suo distintivo e tutti i valori che ha
racchiuso lì dentro.” aggiunse
Sam.
“Beh,
dobbiamo trovare il
modo di superare la cosa. Non possiamo fare altro, Sam. Domani
torneremo a
scuola e Dio solo sa cosa dovremmo affrontare, ma passerà.
Non saremo per
sempre gli amici del mostro.”
Sentì
un rumore provenire
dal piano di sopra, qualcuno stava scendendo le scale.
“Ascolta,
Sam, ora devo
chiudere. Spegni il computer e riposati un pò. Ci
sentiamo!”
“Ok!”
concluse anche Sam, chiudendo.
Alle spalle di
Rider,
arrivò sua madre, Ellen Stuart, una donna elegante,
all’apparenza, con indosso
un cappotto nero e la ventiquattrore stretta
alla mano destra. Stava per uscire.
“Ehi,
com’è stato il
funerale? – gli diede una bacio sulla testa – Stai
bene?”
Tirò
un sospiro, fingendo
un sorriso: “Sto bene, Mamma. Starò
bene!”
“Tesoro,
non cercare di
essere forte. Hai perso un amico, è più che
comprensibile che tu soffra.” si
soffermò, lei, a controllare le sue condizioni.
Improvvisamente,
anche
Lindsay entrò in cucina, dirigendosi verso il frigo.
Lo
aprì, prendendo un
piattino con sopra una fetta di torta, ignorando completamente i
presenti.
Ellen,
voltandosi, la
ammonì: “Ehi, che stai cercando di fare?”
L’altra
girovagò con lo
sguardo, stranita per quella domanda: “Ehm, sto per mangiare
questa fetta di
torta, madre?”
“Quella
è per tuo fratello,
oggi ha seppellito un suo caro amico, sii gentile per una
volta!”
“Ah,
è così? – si infuriò,
lei - Però quando è morta la mia amica di penna
in Australia non ho trovato
l’ultima fetta di torta in frigo con sopra il mio
nome!”
Ellen, allora,
le si
avvicinò e le prese di mano il piattino: “Sei la
maggiore, cerca di comportarti
come tale! Abbi un minimo di rispetto.”
E quella rimase
a braccia
conserte, poggiata al frigo, tenendo il musone, la testa rivolta da
un’altra
parte, mentre la madre poggiava il piatto vicino al portatile di Rider.
Gli prese il
mento, poi,
premurosa: “Tesoro, mangia un pò, ok? E prenditi
una pausa dallo studio, hai
già fin troppe‘ A’
sul tuo curriculum
scolastico!”
Poi si
voltò verso la
figlia, tornando seria in viso.
“TU!
Porta Toby allo
studio, verso le sei, intesi?
L’altra
reagì male,
incredula: “Cosa? Perché io?” ricevendo
immediatamente un’occhiataccia, che la
costrinse a sbuffare.
“A
proposito, come sta
Toby?” chiese Rider, preoccupato.
“Credo
si sia slogato la
zampa, lo visiterò meglio. – fece un commento -
Sapevamo quant’era vivace,
quando l’abbiamo preso in casa nostra. – si
voltò verso Lindsay, poi – Non
mancare!” e uscì dalla porta sul retro della
cucina, facendo un ultimo sorriso
al figlio.
Rider
tornò a fissare la
sorella, che lo stava già fissando prima che lui incontrasse
i suoi occhi.
Scuoteva la testa, un sorriso cinico.
“Puoi
anche smetterla con
la recita della tristezza, fratellino. TUTTI possiamo finirla con
questa
recita, ora che Anthony è morto. Mi fissava come se fossi
una sgualdrina, ogni
volta che mi salutava per i corridoi, e io dovevo fare sempre la
carina, affinchè
non dicesse in giro ciò che sapeva di me. Dovresti essere
contento anche tu,
ora che non dovrai più essere suo amico per mantenere il mio
segreto. Era un
pessimo soggetto e nessuno piangerà sulla sua
tomba!”
Rider rimase in
silenzio,
anche se dentro di sé voleva dirgliene quattro su
ciò che pensava di lei e il
suo professore. Lindsay, poi, si avvicinò a lui.
“E
questa… - prese il
piattino con sopra la fetta di torta, una smorfia perfida sul viso
– la prendo
io, per festeggiare!” e lasciò la stanza, seguita
dallo sguardo irritato del
fratello, furioso con sé stesso per non averla messa al suo
posto.
*
Seduto su uno
dei divanetti
del Brew, anche Eric stava leggendo i commenti sulla pagina della
scuola. Ad un
certo punto, non ne potè più di leggere e chiuse
il portatile, sospirando
e mettendosi più comodo sul
divanetto, nel tentativo di scaricare la tensione. Osservava le persone
che
entravano e uscivano per un caffè o una ciambella, annoiato,
finchè ad un certo
punto non notò la barista, mai vista prima. Intuendo fosse
nuova, si alzò e
decise di avvicinarsi al bancone, ma non prima di essersi voltato verso
le
porte vetrate del locale, nelle quali si riflettè. Il suo
primo istinto fu
quello di aggiustarsi i capelli e la mano si portò quasi da
sola fino alla
testa. Eric, però, la fermò di colpo, poco prima
di arrivare a toccarseli,
fissandosi a lungo. Tornò, poi, ad avviarsi verso il bancone
e comprese che non
aveva bisogno di sistemarsi. Che non doveva essere come Anthony gli
aveva insegnato
ad essere.
“Salve,
cosa le posso
dare?” domandò la ragazza, dietro al bancone,
notando Eric lì davanti. Aveva la
carnagione chiara, dei lunghi capelli neri, raccolti a coda di cavallo,
ma con
due ciuffetti che cadevano ai lati del viso. Si intravedevano anche
delle ciocche
azzurre, che si abbinavano perfettamente con i suoi occhi.
Cadendo dalle
nuvole,
quello abbassò gli occhi sulla vetrinetta: “Ehm,
vediamo, queste due focaccine
sulla destra. Da portar via!
Quella
eseguì, gentile, facendo,
però, fatica a prenderle, dal momento che le cadevano in
continuazione. Ad un
certo punto, se ne imbarazzò, diventando rossa.
Eric non
potè che lasciarsi
sfuggire una risata: “Puoi prenderle con le mani, se vuoi.
Sempre che tu non le
abbia messe nel posto meno igienico della terra!”
L’altra,
sempre più
imbarazzata, rise a sua volta per sdrammatizzare la sua figuraccia:
“Scusa, che
imbranata, non le so usare queste grosse pinze… -
riflettè, guardandole meglio
- Sempre che si chiamino così! E comunque, no, le mie mani
non sono mai state
nel posto meno igienico della terra!”
Eric
annuì, sfumando la
risata in un accenno di sorriso: “Buono a sapersi
e…Francamente non ho idea di
come si chiamino quelle grosse pinze con cui si prende il cibo. Magari
si
chiamano proprio così, alla fine. Insomma, se le avessi
inventate io le avrei
chiamate pinze o grosse pinze!”
“Sì,
anche io. Grosse pinze
è proprio da me; praticamente io VIVO di cose banali! Sono
la banalità fatta a
persona. Sono quella che chiamerebbe il proprio figlio con il nome di
un pazzo
serial killer letto sulla prima pagina del giornale, senza sapere che
è il nome
di un pazzo serial killer!”
scherzò lei,
mentre stava già incartando le focaccine.
“Beh,
pare che i nomi dei
serial killer siano parecchio carini. – quello
azzardò una domanda - Non sei
incinta, vero?”
Quella
sgranò gli occhi:
“Io? NO! No no, assolutamente no! Come minimo tra dieci anni
e mezzo!”
Eric
sollevò le
sopracciglia, lasciandosi scappare un’altra risata:
“Non so cosa c’entri il
mezzo, ma aspettare dieci anni è più che giusto.
Nemmeno io voglio essere padre
così presto, sono ancora un moccioso!”
L’altra,
consegnandogli le
focaccine, scoppiò a ridere: “Ok, moccioso!
– sfumò in un accenno di sorriso,
restando impalata - Ma come siamo passati dalle pinze giganti al
progettare la
data di nascità dei nostri futuri figli?”
Ne era stupido
anche lui,
ma seppe trovare una risposta adeguata: “Benvenuta nel mondo
delle conversazioni
tra estranei, che, pur di chiecchierare, parlebbero di qualsiasi
argomento.”
Ad un certo
punto, però, la
ragazza dovette sottrarsi dalla piacevole conversazione. Questo,
perché fissata
dal suo capo, a distanza: “Beh, credo che rimarremo due
estranei, - si allacciò
meglio il grambiule per poi passare uno straccio sul bancone -
perché devo
tornare a lavoro o il mio capo intensificherà ancora di
più le sue occhiatacce!”
Eric si
voltò a guardarlo:
“Rilassati, ora non ti sta guardando più.
– si voltò nuovamente verso di lei –
Sei nuova, vero? Non ti avevo mai vista qui al Brew!”
Nonostante non
fosse più
osservata, continuò a muoversi: “Cosa mi ha
tradita? Il fatto che non sappia
usare delle grosse pinze o che mi preoccupo delle occhiatacce del capo?”
“Le
occhiatacce del capo:
senza dubbio! Quando sei nuovo, ti preoccupi sempre che il capo non ti
veda
commettere errori, poi, con il passare del tempo, te ne freghi sempre
meno.”
L’altra
dovette congedarlo:
“Ed è per questo che devo salutarti, lavoro qui da
circa venti minuti! –
spostando lo
sguardo tra lui e ciò che
stava facendo - Riprendiamo la conversazione tra centoventi giorni,
quando inizierò
a fregarmene sempre meno.”
