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Autore: Pervinca95    24/01/2016    6 recensioni
The Origins è una raccolta di episodi che ha come compito quello di svelare l'origine dell'odio sorto tra David e Sarah, chiarire il rapporto che i protagonisti avevano in precedenza e permettervi di conoscerli a 360º.
Ogni one-shot qui presente è ambientata prima di "Keep Your Eyes Open".
Piccolo regalo per tutte le amanti della mia storia! Spero vi possa interessare!
*Può essere letta anche da chi non ha letto l'originale a cui fa riferimento*
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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La goccia che ha fatto traboccare il vaso



















Mi ero alzata col piede sbagliato e la luna decisamente storta. 
Il giorno prima non me n'era andata bene nemmeno una per colpa di un grandissimo idiota che si era divertito a rendermi difficile persino andare al bagno. 
David Trent. Il più grande imbecille nella storia degli imbecilli. 
Lo conoscevo da quanto? Due settimane? Forse qualcosa di più, ma ciò non raffigurava un valido motivo per infastidirmi quotidianamente. 
Non ci piacevamo e se fossimo stati rinchiusi in una stanza molto probabilmente ci saremmo scannati, ma la mia tattica era molto semplice: evitarlo come la peste. Ovviamente la sua era molto distante da quella da me adottata. Lui non aveva intenzione di evitarmi, bensì di condannarmi ad una vita scolastica d'inferno. La cosa lo faceva sentire in pace col mondo e con se stesso evidentemente. Mi chiedevo come riuscisse ad addormentarsi con la coscienza sporca che si ritrovava. 
Ogni santissimo giorno dal nostro primo dannato incontro, il cretino metteva a punto un articolato sistema di scherzi cattivi, trabocchetti, dispetti e prese in giro contro la sottoscritta. Il giorno prima, ad esempio, mi aveva beccata in piena faccia con quella sua stupida palla da football. Lo aveva fatto apposta, non era stata una sfortunata coincidenza. Non a caso un secondo prima di voltarmi a parlare con la mia nuova amica Clarice, gli avevo visto il pallone sottobraccio. 
L'idiota mi aveva colpita così forte da farmi volare distesa per terra con una conseguente spedizione in infermeria per tamponare il sangue dal naso. A risentirne era stato anche il mio povero sedere, non abituato ad ammortizzare dei tonfi tanto violenti. Per le successive ore ero stata costretta a camminare con le gambe divaricate e l'andatura di un bradipo. Il deficiente se l'era risa di gusto insieme ai suoi amici scimmioni fino a fine giornata, indicandomi ogni qual volta gli passassi davanti. 
Se credeva che mi sarei tramutata nello zimbello del Manhattan College si sbagliava di grosso. 
Quel giorno ero più che decisa a fargliela pagare. Non me ne fregava nulla della civiltà e della sana educazione. Quell'essere spregevole me l'aveva fatta calpestare e successivamente gettare nel gabinetto. Voleva la guerra? Guerra sarebbe stata. Si era messo contro la persona sbagliata, gli avrei fatto vedere i cosiddetti sorci verdi.
Salii sul pulmino giallo ardente di rabbia. Lo sguardo mi saettò, quasi fuori dal mio controllo, fino all'ultima fila di divanetti. Ed ecco che in mezzo agli altri scimmioni con cui condivideva i neuroni, svettava il capo gorilla in tutta la sua sfrontata arroganza. 
Strinsi le mani a pugno ed inspirai a fondo per dare un freno alla mia irresistibile voglia di caricare contro di lui e spaccargli il naso. Perciò mi limitai a percorrere il corridoio con una postura fiera in direzione del posto che Clarice mi riservava quotidianamente. 
<< Ma guarda chi c'è. >> La sua voce derisoria ed impertinente raggiunse le mie sensibili orecchie, infastidendole. << Pensavo che oggi saresti stata a farti ricostruire il naso. >> 
Gli scimmioni accanto a lui scoppiarono a ridere come dei celebrolesi fomentando la mia ira. Ma non dovevo cedere, non in quel momento. 
