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Autore: t e d    24/01/2016    3 recensioni
[Asahi/Noya | Deaf!Noya]
(Non è vero che non sa come fare, si ripete alle 2.05 am, non è vero. È solo che fino ad adesso c'ha pensato Nishinoya e Asahi si è limitato a poggiarsi a lui e a farsi trascinare, sfruttando il suo aspetto per – paradossalmente – fare in modo che nessuno ferisse Yuu; se ci pensa non deve poi ripagarlo di così tanto, perché c'ha già messo un po' di buona volontà dalla sua parte. In ogni caso è giusto così, è corretto che in un qualche modo Asahi possa finire di riscattarsi e di mettersi alla pari, per le volte in cui Noya c'era e Asahi un po' meno; presenza costante ma flebile – ecco, magari non così. Cazzo, non così, no).
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Asahi Azumane, Yuu Nishinoya
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Cifre spezzate'
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Note: ancora una volta all'inizio. Perchè questa storia, in realtà, può anche sembrare completa; ma poi ti chiedi: e poi?, e io non so rispondere.
Comunque sia, spero vi piaccia tanto quanto è piaciuto scrivere a me del gigante buono e della piccola minuscola microscopica pallina di energia.
Ted




Tre



Don't you know it? I'll follow you to the ends of the Earth.
Soul Eater

 

 

Si è sempre chiesto se il fatto che sia il nome Noya sia la parola Caos abbiano lo stesso numero di lettere – quattro – fosse una misera coincidenza oppure la prova che il destino potrebbe esistere come no. Ormai è una domanda che gli salta in mente anche quando Yuu rimane in silenzio per pochi minuti; in momenti inaspettati, lo prende allo sprovvista e lo lascia a riflettere su argomenti ben più profondi di quello iniziale – perché alla fine, non è niente di che: se lo dicesse ad alta voce probabilmente Tanaka ci riderebbe su e gli chiederebbe «Finalmente un po' di senso dell'umorismo anche tu, eh, Asahi-san?».
Non che gli dia fastidio: Azumane Asahi è un diciassettenne di solide credenze e valide abitudini e francamente ormai c'ha fatto il callo, dopo due anni, ai modi di Nishinoya – mai maleducati, solo decisamente, uh, bruschi. Yuu è quel tipo di ragazzino che arriva, ti saluta e scappa via prima che tu possa rispondere; il che è piuttosto strano, appurato come ogni giorno si presenti davanti alla porta della classe di Asahi per fare un pezzo di strada assieme. Noya parla, parla e Azumane non fa altro che ascoltare i suoi respiri corti mischiarsi con il modo in cui muove le dita mentre chiacchiera su come questo compagno abbia fatto questo e quest'altro compagno abbia fatto quest'altra cosa – c'è che una persona fragile come lui si è trovata incastrata con una specie di piccola bomba che esplode ogni volta che apre bocca, facendo casino e casino e casino e--
Asahi non ha mai preteso di sapere come contenere un ragazzo come Noya. Si è solo svegliato con la coscienza che magari non poi calmare la gente che gli assomiglia, che se ci provi alla fine colui che perde sei tu; ha semplicemente capito che – basta aspettare che finiscano le batterie. Nishinoya non ha tasti on e off, non ha parole che lo tranquillizzano e non è abbastanza timido da capire che se una persona urla bisogna abbassare il tono della voce: chi girovaga intorno a loro li guarda con aria stralunata, a chiedersi perché due persone del genere si siano quantomeno cercate – Azumane vorrebbe rispondere, a volte; farla finita con tutti gli sguardi interrogativi che li seguono mentre camminano e dire che – non sa nemmeno lui bene cosa vorrebbe dire, è solo l'idea di reagire che va bene. Non cambia molto, tuttavia: l'unica cosa che riesce a fare è mettere una mano su quel groviglio di voce e ciuffi mal decolorati che è Noya e sorridere a chi li circonda.

«Asahi-san, solo tre mesi».
«Noya?»
«Niente, Asahi-san. Novantadue giorni, novantatrè se Gli sto simpatico».