L’altro
rise, stringendo
tra le mani la busta di carta con dentro le focaccine:
“Centoventi giorni, eh? –
disse allontanandosi, verso la tromba delle scale interna al
locale– Spero di
sopravvivere senza conoscere il tuo nome!”
Perplessa nel
non vederlo
uscire dalla porta d’ingresso, si fermò dal
pulire, domandandogli: “Abiti qui?”
Quello si
voltò,
sorridendo: “Già, al piano di sopra. Credo proprio
che ci vedremo spesso!”
“Sono
Alexis, comunque!”
“Ok,
Alexis-grosse pinze!”
esclamò, ormai sulle scale.
Quella,
sorrise da sola, come una stupida, per
poi tornare al suo dovere.
Eric, arrivato
alla porta
del suo appartamento, girò la chiave, entrando.
L’ingresso era completamente inondato
da scatoloni, come di chi aveva appena traslocato, pochi mobili.
“Mamma,
sono tornato! Ho
portato le focaccine!” esclamò, cercando di capire
dove fosse, girovagando con
lo sguardo.
Quando fece
silenzio,
riuscì a sentire la sua voce, provenire dalla stanza
accanto, dove c’era la
cucina.
Senza rivelare
la sua
presenza, rimase nascosto, al lato della porta, ascoltandola parlare al
telefono. Al quanto stanca nella voce, faceva avanti e indietro, dentro
la sua
tuta grigia.
“Quindi
è andato bene il colloquio? […] Bene bene, noi
siamo nel nuovo appartamento da qualche giorno e stiamo andando avanti
con i
soldi della vendita ricavata dall’auto di tuo figlio. Ho
anche venduto qualche
mio gioiello, perciò… –
sospirò – ce la stiamo cavando, più o
meno. – si grattò
la fronte, portando poi i suoi capelli dietro le orecchie –
Forse dovrei
iniziare a cercarmi un lavoro, i soldi non sono molti. […]
D’accordo, ci
sentiamo stasera!”
Terminata la
conversazione,
Jennifer Blake, poggiò il telefono, sedendosi
un’attimo, massaggiandosi le
tempie, esausta. Eric, allora, si rivelò.
“Ehi!”
L’altra
si voltò, colta di
sorpresa, fingendo un sorriso davanti a suo figlio: “Ehi, sei
tornato!”
“Era
Papà?” domandò,
avvicinandosi.
“Sì,
era lui. Ha trovato un
lavoro!”
Eric si sedette,
tirando un
sospiro di sollievo: “Grazie a Dio!”
La madre fu
d’accordo:
“Già, dopo quello che è successo,
è un miracolo!”
“Certo,
è dovuto andare
parecchio lontano, però!” commentò,
triste.
“Ci
rimetteremo di nuovo in
sesto, ok? Tuo padre ha commesso un grosso errore, ma lo
supereremo.– si
rattristò per lui, accarezzandogli la guancia –
Dev’essere dura per te, in più
hai dovuto seppellire un tuo compagno di scuola, oggi…
– prese il portafoglio,
gli occhi lucidi, tirando fuori qualche contante – Tieni
questi, forza, vorrai
sicuramente comprarti qualcosa. So quanto ci tieni ad apparire sempre
bello e
con dei vestiti nuovi!”
“No,
Mamma, no! – li
rifiutò, spingendoli via – Ho ancora parecchi
vestiti che non ho mai usato e
poi…non mi interessa neanche più!”
“Mi
dispiace tanto, Eric. I
ragazzi della tua età dovrebbero stressarsi per lo studio e
non per lo stato
che ti confisca la casa. – pianse, cercando, però,
di trattenersi – Ora vado a
farmi una doccia, ok? – gli accarezzò la spalla
– Ok.”
Ed Eric la
seguì con lo
sguardo, dispiaciuto per lei, per la situazione, gli occhi lucidi.
Subito dopo,
notò il giornale aperto sul tavolo: una foto di Albert,
annunciato come
scomparso alla cittadina di Rosewood. Fissò a lungo il suo
viso, il sorriso
forzato che aveva in quella foto, i suoi abiti, il suo aspetto, la sua
evidente
solitudine. Quell’immagine portò a galla diversi
pensieri in lui.
FLASHBACK
Anthony
era
intento a frugare nel suo armadio, mentre Eric sedeva sul suo letto a
contemplare ogni parete e soprammobile; era la prima volta entrava
nella sua
camera da quando lo conosceva.
“Mi
dispiace
per quello che è successo alla tua famiglia, vedrai che vi
riprenderete. Anche
la mia famiglia ha avuto i suoi alti e bassi, accade a tutti. Poi si
ritorna
sempre all’apice, alla fine. Più in alto di prima,
magari.” parlò con la testa
ancora dentro l’armadio.
L’altro
rise,
sdrammatizzando: “La mia famiglia ha subito un enorme danno,
Anthony. Il Signor
Lincoln ha fatto in modo che mio padre non lavorasse più per
nessuna azienda di
questo stato; è un uomo molto influente e pieno di
conoscenze e non ha
tollerato ciò è accaduto. –
sospirò, sconsolato - L’apice è ben
oltre le
nuvole, credimi.”
L’altro
fece
un commento a caldo, mentre si risollevava con in mano tanta roba:
“I ricchi e
potenti sono proprio degli stronzi! – cambiò, poi,
discorso, passandoli i
vestiti - Ecco, questi non gli ho mai usati, perciò nessuno
noterà mai che
indossi i miei vestiti!”
Senza
parole,
Eric esclamò, quasi a disagio: “Ma sono nuovi,
hanno ancora l’etichetta! Sembra
che tu li abbia appena comprati.”
“Sciocchezze,
li ho comprati qualche tempo fa e lasciati nell’armadio. Ho
anche parecchie
scarpe, sai?”
Eric
era
fortemente in imbarazzo: “Accidenti, non so che dire. Io-io
non posso
accettare, mi stai aiutando fin troppo e non siamo nemmeno
così tanto amici. –
aveva delle perplessità, a quel punto –
Perché lo stai facendo?”
Anthony
sorrise:
“Semplice, Eric: se fossi al tuo posto, vorrei tanto che
qualcuno mi aiutasse e
mantenesse le apparenze per me. Nessuno dovrebbe precipitare senza un
paracadute di salvataggio.”
“Già.
Non è
bello schiantarsi al suolo, quando ti sei vantato di saper
volare…” pensò,
ripensando a tutte le volte che aveva ostentato la sua immagine.
Quello,
poi,
scappò verso la porta: “Torno subito, vado a
prenderti qualche paio di scarpe!”
Quando
tornò,
mise tutto in delle buste, poggiandole sul letto.
“Bene,
ora
puoi tornare nel mondo reale con la tua immagine intatta. Nessuno si
accorgerà
che nella tua vita è cambiato qualcosa. – gli
sorrise – Sai, nessuno è poi così
irrecuperabile. Anche se ti trovi nel pozzo più profondo, ci
sarà sempre una
corda abbastanza lunga a riportarti su. – fece uno stacco,
prima di aggiungere
una battutina ironica – Certo, tranne per Albert Pascali, sia
chiaro. Per lui
non esistono corde abbastanza lunghe a recuperarlo.”
Eric
si
lasciò scappare una risata, non trovando poi così
maligna quella battuta; poi
tornò serio, ma, soprattutto, riconoscente:
“Grazie, Anthony. Grazie davvero! –
trovò, infine, il coraggio di rivelare un suo pregiudizio -
Sai, non ti facevo così
gentile.”
“Le
apparenze
ingannano. E con i miei abiti addosso, ingannerai chiunque ti
guardi!”
concluse, per poi aiutarlo a far scendere tutto e caricarlo in auto.
E fu in
quell’istante che
Eric si voltò a guardare le scatole in cui erano chiusi i
suoi vestiti; anzi,
quelli di Anthony. Si rese conto di non aver ingannato la gente, ma
sé stesso,
credendo di poterlo fare e sentirsi bene.
*
Nathaniel, quel
pomeriggio,
intanto, fece un salto in ospedale da suo cugino, Tyler Blake, nel suo
studio;
egli era molto giovane per essere un medico e molto simile a Nathaniel,
esteticamente.
“Bene,
direi che è tutto
apposto. Cerca solo di non sforzarti troppo; ad esempio, evita qualche
allenamento, inventa una scusa. Insomma, sei eccezionale nel nuoto, non
ne hai
bisogno!” esclamò, andando a sedere alla sua
scrivania, mentre Nathaniel,
seduto sul lettino, si stava rimettendo la maglietta.
“Sì
che ne ho bisogno! – si
andò a sedere davanti a lui – Non ho voti molto
alti e il nuoto è la mia unica
possibilità per ottenere una borsa di studio e accedere ad
un buon college,
dopo il diploma!”
Tyler comprese
perfettamente, ma con riserva: “Lo so, me lo ripeti ogni
volta, ma cerca di
andarci piano. Ne va della tua salute e della mia carriera, non
dimenticarlo.
Potrei essere radiato dall’albo per averti autorizzato ad
entrare nella squadra
di nuoto con un certificato che attestava tutto il contrario. Hai uno
scompenso
cardiaco, tenuto sotto controllo da un farmaco. E hai ancora due anni,
prima di
diplomarti. Fa attenzione!”
E Nathaniel,
senza
aggiungere altro, si alzò e prese il suo borsone sportivo,
poggiato sull’altra
sedia.