Nonostante l'immane sforzo che stavo compiendo, costrinsi i miei piedi a fermarsi in prossimità del mio sedile. Sorrisi a Clarice e la salutai con un gesto della mano prima di sedermi con cautela. 
<< Come stai? >> mi domandò indicando il mio regale didietro. << Ieri hai fatto un gran bel volo. >> 
Sospirai nel tentativo di smorzare la rabbia che mi provocava il ricordo e mi strinsi nelle spalle. << Oggi meglio, ma mi fa ancora un po' male a sedermi o piegarmi >> ammisi sconsolata. << Ieri sera l'ho passata a spalmarmi una puzzolente ed appiccicosa pomata su tutto il sedere. Non puoi immaginarti la gioia nel momento in cui le mutande mi aderivano come una seconda pelle. >> Alzai gli occhi al cielo e scossi appena la testa. Quell'esperienza traumatica mi avrebbe segnata a vita. 
Nonostante la disperazione, la risata ilare di Clar mi strappò un sorriso. Mi girai per guardarla e scorsi un luccichio divertito nelle sue iridi scure. 
<< Almeno tu non dovresti ridere delle mie disgrazie >> la ripresi scherzosamente. 
<< Sì, lo so, però... >> Le sue parole furono interrotte da un'altra risata che cercò di coprire con una mano davanti alla bocca. << Insomma, voglio dire, non riesco a trattenermi se penso che le mutande... >> Ottimo. La mia amica rideva di me e delle mie mutande senza un briciolo di tatto. E non riusciva nemmeno a mantenere un contegno dal momento che si stava sbellicando con tanto di lacrime.  
<< Be', perché non conosci i retroscena >> buttai là stuzzicando la sua curiosità. 
Spalancò subito gli occhi e mi fissò con aspettativa. << Oddio ti prego, dimmene almeno uno. Giuro che poi non riderò più. >> 
Frapposi una mano fra di noi e le rivolsi un'occhiata ammonitrice. << Aspetta a dirlo. Sono sicura che appena ti avrò confessato che per evitare che le mutande mi si incollassero addosso avevo avuto la geniale idea di sventolarmi il sedere con un asciughino, non riuscirai a... >> L'acuto da topo che le uscì dalla bocca ed il piccolo saltello che fece sul sedile prima di esplodere in una risata da pazza, mi fecero sgranare gli occhi basita. Ma eravamo sicuri che quella fosse la stessa ragazza pacata e moderata che avevo conosciuto io? Com'era stato possibile che in così poco tempo le avessi fatto perdere il lume della ragione? 
Per tutto il restante tragitto, la mia amica non smise di svuotarsi i polmoni a furia di risate. Ogni qual volta sembrava calmarsi, le bastava puntare gli occhi su di me per ricominciare a sbellicarsi. Se avessi avuto un cetriolo sulla fronte avrebbe riso meno, ne ero sicura. Evidentemente il suo punto debole erano le mutande, bastava che le si parlasse di quelle per farle perdere la testa. Dovevo segnarmelo: mai più nominare quella parola. 
Quando il pulmino arrestò la corsa davanti alla scuola, mi alzai dal posto per infiltrarmi nel trenino umano. Clar si apprestò a raccogliere il suo zaino da terra e, tra uno scatto di ridarella e l'altro, si posizionò dietro di me in attesa che io m'immettessi nella fila. 
Il deficiente lo vidi avvicinarsi con la coda dell'occhio. Avrei aspettato il momento più propizio per tagliargli la strada e magari pestargli un piede. Non che quello screzio mi bastasse come vendetta, ma era pur sempre un buon inizio. 
Appena fu vicino, senza degnarlo di uno sguardo...
<< Ecco naso storto. >> Che cos'aveva osato far uscire da quel forno? Piccolo demente con fattezze di fagiano, come si permetteva di offendere il mio nasino? 
Con un scatto fulmineo gli sbarrai il passaggio e mossi un gomito all'indietro, colpendolo nel fianco. Sentii lo stupendo suono del suo lamento strozzato riempirmi le orecchie. Oh, quella sì che era musica celestiale. Avrei dovuto registrarla e metterla come suoneria dei messaggi. 
<< Raddrizza la schiena, Trent >> lo canzonai lanciandogli un'occhiata beffarda. 
