Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Pervinca95    04/09/2015    7 recensioni
The Origins è una raccolta di episodi che ha come compito quello di svelare l'origine dell'odio sorto tra David e Sarah, chiarire il rapporto che i protagonisti avevano in precedenza e permettervi di conoscerli a 360º.
Ogni one-shot qui presente è ambientata prima di "Keep Your Eyes Open".
Piccolo regalo per tutte le amanti della mia storia! Spero vi possa interessare!
*Può essere letta anche da chi non ha letto l'originale a cui fa riferimento*
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic













Il primo incontro







La sveglia suonò proprio nell'esatto momento in cui il mio romantico sogno stava raggiungendo il momento clou. 
Mi rigirai tra le lenzuola, allungai un braccio per spegnere quell'aggeggio infernale e tornai a bearmi nel mio stato di semi coscienza. Per ripararmi dalla molesta luce che filtrava attraverso le imposte, sotterrai la testa sotto al cuscino e mi concentrai sul mio sogno, cercando di continuarlo dal punto in cui si era interrotto. 
Rivangai la stessa scena a ripetizione, senza però riuscire a concentrami del tutto sulla sua benedetta continuazione. 
Maledissi mentalmente la sveglia per aver fatto fin troppo bene il suo dovere e riluttante mi decisi ad uscire dal letto. 
Osservai le cifre sul display della mia nemica e sbadigliai. Erano soltanto le 5.30 a.m. e le lezioni del mio primo giorno di scuola al Manhattan College sarebbero iniziate alle 8 in punto.
Avevo sempre avuto una specie di ossessione per la puntualità. Credevo mi fosse sorta alle medie, magari prima. Avevo sempre impostato la sveglia con mezz'ora di anticipo rispetto all'orario a cui mi sarei dovuta svegliare per non essere in ritardo; con quel metodo da me brevettato arrivavo, giorno dopo giorno, in anticipo. 
Mi trascinai al bagno e, dopo essermi goffamente tolta il pigiama con delle sorridenti papere gialle stampate sulla stoffa, entrai nella doccia. Senza prestare attenzione aprii il getto d'acqua fredda e venni inondata da una cascata ghiacciata che in meno di un secondo riuscì a svegliarmi. In preda allo shock, con un colpo secco virai la manopola sull'acqua calda e mi ci posizionai sotto nel tentativo di scaldarmi e riprendermi dal trauma. Come risveglio non era stato esattamente dei più piacevoli.
Più i minuti trascorrevano e più sentivo la tipica agitazione per il primo giorno di scuola condensarsi nello stomaco. Avevo paura di non parlare con nessuno e di non riuscire a fare amicizie. Oddio, come si faceva a fare amicizia? 
Mi ero sempre sentita ridicola nel dovermi presentare con un "ciao, io sono Sarah, tu come ti chiami?" 
Farlo mi faceva sentire una stupida bamboccia senza dignità. Sarebbe stato molto più facile se avessi portato un cartellino col mio nome attaccato alla maglietta, almeno non sarei stata costretta a presentarmi. 
Purtroppo alle medie non avevo stretto molte amicizie e le uniche che avevo fatto erano volate su un aereo per i più disparati stati d'America. Quando si dice la fortuna. 
Perciò era come se anche io mi fossi appena trasferita in un quartiere straniero. Non conoscevo nessuno, il che mi rendeva estremamente nervosa. 
La scuola superiore che avevo scelto, anche se non possedeva il tipico nome di tutte le scuole superiori dato che si chiamava Manhattan College, era composta da due istituti. 
Il primo era un normale college frequentato dagli studenti diplomati. Il secondo era un semplice liceo. Molto spesso coloro che uscivano da questo secondo istituto decidevano di frequentare il primo. Dopotutto risiedevano nello stesso edificio e la retta universitaria non era troppo costosa. 
Non sapevo se anche io, come molti, avrei deciso d'iscrivermi a quel college. Avrei desiderato esplorare nuovi stati e provare la vita del campus piuttosto che rimanere nella mia culla per tutta la vita. 
Ma c'era ancora tempo, precisamente quattro anni, prima che mi toccasse prendere in esame quell'ipotesi. 