Prendendo sul
serio,
finalmente, le preoccupazioni del cugino, lo accontentò:
“D’accordo…Per oggi
salterò l’allenamento!”
Felice di
sentirlo, accennò
un sorriso: “Bene. Grazie!”
L’altro,
voltandosi, si
avvicinò alla porta, in procinto di uscire dalla stanza.
Improvvisamente, si
fermò, poco prima di aprire la maniglia e si girò
nuovamente verso il cugino,
costringendolo a distogliere il suo sguardo dalle cartelle che stava
esaminando, con una domanda: “L’obitorio si trova
al piano terra, vero?”
Tyler
sollevò lo sguardo,
rispondendo distrattamente: “Ehm, sì, assieme alla
lavanderia, le cucine,
patologia e radiologia, perché?”
“Frequento
un corso alla
Hollis, ultimamente: scrittura creativa! – mentì
– Sai, per i crediti extra,
perciò…Volevo capire bene
dov’è collocato esattamente l’obitorio,
per il
racconto che sto scrivendo!” tornò leggermente
indietro, mentre ne parlava.
Perplesso, Tyler
si tolse
gli occhiali da vista che portava: “Frequenti un corso di
scrittura creativa? E
da quando? Praticamente vivi dentro la piscina!”
“Ehm,
a volte non mi sgridi
a vuoto. Ho seguito il tuo consiglio e il Venerdì,
anziché allenarmi, mi siedo
e do sfogo alla mia immaginazione. Sì, certo, è
un giorno a settimana, ma è pur
sempre un giorno in cui il mio cuore non si forza molto.”
Finalmente
convinto, la
testa che annuiva, era curioso di saperne qualcosa in più:
“Bello! Hai fatto
bene. E di che parla questo racconto, se posso chiedere?”
Nathaniel era
nuovamente
alla sua scrivania, dietro la sedia, con le mani poggiate sullo
schienale di
essa, che spiegava: “Ehm, parla di un uomo che spia le
infermiere attraverso le
telecamere della sorveglianza – inventò sul
momento – E’ un maniaco e quindi le
spia e poi le uccide…Una volta finito il turno,
ovviamente!”
“Mh,
interessante… - finse
che fosse così, agitando gli occhiali, la stecca stretta fra
le dita, roteando
il polso – Certo, diretto, forse un pò troppo,
ma… - non riusciva a trovare le
parole per non offendere la sua poca originalità –
Interessante!”
“Scusa
se te lo chiedo, ma…
– azzardò, Nathaniel – non è
che potresti farmi dare un’occhiata alla stanza
della videosorveglianza? Sai, un racconto dev’essere
parecchio descrittivo,
affinchè il lettore sia quasi in grado di vedere quello che
vedono i
personaggi, perciò…Ho bisogno di vedere
com’è fatta una stanza della videosorveglianza.
Sai, per coglierne i dettagli!”
Dopo un breve
attimo di
titubanza, Tyler decise di aiutarlo: “D’accordo:
perché no! – si alzò – Vado a
prendere le chiavi, ma cerca di fare in fretta!”
Sospirò
grato, l’altro, con
ripetute pacche sulla spalla: “Sei il migliore!” e
insieme lasciarono lo
studio.
Recuperate le
chiavi, Tyler
era di fronte alla porta che portava ad accedere alla stanza della
videosorveglianza,
Nathaniel alle sue spalle che volgeva lo sguardo verso entrambi i lati
del
corridoio. Il mazzo pieno di chiavi, faceva rumore e Tyler non riusciva
ad
aprire.
“Oh,
ma certo! – ebbe un
lapsus – C’è una nuova chiave nel mazzo,
quella vecchia non può aprire, hanno
cambiato la serratura. – prese la chiave giusta, stavolta
– Me l’avranno detto
almeno dieci volte!”
Nathaniel,
trovando strano
ciò che gli era stato appena detto, chiese, curioso:
“Come mai hanno deciso di
cambiare la serratura a questo antro polveroso?”
Finalmente, la
porta si era
aperta. Tyler rispose poco prima di entrare: “Nicholas, il
sorvegliante, non
becca mai la chiave giusta e finisce per incastrarci dentro almeno
venti
chiavi. L’infermiera pensa che sia stato lui a romperla, la
serratura. La
chiave giusta non girava più, per quanto
danneggiata!”
Senza aggiungere
altro,
nonostante fosse rimasto parecchio perplesso da quella storia,
Nathaniel lo
seguì, ma quasi andò a sbattere contro di lui,
pochi passi dopo. Tyler si era
fermato di colpo, in seguito ad un suono proveniente dalla tasca del
suo
camice.
“Il
mio cercapersone,
accidenti! – lo rimise in tasca – Senti, dai
un’occhiata veloce e richiudi la
porta senza danneggiare la serratura. Lascia le chiavi nel mio studio,
ok?”
E
l’altro annuì, contento
che quel cercapersone abbia squillato, assicurandogli che avrebbe
eseguito: “Si
si, vai pure, ci penso io!” e quello se ne andò,
chiudendo la porta alle sue
spalle e lasciando solo il cugino, che si voltò sul sistema
di sorveglianza in
funzione, il display che mostrava i diversi corridoi
dell’ospedale.
*
Rider, seduto
nella sua
stanza, davanti alla scrivania stracolma di libri aperti e il lume
accesso,
stava cercando di distrarsi con lo studio, mentre la sera calava sulla
città.
Al telefono con sua madre, si stava assicurando delle condizioni del
suo cane,
prima di tornare a dedicarvisi.
“Quindi
è soltato una
slogatura, si rimetterà? […] Bene, è
una fortuna avere una madre come
veterinario, sai quanto io tenga a Toby. Il fatto di non averlo qui, in
camera,
sdraiato sul letto che mi fissa studiare, mi destabilizza! E’
come una sorta di
musa ispiratrice dello studio.”
Un suono
acustico, notificò
un’altra chiamata in arrivo. Rider tolse il telefono
dall’orecchio, guardando
lo schermo, per poi riportarselo all’orecchio nuovamente.
“Mamma,
ho un amico
sull’altra linea, ci vediamo più tardi a
cena!” e premette sul display per
congedarla e prendere l’altra chiamata.
“Pronto?”
rispose.
“Ehi,
ho bisogno di aiuto,
- era Nathaniel – sono all’obitorio!”
Irrigidendosi,
Rider, si
distanziò dalla scrivania, confuso: “Da paziente
deceduto o in visita?”
L’altro,
fermo in mezzo
alla stanza, le barelle con i lenzuoli sopra, attorno a lui,
cercò di mantenere
la calma: “Non sono un fantasma, Rider! –
esclamò, una nota isterica nella voce
– Mi ha fatto entrare mio cugino, ho detto per finta che
frequento un corso di
scrittura creativa e che devo descrivere com’è
fatto un obitorio nel mio
racconto da quattro soldi!”
“Prima
che ti faccia i miei
complimenti per la menzogna perfetta, cosa ci fai
all’obitorio?”
Nathaniel
titubò, mentre
cominciava a muoversi all’interno della fredda stanza:
“Ehm, volevo…volevo…”
Rider,
però, intuì:
“Scoprire se nella bara c’è davvero
Anthony?”
A quel punto,
quello
dovette sputare fuori il rospo: “Sì! –
fece una pausa, prima di riprendere – Ascolta,
Rider, per quanto tu sia stato convincente, fuori dalla chiesa, io
vorrei
esserne sicuro. Anche Sam aveva delle buone motivazioni!”
Sospirando,
Rider si
arrese; in fondo al cuore, nemmeno lui era del tutto sicuro:
“Ok, scopriamo la
verità! – iniziò a dargli indicazioni,
avvicinandosi alla finestra e
poggiandosi di schiena – Allora, per scoprire chi
c’è nella bara, dobbiamo
controllare i referti del medico legale. Dovrebbe esserci una pila di
cassetti
d’acciao, lì nella stanza. ”
L’amico
li notò con lo
sguardo: “Sì, eccoli! – si diresse verso
di essi, continuando a parlare - A
proposito, avevo una penna USB nel borsone, con dentro qualche film che
ho
dovuto cancellare per guadagnare spazio. Ho fatto una copia dei filmati
delle
telecamere di sorveglianza che vanno dal giorno dopo
l’incendio a casa di
Anthony fino alla giornata di ieri. In pratica, il lasso di tempo in
cui A avrebbe potuto scambiare i
corpi.”
“Oh
mio Dio!” esclamò
Rider, fermando Nathaniel, che aveva già aperto qualche
cassetto.
“Che
c’è?”
“Sei
intelligente!” pensò.
Nathaniel prese
quel
commento come un’offesa, più che un complimento:
“Pensavi fossi stupido, per
caso?”
L’altro
si rese conto di
aver parlato a sproposito: “Ehm, no, che dici! E solo che,
gli atleti sono più
per l’azione che per i colpi di genio. Insomma, non hanno
tempo di ragionare,
no? – si accorse di aver detto un’altra
stupidaggine – Ok, dimentica tutto,
forse sei un ibrido!”
“RIDER!”
urlò Nathaniel,
esasperato, cercando di mettergli un freno.
“Ok
ok, la smetto! – tornò
finalmente serio – Allora, ogni cassetto, dovrebbe essere
classificato per
anno.”
“2015…2015
– stava
controllando le etichette, una ad una – 2015! Trovato!
– aprì quel cassetto, in
attesa di altre istruzioni - Adesso?”
“Tutti
i referti sono in
ordine alfabetico: iniziale del cognome, poi del nome!”