I suoi occhi si mossero rapidi fino ad incontrare i miei. A giudicare dal modo in cui erano arcuate le sue sopracciglia e dalla forza penetrante del suo sguardo, lo scimmione era arrabbiato. Molto arrabbiato. E a me quanto fregava della cosa? Meno di zero, esattamente. 
Tornai a rivolgergli le spalle con una piacevole sensazione di soddisfazione nello stomaco. Era quello ciò di cui necessitavo per raggiungere la mia pace interiore. Restituirgli pan per focaccia, oltre che picchiarlo, era diventato il mio cibo quotidiano. 
La fila man mano scorreva con flemma. Non avevo mai capito il perché di quella lentezza, neanche ci fossero stati dei lavori in corso o un restringimento di carreggiata. Insomma, quei bradipi dovevano solo procedere dritto e poi scendere tre gradini, cosa accidenti impediva loro di farlo in fretta? 
Improvvisamente il ginocchio destro mi cedette e per riflesso mi aggrappai ai capelli della ragazza davanti, la quale, povera disgraziata, gettò la testa all'indietro ed urlò dal dolore. Ad ogni modo quella chioma da raperonzolo mi aveva salvata da caduta certa. Le ero grata. 
<< Scusami, non volevo >> cercai di rimediare appena la tizia si volse a guardarmi con un'occhiata di fuoco. << Io... >> Un momento. Ma il ginocchio non era ceduto da solo. La rotazione del mio capo fu talmente rapida che per un attimo vidi il re degli scimmioni girare come un fantasma davanti ai miei occhi. Mi ripresi con alcuni battiti di ciglia e dirottai la mia ira su quello spregevole essere. << Tu. Sei stato tu a farmi quasi cadere >> lo accusai con il mio minaccioso dito. << Hai fatto quello stupido giochino del ginocchio su di me. Davvero originale >> commentai con una smorfia. 
Il gorilla aggrottò la fronte e si stampò un'espressione scettica in faccia. << Ma se le sei andata addosso apposta? >> 
<< Ma che cavolo dici? >> sbottai sconvolta. Dopotutto cosa dovevo aspettarmi dal predicatore del falso se non menzogne? 
Mi voltai verso la ragazza e scossi il capo. << Ti prego non dargli retta. È solo un idiota che non sa quello che dice. >> Perché avevo l'impressione che quelle mie parole fossero state vane? La tizia era abbagliata dal deficiente. Lo guardava come fosse stato il sole o una sorta di visione paradisiaca che le stava facendo comprendere quale fosse il suo obiettivo nella vita. 
<< Ah sì? >> intervenne quella specie di attore da quattro soldi. Tornai a concentrarmi su di lui e gli rivolsi uno sguardo raggelante. 
Incrociò le braccia sul petto e sulle sue labbra si pennellò un mezzo sorriso maligno. << Eppure fino a poco fa te e la tua amica non facevate altro che invidiarle i capelli. Che strana coincidenza che tu ti trovassi proprio dietro di lei e che ti sia aggrappata alla sua testa. >> 
<< Invidiarle i capelli? >> ripetei basita. Quel cretino sarebbe stato capace di mandare in galera un'innocente come me con le sue idiozie.
La faccia da schiaffi di Kevin Torn spuntò poco sopra la spalla di Trent. << Sì, ho sentito anche io che ne stavate parlando, specialmente tu, Anderson. >> 
<< Oh, quindi oltre che una visita dall'oculista devi anche farti dare una controllatina all'udito >> ipotizzai con l'acidità che mi traboccava da ogni poro. 
Due contro una, che vigliacchi. Ma non importava, potevano pure essere in dieci, avrei vinto comunque. 
<< Quindi neghi tutto? >> Il capo scimmione sollevò un sopracciglio e mi fissò con malcelato divertimento.
<< Certo che nego. E poi cos'avrei dovuto invidiarle? Sono capelli normalissimi. >> Spostai frettolosamente lo sguardo sulla ragazza e le posai una mano sulla spalla. << Con tutto il rispetto, ovviamente. >> 
Mi stava odiando. Eccome se lo stava facendo. Le sue iridi blu sprizzavano saette di fuoco contro di me come se cercassero d'incenerirmi. 