Uscii dalla doccia con la pelle d'oca e mi avvolsi in un asciugamano. Raggiunsi lo specchio e cominciai a pettinare i capelli con delle spazzolate poco gentili, prendendo i nodi per le corna ed annientandoli. Una volta finito mi sentii la testa leggera tant'era stata la forza con cui avevo tirato le mie povere ciocche. Un giorno sarei rimasta calva. 
Nonostante la brutalità con cui solitamente li districavo, avevo sempre amato i miei capelli. Probabilmente per il loro color nocciola chiaro, o forse per il nuovo taglio che avevo chiesto alla parrucchiera e che mi donava particolarmente. Insomma, quel che era era, fatto stava che li amavo. 
Fino a qualche mese prima li avevo lasciati crescere fino ai gomiti, poi avevo pensato che un piccolo cambiamento prima delle superiori ci sarebbe stato bene. In quel modo avrei potuto creare una linea di demarcazione tra medie e liceo anche da un punto di vista estetico. E così li avevo fatti tagliare fino alle spalle. Inizialmente, vedendo le mie amate ciocche cadere sotto i colpi delle forbici, ero stata tentata di scappare, ma mi ero fatta coraggio ed avevo atteso di vedere il risultato finale. 
Con tutta sincerità dovevo ammettere di esserne rimasta piacevolmente sorpresa. 
Li asciugai in fretta e furia, temendo di essere in ritardo sulla tabella di marcia, e sospirai angosciata. Poche ore e sarei salita sul bus che mi avrebbe scortata fino alla mia nuova scuola. 
Potevo farcela, sarei riuscita a fare amicizia e sarei tornata a casa col sorriso. Sarebbe stato sufficiente essere me stessa e... e cercare di non risultare antipatica o cadere dalle scale o sbattere da qualche parte. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Sarebbe stato quello il mio mantra per il resto della giornata. 





                                                                       *  *  *





Avevo fatto a malapena colazione e di conseguenza avevo ingurgitato la mia pasticca per gli attacchi di panico quasi a stomaco vuoto. 
Io ed il mio simpatico organo eravamo troppo tesi per riuscire a buttare giù qualcosa di commestibile. 
Anche se mio fratello maggiore Cameron non aveva fatto altro che pressarmi a mangiare, alla fine si era dovuto arrendere pure lui. Lo sapeva che quando ero agitata non riuscivo proprio a farcela. 
Quel che sicuramente era certo era che appena mi fossi calmata mi sarebbe venuta una fame tale da trasformarmi in una cannibale. Per non parlare dei simpatici lamenti e ringhi che il mio stomaco avrebbe fatto espandere per le aule come saluto ai miei nuovi compagni di corsi. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Certo, come no. 
I miei genitori, purtroppo, essendo medici e lavorando assiduamente, quella mattina non mi avevano potuta aiutare nella titanica impresa di tranquillizzarmi. Ne avrei avuto un estremo bisogno, sebbene sapessi che non sarebbe servito a molto. In compenso mi avevano augurato buona fortuna la sera precedente, poco prima che andassi a dormire. 
In un certo senso andava bene così. In quel momento, mentre ero piazzata alla fermata del bus ed il sole picchiava dritto sulla mia faccia, avrei avuto soltanto bisogno di un'amica. Ecco, quella sarebbe riuscita in parte a calmarmi. 
Lanciai un'occhiata distratta al mio orologio da polso. Il bus, se non avevo calcolato male, sarebbe dovuto arrivare dopo qualche minuto. Nel frattempo avrei provato a bearmi del calore degli scottanti raggi estivi sulla pelle. 
Neanche un minuto più tardi mi sentivo andare a fuoco. Fui costretta a rintanarmi all'ombra come una marmotta che tenta di scappare da un'aquila. 
Non sapevo se avessi fatto la scelta giusta, sempre che ce ne fosse stata una, ma per quel primo giorno avevo optato per una semplice maglietta grigia a mezze maniche, un po' larga, con la simpatica scritta "troublemaker", degli attillati pantaloni neri e delle Converse nere, per non parlare del mio zaino nero della Eastpak. Insomma, mi pareva di essere abbastanza colorata. Probabilmente sarei subito stata presa per un'emo o per una punkettara, ma non importava. Vestirmi con abiti colorati non avrebbe rispecchiato il mio umore da condannata a morte. 