“Dimitri,
Anthony…Dimitri,
Anthony… - scorreva le dita fra le cartelle – Ok,
- lo trovò – Dimitri,
Anthony!” e la aprì, trovando dentro diverse
pagine.
“Leggimi
cosa c’è scritto!”
richiese, Rider, in attesa.
Nathaniel, parve
in
difficoltà, già alla prima pagina:
“Ehm, allora, fontanella occipitale… - si
morse le labbra, passando alla seconda pagina, più
complicata della
precendente.”
Intuendo dalla
voce
dell’amico che per lui era difficile comprendere il contenuto
delle pagine,
suggerì: “Ok, Nat, lascia perdere, vai alla pagina
riassuntiva del referto, si
trova verso la fine!”
L’altro
eseguì, trovandola
proprio tra le ultime pagine, come detto da Rider: “Ma chi
sei? – si sbalordì
di come sapeva muoversi fra quelle cose – The
mentalist?
“Spero
di no! Patrick Jane lavorava in un
circo
itinerante, prima di trovare la sua strada.”
Tralasciando
quel commento,
Nathaniel illustrò la pagina riassuntiva: “Allora,
qui dice che: L’impatto sul lato
posteriore del cranio
della vittima, indica che non era
rivolto verso l’aggressore. Il cranio era deformato verso
l’interno per
l’impatto. Il corpo contundente era curvo e smussato.
– smise di leggere,
incredulo – Non parla di ossa rotte, solo un colpo alla
testa!”
Anche nel tono
di Rider,
vigeva la stessa preoccupazione: “No, non è
possibile. Albert non ha ricevuto
un colpo alla testa, è stato letteralmente investito. Sicuro
che quel referto
non parli di ossa rotte o altro?”
“E’
la pagina riassuntiva,
dice solo questo. – Nathaniel fu costretto a sottolineare la
realtà dei fatti –
Rider, il corpo nella bara è quello di Anthony, non di
Albert. Nel filmato che
abbiamo ricevuto, si vedeva chiaramente che l’aggressore
puntava alla sua testa,
anche se non abbiamo visto quello che è successo dopo.
– dopo una breve pausa,
ribadì nuovamente il concetto – Rider, il referto
non combacia con Albert, ma
con Anthony!”
Rider
urlò, non riuscendo a
capacitarsi: “Ma-ma com’è possibile?
Come diavolo può aver fatto questa
persona, A, a rubare il cadavere di
Albert dall’obitorio e scambiarlo con quello di Anthony,
indisturbato? E’
surreale!”
Nathaniel,
sconvolto quando
l’amico, richiuse la cartella: “Ascolta, io qui
devo rimettere tutto apposto,
prima che qualcuno se ne accorga…”
Nonostante
il nervosismo,
Rider non risparmiò il suo sarcasmo melodrammatico:
“Ma figurati, se A ha
scambiato due corpi senza essere
beccato, puoi anche farci un pigiama party con quei referti!”
“Io
devo comunque andare,
ho un impegno. – richiuse il cassetto, dirigendosi, poi,
verso la porta –
Ascolta, se vuoi, posso passare a casa tua dopo, oppure vieni tu a casa
mia e
guardiamo assieme i filmati della videosorveglianza, ok?”
L’altro
ci mise un pò a
rispondere, pensieroso: “Ok, vieni pure a casa mia!”
“Ok,
a dopo!” concluse
Nathaniel, lasciando la stanza e chiudendo la chiamata.
Rider,
poggiando il suo
telefono sul bordo della finestra, si torturava le mani, non riuscendo
ancora a
credere di avere a che fare con una A,
che sembra non essere Anthony.
Improvvisamente,
si voltò
verso la sua scrivania, posando gli occhi sulle chiavi della sua auto.
*
A
casa Havery, nel
frattempo, il campanello suonava incessantemente. Sam, scendendo per le
scale,
non molto in forma per i pensieri legati all’assurda notte
vissuta con i suoi
compagni, andò ad aprire, trovandosi davanti Chloe con in
mano delle bustine da
centro commerciale nelle mani e il PC sottobraccio.
Quello,
impalato a
fissarla, attese di sentire qualcosa da lei, dato che era sorpreso di
vederla.
“Prima
di tutto, hanno
rinnovato Game of Thrones, perciò: super maratona della
prima stagione, per
festeggiare! – entrò, mentre l’altro
chiudeva la porta, seguendola nell’altra
stanza – SECONDA COSA: Mi devi tagliare i capelli!”
concluse, appoggiando tutto
sul tavolino del salotto, per poi voltarsi verso l’amico.
“COSA?
Sei ubriaca, per
caso?” reagì, stranito, Sam.
“Non
sono ubriaca! –
esclamò con un’occhiataccia cinica e leggermente
offesa – Voglio solo cambiare
look, tutto qui.”
Sam
si prese un momento,
prima di dire qualcosa: “Ok, ecco che le tue
personalità multiple riemergono
puntualmente. Ad esempio, oggi sei venuta con me al funerale di
Anthony, quando
una volta mi hai detto che se, un giorno, fosse morto, non saresti mai
andata
al suo funerale nemmeno se ci fosse stato Ian Somerhalder in prima
fila! Poi,
adesso, mi chiedi di tagliarti i capelli e fare una maratona di Game of
Thrones
per festeggiare il suo rinnovo, quando il rinnovo di Game of Thrones
è scontato
quanto quello di The Walking dead, che tra l’altro non
finirà mai!”
Chloe,
abbassando lo
sguardo, mostrò per la prima volta la sua
fragilità, raccontando le sue
ragioni: “E’ solo che…La morte di
Anthony ha scombussolato un pò tutti e ha
riportato a galla tutti i momento in cui ha tormentato me e gli altri
sfigatelli della scuola!”
Sam
fu più comprensivo e
risoluto: “Ma non ti ha mai tormentata, Chloe. Ti ha dato
solo un soprannome!”
L’altra,
non la considerò
una cosa da poco: “Un soprannome che mi ha segnata
profondamente e che mi ha
reso meno desiderabile agli occhi dei ragazzi, Sam. – una
lacrima le scese
lungo il viso - Sai cosa vuol dire per una ragazza, stare seduta
davanti alla
sua serie tv preferita e invidiare una qualsiasi Meredith Grey, amata
così
immensamente dal suo Derek Shepherd, e sapere che nessuno ti
amerà mai come
viene amata lei, o guardata come viene guardata lei? Sam, non posso
vivere l’amore
attraverso un telefilm per sempre. E se oggi sono venuta al funerale di
Anthony, non è stato di certo per compassione. Anzi, ridevo
dentro di me ed ero
sollevata…Sollevata perché non c’era
più e perché non avrebbe mai più
umiliato
nessuno o distrutto i suoi sogni. – si asciugò le
lacrime – Cambiare il taglio
di capelli è solo un modo per ricominciare da zero. Una
sorta di…Nuova era!”
Commosso,
Sam corse ad
abbracciarla, non immaginando minimamente cosa avesse provato negli
ultimi anni:
“Chloe, scusami. Non avevo capito quanto la cosa ti avesse
fatto soffrire!”
In
quell’istante, il Signor
Carson Havery stava rientrando dalla porta, notando i due, chiudendo la
porta
un po’ troppo forte, senza farlo apposta, maldestro.
I
due si voltarono.
“Spero
di non aver
interrotto qualcosa!” esclamò, sperando fosse
così.
“Non
dire sciocchezze,
Papà!” disse Sam, in maniera scocciata,
staccandosi da Chloe, che si stava
asciugando le lacrime con le maniche del maglione. Carson la
notò,
preoccupandosi con premura.
“Ehi,
tutto bene?”
L’altra
finse un sorriso,
continuando a strofinarsi gli occhi, giustificandosi: “Ehm,
sì, è solo che sto
ripensando al povero Anthony – mentì e Sam non la
smentì, annuendo – e ad
Albert, il ragazzo scomparso. E’ davvero molto triste quello
che è accaduto
loro.”
L’uomo
fu della stessa
idea: “Già, che triste storia! –
tirò un sospiro, turbato - Peccato che non sia
finita qui…”
Sam
si lanciò un’occhiata
con Chloe, inquietato da quanto aggiunto da suo padre, prima di porre
una
domanda: “Che vuoi dire?”
“La
morte di Anthony e suo
padre è stata classificata come omicidio, ma questo lo
sapevate già. Quello che
non sapete è che la polizia ha osservato attentamente la
scena del crimine e la
cassaforte spalancata e il disordine in casa, ci ha fatto subito
pensare ad un
furto finito male e quindi abbiamo dovuto indagare più a
fondo.”
“Quindi
è stato un ladro ad
uccidere Anthony e suo padre?” chiese Chloe, a braccia
conserte, il volto
irrigidito.
“Esatto.
Probabilmente,
quando si sono accorti della sua presenza in casa, quello ha reagito
con
violenza…” ma Carson sembrava molto ritirato nelle
parole, come se volesse
omettere qualcosa.
Quel
suo atteggiamento,
confuse Sam, naturalmente, in cerca di una certezza che lo
rassicurasse: “Sì,
ma è finita, no? – reagì nervosamente -
Il caso è stato archiaviato, giusto?
Non troverete mai questo ladro!”
I
due lo fissarono, quasi
spiazzati da quella reazione.
“Ehm,
no, figliolo – cercò
di spiegare, Carson – Non si può archiviare un
caso di omicidio senza aver
trovato prima l’assassino e poi…non puoi essere
certo che non troveremo mai
l’assassino. – rise – Ne sembri quasi
sicuro!”