<< Tu non sei normale >> affermò con un tono di disprezzo. 
Ritrassi il capo e mi portai le mani sui fianchi, evitando di focalizzarmi sulle risate dei due scemi dietro di me. << Qual è il tuo problema? Ti ho chiesto scusa, mica l'ho fatto apposta. Offendere non credo sia la scelta più diplomatica per mettere fine a questa inutile discussione. >> 
<< Hai definito i miei capelli "normalissimi" >> precisò strizzando la bocca risentita. 
<< Be', no, ma io non intendevo che sono banali o non sono belli >> mi corressi in difficoltà. << Stavo solo dicendo che... Insomma, in un certo senso... >> 
<< Sarah, ma che sta succedendo? >> Oh Dio, finalmente una voce amica. 
Mi voltai a guardare Clarice che si stava facendo spazio tra i due cretini per accorrere in mio aiuto. Al suo sguardo interrogativo risposi con uno supplichevole. 
Era tutta colpa di quel deficiente dai capelli sbarazzini se ero finita in quella situazione imbarazzante. 
<< Oh, tu sei l'altra invidiosa >> la appellò la ragazza con una smorfia stizzita. 
La mia amica strinse gli occhi e la guardò come se fosse impazzita. << Come, scusa? >> 
<< Hai sentito benissimo >> ribatté quella vipera. 
Ero giunta al limite della sopportazione. Se non fossi uscita in fretta da quel pulmino avrei rischiato di scoppiare ed incendiare tutto con la mia ira. 
Afferrai Clarice per un polso e piantai gli occhi sull'altezzosa tipa che mi trovavo davanti. << Sai una cosa? Adesso mi hai proprio stufata. Ti ho già fatto le mie scuse, se non hai intenzione di accettarle poco me ne frega. >> La superai trascinandomi dietro la mia amica, ma poco prima di scendere i gradini mi fermai e rivolsi lo sguardo sulla schiena della ragazza. << E comunque, per la cronaca, hai dei capelli normalissimi. Tiratela di meno >> conclusi secca. Lanciai un'occhiata d'odio al babbuino, che nel frattempo sfoggiava un ghigno divertito, ed infine mi decisi ad uscire da quella scatola gialla. 
Mi sistemai lo zaino sulla spalla e sbuffai per allentare lo stress. 
<< La mattinata è cominciata proprio bene >> constatò Clar, dando voce ai miei pensieri. 
Ed il peggio era che mancava ancora molto prima che finisse. 





                                                                       *  *  *





La terza lezione del giorno avevo avuto la sfacciata fortuna di condividerla con la vipera incontrata sul pulmino. E pensare che anche tutti gli altri mercoledì avevo avuto quella lezione in comune con lei. Il fatto che non l'avessi mai notata, denotava quanto fossi attenta agli esseri umani che mi circondavano. Sarebbero potuti essere degli alieni con quattro occhi e due nasi, non me ne sarei accorta. 
Ad ogni modo scoprii come si chiamava: Jessica Wright. Già il nome mi faceva antipatia. L'avrei vista bene accanto all'idiota, sarebbero stati una coppia perfettamente bilanciata. La stupidità di lei sarebbe stata compensata dall'arroganza dell'altro, come anche l'altezzosità dell'una sarebbe stata equilibrata dalla malvagità del celebroleso. Due esseri tanti brutti interiormente non li avevo mai incontrati.  
Ero sicura che se un giorno quei due si fossero messi in società per rovinare le vite altrui, il cielo si sarebbe oscurato ed il male avrebbe annientato il bene. A quel punto gli storici non avrebbero più chiamato solo il Medioevo periodo buio
Quando suonò la campanella che avvertiva dell'inizio della pausa pranzo, mi alzai dal banco e raccolsi i libri. Uscii dall'aula e camminai spedita verso il mio armadietto, cercando di schivare tutti i bovini che correvano in direzione della mensa. Sembrava che non mangiassero da mesi tant'era la foga con cui percorrevano i corridoi. 