Appena scorsi spuntare il tipico pulmino giallo, il mio cuore cominciò a dimenarsi impazzito. Mio Dio, sarei morta di crepacuore ancor prima di metterci piede sopra. E se avessi iniziato a sudare e di conseguenza a puzzare? 
Non ebbi modo di darmi una risposta perché quella scatoletta di latta mi raggiunse in quattro e quattr'otto.
L'autista aprì le porte del veicolo ed immediatamente venni travolta da una miriade di schiamazzi simili a versi di pterodattili.  
Con la coda dell'occhio vidi un sacco di giovani teste voltarsi per guardarmi attraverso il finestrino. Che situazione imbarazzante. Odiavo essere fissata come una cavia da laboratorio. Quelle simpatiche testoline non avevano mai visto un essere umano tutto vestito di nero, con una faccia da zombie e l'andatura di un carcerato? La cosa mi meravigliava alquanto. 
Strinsi una spallina dello zaino in una mano e mi feci coraggio, salendo il primo gradino del mezzo e cercando di mostrarmi sicura di me. 
Quando varcai il corridoio del bus evitai d'incontrare gli occhi di chi mi osservava e mi concentri sulla ricerca di un posto libero. 
Fortunatamente ne trovai subito uno, o meglio due, in seconda fila, così mi ci fiondai con un aggraziato scatto da pantegana, come se da un secondo all'altro avessero potuto portarmeli via. 
Mi accomodai dal lato del finestrino e sospirai già più rilassata. Il primo ostacolo l'avevo superato, adesso non rimaneva che... be', tutta la giornata. 
Potevo farcela. Ormai ci ero dentro e non potevo tirarmi indietro, sarebbe stato ridicolo.  
Per tutto il viaggio non feci altro che tenere lo sguardo fisso fuori dal finestrino. E forse non ero quello il modo migliore per fare nuove amicizie, ma non avrei saputo con chi parlare. Dietro di me, a giudicare dalle voci e dai loro argomenti, si erano piantate due aspiranti cheerleaders che non avevano fatto altro che lamentarsi per non aver trovato dei posti in ultima fila accanto al "gran figo e ai suoi amici altrettanto fighi". Testuali parole, talmente profonde da aver toccato le corde del mio cuore. 
Davanti a me, invece, erano sedute due ragazze che si apprestavano ad iniziare il terzo anno. Avevo sentito soltanto qualche discorso riguardante i vari professori, poi avevano cominciato a raccontare le loro estati all'insegna del divertimento e della baldoria. Solo le mie estati erano tranquille e prive di azione? A sentire le loro, la domanda mi era sorta spontanea. 
Per il restante tragitto continuai ad origliare le conversazioni delle simpatiche tizie che mi circondavano. Perlomeno mi erano utili a non farmi focalizzare sulla mia ansia. 
Quando il bus parcheggiò e spalancò le porte, acciuffai il mio zaino e mi catapultai al di fuori, evitando così di rimanere imbottigliata nella ressa di scimmie che spintonavano come se avessero avuto furia di raggiungere quella specie di carcere. 
Dopo circa cinque metri arrestai il passo e mi soffermai ad ammirare l'edificio in mattoncini rossi che si stendeva oltre un grande giardino curato ricco di alberi e vialetti che conducevano all'ingresso della scuola. Distesi all'ombra o con la schiena contro i tronchi, vidi un sacco di studenti rilassarsi e chiacchierare tra loro. 
E nel ritrovarmi davanti a quel tipo di pacifica atmosfera, invece che sentirmi intimorita, mi sentii improvvisamente immersa anch'io nella tranquillità. 
Alzai la testa ed osservai incuriosita lo stemma della mia nuova scuola. 
<< Chiedi aiuto alla Madonna? >> mi canzonò una voce maschile dalle spalle. 
Mi voltai a guardare il prioritario della bocca da cui era uscita quella simpatica insinuazione ed i miei glaciali occhi azzurri si schiantarono su un paio di beffardi occhi castani. Ma non solo, perché dietro a quell'animale dalle fattezze umane si trovavano altri tre ragazzi alti più o meno quanto lui. 
Lanciai un'occhiata indagatrice a tutti ed infine tornai a concentrarmi sul presunto boss dai capelli castano chiaro e dai tratti del viso delicati, ma al contempo decisi. Avrei osato dire quasi affascinanti. 