Sam
si rese conto di aver
esagerato troppo nella sua reazione e cercò di rettificare:
“No, cioè, non ho
detto di essere certo che non troverete mai l’assassino. Dico
solo che un ladro
è abbastanza furbo da sparire nel nulla.”
“In
questo caso, noi
sappiamo perfettamente chi è stato. – Chloe
sgranò gli occhi, ma non quanto Sam,
incredulo - Quest’oggi, la Signora Dimitri e il figlio
maggiore Clarke, sono rientrati
a Rosewood per i funerali del figlio e noi li abbiamo interrogati su
chi
pensino possa aver fatto una cosa del genere. Insomma, il ladro sapeva
bene
dove trovare quei soldi, la cassaforte era ben nascosta!”
“Sì,
li abbiamo visti, eravamo
due file più dietro io e Sam!” esclamò
Chloe, mentre Carson annuiva,
dirigendosi verso le scale.
“Beh,
vi auguro una buona
serata, domani ho molto lavoro da svolgere. Quello che
c’è da sapere, lo
scoprirete dal notiziario di domani. Non serve che vi racconti tutti i dettagli!” e
appoggiò la gaccia sull’appendiabiti,
poco prima di mettere piede sul primo gradino.
Sam,
rimasto accanto a
Chloe, più calma rispetto a lui, aveva gli occhi che non
smettevano di muoversi
per l’ansia che cresceva dentro di sè e
d’impulso, fermò il padre, affamato di
risposte.
“Aspetta,
perché non puoi
raccontarci il resto? Sai perfettamente che i notiziari non riportano
mai tutto
quello che c’è dietro e Anthony era mio amico! Ho
il diritto di sapere!”
L’altro
si voltò, serio:
“Non avete l’età giusta per ascoltare
una storia simile e la Signora Dimitri ha
chiesto privacy in merito alle dichiarazioni fatte. – fece
uno stacco, prima di
tornare a parlare – Sam, sarai anche mio figlio, ma ho etica
nel mio lavoro e
lo sai. Adesso andate a guardarvi quelche film o qualunque cosa abbiate
in
programma di fare. Vado a letto!” e si congedò,
irremovibile.
Sam
rimase fermo, imbambolato,
davanti alle scale, con Chloe alle spalle.
“A
quanto pare, anche la
famiglia Dimitri ha dei segreti! – esclamò quella,
per poi voler tornare nella
stanza dov’erano – Allora, vieni a tagliarmi i
capelli o no? Tuo padre ha
ragione, dobbiamo distrarci da questa assurda storia!”
E
Sam, restando voltato,
cercò di non mostrarle quanto fosse bianco in volto,
rispondendo: “Ehm, sì,
arrivo subito. Devo-devo solo andare un attimo in cucina a
bere!”
Quando
Chloe seguì il suo
suggerimento, passando nell’altra stanza, senza di lui, Sam
tirò fuori il
telefono dalla tasca, scrivendo un messaggio, le mani che tremavano.
Messaggio
a: Nathaniel, Rider, Eric.
“La
polizia ha trovato un assassino.
Sto impazzendo.”
Il
secondo dopo, ricevette
un messaggio di risposta da uno di loro.
Messaggio
da: Rider.
“Cosa?
Ma quale assassino? Sono da te
tra un quarto d’ora!”
*
Il
messaggio era arrivato
anche ad Eric, solo che non lo sentì per via della
vibrazione impostata, il
display accesso dentro il cestino della sua bici, mentre la fermava nei
pressi
di un boschetto dietro al cimitero. Con lo zaino in spalla, stracolmo,
a
giudicare dalla cerniera non perfettamente chiusa, fissò il
terreno, come in
cerca di un punto preciso e lo trovò, posizionandosi
lì e tirando fuori dallo
zaino una piccola paletta, con la quale iniziò a scavare una
buca.
Una
volta raggiunta la
profondita giusta e la larghezza giusta, ci svuotò dentro il
contenuto dello
zaino: si trattava di vestiti.
Completata
l’azione,
gettando lo zaino a terra, ormai vuoto, per poi fissare quei vestiti
per
qualche secondo, Eric tirò fuori un accendino dalla tasca,
che accese,
tenendolo stretto fra le dita.
“Non
mi devi più alcun
favore, Anthony; i tuoi, non sono mai stati favori, del resto. Volevi
solo
rendermi di tua proprieta, ma adesso è finita!
Non ho più bisogno dei tuoi abiti, ormai. Non
ne ho mai avuto. E mi
dispiace tanto di averlo capito soltanto adesso.”
E
gettò l’accendino nella
buca, che fece prendere fuoco agli abiti, mentre contemplava le fiamme
della
sua rivincita, per quanto minima, ma necessaria per lui stesso.
Improvvisamente,
la sua
attenzione fu distolta da un rumore tra le frasche, poi da quello di un
ramoscello calpestato.
“Chi
c’è?” domandò,
aguzzando la vista nell’oscurità.
Non
fece un’altra domanda,
che si affrettò a richiudere la buca, buttando la terra sul
fuoco, mantenendo
lo sguardo fisso nel punto dal quale pensava di aver sentito provenire
il
rumore. Richiusa la buca, rimontò sulla bici, velocemente,
con il fiatone,
dimenticando lo zaino. Corse più veloce del vento.
*
Intanto,
a casa Havery, con
davanti il PC e una puntata di Game of Thones in esecuzione, Sam aveva
finito
di tagliare i capelli a Chloe, ad altezza spalle, nonostante avesse la
testa da
tutt’altra parte. Le tinse anche alcune ciocche di capelli
per dare un effetto
biondo luminescente al suo nero naturale, a giudicare dalla scatola del
colorante. Subito dopo, le arrotolò nella carta stagnola.
“Non
vedo l’ora di asciugarli
e vedere come sto. Soprattutto le meches bionde , non le ho mai
fatte!” era
eccitata Chloe, tenendo gli occhi fissi sullo schermo del portatile,
mentre Sam
continuava a fissare il telefono ogni due secondi.
Finalmente,
la chiamata che
stava aspettando: quella di Rider.
Prese
il telefono, allora,
impostato sulla vibrazione, nascondendolo dietro alle sue spalle.
“Ehm,
Chloe, vado a buttare
la spazzatura!” la avvertì, indietreggiando.
Quella,
impegnata nella
visione dell’episodio, un piattino di patatine fra le mani,
esclamò
distrattamente: “Ok ok!”
Sam,
allora, passò nel
corridoio d’ingresso, rispondendo alla chiamata:
“Ehi, allora?”
“Sono
qui fuori, esci!”
E
quello, aprendo la porta
il più piano possibile, uscì, raggiungendo Rider,
parcheggiato lì davanti, con
il motore ancora acceso. Sam fece il giro, aprendo la portiera ed
entrando in
macchina.
“Grazie
a Dio, uno di voi,
si è degnato di rispondermi. E’ da
mezz’ora che sto…”
Ma
non potè completare,
perché Rider partì a tavoletta, costringendolo
non solo a reggersi, ma a
fissarlo di stucco.
“Rider,
che cavolo stai
facendo?” gli domandò, mentre l’altro
era impegnato nella guida, molto serio.
“Devo
togliermi il dubbio,
una volta per tutte!”
“Il
dubbio di cosa? Hai
letto il messaggio che ti ho mandato?”
“Anthony,
Albert. Albert,
Anthony: ecco quale dubbio! Perciò, adesso, noi andremo alla
stazione di
Rosewood e scopriremo la verità, osservando da
più vicino la scena del
crimine!”
E
Sam, dopo aver deglutito,
cercò di restare calmo: “Ok, lo sai che ho
lasciato Chloe da sola con della
carta stagnola in testa e un episodio di Game of Thrones?”
“Bene,
per un’ora resterà
impegnata!” esclamò, mentre l’altro
rimase a fissarlo, scuotendo la testa,
seccato.
All’entrata
della stazione,
i due stavano scendendo le scale. Durante il tragitto in macchina, si
erano
aggiornati su tutto.
Sam,
allora, a dir poco
isterico e terrorizzato per le notizie apprese, quasi inciampava:
“Quindi tu e
Nathaniel siete sicuri che il corpo nella bara è di Anthony?
Lo sai che mi stai
spaventando, vero? E che questa storia ci sta sfuggendo di mano, dal
momento
che la polizia arresterà un tizio che non c’entra
assolutamente niente!”
Rider
era ancora confuso,
in merito a quella parte: “Ancora non capisco in base a cosa
la polizia pensi
che questa persona sia l’assassino!”
“Beh,
la polizia non sa
quello che sappiano noi. Non sa che Anthony ha ucciso sia Albert che
suo padre
e che ha usato Albert per farlo passare per lui. E io-io non riuscirei
nemmeno
a dormire, sapendo che il tizio che cattureranno, finirà in
prigione da
innocente!”
Rider
si sentì in dovere di
fargli una predica: “Forse sarebbe meglio che iniziassi a
renderti utile, Sam.
Hai un padre poliziotto, fingi di andarlo a trovare in centrale e
buttati su
qualche scrivania ad indagare. Cerca di scoprire chi è
questo sospettato e
quali dichiarazioni ha fatto la Signora Dimitri. – era
indignato – DIO, solo
Nathaniel ha avuto un briciolo di fegato in questo gruppo? E’
entrato dentro la
stanza di un’obitorio, Sam. – sottolineò
con enfasi - Con dei morti!”
L’altro
cercò di
giustificarsi: “HO PROVATO ad indagare! Mio padre non ha
voluto dirmi niente,
ero lì, in piedi con Chloe, e diceva che non era una storia
adatta a noi e che
la Signora Dimitri ha richiesto discrezione!”