Immisi il codice ed aprii lo sportello di latta a cui, internamente, avevo incollato con una gomma da masticare l'orario delle lezioni. Tenevo sempre due foglietti, uno nello zaino e l'altro lì dentro, così avrei potuto impararmelo più in fretta. Clarice aveva adottato il mio stesso metodo, ritenendolo efficace e semplice. 
Sì, ero un genio. 
Sistemai ordinatamente i libri e richiusi l'anta bloccandola col lucchetto. 
Avevo un impellente bisogno di andare in bagno, speravo che non ci fosse la coda o sarei stata costretta ad infiltrarmi in quello dei maschi. Non ne avevo mai avuto il coraggio, ma più volte avevo visto delle ragazze chiedere ai ragazzi di poter entrare. Dopotutto dalla loro parte non c'era mai la fila. 
Raggiunsi la toilette ed entrai soltanto con la testa per osservare quante tipe ci fossero dentro. Fortunatamente solo due. Sarebbe stata una cosa fattibile. 
Mi misi in coda ed aspettai che arrivasse il mio turno. Quando finalmente ebbi la possibilità di entrare, sospirai di gioia. La liberazione era vicina. 
E proprio mentre ero accovacciata nella mia scomoda posizione per non toccare la tazza apparentemente pulita del water, udii dei rumori sospetti provenire dall'anticamera del bagno. Assomigliavano a dei bisbigli, ma non ne ero sicura. 
Mi sforzai per terminare in fretta e furia di fare pipì e sobbalzai nel sentire la porta principale della toilette sbattere pesantemente. 
Ma cosa cavolo stava succedendo? 
Mi risistemai rapidamente e cercai di girare la serratura improvvisamente bloccata. 
Alzai gli occhi al cielo e sbattei un palmo contro il pannello di plastica. << Trent, so che sei tu. Apri questa porta >> comandai seccata. 
<< Anderson, sbaglio o non hai tirato lo sciacquone? Sei così incivile? >> mi canzonò quella testa di carciofo. 
Ed ecco che la rabbia ricominciava ad incendiami le vene. << Qui l'unico incivile sei tu! Apri questa dannata porta o la butto giù! >> sbottai picchiandoci contro un pugno. 
<< Sono curioso di vedertela sfondare. >> La sua risatina schernente mi penetrò le orecchie come degli spilli. Ero sul punto di staccare quella dannata porta dai cardini e sbattergliela in faccia a ripetizione. 
Sbuffai furiosa. << Il tuo braccio destro dove l'hai lasciato? Anzi no, fammi indovinare, è fuori dal bagno a controllare che nessuno entri >> sibilai con gli occhi ridotti a due fessure. Ci avrei messo la mano sul fuoco che fosse come avevo detto. Era sempre così: lui mi rendeva la vita un inferno e quell'altro demente si assicurava che nessuno si frapponesse fra il suo piano malefico e me. 
<< Ci stai facendo il callo, noto >> mi beffeggiò quella pustola immonda. << Perciò dovresti anche sapere che non ti aprirò mai la porta. >> Certo che lo sapevo.
<< La speranza che tu possieda un briciolo di coscienza è l'ultima a morire >> sputai con disprezzo. Ma cosa volevo sperare? Quell'infido essere non sapeva neanche cosa volesse dire la parola umanità. 
In preda alla rabbia e alla frustrazione allungai il braccio per tirare la cordicella dello sciacquone. Istantaneamente il demente scoppiò a ridere. 
<< Ti diverte così tanto il rumore dello scarico? >> soffiai acida. << Perché non cominci a passare tutta la giornata attaccato alla tazza se la cosa ti fa sbellicare a tal punto? >> 
In risposta ottenni soltanto risate strozzate. E per più di un attimo sperai che ne rimanesse soffocato. 
Poi, quando sentii qualcosa ribollire nel water, la mia testa si voltò a rallentatore verso quel rumore minaccioso. C'era qualcosa di conficcato sul fondo. Un rotolo intero di carta igienica? Come cavolo ci era finito? E perché avevo un brutto presentimento? 
Oh Cristo! 
L'acqua stava risalendo rapidamente fino a...
<< Oh mio Dio! >> gridai schiacciandomi contro la porta. Era straboccata e si stava riversando sul pavimento in direzione delle mie scarpe nuove di zecca. No no, le scarpe di tela no. Tutto, ma non quelle.