<< Come, scusa? >> domandai battendo le ciglia e cercando di apparire più pacifica possibile. Magari avevo soltanto sentito male, non era necessario che gli augurassi una peste bubbonica immediata.
Al contrario delle mie previsioni, il tipo si aprì in un sorrisetto carico di divertimento e derisione. Volse la testa verso i suoi amici e li guardò come se mentalmente stesse loro dicendo: "una povera sfigata". 
Sollevai un sopracciglio infastidita e strinsi la spallina dello zaino. << Be', mentre tu cerchi di mettere insieme tre parole per darmi una risposta, io mi avvio >> tagliai corto con un tono profondamente schernente. 
Ruotai le suole delle mie scarpe sul vialetto ciottoloso e ricominciai a camminare verso l'entrata. Non sapevo perché, ma mi sembrava di avvertire un paio di occhi castani trafiggermi la schiena. 
Quella giornata stava iniziando nel migliore dei modi ed il mio mantra era già andato a farsi benedire. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Come no, più facile a dirsi che a farsi.





                                                                      *  *  * 





Dopo aver preso il foglio su cui erano elencate le mie lezioni, i vari orari, il numero del mio armadietto ed il regolamento della scuola, misi finalmente piede in aula. 
Non appena entrai, notai che alcuni studenti avevano già preso posto ai piccoli banchi dalla lucida superficie verde acqua. Senza soffermarmi troppo ad osservarli, imboccai uno tra i quattro stretti corridoi tra le file e lanciai occhiate ad alcuni tavolini liberi. 
La scelta era ardua. Quale sedia avrebbe avuto l'onore di sorreggere il mio regale didietro? 
Stranamente mi fece simpatia un banco in penultima fila. Non aveva niente di particolare rispetto agli altri, ma il mio cervello si era fissato che sarebbe stato quello il fortunato. Mi sedetti con cautela, evitando di fare troppo rumore per non attirare gli occhi degli altri addosso, ed appoggiai la cartella sul pavimento apparentemente pulito. 
Mi guardai attorno incuriosita ed osservai le nuche dei miei compagni di corso. 
Da quella visuale mi risultava piuttosto difficile farmi un'idea o esprimere un giudizio su ciascuno dei presenti. Ma non avevo nemmeno intenzione di cambiare posto solo per studiare le loro facce. Al novantanove percento delle probabilità sarei passata per pazza. 
Sospirai e spiegai il foglio con gli orari per leggerlo con attenzione. 
Tra una lezione e l'altra avevamo dieci minuti di pausa, e sapevo già che li avrei spesi per prendere i libri dall'armadietto ed andare in bagno. Alla seconda ora di quel giorno avevo storia americana, che sarebbe potuta essere estremamente noiosa come anche meravigliosamente interessante. Tutto stava nelle mani del professore. 
Avevo sempre ritenuto che la storia di per sé fosse bella, ma la differenza la faceva di sicuro il modo in cui il professore la spiegava e la faceva vivere. Non avevo senso elencare una serie di fatti senza la giusta e dovuta enfasi. 
Sentendo dei rumori ed essendo una persona fin troppo curiosa, alzai la testa e guardai in direzione della porta. 
Ed ecco che, grazie alla sfortuna di cui godevo da tempo immemore, i miei occhi atterrarono sul simpatico tizio che poco prima si era fatto beffa di me. E tanto per rincarare la mia dose di sfortuna, notai che non era nemmeno solo, ma possedeva un fedele seguace al suo fianco. 
Possibile che solo io mi ritrovassi sola come un cane? Tutti sembravano aver già fatto amicizia o conoscersi da tempo immemore. Il mio destino prevedeva forse un'eterna solitudine? Se così fosse stato mi sarei ritirata su una montagna come il Grinch ed avrei spedito maledizioni a destra e a manca. 
Gli occhi dello sfrontato ragazzo incontrarono i miei per una manciata di secondi, prima che io facessi una smorfia sprezzante con la bocca e riportassi l'attenzione sul foglio tra le mani. Di sicuro sarebbe stato lui quello a cui avrei scagliato più maledizioni. 
Evidentemente il fatto di essere stato schifato non gli andò a genio, perché immediatamente dopo avvertii dei passi farsi più vicini e poco più tardi intravidi pure un paio di consumate sneakers che... Oh sì! Sì, perdinci! Mi avevano superata e se ne stavano andando. Una volta ogni tanto anche io avevo qualche colpo... oh mio Dio, no!