“Te
l’ho detto, devi
intrufolarti in centrale!” suggerì nuovamente,
Rider.
“E
cosa dovrei dirgli se mi
becca lì? – si innervosì, Sam
– Ciao,
Papà, d’un tratto mi sento Veronica
Mars?”
Ma
non ricevette risposta,
solo un’occhiata, per poi voltarsi di fronte a sé:
erano giunti all’interno
della stazione, davanti ai binari. La stazione era al coperto,
all’interno di
un tunnel. Ma, soprattutto, non c’era anima viva.
“Dimenticavo
quant’è
inquietante la stazione di Rosewood a
quest’ora…” rabbrividì,
strofinandosi le
braccia. Subito dopo, si accorse di non avere più di fianco
Rider, voltandosi a
cercarlo.
Quello,
poco lontano, aveva
la testa rivolta verso l’alto, osservando le telecamere,
vicino alle luci,
intermittenti, che illuminavano il pavimento della fermata, sul quale
camminavano. Altre, invece, erano poste vicino alle colonne portanti.
“Che
stai facendo?” gli
domandò Sam, ora.
“Studio
la direzione delle
telecamere per trovare un punto cieco!” esclamò
distrattamente.
L’altro
lo fissò, stranito:
“Un punto cosa?”
Finalmente,
Rider si voltò
verso di lui: “Un punto non coperto dalle
telecamere… – allungò lo sguardo
dietro Sam, indicandoglielo – Ecco, lì, ad
esempio!”
E
Sam si voltò a vederlo,
mentre Rider si avvicinava a quel punto, continuando a parlare:
“Anthony,
mentre aspettava il treno, doveva essere per forza in piedi
qui!” esclamò,
inginocchiandosi ad osservare il pavimento da più vicino.
“Suppongo
di sì o le
telecamere avrebbero ripreso l’aggressione. – Sam
si guardò attorno, sentendosi
poco al sicuro, poi posò nuovamente il suo sguardo
sull’amico – Ma che stai
facendo?”
Quello
stava toccando il
pavimento, scuotendo la testa, perplesso: “Il pavimento
è poroso e il referto
medico riporta un cranio ripetutamente colpito. Solo che… -
osservò
attentamente quel pavimento - Dov’è il sangue?
Anche se l’aggressore avesse
provato a pulirlo, una traccia sarebbe comunque rimasta, nei piccoli
fori…”
Una
volta risollevato, Sam
fece lui, un osservazione: “Hai appena parlato di
aggressione…Inizi a credere
anche tu che Anthony sia stato ucciso?”
“Ci
sono delle prove, Sam.
E il referto è una prova schiacciante, ma non capisco come
la scena non sia
stata contaminata. Insomma, questo posto non è mica a
gravità zero, il sangue
dovrà pur essere schizzato da qualche parte, no?”
Ad
un purto morto, i due si
guardarono attorno, sospirando per quel buco nell’acqua.
Improvvisamente, si
udì un suono molto basso.
Rider
lo avvertì e alzò
subito un dito davanti a Sam, in segno di non fare alcun fiato:
“Shhhh!”
“Non
ho detto una parola!”
esclamò l’altro, a voce bassa, mentre
l’altro attizzava le orecchie.
“Sembra
lo squillo di un
telefono e… - si voltò verso i tunnel –
Proviene dal percorso del binario A…”
“Ok
e quindi?” gli domandò
Sam, vedendolo avvicinarsi al bordo, vicino alla linea gialla.
“E’
nel tunnel! Nel tunnel
del binario A c’è un telefono!”
esclamò, nuovamente, per poi scendere sopra il
binario.
Sam
spalancò la bocca,
basito: “Ti prego, dimmi che non stai per entrare in quel
tunnel
spaventosamente buio!”
L’altro
si dimostrò
indifferente: “Sì, è quello che sto per
fare!” e si voltò, iniziando a
camminare lungo il binario, seguendo il suono, mentre Sam lo seguiva da
sopra,
cercando di fermarlo.
“E
se passa un treno?”
Rider
rispose senza nemmeno
voltarsi, fisso su quella direzione: “Vedi qualcuno aspettare
il treno? – un
breve stacco e rispose per lui – No! Perciò
continuo a camminare!”
Il
suono, però, si
interruppe. Rider si fermò e anche Sam.
“E’
cessato!” esclamò,
quest’ultimo.
Rider,
fissando a lungo il
tunnel, chiese, poi, a Sam: “Chiama Anthony!”
“Cosa?”
sussultò, l’altro.
“Prendi
il telefono e fai
uno squillo al numero di Anthony!” gli urlò.
Sam,
sempre più atterrito,
lo prese ed eseguì, tenendo il telefono sul palmo della mano
per qualche
secondo, fissando Rider.
Il
suono, all’interno del
tunnel, ricominciò. I due si voltarono per poi tornare a
guardarsi,
agghiacciati; Sam lo era molto di più, però.
“Rider,
giuro su Dio che me
ne sto andando!” esclamò, spaventato.
Ma
quello riprese a
camminare, incurante.
“RIDER!”
gli urlò, Sam,
rincorrendolo, sempre da sopra.
“Non
me ne vado senza
averlo preso!” fu chiaro.
L’altro
mantenne un tono medio
basso, nervoso, mentre cercava di fermarlo: “Ti rendi conto
di cosa stai
facendo? Stai per entrare dentro un tunnel buio per recuperare uno
stupido
telefono! – gli urlò contro, ancora –
RIDER!”
Quello
si bloccò,
lansciandogli un’occhiataccia:
“L’angoscia del non sapere è
più forte della
paura!” e ricominciò a camminare, addentrandosi
nel tunnel, accendendo la
torcia del suo telefono.
Per
Sam, invece, la strada
era finita e non poteva più seguirlo, se non scendendo anche
lui.
“Rider?
– provò a chiamarlo
ancora, chinandosi in fuori, sul bordo – RIDER!” ma
non rivette risposta.
Dopo
aver tirato un sospiro
furibondo ed essersi guardato intorno, roteò gli occhi,
arrendendosi. A quel
punto, scese sul binario anche lui, raggiungendolo di corsa.
Accendendo
anche la torcia
del suo telefono, arrivò alle spalle di Rider.
“Ehi,
aspettami!”
Finalmente
camminavano a
pari passo, la luce puntata davanti a loro. Rider si voltò
verso di lui,
accennando un sorriso: “Hai acquistato un po’ di
fegato, vedo.”
“E’
una follia, ma non
potevo lasciarti entrare da solo!”
Tornati
a guardare avanti,
Sam digitò nuovamente il numero. Lo squillo riprese, erano
vicini; tant’è che
Rider, potè finalmente notare il telefono, illuminandolo con
la torcia.
“Eccolo!”
esclamò,
avvicinandosi con Sam, velocemente. Si chinò a prendendolo.
Fu,
poi, l’amico a prendere
parola per primo: “E’ suo e sembra pulito
e… - puntò la luce lì intorno
–
Niente cadaveri macabri o topi!”
Iniziarono
ad osservare il
telefono, quando, di colpo, vibrò, facendoli sobbalzare: era
un messaggio.
Prima
di aprirlo, i due si scambiarono
una rapida occhiata, tesi.
“E’
un’immagine!” esclamò
Rider, per poi aprirla.
Sam
parve confuso, nel
vederla: “Una tabella con degli orari?” cercando
spiegazioni negli occhi
dell’amico.
“Binario A, ore 23.45,
-
lesse – trasporto merci!”
esclamò,
sollevando lo sguardo dallo schermo, fissando Sam, che stava
controllando
l’orologio.
“Sono
le 23.48!” riferì,
mentre Rider guardava avanti, puntando la luce.
Anche
i loro telefoni,
ricevettero un messaggio.
“Ciuff,
ciuff!”
-A
I
due non ebbero nemmeno il
tempo di reagire, che furono investiti da una luce abbagliante, il
treno del
trasporto merci spuntò a pochi passi da loro, facendo
sgranare i loro occhi per
la sorpresa.
“CORRIII!”
gridò Rider,
tirando Sam per la giacca, mentre tornavano indietro, correndo a
più non posso.
Il fracasso del treno copriva le loro voci, che si sentivano a malapena.
“Non
ce la facciamo, non ce
la facciamo!” urlò Sam, l’uscita era
troppo lontana, il treno sempre più
vicino, così decise di prendere l’iniziativa del
loro salvataggio. Con entrambe
le braccia, spinse Rider al lato del binario, spiaccicandolo contro la
parete,
poi fu il suo turno, quello di buttarsi dal lato opposto al suo.
Il
treno passò, coprendo le
loro urla per lo spavento. Per pochi millimetri, davvero ad un palmo
dal loro
naso, se la cavarono.
Tornato
il silenzio, i due
si fissarono, senza fiato, gli occhi fuori dalle orbite per
l’adrenalina,
inginocchiati a
terra. Non dissero una
parola, in merito a quanto appena passato.
*
Un’ora
dopo, a casa di
Rider, i ragazzi furono raggiunti da Nathaniel ed Eric. Assieme a Sam,
erano
davanti al portatile di Rider, sulla scrivania, mentre lui stava
rannicchiato
sul letto con una tazza di thè fumante fra le mani e lo
sguardo assente, fisso
sulla parete.
“Ma
sta bene?” bisbigliò
Eric, riferendosi proprio a Rider.
“E’
traumatizzato e anche
io. Per poco un treno merci non ci trasformava in tappetti umani!