Iniziai a saltellare sul posto in un disperato quanto vano tentativo di non bagnarmele. Appena sentii quell'acqua putrida entrarmi nelle suole ed inzupparmi i calzini, rabbrividii inorridita. Mio Dio, si trovava pure la mia pipì in quella cascata puzzolente. 
<< Apri questa schifosissima porta! >> strillai battendoci più colpi a ripetizione. << Trent giuro che ti spacco la faccia se non mi liberi di qui! >> 
<< Per un po' d'acqua? Aspetta che arrivi roba solida prima di minacciare >> sghignazzò da un altro punto del bagno. Probabilmente il maledetto si era seduto sopra il lavandino. Quanto avrei voluto uscire dalla mia trappola ed usarlo come mocio umano.
Aspetta. Cos'aveva detto? 
Sgranai gli occhi e cercai di fondermi con la porta. << Quale roba solida? >> domandai terrorizzata. 
Oh mio Dio, no. Già la vedevo. Una massa informe di roba marrone e rivoltante stava avanzando a passo di marcia contro di me. 
<< Oh Gesù! Gesù! >> gridai cercando un appiglio alle pareti. Ma perché il destino doveva essere tanto infame con me? Stavo per essere sommersa da una valanga di letame senza alcuna possibilità di fuga. Ed in più dovevo sorbirmi le risate sguaiate di quel cretino. 
Le dita sudate mi scivolavano in continuazione contro la superficie liscia dei pannelli, facendomi assomigliare ad un gatto isterico. Ma perché proprio a me? Avrei voluto piangere. 
Un rumore ovattato focalizzò la mia attenzione sul water. Scossi la testa a rallentatore mentre la mia bocca si apriva per formare una O perfetta. Sarei stata sommersa. 
Vedevo quell'onda anomala di cacca fetida sovrastarmi col suo puzzo e la sua rapida ascesa. 
No, non potevo morire in quel modo indignitoso. << Fammi uscire! Fammi uscire, sta per straripare tutto! >> strillai con un tono talmente acuto da perforarmi i timpani. 
Troppo tardi. L'esercito di letame iniziò a ricadere sul pavimento e ad avanzare verso le mie scarpe già rovinate dall'acqua putrida. 
<< Trent! >> ringhiai furente. << Tirami fuori di qui! >>
<< Lo farei, ma sai com'è. C'è troppa acqua, non vorrei bagnarmi >> rispose con un tono falsamente dispiaciuto. Lo avrei ucciso tra atroci sofferenze. 
<< Non preoccuparti, c'è così tanta cacca che non ti distingueresti >> sputai acida. << Saresti nel tuo habitat naturale >> aggiunsi mentre osservavo quella schifosa ondata avvicinarsi sempre di più. 
Oddio no, mancava poco prima che mi sommergesse. Ma quanta ne facevano le ragazze? Possibile che non riuscissero a trattenersi per farla nel loro gabinetto? 
Come una pazza in preda alla disperazione iniziai a saltellare per aggrapparmi in cima alla porta. Accidenti alla mia bassezza! Non riuscivo neanche ad andarci vicina. 
Se mi fossi trovata in una qualche storia romantica, un cavaliere valoroso sarebbe sicuramente accorso in mio aiuto. Invece me ne stavo lì a saltare come un gatto sciancato in mezzo ad una mare di sterco. 
<< Porta fortuna, Anderson, guarda il lato positivo >> mi sfotté quell'idiota con una risatina odiosa. 
Non lo ascoltavo nemmeno più. La mia testa si muoveva a scatti tra il flusso inarrestabile di cacca e la porta. Ero spacciata. 
Nel momento in cui percepii qualcosa di consistente e bagnato attraversare i piccoli fori delle mie Converse, rabbrividii nauseata ed alzai gli occhi al cielo in una supplica furente. 
Emisi un ringhio frustrato e mi trattenni dallo scalpitare per evitare che pezzi di quello schifo volassero a destra e a manca. 
<< Eccola che arriva fino a qua con la sua andatura da mietitrice >> commentò lo spacciato. << Anderson, sei tu? >> osò chiedere rivolgendosi a quella massa di sterco. 