Non se n'è accorto subito: ha cercato di sviare il discorso, ripetendosi che probabilmente era distratto, che aveva altro a cui pensare, che in palestra c'era Kyoko-san e quindi è chiaro che non abbia sentito perché lei è davvero bella e Asahi non sarà mai al suo livello, con la barba da sistemare e lo chignon che continua a perdere ciuffi di capelli fra una striscia elastica e l'altra. In fondo era solo una ricezione persa, qualcosa su cui non bisognava piangere troppo su perché anche i migliori sbagliano – avrebbe dovuto concentrarsi di più su come Noya si fosse portato una mano giusto sopra l'orecchio destro, cercando di farlo di nascosto; e lì Azumane avrebbe dovuto intuire che bisognava intervenire subito e ora, senza nemmeno lasciar scorrere la piccola pausa che c'è fra il toc di un secondo e il toc! di quello dopo. Il tempo, ha notato, non è mai totalmente uguale: forse sono gli orologi stessi che lo rendono diverso, forse siamo abituati ad associare determinate ore a determinate lancette o a determinati schermi di cosi digitali – le 5.45 pm a quello appeso nella sala da the di tua nonna e le 3.04 am alla stanghetta di legno scheggiata che segna quelle tre cifre da quando il cucù è stato fissato sulla carta da pareti della cucina – o forse è solo che a ogni minuto corrisponde un momento non ben riproducibile nel futuro ma forse vagamente prevedibile poco prima: le lacrime al tuo matrimonio alle 11.23 am o la smorfia soddisfatta alle 9.56 am nell'attimo in cui la professoressa ti consegna il compito d'inglese; ciò non cambia che, per quanto ci siano attimi più belli e attimi meno memorabili di altri, cercare di emulare anche uno solo di tutti quelli che compongono un giorno sia una boiata. Ergo, quand'è che Asahi si sentirà guardato ancora così da Noya? Probabilmente avrebbe dovuto provare a farlo scorrere in un modo ancora più breve di quello che già non era, saltarlo completamente e passare al secondo dopo: sopravvivere al senso di colpa per aver deciso di evitare ciò che c'era da notare e all'imbarazzo per essersi soffermato su una cosa così stupida, così stupida--
Nishinoya non chiede aiuto. Azumane non ha mai, mai, dovuto tendere una mano a Yuu se non per essere lui stesso tirato su – ed è una cazzata primordiale che nessuno si salva da solo, okay, ma certe volte farlo sapendo di potersi appoggiare su un amico (sono amici?) è meglio. Gli esseri umani nascono come entità intere: probabilmente sarebbe più corretto cercare l'anima gemella che l'altra metà, ma tempo non aspetti tempo e, qualsiasi cosa siano stati Asahi e Noya da quando si sono incontrati, il primo c'ha un debito verso il secondo. Yuu non glielo fa notare, non lo sottolinea mai – non gli rimbecca come passi il tempo a parargli il culo o come Azumane si sia permesso di abbandonarlo per un mese – ma lui lo sa e ogni volta che loro parlano, sommerso dal casino che ricopre Nishinoya e che si propaga agli altri come i raggi solari, un po’ gli viene automatico ricordarsi di come Yuu abbia fatto questo, quest’altro, e Asahi sia sempre rimasto lì ad essere più di un metro e ottanta di pure crepe sul vetro. La squadra gli dice che non è vero, che Azumane è grande e grosso ed è l’Asso perfetto, ma— lui lo sa, sotto sotto, che c’è voluto Noya. C’è sempre voluto Noya. E adesso, il timore che ci sia bisogno di Asahi e che Asahi non sappia bene come comportarsi è un qualcosa che gli scivola sottopelle mentre riflette su perché le orecchie, perché.