– fece una
pausa, ancora cercava di metabolizzare quanto accaduto – Se
quel tunnel fosse
stato più stretto…Beh, non voglio neanche
pensarci, non saremmo qui a parlarne,
probabilmente.” esclamò Sam, fissandolo assieme ad
Eric, mentre Nathaniel era
impegnato a visionare i filmati, seduto, con loro, in piedi, ai lati.
“Quindi
è tutto vero? A esiste
e non è Anthony?” era ancora incredulo
Eric, quando dodici ore prima, erano arrivati ad una conclusione ben
diversa
“A esiste e HA UCCISO, Anthony!
– sottolineò, Sam -
A ha
scambiato i corpi all’obitorio e, sempre A, ci ha fatto quasi ammazzare
stasera!”
“E
in tutto questo, la
polizia sta per catturare qualcuno che in realtà non ha
ucciso nessuno? – Eric non
riusciva davvero a crederci – Dov’è il
manicomio? – sussultò – Seriamente, qui
sembra di stare ai confini della realtà!”
Nathaniel,
finalmente, fece
sentire la sua voce, attirando l’attenzione dei compagni:
“Ascoltate, ho già
visto il filmato di Martedì, Mercoledì e ora sto
guardando quello di Giovedì.
Aiutatemi, è l’ultima registrazione e ancora non
si è visto niente. – quelli si
avvicinarono meglio - Non scollate gli occhi!”
Dopo
qualche minuto di
calma piatta, nel filmato, i tre cercarono di non demordere.
“Lasciate
perdere Mercoledì
e Giovedì. Soffermatevi su Martedì! –
Rider spuntò alle loro spalle, facendoli
lievemente sobbalzare – In un caso del genere, la polizia
avrà fatto pressioni
al medico legale. Se A ha
scambiato
i corpi, l’ha fatto Martedì, subito, senza perdere
tempo, o l’autopsia sarebbe
stata fatta ad Albert e non ad Anthony.”
Nathaniel,
rapido,
tornò sulle
registrazioni di Martedì,
mentre Eric si sincerava delle condizioni di Rider.
“Stai
bene?”
“No,
per niente. – aveva
un’espressione avvilita, gli occhi lucidi – Cercavo
di avere ragione e invece
avevo torto e…ho quasi ucciso me e Sam per questo. – si
impuntò sulle registrazioni, determinato
– Troviamo quel figlio di puttana!”
“E
dopo? Che facciamo?”
chiese Sam.
“Parleremo
con tuo padre e
lui sapra come aiutarci. Ci basta solo un volto, una prova e tutto si
collegherà perfettamente alla nostra storia!”
Nathaniel
si voltò, mentre
il filmato continuava, intervenendo: “Se raccontiamo tutto,
finiremo in galera.
Siamo complici!”
“Siamo
teenager! – esclamò
con enfasi - Raccontiamo bugie ogni giorno ai nostri genitori e alle
persone
che ci circondano. E’ il nostro pane quotidiano, siamo abili
in questo. Quando
saremo sotto interrogatorio, ci basterà aggiustare la
verità in modo che ci
danneggi il meno possibile. – si voltò verso
l’amico - E tuo padre, Sam, ci
aiuterà ad aggiustarla, perché è un
poliziotto, che sa come muoversi in queste
cose, e perché è tuo padre e non vorrà
perderti.”
E
quello abbassò lo
sguardo, pensando alla vergogna che avrebbe provato nel raccontare a
suo padre
a cosa aveva preso parte.
Qualche
minuto più tardi,
concentrati a scorgere qualcosa, nulla si decideva a comparire.
“Io
mi rifiuto!” sbuffò
Nathaniel.
“Torna
indietro!” esclamò
Rider, invece, come se avesse notato qualcosa. Naturalmente, mentre
quello
eseguiva, Sam ed Eric spostarono lo sguardo tra lui e lo schermo, con
il fiato
sospeso.
“L’infermiera!”
esclamò,
concentrando l’attenzione dei presenti su di lei, che era
appena passata
davanti alla porta dell’obitorio.
“Che
ha che non va,
l’infermiera? E’ solo passata davanti alla
porta!” pensò Sam, non trovando
nulla di insolito.
Rider
si affrettò a dare
una risposta: “E’ passata cinque volte davanti alla
porta, ad intervalli
regolari di otto minuti. Da destra a sinistra, senza mai tornare
indietro.”
Anche
Sam ed Eric lo
trovarono strano, ora che Rider glielo aveva appena fatto notare.
“Ehm,
ci sono due ascensori
nel piano. Uno nell’ala est e uno nell’ala ovest.
Avrà fatto il giro!” aggiunse
Nathaniel, giustificando la scena.
Rider,
allora, si chinò in
avanti, fermando il video, nel momento esatto in cui
l’infermiera passa davanti
alla porta.
“Guardate!
Ogni volta che
passa, ha sempre il telefono nella mano destra. Stessa espressione,
stessa
camminata, poi guarda un attimo a terra e risolleva lo sguardo.
– andò avanti
di otto minuti – Di nuovo: telefono nella mano destra, stessa
espressione, guarda
giù e continua a camminare. Ogni otto minuti, per cinque
volte, è tutto
uguale!”
I
ragazzi se ne convinsero,
a quel punto. Anche Nathaniel.
Eric
commentò a bruciapelo,
impressionato: “Ha montato lo stesso pezzo per cinque volte.
– riflettè, poi -
Saranno almeno 40 minuti!”
“E
40 minuti sono più che
sufficienti per scambiare due corpi, alle 3.25 del mattino!”
aggiunse
Nathaniel.
Sam
era incredulo: “Quindi
non abbiamo nessun volto? La polizia non troverà mai questa
persona!”
“Non
importa! – esclamò,
Rider, per poi rivolgersi all’altro amico –
Nathaniel, prendi il portatile, lo
portiamo al padre di Sam e glielo mostriamo.”
“Prima,
però, dobbiamo
raccontargli tutto.” non dimenticò, Eric.
“Ovvio!”
esclamò Sam,
mentre si scambiavano tutti uno sguardo di coesione. Nathaniel chiuse
il portatile
e si alzò, avviandosi assieme agli altri, uscendo dalla
stanza, silenziosamente.
*
Parcheggiati
davanti
all’abitazione di Sam, tutti si tolsero la cintura di
sicurezza, pronti a
scendere.
Rider
volle accertarsi di
una cosa, prima di entrare, rivolgendosi proprio a Sam:
“Chloe è ancora a casa
tua?”
“No,
è tornata a casa sua,
dopo avermi mandato un messaggio con venti faccine arrabbiate per
averla
lasciata da sola.”
Aprirono
le portiere,
pronti a scendere, ma l’arrivo di un nuovo messaggio, dovette
fermarli. I
quattro ragazzi si lanciarono nuovamente l’ennesima occhiata
fra loro, prima di
aprirlo.
“E’
di A!”
anticipò, Eric.
“Pensate
di avere la
verità in tasca e di poterla manipolare? Fate una sosta qui,
prima della
prossima tappa.”
-A
Subito
dopo, comparve un
immagine: un computer, poggiato sul banco centrale di un’aula.
“Ma
è la nostra classe,
quella!” la riconobbe, Nathaniel.
“Ho
imparato la lezione,
grazie. Ho chiuso con i posti bui!” si riufiuto Rider,
mettendo le mani in
avanti.
“Ma
non lo capite? A ci ha sentiti e
ci sta dicendo che se
faremo un altro passo, avrà anche lui qualcosa da dire!
Ragazzi, ho fin troppi
guai per averne altri!” gridò, esageratamente.
Tutti
lo fissarono, non riuscivano
a seguirlo e quello si rese conto di aver parlato a sproposito,
riferendosi ai
suoi problemi personali, che non loro non potevano conoscere,
abbassando lo
sguardo, calmandosi, sperando di non ricevere domande in merito.
“Quali
altri guai avresti,
scusa, a parte quelli con noi?” chiese, Sam, non risparmiando
quella domanda.
Rider,
intanto, stava
riflettendo su altro, dimenticandosi di ciò che aveva detto
Eric, ancora
fissato dagli altri due, in attesa di una risposta:
“Ragazzi!”
Quelli
si voltarono verso
di lui, anche Eric, che risollevò lo sguardo.
“Se
A – abbassò la
voce a quasi un bisbiglio - ha sentito quello che
abbiamo detto, significa che…”
“Oh
mio Dio, - reagì Sam,
sempre a toni bassi, gli occhi sbarrati – era in casa
tua?”
Rider
scosse la testa: “No,
il sistema d’allarme era attivo, non può conoscere
la password per
disattivarlo.”
Subito
dopo, si apprestò a
tirare fuori qualcosa dalla giacca: il telefono di Anthony.
Fissando
ognuno dei suoi
compagni, Rider indicò il telefono con il dito, arrivando a
comunicare con il
labiale: “E’ qui! – poi si mise il dito
davanti alla bocca – shhh – si diresse,
infine, verso la macchina, tornando a parlare normalmente, con un tono
da
recita – Bene, ragazzi, andiamo a scuola e vediamo di cosa si
tratta!”
Gli
altri rimasero come
imbambolati, per qualche secondo, prima di rientrare in macchina. Non
dissero
una parola per tutto il tragitto, scoperto che A
li ascoltava in qualche modo, attraverso il telefono di
Anthony.
*
Giunti
a scuola, i ragazzi
scesero dall’auto, avvicinandosi alle gradinate, mentre si
guardavano attorno.
“Forse
possiamo entrare
dalla palestra, c’è una porta, ma dovremo
snellirci, di notte è incatenata e si
apre di poco!”