Aveva superato il limite. E di molto anche. 
Tremai dalla rabbia e mi distanziai dalla porta per fissarla con uno sguardo inceneritore. Dopodiché alzai una gamba e tirai più calci contro quel maledetto pannello, riuscendo, dopo vari tentativi, a spaccare la serratura. 
Mossi dei lenti passi fuori dal gabinetto per poi dirottare i miei occhi accecati d'ira sul deficiente. Quell'essere infernale se ne stava seduto sul ripiano in mezzo ai lavandini con un ginocchio stretto al petto e la testa appoggiata al muro. 
<< Guarda chi si rivede >> disse mentre un sorrisetto beffardo gli incurvava le labbra. 
Mi precipitai con un passo deciso nella sua direzione fino a stringere le mani attorno ad un suo braccio. << Lo vuoi fare un bagnetto? >> 
<< Perché, non ti è piaciuto il regalo? >> Le sue sopracciglia si sollevarono impertinenti.  
Gli tirai uno strattone talmente forte da fargli perdere l'appiglio ed appoggiare di scatto i piedi per terra, in mezzo all'acqua putrida e alla cacca. << Mi piace condividere >> asserii con un sorrisetto vittorioso mentre i suoi occhi si accendevano di collera. 
Un attimo dopo mi ritrovai con le spalle al muro e la sua figura imponente a precludermi qualsiasi via di fuga. Le sue iridi ambrate ardevano di rabbia, ma poco me ne importava. La mia furia superava di gran lunga la sua. E se pensava che la mia vendetta avesse raggiunto il capolinea si sbagliava di grosso. 
<< Hai scelto di sfidare la persona sbagliata >> mi minacciò con un tono basso. Si distanziò in fretta e mi rivolse un sorriso tanto inquietante quanto cattivo. << Sei ancora troppo pulita, un po' di colore non guasterebbe >> affermò. E prima che riuscissi a capire cos'avesse intenzione di fare, venni letteralmente sommersa da uno schizzo di letame ed acqua. 
Per degli istanti rimasi immobile, sotto shock. Mi sentivo i vestiti, i capelli e la faccia bagnati di... 
Aprii di scatto gli occhi e strinsi i denti provocandomi quasi male alla mandibola. Vedevo rosso. Stavo per trasformarmi in Hulk o in un Sayan di quarto livello. 
Inspirai a fondo per evitare che la vena sulla fronte mi scoppiasse ed infine decisi di restituirgli pan per focaccia. Mossi il piede e gli tirai uno schizzo di quella roba addosso, fortunatamente riuscendo a colpirlo dato che l'idiota, prevedendo la mia mossa, si era spostato fulmineo. 
<< Sei tu che hai scelto di sfidare la persona sbagliata >> soffiai osservando con orgoglio come la cacca gli ricadesse dai capelli. Che opera d'arte che ero stata capace di generare. Me ne compiacevo. 
La sua camminata rapida contro di me mi destò da quei soddisfacenti pensieri facendomi temere che avesse deciso di mettermi le mani addosso. Se così fosse stato sarei stata pronta allo scontro. Gliene avrei date di santa ragione fino a fargli scordare il grande pezzo di cacca che era. 
Sì, mi voleva picchiare, glielo leggevo in faccia. Ottimo. Era giunto il momento di sfoderare la mia arma segreta. 
Appena fu abbastanza vicino caricai il braccio destro e lo scagliai contro il suo naso. Ma che piacevole scricchiolio che avevo udito! Altra musica celestiale per le mie orecchie. 
Lo scimmione si piegò appena su se stesso mentre si copriva il punto colpito con entrambe le mani. << Ma che str... >> 
Gli assestai un altro colpo sulla testa e feci sfumare il suo insulto in un lamento di dolore. Che momento appagante. Finalmente, dopo più di due settimane, riuscivo a sfogare i miei nervi. 
<< Chissà se domani sarai a farti ricostruire il naso >> lo beffeggiai con un'espressione  irrisoria. Detto ciò, e soddisfatta della mia performance, mi diressi alla porta per lasciarmi alle spalle tutto quel mare di sterco, compreso Trent. 