La seconda volta che Nishinoya lo guarda con aria spaventata – e questa volta tenendosi entrambe le orecchie – è due settimane dopo, sempre ad allenamento; ha appena sbagliato un’altra ricezione sebbene Daichi avesse chiamato due, tre volte il suo nome. Non pensa di sentirsi bene, dice, e con questo corre fino ai bagni della palestra; è questione, anche ora, di pochi attimi nei quali Noya si volta verso di lui e spalanca gli occhi e poggia le mani su entrambi i lati del volto— e, almeno, Asahi non si volta come all’inizio. Rimane lì a guardarlo, piegando la testa verso destra mentre borbotta un «Cosa, Noya-san?» ma neanche questa volta Yuu riesce a capire e così si gira e si dirige a grandi passi verso la porta degli spogliatoi. Asahi, in piedi vicino alla rete, guarda gli altri fermarsi un momento – cercano tutti di ricostruire pezzi sparsi per strada da Nishinoya, indizi su un problema evidente ma sconosciuto – e sente rimasugli di frasi, di nomi: «Noya-senpai--» e questo è Hinata, che continua a giocherellare con le dita delle mani cercando di intuire cosa sia successo, voltandosi con aspettativa verso Kageyama – come se potesse conoscere le risposte a ogni domanda (Tobio non è un genio); gli è capitato di pensare che la piccola esca sbagli a riporre così tanta fiducia in un quindicenne che della vita sa soltanto come alzare a pallavolo e come lanciare sguardi poco invitanti, perché se devi credere a qualcuno con anche le ossa allora tanto vale che sia qualcuno che sa, ma— in fondo, hanno un loro equilibrio. Hinata e Kageyama funzionano perché sono Hinata-e-Kageyama, due ragazzini che hanno provato a scollarsi l’uno dall’altro prima ancora di sapere di essere incollati insieme, e ancora una volta non c’è niente di strano nel vedere Tobio poggiare una mano sopra la testa di Shōyō: è il suo modo di scusarsi per non potergli rispondere. (Ciò che disarma Asahi, infatti, è guardare Kageyama voltarsi verso di lui con aria interrogativa); Azumane sente anche Tanaka esplodere in «Noya?», ma nota come rimanga fermo anche lui (Se lui non si muove, allora anche Asahi stesso può rimanere fermo, giusto?) perché Yuu è un ragazzino tanto incredibile quanto imprevedibile e certe volte – oggi – prende chiunque sia presente alla sprovvista; il capitano e Suga stanno parlottando fra di loro nell’angolino a sinistra della sala, quello dove c’è il cesto con le palle, quindi non può ascoltare il loro discorso in modo completo – la verità è che Daichi e Kōshi sanno anche quello che lui stesso non riesce a realizzare e ha paura di sentire nominare il suo nome fra quelle frasi. In un qualche modo è frustrante, perché Asahi secondo chiunque dovrebbe essere a conoscenza di qualsiasi cosa riguardi Noya e alla fine la loro relazione è Nishinoya che legge Azumane come un libro aperto e lui che ogni giorno cerca di capire qualcosa in più sul piccolo libero che gli cammina a fianco; così decide di rimanere sotto rete a sorseggiare acqua fra un occhiata preoccupata verso la porta e un’altra ancora, a intervalli sempre più veloci – in verità Yuu non sta fuori molto, anzi, torna dopo dieci minuti con un gran sorriso e gocce d’acqua che gli colano dalle guance: «Asahi-san, Asahi-san! Cos’è quella faccia? Manca ancora un’ora alla fine dell’allenamento, sai!»
Ad Azumane basta guardarlo. Noya si zittisce e cerca di fregare Tanaka.