Mentre
ragionavano sul come
entrare, Eric salì le gradinate, con lo sguardo fisso sulla
porta d’entrata.
Con un dito, osservato dagli amici, fece pressione sulla gigantesca
porta, che
si mosse leggermente verso l’interno, scricchiolando.
“E’
aperta. – si voltò –
Ragazzi, è aperta!”
Quelli
si scambiarono una
rapida occhiata.
“Era
ovvio! – esclamò,
Rider, ironicamente – A ci
tiene
molto a mostrarci il suo stupido portatile!”
“L’hai
lasciato in
macchina, vero?” gli domandò Nathaniel.
“Il
telefono di Anthony?
Certo!” rispose l’altro.
Sam
guardò l’orologio,
notificando ai suoi amici: “Mio padre si sveglierà
fra due ore e se non mi
trova in casa, darà di matto. Sbrighiamoci!”
E
salirono.
Percorsero,
subito dopo, i
corridoio dell’istituto, con accese le torce del telefono.
Rider ed Eric
camminavano più avanti, mentre Nathaniel e Sam erano
più dietro. Tutti e
quattro mantenevano lo sguardo vigile, mentre raggiungevano
l’aula.
Sam,
d’un tratto, ebbe un
attimo ti panico, fermandosi. Solo Nathaniel se ne accorse, fermandosi
anche
lui.
“Ehi,
che ti prende?”
“Ho
paura!” esclamò,
preoccupato, guardandolo negli occhi.
L’altro
accenno un sorriso,
quasi rassicurante: “Sam, non ci sono binari ferroviari nei
corridoi della
nostra scuola. Andrà tutto bene. Qui dentro siamo quattro
contro uno, non può
farci niente!”
Sam
finse un sorriso,
ancora impaurito: “Sai, prima Rider è
completamente crollato a casa sua, quando
in quel tunnel era stato COSI’ coraggioso, mentre io non
volevo entrarci,
perché ne ero talmente terrorizzato. Eppure, sarei dovuto
crollare io per
primo, perché ero io quello che aveva paura.”
“Che
stai cercando
di dirmi?”
“Se
dici di essere
coraggioso, non è detto che tu lo sia. Ora, sei
così sicuro di te, ma non sai
cosa sia la paura vera, finchè non la vivi!”
“Alcune
persone vivono la
paura ogni giorno, Sam. Che sia di morire o, addirittura, di vivere.
Fidati,
sono sicuro di essere coraggioso e – sorrise –
sapere che lo sei stato anche
tu, in quel tunnel, salvando la vita a Rider, mi rende ancora
più coraggioso. –
poi lo prese per un braccio, costringendolo a camminare di nuovo
– E ora
andiamo. Sono Mister Muscolo, ricordi? Non c’è
niente da temere con me!”
E
finalmente, un piccolo
sorriso, spuntò sul volto di Sam, che sentiva Nathaniel
stringergli il braccio,
toccarlo. Fu in quell’istante che la paura, finalmente,
sembrò abbandonarlo
temporaneamente. Non si era mai sentito così al sicuro,
mentre lo osservava con
occhiate rapide, arrossendo. Lui non se ne accorse, naturalmente.
Arrivati
alla soglia della
porta, si fermarono ognuno dietro l’altro, per poi entrare,
lanciandosi delle
occhiate, nel vedere un portatile accesso, poggiato sul banco centrale
dell’aula.
Si
avvicinarono,
lentamente.
“Quello
è il banco di
Albert!” lo riconobbe, Nathaniel.
“Già!”
esclamò Sam.
E
ormai ci erano davanti:
il desktop era completamente privo di cartelle, o quasi.
“Aspettate
un secondo… -
Eric osservò meglio il portatile – Questo
è di Anthony!”
“Potrebbe
essere, - Rider fece
mente locale - quella notte ho seguito Anthony in camera sua e lo stava
mettendo nel borsone. A possiede
tutta la roba che si è portato dietro per lasciare
Rosewood!”
Nathaniel
fu il primo a
mettere le mani sul portatile, muovendo la freccia verso
un’unica cartella,
posta al centro del desktop: “Ha cancellato tutto, sembra. Ha
lasciato solo
questa cartella, rinominata come La mia
verità!”
Prima
di aprirla, si
guardarono tra loro. Entrati nella cartella, c’era un
filmato, che Nathaniel
avviò.
I
primi minuti, mostravano
l’incidente con Albert e loro cinque che lo caricavano in
auto, subito dopo,
quella notte.
Nathaniel:
“Ok,
mettiamo che tutto fili come dici tu, ma come la mettiamo con Albert?
Qualcuno
si accorgerà che è scomparso!”
Rider:
“E
troveranno il suo sangue sulla mia auto e a quel punto io
andrò in galera,
mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con addosso una
ghirlanda di fiori!”
Anthony:
“Metti
l’auto nel tuo garage, lavala con il tubo e il sangue
verrà via. I tuoi
torneranno Mercoledì, no? Più tardi ti
darò il numero dell’autofficina di un
mio amico, và da lui e tutto tornerà come nuovo.
Per quanto riguarda Albert,
non c’è niente che ci collega a lui e il suo
telefono me lo porterò via con me”
A
bocca aperta, non
riuscendo nemmeno ad aggiungere una parola, i ragazzi proseguirono con
il
video, che mostrava loro, a casa Dimitri, ripresi da dietro una
finestra,
mentre Anthony versava la benzina sui corpi.
Anthony:
“Fortuna
che Rider è un tipo previdente e ha sempre della benzina di
riserva!”
Rider:
“Possiamo
fare in fretta, per favore? Non ce la faccio più!”
Nathaniel:
“Già,
facciamola finita, Anthony! Muoviti!”
Terminato
il filmato, fu Eric a trovare le parole per primo, mentre
avevano tutti lo sguardo fisso sullo schermo, sconvolto: “A ci ha seguiti dal momento in cui
abbiamo investito Albert.”
“Siamo
nella merda, ragazzi. Questa è chiaramente una
minaccia!” la
trovò palese, Nathaniel.
“Nemmeno
mio padre può aiutarci, non con una prova così
schiacciante. – Sam
andò nel panico, come suo solito – Ci daranno
l’ergastolo come minimo!”
“Non
esagerare, ha fatto tutto Anthony!” cercò di
minimizzare Eric,
nonostante fosse spaventato: tutti lo erano.
“Sì,
ma siamo ugualmente complici di un doppio omicidio, - aggiunse
Rider - la polizia la vedrà in questo modo! Se non ci danno
l’ergastolo,
usciremo di galera nel 2080, se siamo fortunati!”
E
fu in quell’istante che andarono tutti quanti nel panico; chi
faticava
a respirare bene, chi si metteva le mani nei capelli e chi rimaneva
immobile a
fissare vari punti del pavimento o delle pareti, con gli occhi
sgranati, il
volto pallido.
La
comparsa di un messaggio, sullo schermo del portatile, costrinse i
quattro ragazzi a voltarsi nuovamente verso di esso.
“Visto,
stronzetti? La
verità non può essere manipolata,
ma…può sempre rimanere nascosta!”
-A
Anche
questo nuovo
messaggio, portò l’ennesima ventata di confusione.
“Che-che
vuol dire questo?
– indicò, Sam, lo schermo del pc con il braccio,
tremante – Che non ha
intenzione di mostrare questo filmato alla polizia?
Intervenne
Eric, di seguito:
“Ora che ci penso, sono passati quasi quattro giorni e A ha questo filmato da quattro giorni.
Avrebbe potuto mandarlo dall’inizio.
Perché non l’avrà fatto secondo
voi?”
“Se
non vuole denunciarci,
che intende fare? Che c’è di peggio della
galera?” pensò Nathaniel, guardandosi
confuso con gli altri.
“Ha
scambiato i corpi, no?
Questo vuol dire che ha un progetto, non vuole denunciarci. Credo che A voglia… - fissò
ognuno di loro,
Rider, agghiacciandoli - qualcosa di più!”
SCENA
FINALE
A
si era appena seduto
davanti alla sua scrivania, di legno, molto mondana. indossava una
felpa nera,
il cappuccio sulla testa, i guanti di pelle nera; in mano, una tazza
fumante di
caffè, semplicemente bianca, che appoggiò sulla
superficie. Sopra vi erano
poggiate diverse cose, tra cui un portatile, lo zaino di Eric sporco di
terra,
quello che aveva dimenticato nel boschetto, e alcuni volantini con il
volto di
Albert sopra. La parete dietro alla scrivania, invece, era di metallo,
con dei
tubi che si intravedevano più alto, che gocciolavano.
Attaccata ad essa, altre
foto di Albert, in momenti diversi della sua vita, raggruppate tutte
nel lato
destro. Nel lato sinistro, le foto di Nathaniel, Sam, Rider ed Eric,
fuori
dalla chiesa di Rosewood, altre di Eric che si disfava degli abiti di
Anthony, altre
di Sam e Rider alla stazione e, naturalmente, le foto di quella notte:
quella
l’omicidio.
Improvvisamente,
su quella
scrivania, A poggiò una
telecamera,
che altro non era che quella utilizzata da Anthony per girare il video
assieme
ai suoi amici, dove aveva parlato male di parecchi studenti della
scuola.
Attaccato un cavo, passò il video sul PC, che era aperto
sulla pagina della
scuola.
Dopo
aver digitato qualche
tasto, A aveva caricato quel video
e, ora, chiunque poteva visualizzarlo…
CONTINUA
NEL QUARTO CAPITOLO