Mi ricordai troppo tardi che dietro di me c'era soltanto un banco libero. Perché? Perché diamine mi ero messa in penultima fila? 
Strinsi la carta tra le mani e contrassi la mascella per il nervoso. Dovevo ricordarmi di non affidarmi più alle amicizie che il mio cervello stringeva con i banchi. 
<< Guarda chi si rivede >> sentii pronunciare con un tono divertito dalla bestia alle mie spalle. 
Oh Signore. Ma perché anche agli idioti era stata data la parola? Andava tolta a loro e regalata agli animali, avrebbero sicuramente fatto dei discorsi più intelligenti. 
Alzai gli occhi al cielo ed invocai mentalmente pietà per un qualche peccato che con molte probabilità dovevo espiare. 
<< Ehi >> mi chiamò una seconda voce maschile altrettanto derisoria. << Guarda che sta dicendo a te. >>  
Il troglodita alle mie spalle sghignazzò come un celebroleso. << Forse è sorda o non capisce la nostra lingua >> buttò là facendo scoppiare a ridere l'altro cretino con cui condivideva il cervello. 
Che simpaticoni. Fra tutti quelli che avrei potuto beccare il primo giorno di scuola, mi ero imbattuta in due deficienti colossali con la voglia di sfottere. La mia solita sfacciata fortuna. 
Udendo altre risatine da iene e commenti derisori sulla mia persona, sbattei le mani sul banco e mi voltai verso di loro. Ero già giunta al limite della sopportazione. 
Li fulminai con lo sguardo uno dopo l'altro, infine mi soffermai sul boss delle bestie che mi stava osservando con un sorrisetto sfrontato. << Capisco questa lingua più di quanto possa capirla tu >> sputai inferocita, spostando poi la mia furia sul suo amico. << Ah, e per inciso, non ho bisogno che tu faccia da tramite tra me ed il tuo compagno di giochi. Riconosco quando un pallone gonfiato dotato di sola maleducazione mi sta rivolgendo la parola >> conclusi secca, zittendo il tizio dai capelli scuri e gli occhi altrettanto scuri contro cui mi ero scagliata. 
Il troglodita alle mie spalle si accomodò come fosse stato su un'amaca ed adagiò le sue sudicie scarpe sul banco, a pochi centimetri da me. 
Sollevai un sopracciglio e squadrai infastidita le suole delle sue sneakers, poi, lentamente, portai i miei fumanti occhi su di lui. 
Lo stupido ragazzo se ne stava con le braccia incrociate sul petto in una posa disinvolta, mentre sul suo viso da rubacuori era stampato un sorrisetto provocatorio. 
Ero pericolosamente tentata di alzarmi, prendere il banco e rovesciarglielo addosso. 
<< Pallone gonfiato dotato di sola maleducazione? >> ripeté con un tono beffardo. << Che brutta opinione che hai di me >> aggiunse fintamente affranto. 
<< E non credo cambierà, perciò non ti sforzare nemmeno di rimediare >> asserii aprendomi in un falso sorriso carico di pungente ironia. << Potresti solo peggiorare le cose. >>
Ruotò la testa verso il suo amico ed entrambi si sorrisero complici. << Sentito, Kevin? >> gli disse con un sfumatura derisoria capace di mandarmi il sangue al cervello. << Non vuole diventare nostra amica. >> 
In quel momento, mentre ero intenta ad incenerire con un'occhiata quelle due fecce immonde, percepii un certo silenzio in aula. Ed infatti quando mi voltai notai che il professore aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza.
Rivolsi tutta la mia attenzione sull'uomo alto e barbuto che da quell'istante sarebbe divenuto il mio insegnante di calcolo e provai a non considerare i due primitivi dietro di me. Anzi, speravo che l'attaccapanni in alluminio attaccato alla parete si staccasse e cascasse sulle loro teste vuote. Ero sicura che per tutta la scuola si sarebbe propagato uno stupendo rimbombo. 
Il professore sorrise benevolo e si presentò in fretta, per poi passare a parlare in linee generali del programma che avremmo affrontato insieme a lui nel corso dell'anno. Seguii con attenzione ogni sua parola, cercando di annotare mentalmente qualsiasi informazione utile. Almeno fino a quando il mio infallibile udito da pipistrello non captò dei movimenti sospetti alle mie spalle. 