La situazione continua a non migliorare una settimana dopo, quando Nishinoya è di nuovo fuori dalla porta della sua classe al termine delle lezioni; è sempre lì da quando è tornato in squadra e Asahi gli ha già detto più di qualche volta che non si deve preoccupare, che può stare con quelli del suo anno – finché un giorno Noya ha alzato lo sguardo dicendogli che «Asahi-san, da me nessuno se n’è andato per un mese» e Azumane non ha avuto più nulla da obiettare. Anche i suoi compagni di classe si sono abituati alla sua presenza, poco a poco: capita che, prima ancora che lui si stia preparando per uscire e quando alcuni ragazzi sono già pronti per andarsene, senta chiamare il suo nome: «Azumane, il nanetto è già qui», oppure senta parti di discorso non ben definite, come: «Hey, Nishinoya-san! Com’è la vista da lì?» («Oi!») o «Mmm, così oggi andate a prendere un gelato, eh?» e quando Noya emette un rumore non molto chiaro (trenta yen che c’ha la bocca piena di qualche caramella super zuccherosa) ma comunque assertivo succede anche che Asahi, da dietro il piccolo banco che dovrebbe contenere petto e gambe senza problemi e che, ogni giorno, lo fa sembrare un gigante fra bimbi delle elementari, arrossisca – non un grande evento, uh, perché le guance di Azumane Asahi si tingono di rosso più volte di quanto a lui stesso piaccia ammettere e per le cose più futili; solo che c’è una vibrazione nelle voci dei suoi compagni che fa intendere più di quanto lui stesso voglia far capire agli altri e ciò a volte lo mette in estremo imbarazzo – perché è solo Noya, giusto? È totalmente normale prendere più pomeriggi sì che no un gelato insieme (è anche totalmente normale discutere su chi debba pagare, o entrare in gelateria con la consapevolezza che tu potrai anche cambiare idea, ma Yuu prenderà sempre e comunque quell’obbrobrioso gusto malaga che non si sa nemmeno perché e da chi sia stato creato?) e comunque sia ormai è una loro abitudine e—
Letteralmente, non importa. Whatever. Cambierebbero qualcosa le insinuazioni degli altri? No. E anche fosse, hanno entrambi una reputazione sballata per conto loro: un po’ Asahi per il suo aspetto, e un po’ Nishinoya per essere stato sospeso; Azumane lascia che parlino, che le loro parole striscino leggere fra loro due – perché ancora, non sa cosa siano lui e Noya: basta che gli vada bene così.
«Noya-san». Yuu sta guardando verso il parchetto dall’altro lato della strada, mentre camminano fianco a fianco – Asahi ha imparato che deve rallentare un po’ il passo mentre stanno assieme, perché altrimenti il libero ha bisogno di corricchiare per stargli dietro. È perfettamente comprensibile che non l’abbia sentito, di conseguenza.
Ci riprova: «Noya-san, il gelato ti sta colan--», ma lui continua a parlare imperterrito, anche mentre il raggio del suo sguardo si è spostato da destra a davanti a sé – con centocinquantanove (falsati) centimetri di altezza non si può permettere il lusso di guardare in faccia la gente se non alzando lo sguardo, ma Yuu un giorno gli ha detto che si diverte comunque nel cercare di indovinare il volto delle persone dal modo di vestire o dal fisico. A volte ci azzecca, altre solleva il viso per vedere se ha vinto o meno. Asahi corruccia le sopracciglia, guardando verso di lui mentre riflette su cos’ha fatto di sbagliato, lo sta ignorando non è vero è per quella volta che è uscito in ritardo rispetto agli altri o cos
«Nishinoya, oi, guarda la mano--» Niente.
«NOYA!», oddio non urlerà mai più guarda quante persone si sono girate. Asahi fa un gesto con la mano destra come a dire che non è successo nulla, non serve che voi vi giriate; dopodiché si volta verso Nishinoya e nota che ancora una volta, non l'ha ascoltato. Yuu è perenne nel suo parlare imperterrito, interrompendosi ogni tanto per ridere alle sue stesse battute – e sarebbe un comportamento che Azumane troverebbe anche carino se non fosse che ormai l'ha chiamato per quattro volte e per quattro volte Noya non gli ha risposto. Non che non capiti mai – Nishinoya generalmente parla per entrambi, a volume più alto e con maggior furore, e Asahi la maggior parte del tempo decide di seguire la corrente; rimane in silenzio, annuendo ai suoi pensieri mentre Yuu continua a borbottare, poi ad alzare la voce e a sputare parole unite malamente da una punteggiatura spesso dimenticata. Non c'è molto altro che possa fare, quando l'altro è talmente tanto un'unione di arti e ossa attaccata insieme e tremendamente instabile che ciò si rispecchia in ciò che dice; è difficile solo seguire Noya (per quanto abbia deciso che lo farà sempre, sempre), non osa immaginare come potrebbe essere buttarsi a capofitto dentro gli spazi fra le sue costole e il bacino, sedersi lì e aspettare di essere portato in giro, appoggiandosi vagamente a Nishinoya.
