Prima di inziare a leggere vorrei apecificare che onde evitare di stressarvi traducendo il mio inglese maccheronico o strani tentativi di scrittura, metto i discorsi in glese tra " -", riportandoli in italiano. I discorsi in italino o latino così: -. Grazie dell'attenzione e buon divertimento.
Marzia.
Il vento ruffiano che bacia tutto ciò che incontra, si rannicchia ammutolito negli abissi per non sentire.
Cap.1
- Forks
Fino
a quel momento la mia vita è stata davvero noiosa. Passavo il tempo a riempire
il vuoto dentro di me. Mi sentivo inutile in un certo senso. Uscivo, studiavo,
mangiavo,dormivo...era un circolo vizioso che non finiva mai. Mi sentivo
prigioniera di me stessa: troppo debole per spezzare la catena che mi teneva
legata ad una vita apparentemente perfetta sotto tutti i punti di vista. Avevo
degli amici, dei conoscenti, ero una studentessa nella media. I ragazzi
venivano e andavano e uscivo quando avevo tempo. Mi divertivo, avevo una
famiglia che mi amava. Tutto quello che si potesse desiderare. Ma allora di
cosa mi lamentavo? So solo che da quando ho incontrato Jacob Black, la mia vita è cambiata, ha iniziato ad avere un
senso.
Oh...vi
starò annoiando con la mia melodrammicità e sdolcinatezza.Non mi sono neanche
presentata...che tipa! Meglio tardi che mai diciamo dalle mie parti. Piacere
sono Marzia. Non penso vi interessi anche il mio cognome, data di nascita,
stato sociale o quante volte vado al bagno! Ho ancora quindici anni,
anche se secondo il Nintendo Wii ne ho 72. Bhe, potrei andare a fare la
pubblicità della crema Olaz: ho 72 anni, si vede?
Ma
tornando a noi, circa un mese fa, settimana più, settimana meno, visto che
avevano chiuso scuola per disinfestarla dai topi ( t’ho guarda se mi tocca vive
tra i sorci -.-), i miei genitori mi spedirono da mio zio Charlie Swan,
il quale vive nella più triste e cupa città che abbia mai visto: Forks, in
America. Non ho ancora capito il motivo, già il mio inglese era pessimo, mi
mandano anche dove dovevo parlarlo per forza! Quando arrivai zio Charlie non
aveva ancora avvertito Bella, mia cugina. Ero spaesata in un posto sconosciuto
senza neanche un raggio di sole ad illuminarmi il cammino. La prima
impressione che ebbi di Forks non fu delle migliori.
Sembrava
una di quelle città fantasma che si vedono sempre nei film dell'orrore. Tetra,
grigia e deserta. Pioveva quando vi misi piede ed io odio la pioggia. La trovo
così...bagnata.
"Piove,
piove, piove...sai cosa fa? Piove!" mi ripetevo mentre osservavo il
paesaggio boscoso e sinistro che si intravedeva dal finestrino posteriore,
bagnato, della macchina. Probabilmente la città non era così male da come la stavo
vedendo, sarà stata colpa del mio sbalzo d'umore, insolito per una Bilancia,
fatto sta che volevo scappare, subito, teletrasportarmi se possibile. Forse se lo
avessi desiderato il Capitano Kirk sarebbe
venuto a prendermi. Ok , lo ammetto, la pazzia aveva preso il sopravvento su
l'ultimo briciolo di ragione rimastami. Ero come un pesce fuor d'acqua, anche
se lì di acqua ce n'era, anche troppa per i miei gusti.
La
pioggia cadeva violenta sui molti alberi che circondavano le strade, e si
abbandonava infine sulle vie solitarie.
A
Forks vivevano più o meno tremila abitanti, e ciò mi rendeva ancora più
depressa. Quanto avrei resistito nella solitudine?
Tutto
ciò a cui sfrecciavamo davanti, sembrava tremendamente triste e silenzioso,
perfino le persone. Morti viventi, anzi, i morti erano fin troppo arzilli al
confronto. Era come se ci fosse una maledizione su quella città. Magari una
strega cattiva aveva fatto uno strano incantesimo di cui le persone sono
tutt’ora prigioniere. Ma che dico?! Queste cose succedono solo nelle favole.
Darwin diceva che si ci abitua al luogo dove viviamo. Vedendo Forks me ne
convinsi ancora di più.