<< La ragazzina ha i gusti difficili, forse non siamo all'altezza dei suoi standard per esserle amici >> insinuò il tizio deplorevole di nome Kevin. Cos'aveva avuto il coraggio di dire, quel cretino?
Mi voltai di scatto e ridussi gli occhi a due fessure. << Ragazzina? Oh, perché tu quanti anni avresti, grand'uomo? >> sibilai a bassa voce per non farmi sentire dall'insegnante. 
Quanto avrei voluto spaccargli la faccia a furia di librate. Osava chiamarmi ragazzina quando lui stesso aveva la mia età. Già quel dettaglio denotava quanto poco intelligente fosse. 
<< Sbaglio o è maleducazione origliare i discorsi altrui? >> s'intromise l'animale fomentatore della mia ira, rivolgendomi uno sguardo da sapientino beffardo. << Fino a prova contraria, senza considerare il fatto che il Galateo è dalla mia parte, tra noi sei tu la maleducata >> concluse sollevando un sopracciglio, per poi pennellarsi un sorriso da schiaffi. 
Strinsi le mani in due pugni per trattenermi dal mettergliele attorno al collo e gli restituii uno sguardo di sfida. << Scommetto che non sai nemmeno cosa sia il Galateo. >> 
<< Potrei sorprenderti >> ribatte sicuro di sé. 
Spalancai le braccia in un gesto eloquente. << Illuminami. >> 
Ma chi si credeva di essere? Avrebbe dovuto guardarsi di meno allo specchio ed usare di più il cervello. Non riuscivo a decidere chi fosse più stupido tra lui ed il suo cagnolino. 
Abbassò di poco la testa e si sedette composto sulla sedia, successivamente riportò i suoi ambrati occhi nei miei e mi osservò di sottecchi con un odioso sorrisetto divertito. << Come vuoi >> acconsentì. Se credeva d'intimorirmi con la sua brutta copia dello sguardo di Edward Cullen si sbagliava di grosso. << La prima regola è: non giocare col fuoco >> sussurrò prima di piegarsi per prendere un paio di libri dal suo zaino consunto e sgualcito. Li posizionò sul banco sotto il mio sguardo carico di scetticismo e sul suo volto apparve un ghigno quasi diabolico. << Perché prima o poi ti bruci >> sibilò con misurata lentezza. Il resto avvenne ad una tale velocità da lasciarmi stordita. 
Non sapevo perché e non mi spiegavo come potesse essere successo, ma un attimo dopo avevo gli occhi dell'intera classe piantati addosso, i libri del troglodita erano per terra e la mia mano si trovava sul banco del cretino. 
<< Perché lo hai fatto? >> esclamò con teatrale stupore, il maledetto. Spalancò le braccia e si sollevò sulle gambe posteriori della sedia, restando in equilibrio purtroppo. 
Per una decina di secondi rimasi boccheggiante dinanzi a quell'accusa ingiustificata, non riuscivo ancora a capacitarmi di cosa fosse successo. Fortuna che il mio cervello reagì in fretta, facendomi chiudere la bocca e schiarendomi la questione.
<< Cosa? >> sbottai riducendo gli occhi a due fissare per fulminarlo. << Sei stato tu! Hai fatto tutto da solo per poi scaricare la colpa su di me! >> 
<< Questa è bella >> s'intromise il suo amico, o meglio, complice. << Ti ho vista lanciargli i libri con questi occhi >> dichiarò con un tono di denuncia, indicandosi i globi oculari. 
<< Allora dovresti andare dall'oculista >> ribattei secca. 
<< Che sta succedendo qua? >> La voce del professore mi fece sobbalzare sul posto. Mio Dio. Mi ero praticamente scordata di dove fossi. Alzai il mio sguardo implorante su di lui e mi morsi un labbro.
<< Non ho fatto nulla, glielo giuro >> affermai portandomi le mani sul petto. Non poteva non credermi. Non avevo una faccia da criminale come quella bestia immonda dietro di me. 
<< Non solo mi butti i libri a terra per ripicca, in più giuri il falso? >> mi canzonò il suddetto malvivente. << Scandaloso >> aggiunse scuotendo la testa con un'espressione indignata che riuscivo a scorgere attraverso la coda dell'occhio. 