Appoggiai la mano sulla maniglia ed improvvisamente venni strattonata all'indietro per i capelli. Ci mancò poco che non mi si staccassero dalla cute. 
Caddi sul mio traumatizzato sedere e mi immobilizzai schifata non appena le mie mani entrarono in contatto con tutto l'orrore nauseabondo che galleggiava sul pavimento. 
Emisi un ringhio rabbioso e mi rialzai in fretta e furia per scagliarmi di nuovo contro quel maledetto essere. Prima che la mia mano si scontrasse con la sua guancia ed il suo pugno mi arrivasse dritto in faccia, la porta si aprì di colpo. 
<< Ma che sta succedendo qua?! >> strillò una custode, osservando inorridita la scena. 
Trent nascose immediatamente il braccio con cui fino ad un attimo prima mi avrebbe colpita e la sua espressione mutò in una neutra. << È scoppiato il water. Ho sentito urlare e sono entrato per dare una mano. >> Mio Dio, quant'era falso! Proprio uno schifosissimo bugiardo. 
<< Confermi? >> mi domandò la donna. 
Aprii la bocca con l'intento di smentire ogni singola parola e raccontare per filo e per segno com'erano andate le cose, ma poi riflettei sulle conseguenze alla quale sarei andata incontro se fossi stata costretta a dire davvero tutto. In quel tutto erano compresi anche i pugni che avevo tirato al gorilla e l'abbattimento della porta. 
<< Sì >> asserii con uno sguardo deciso. La presidenza era proprio l'ultimo posto in cui avevo intenzione di mettere piede. 
La custode sospirò affranta ed osservò il disastro per terra. Dopodiché tornò a studiarci e ci fece segno di uscire da lì. << Venite, dovete chiamare i vostri genitori per farvi venire a prendere. Non potete stare con questi vestiti. >> 
Le sfilammo accanto come dei cagnolini ubbidienti e la seguimmo allo sportello vicino all'ingresso. O meglio, io la seguii, perché quando la signora si accomodò alla sua sedia guardò oltre le mie spalle spaesata. << Ma dov'è il ragazzo? >> 
Lanciai occhiate attorno a me ed infine scrollai le spalle. Poteva benissimo essere andato a buttarsi da un ponte, la cosa non mi sfiorava di striscio. << Non lo so >> ammisi disinteressata. 
La donna sospirò ancora e scosse il capo. 
<< Posso chiamare? >> domandai cercando di velocizzare i tempi. Non potevo starmene in quelle condizioni, puzzolente e fradicia, mentre lei se ne stava a compiangere quell'anima perduta per strada. Non vedevo l'ora di infilarmi sotto la doccia e ripulirmi da tutto quello schifo. 
Afferrai la cornetta del telefono e composi il numero, memore che mia mamma si trovasse in casa. 
Alla fin fine quella mattinata non era andata male. Nonostante mi fossi rotolata nel letame avevo avuto una piccola rivincita su quel babbuino malefico. 
E non sarebbe finita lì. Ero intenta a collezionarne molte, ma molte altre. 
 










Angolo dell'autrice: 


Buon pomeriggiooooo! 
Prima di tutto voglio ringraziarvi per essere arrivate/i fin qua a leggere! *_*
In seconda istanza spero di avervi strappato un sorriso con questo secondo episodio >.< insomma, me lo auguro davvero. 
Ah, e ci tenevo ad aggiungere che da domani risponderò a tuuuuuutte le recensioni che mi avete lasciato al capitolo di KYMO. *____* 
Per chi si stesse chiedendo quando arriverà il nuovo capitolo di KYMO vi dico che lo pubblicherò domenica prossima XD 
Oggi ho pubblicato questa seconda one-shot per tenervi compagnia durante l'attesa. Spero di esserci riuscita *_*
Ok, bando alle ciance! Vi ringrazio di cuore per tuuuuutto ciò che fate per me!! 
Un bacione gigantesco a todos! <3
A prestooooooo!!! 


Federica~




















































  
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