Girare
sulla vettura della polizia, per di più,
mi faceva sembrare una criminale, ma, chissà perché alla gente non interessava
se passava o meno la macchina dello sceriffo. Sapevo che gli Americani erano
strani, ma non immaginavo fino a questo punto! A pensarci bene, forse ero solo
io a vedere tutti quei difetti. Lo zio non fiatava. Il silenzio si tagliava con
il coltello, e io mi sentivo terribilmente in imbarazzo, sia per la mancanza di
una conversazione, sia per il fatto che la soggezione si impossessava di me
quando dovevo parlare una lingua che a malapena conoscevo.
Ero
sperduta in un paese di cui sapevo solo il nome,ero limitata, spaventata e di
certo il gelo tra me e mio zio non mi aiutava a sentirmi meglio. Mi ricordavo fosse un tipo piuttosto timido e introverso, ma, santo
cielo, un po' di buone maniere le conoscerà anche lui! Chissà, magari questi
intricati pensieri se li stava ponendo anche lui! La cosa era buffa sotto un
certo aspetto. Sembravamo come i protagonisti di quei vecchi film comici in
bianco e nero.
Imboccamo
una stradina sdruccevole e non asfaltata. A Poco a poco stavo iniziando a gustarmi quel viaggio senza
un'apparente destinazione.
Lo
sgretolare della polvere e dei sassi sotto le ruote mi dava uno strano senso di
adrenalina.
Una
serie di curve.
Di
primo acchitto quello che vidi fuori dalla vettura erano poche casette e
macchine parcheggiate. Sembrava uno di quei paesini di montagna dove trascorrevo
le vacanze estive. Mancavano solo i vecchi bisbetici che criticavano persino i
sassi e i bambini che urlavano
come barbari.
Zio
si fermò davanti una casetta in legno, piccola, dall'aria trasandata ma con uno
spiazzale piuttosto ampio e una specie di boscaglia sul retro. La mia
conoscenza della flora è alquanto limitata, quindi perdonatemi se riporto
descrizioni così superficiali.
Sinceramente
immaginavo la casa di mio zio, un tantino più lussuosa, o almeno più
grande.
A
capire avevo capito, un tantino, ma quello che non capivo era perché lo zio
urlasse in quel modo. Ero straniera, mica sorda!
Come
un gentiluomo fa alla sua dama,
scese e prese i miei bagagli, correndo sotto la pioggia torrenziale. Io lo
seguii, maledicendo la pioggia e
la parte dell'America che non conosceva gli ombrelli. Vi ho già detto che odio
la pioggia? Bhè, mi pare il momento di ribadirlo!
Fortunatamente
l'ingresso non era lontano. Mio zio mi aveva preceduta portando goffamente le
mie due valige. Fortuna per lui mi trattenevo solo un mese. Mi diressi verso la
luce che fuoriusciva dallo spiraglio della porta.
Al
suo interno, la casa era modesta come fuori. Un divano, due poltrone, un
televisore e un tavolinetto al centro della sala.
Scrutai
quel nuovo ambiente, la sala aveva una strana aria accogliente e vecchio stile.
Lo zio era scomparso, ma in compenso un signore sulla sedia a rotelle dai
lunghi capelli argentei e la pelle bronzea mi sorrideva forzatamente. Accanto a lui, sei ragazzi alti, corpulenti e dai
corti capelli corvini mi guardavano incuriositi, alcuni si davano addirittura
dei colpetti con il gomito. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo al centro di
tutta quell' attenzione. Tanto per rilassarmi chiusi la porta dietro di me e
quando mi rigirai sentii una forte presa stritolarmi.
-
Mayetta! Che bello rivederti!-
La
folta chioma caramello e liscia di mia cugina copriva la visuale. Era la
prima cosa calda che sentivo da quando ero scesa dall'aereo. La abbracciai a
mia volta stringendola forte a me. Adoravo mia cucina, era la mia amica
oltreoceano. Siamo sempre state molto unite, forse perché avevamo gusti in comune
o perché riuscivo ad ascoltarla senza giudicarla. Anche se ultimamente ci
eravamo sentite molto poco. Addosso aveva uno strano odore, come quello...di un
cane. Puzzare? Mia cugina?! Probabilmente era il cambio d'aria.
-Lei
è mia cugina Marzia- iniziò a dire rivolta alla folla di fronte a me.