Prima o poi quella testa gliel'avrei staccata a morsi. Stupido essere senza educazione.
Ignorai le sue inutili parole e congiunsi le mani per poi rivolgermi all'insegnante. << Non ho fatto niente di tutto ciò di cui vengo accusata. Mi creda, la prego. >> 
Lui esaminò il mio sguardo supplichevole e subito dopo sospirò. Sentivo di averlo in pugno, non poteva non provare pietà per la mia situazione disperata. << Signorina... >>
<< Anderson. Sarah Anderson >> mi presentai frettolosamente. 
Il professore annuì distrattamente. << Signorina Anderson, parlando in termini giuridici tutte le prove vertono contro di lei. Cosa dovrei pensare? >> 
Sgranai gli occhi e per un attimo mi ritrovai a boccheggiare basita. Si era bevuto il cervello quell'uomo? << Ma è stato lui >> insistetti indicando con un braccio il criminale che stava bellamente ghignando. Mi girai a guardarlo e per poco non gli misi le mani intorno al collo. << Diglielo! >> sbraitai furiosa. 
Le opzioni erano due: o si decideva a parlare o gli avrei fatto sputare le parole a furia di calci nello stomaco. 
Sollevò il suo maledetto sopracciglio ed incrociò le braccia sul petto muscoloso. << Cosa dovrei dire? I miei libri sono finiti per terra, la tua mano era sul mio banco e persino... >> Corrugò la fronte e dirottò lo sguardo sul suo amico. << Scusa, come ti chiami? >> gli chiese rischiando di farmi cadere il mento a terra. Quel demoniaco ragazzo ne sapeva una più del diavolo. 
<< Kevin Torn >> si presentò il subdolo complice. 
<< Ecco >> asserì il troglodita, tornando su di me con una scrollata di spalle. << Persino Kevin ti ha vista. >> Poi sollevò il capo e si focalizzò sul professore. << Non bastano queste prove? >> 
L'insegnante sospirò seccato e mosse un braccio per indicarmi la porta. << Le chiedo di uscire e non rientrare per il resto dell'ora, signorina Anderson. La prossima volta sono sicuro che rifletterà molto più a lungo prima di comportarsi come ha fatto oggi. >> 
Quelli erano un branco di pazzi! Come poteva un insegnante farsi dire cosa fare da una mezza cartuccia con una faccia da schiaffi come quel demonio? Ero a dir poco basita.
Mi morsi l'interno guancia per la rabbia e, cercando di sfoderare l'ultimo briciolo di orgoglio rimastomi, raccolsi silenziosamente la mia roba e mi recai a testa alta fuori dall'aula. 





                                                                        *  *  *





Qual era il mio mantra? Oh, certo. Inosservata, ma visibilmente simpatica. Peccato che poi fosse spuntato dal sottosuolo un deplorevole essere che aveva deciso di rendermi quella giornata, e probabilmente anche le successive, un inferno. 
Ed in quel preciso momento ero fuori dalla mia classe, a scontare una pena ingiusta e priva di senso. 
Controllai il mio orologio ed arricciai le labbra mentre contavo i secondi che mi separavano dal mettere le mani addosso a quella feccia. Eccome se gliele avrei messe! Ancora pochi secondi e lo avrei fatto tornare a casa con la faccia gonfia e le braccia al posto delle gambe. 
La campanella suonò nell'esatto istante in cui il mio countdown mentale proclamò il numero zero con tanto di "gong". Per precauzione mi sgranchii le dita delle mani e stiracchiai le altre parti del corpo. 
Un fiume di gente cominciò a riversarsi nel corridoio, alimentando la mia rabbia per non aver cominciato col piede giusto come tutti gli altri. 
E poi, mentre il mio sguardo da killer era collocato sulla porta dell'aula, lo vidi. 
Stava ridendo, lo scemo. Be', avrebbe smesso di farlo molto presto. 
Con la rapidità di una gazzella e la grazia di un facocero percorsi il breve tragitto che ci divideva. Mi sembrava di vedere rosso e sentire la testa fumare tant'ero infuriata. << Tu >> esordii, compiendo gli ultimi passi. 