-
Ciao - fu tutto quello che riuscii a dire sollevando gestualmente la mano. Era
l'unica parola universale che sapevo avrebbero capito.
Li
vidi sghignazzare...maledetto accento! Vedi tu se mi dovevo sentire in quel
modo appena arrivata!
Probabilmente
arrossii perché sentii Bella strofinarmi le spalle in modo rassicurante. Che
fossero i miei vestiti a suscitare tutto questo scalpore? Un paio di jeans e un
maglioncino azzurro non credo fossero tanto strani a vedersi. L'ho detto e lo
ripeto, gli Americani sono fin troppo strani.
Provai
a sorridere, anche se più che un dolce
sorriso sembrava avessi appena mangiato un limone. L'odore di cane bagnato
ancora non era svanito, la casa era impregnata di un fetore che mi dava la
nausea. Non mi era mai parso di essere così sensibile agli odori come in quel
momento. Più mi avvicinavo a quegli sconosciuti e più l'odore si faceva forte e
batteva nel mio naso come un tamburo. Stava diventando quasi insopportabile.
Strinsi
la mano al signore, aveva una presa salda, ma la sorpresa più forte la ebbi
nello stringere quella degli altri ragazzi. La presa era identica tra loro,
forte e vigorosa, quasi stritolatoria e...caldissima.
Sembrava
di toccare un ferro rovente. Feci finta di nulla sopportando in silenzio e
mostrandomi forte. Uno dei ragazzi sembrava aver capito il mio bluff, mi guardò incuriosito e si leccò le
labbra a mò di sfida. Che patetico. Avrei avuto voglia di provocarlo, ma era
davvero troppo grosso per me, farlo spazientire non era la mossa più adeguata.
Non
feci in tempo a finire il pensiero che il ragazzo che sembrava più
maturo e taciturno gli lanciò un'occhiataccia.
-Smettila
Paul!- lo rimproverò. Il suo tono sembrò più simile a un ringhio che ad una
voce umana.
Ero
sempre più confusa. Il fetore mi dava alla testa e gli occhi iniziarono a
infastidirmi. Quegli elementi mi provocavano strane reazioni fisiche, ma
probabilmente ero solo allergica alla polvere che sporcava l'aria.
Tutto
il mio disturbo era palpabile e non riuscivo ad evitare il nervosismo che
cresceva costantemente.
C'era
qualcosa, in quei nuovi personaggi, che non mi tornava, qualcosa di veramente
strano e bizzarro, troppo per una persona comune. Probabilmente avrei dovuto
spaventarmi e smettere di fantasticarci su, ma, al contrario, ne ero tremendamente affascinata.
Neque
irasci, neque admirari, sed intelligere (non arrabiarsi, non stupirsi, ma
comprendere) dicevano i latini ed io, degna figlia di quella cultura, non
potevo sottrarmi a quell' incoraggiamento.
Quel
suo modo di fare il simpatico, il tono di voce che usava e la sfacciataggine
che aveva nel guardarmi mi davano il nervoso. Sentivo il sangue ribbollirmi
nelle vene, ma trattenni il respiro e distolsi lo sguardo.
I
miei occhi viaggiavano lungo le pareti consumate della stanza cercando non so
cosa. Scrutavano i mobili, le finestre, ogni minimo oggetto per
cercare
di calmare l'agitazione che quei ragazzi imponenti mi creavano. Mentre cercavo
di tranquillizzarmi, il mio sguardo cadde su un piccolo oggetto, il quale a
prima impressione suscitava interesse. Era poggiato sul tavolinetto antico
vicino al divano, illuminato dal bagliore della abat-jour .
Era
un braccialetto davvero particolare, costituito da legno di mogano lavorato,
intagliato con grande precisione ritraeva decorazioni di stile indiano credo. E
infine gli era legato un ciondolo molto bello, la testa di un lupo. Una testa
grande e nera con due occhi bianche dalle pupille rosse disegnati ai lati ,, i
denti che sporgevano erano grandi e minacciosi. Mi intrigava. Avrei avuto
voglia di prenderlo e giocari, passarlo tra le dita, osservarlo, come fossi un
bimbo che vede un nuovo gioco.
Era
la prima cosa che mi piaceva in quella casa, però devo ammettere che ho sempre
avuto un debole per lo stile “pellerossa”,
sapeva
tanto di....indiano/selvaggio!