Il mentecatto si girò a guardarmi insieme al suo amico altrettanto cretino e sorrise divertito. << Te la sei spassata qua fuori? >> osò domandarmi con la sua schifosissima ironia.  
Agguantai la sua camicia e lo spinsi debolmente contro il muro, invece di sbattercelo come avrei voluto. La mia forza era davvero deplorevole, mi sarei dovuta iscrivere in una qualche palestra per sollevare pesi e diventare Maciste due la vendetta. << Lurido verme che non sei altro >> ringhiai vicina al suo viso. << Per colpa tua il mio primo giorno di scuola sta andando a farsi benedire. Chi ti credi di essere, eh? >> sbraitai strattonandolo come un'isterica. 
<< Oh oh, la ragazzina è nervosa >> commentò il suo stupido amico. A lui avrei pensato a tempo debito. Avevo in mente una succulenta tortura per quella feccia. 
Il re degli idioti, invece, sorrise sfrontato e sollevò un sopracciglio. << Ti conviene lasciarmi andare, potrebbe passare qualche professore e... sai com'è, non mi ci vorrebbe niente a sfoderare di nuovo le mie doti di attore >> affermò divertito, dopodiché mi afferrò il polso e si abbassò su di me senza mai allontanare i suoi occhi dai miei. Deviò verso il mio orecchio ed avvertii il suo respiro fresco contro il collo, segno inequivocabile che stava ghignando. << Ricordati la prima regola del Galateo, può esserti utile >> sussurrò intimidatorio. Credeva davvero di potermi far paura? Che cretino.
Mi ritrassi schifata e lo squadrai con uno sguardo di sfida. << È una minaccia? >> 
<< Forse >> replicò con quel suo tipico sorrisetto da schiaffi. 
<< Allora tu ricorda questo >> pronunciai avvicinandomi appena per guardarlo dritto nei suoi attenti occhi ambrati. << Se il fuoco brucia, il ghiaccio congela >> sibilai con fermezza. 
Il suo sorrisetto sfrontato si allargò. << È una minaccia? >> 
Scrollai le spalle e stavolta fui io a dipingermi un sorriso beffardo sul viso. << Forse. >> 
E detto ciò, diedi loro le spalle e mi diressi verso la nuova lezione con una sensazione di vittoria condensata nello stomaco. 
Da quel momento in poi il mio mantra sarebbe stato un altro, non più uno remissivo. Ma uno decisamente più battagliero. 
Perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.










Angolo autrice:


Come avrete letto dalla descrizione di "The Origins", questo progetto ha il compito di mettere luce sul rapporto di solo odio che David e Sarah avevano prima che tutto si evolvesse in "Keep Your Eyes Open". 
Spero con tuuuuutto il cuore di strapparvi un sorriso o una risata e anche di permettervi di conoscere in tutto e per tutto questi due fanciulli.  *_* 
Inoltre volevo aggiungere, per chi non facesse parte del gruppo Facebook, che i capitoli di questa raccolta non saranno necessariamente collegati tra loro e che non usciranno con puntualità ogni settimana. 
Ah, ultimissima cosa! Per chi mi seguisse su Wattpad e si stesse chiedendo perché ho cancellato KYEO tra le storie pubblicate, vi dico subito che ho in mente un altro progetto. Questo 2016 è iniziato bene devo dire ahahah. 
Bando alle ciance, il progetto è quello di riscriverla tutta al passato remoto e migliorarla da una punto di vista sintattico, formale, grammaticale e chi più ne ha più ne metta. 
Prevedo un lavoro colossale -.- ma quando sarà pronta, sono sicura che sarò finalmente orgogliosa di farvela leggere come meritate di leggerla: in modo fluido, senza errori e con maggior trasporto. 
Ah, ed un'altra cosa ahahah. Sì lo so, non me ne vado più ahahah. 
Ma ci tenevo a ringraziare una ragazza, Marta, che mi ha dato quest'idea di "The Origins" in forma di raccolta che personalmente amo. GRAZIE ANCORA!!! <3 
Ok, ho finito davvero adesso *faccia da angioletto*
Un bacione a tutte e GRAZIE DI TUTTO! <3 






























































  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Pervinca95