L'istante
seguente mi voltai verso Bella,cercando un minimo di conforto,lei ricambiò lo
sguardo, non sapendo se sorridermi o arrabbiarsi con Paul.
-Avrai
capito che lui è Paul...- lo inidicò pronunciando il nome con un tono che di
solito si usa con ciò che ci fa schifo, il quale mi fece l'occhiolino mentre lo
guardavo -...e lui è Sam!- spostò la mano verso l'altro ragazzo. ora che lo
guardavo meglio di corporatura era anche il più grosso. Era uno spettacolo così
grosso da fare senso.
-Io
sono Billy- si presentò l'uomo sulla sedia a rotelle sfoderando un altro
sorriso, apparentemente garbato. Avete presente le maschere del teatro No?
Quelle dal sorriso così strano da non capire se sia buono o cattivo? Vedendo il
suo sorriso mi posi la stessa domanda.
-Loro
sono Embry...- proseguì Billy indicando il ragazzo alla destra di Paul -...e
Jared- Spostò la mano verso la figura alla sinistra di Paul.
Non
so come feci e se tantomeno mi ero immaginata tutto ed
ebbi fortuna nell'azzeccare ciò che accadde.
-Qualcuno
sta venendo qui!- interruppi Billy,
-Sarà
Charlie!- rispose Bella, come se la mia fosse stata un'affermazione inadeguata.
-No,
il passo è leggero, ma il peso...sembra quello di un orso!- risposi stupita e
irritata dall'affermazione di mia cugina.
Immediatamente
mi accorsi della precisione con cui avevo descritto quei passi, mi resi conto
inoltre che nessun'altro, oltre me, aveva udito quel lieve rumore. Stavo forse
sviluppando il senso dell'udito e dell'olfatto?O forse era solo l’apice che
preannunciava la mia futura pazzia? O probabilmente mi stavano solo prendendo
in giro, ma da come mi guardavano allibiti…non avevano sentito nulla per
davvero. Eppure era un rumore chiaro, come quello dei tacchi che picchiettano
sul pavimento.
Poco
dopo entrò un ragazzo, alto, molto alto, dai capelli corti e corvini, dalla
corporatura più che grossa oserei dire imponente e massiccia,e, maledetta me e
il momento in cui li guardai, aveva
due occhi scurissimi che mostravano l'irrequietezza di un cavallo imbizzarrito.
Attrazione,
eccitazione, adrenalina, forse confusione o sorpresa...non so cosa provai in
quel secondo, fatto sta che mi sentii come...rinata.
Non immaginavo minimamente, la piega che di lì a
poco, la storia avrebbe preso.
In
quell'istante le altre persone mi sembrarono inesistenti, tutto nella stanza
polverosa sembrava sparire, tutto, tranne quella nuova essenza che aveva
varcato la soglia. Il tempo si era bloccato, il cuore si era fermato, non sentivo più il mio respiro e qualcosa di
indescrivibile, forte come una scossa, ma delicato accadde.
Lui
mi fissò, io lo fissai.
-Piacere!-
Ci presentammo contemporaneamente.
Che
ore erano? Per quanto tempo ero rimasta ad ammirarlo?
No,
l'ora di cena era passata, ero scesa dall'aereo con lo stomaco pieno...
-Marzia,
lui è mio figlio Jakob, e nel tempo in cui sarai ospite a casa nostra, sarà la
tua guida e accompagnatore ok?- la voce di Billy mi riportò alla realtà. Stavo
ancora fissando il ragazzo appena entrato? Guarda il fato, appena conosciuto e
già ho sono riuscita a renderlo la mia balia personale.
-S-si!-
provai ad essere il più naturale possibile.
-Le
tue cose sono già nella tua stanza. Bella noi andiamo a casa, domani avrete
tempo per parlare!- aggiunse Charlie
-Jakob
falle vedere la stanza!-
Il figlio di Billy si incamminò con passo incerto ed io lo seguii impietrita nell'ombra del corridoio.
Note della [folle]
autrice:
Fa schifo.
E sembra proprio che questa cosa
non appartenga alla categoria…
E ne voglio anche a te, O coglione
che hai letto questa fan fiction.
E te ne vorrò ancora di più se mi
lasci una recensione ♥
Cordialmente [o forse no?]
vostra,