«Asahi-san», !!!!!!, «perché ci guardano tutti?»
«N-Noya, ho appena urlato», seriamente, come fa a non aver idea del perché? E soprattutto, non era stato abbastanza chiaro pochi minuti fa, quando ha fatto ondeggiare le dita dicendo nessun problema?
«Pffff! Tu!» Yuu scoppia a ridere e la gente in strada si gira per la terza volta, «Perché l'hai fatto?»
«Ho provato a dirti t-tre volte che il gelato ti stava colando sulla man--»
«Cazzo! La divisa!», Nishinoya infila il medio e l'indice nel colletto della giacca e tira in avanti, cercando di avere una visione completa dei suoi abiti (Attualmente: una macchia sul petto, tre sulla manica sinistra e due sulla destra. Anche le scarpe hanno qualche goccia qua e là); «Asahi-san, hai un fazzoletto?»
Asahi glielo porge, «U-Um--», Noya cos'era quello non mi stavi ascoltando o non mi hai proprio sentito e se non mi hai sentito cosa c'è che non va hai già perso un sacco di palle ad allenamento e adesso anche qui e ti prego me lo dici cosa c'è che non va--
«Ugh, grazie mille. Per fortuna ne ho altre tre di ricambio a casa; certo che anche tu, uh, avresti potuto avvertirmi!»
Azumane lo fissa per minimo un minuto prima di replicare: «Noya. Noya-san. L'ho fatto. Ti ho chiamato. Tipo, quattro volte. E te l'ho ripetuto prima».
E c'è questo silenzio, ecco, c'è questo silenzio che Asahi non riesce bene a comprendere ma che non riesce nemmeno bene a tollerare perché non deve neanche passargli per la mente di ignorarmi di nuovo, sono silenzioso e quieto ma non un idiota e-- Non pretende di indovinare a cosa stia pensando sotto quei dieci centimetri di capelli pungenti tanto quanto il suo gomito, questo no, ma sarebbe più facile se Noya per una volta – una sola volta – parlasse sul serio e cercasse di cullare Azumane con la sua voce, invece di affogarlo sotto onde di frasi connesse da urla e sorrisi. Non si reputa in grado di svelare un mistero come quel ragazzino, quando gli chiedono di descriverlo lui risponde sempre citando i Coldplay (oh when you see, you'll understand) però crede di essere abbastanza degno di fiducia e leale per fare in modo che il mistero stesso si sveli. Invece, tale casino non fa altro che tacere.
«Asahi-san», ed è un bisbiglio, piccola frequenza vocale troppo timida per raggiungerlo completamente, incredibilmente scombussolante se associata Nishinoya, «Davvero?»
«Cosa?», sta sussurrando anche lui – due cretini nel mezzo di un viale con i volti vicini per sentirsi e l'identica espressione terrorizzata di sette giorni prima sul viso del più piccolo.
«Mi avevi chiamato prima?»
Azumane annuisce.
Poi Noya inizia a sgretolarsi – sarebbe anche uno spettacolo affascinante, se non stesse accadendo a Yuu e se colui che sta guardando non fosse Asahi; gli occhi si socchiudono, le labbra sporgono pericolosamente verso sud e il ciuffo castano più alto inizia, lentamente, a curvarsi su se stesso – ancora una volta Nishinoya non si ferma dallo gesticolare, dita che si cercano e che lottano contro altre mentre cerca di distrarsi dal tremare. Tutto normale, per quanto Noya che piano a piano perde Yuu possa essere considerato così.
Infine, si porta le mani ai lati della faccia e si copre le orecchie. E questo non va. Non va non va non va e Asahi cosa può fare se non sporgere le sue, di mani, in avanti e provare delicatamente a poggiare il polpastrelli sopra le nocchie di Nishinoya--
Yuu crolla definitivamente al contatto e - «Scusa, Asahi-san» - scappa via.

La mattina seguente decidono di non parlarne. Noya lo saluta come se non fosse successo niente e Asahi decide di seguire il suo comportamento; si salutano secondo le loro abitudini, si incontrano fuori dalla classe secondo le loro abitudini, camminano verso la palestra secondo le loro abitudini – cercano di ripristinare la routine che Nishinoya ha forzato fra di loro, cercando di farla sembrare qualcosa di corretto finché non lo è diventato. Azumane, tuttavia, vorrebbe fare un mucchio di domande a Yuu – perché è lui quello dal cuore di vetro e la pelle di un toro, non viceversa, e Noya che rischia di cadere è una visione che pochi si meritano (paradossalmente, sono anche quei pochi che vorrebbero evitarla a tutti i costi); ma evidentemente Yuu non è ancora pronto per affrontare l'argomento – di qualsiasi cosa debbano parlare – e così Asahi decide di, quantomeno, aiutarlo a fingere che tutto sia ancora okay.
Non è okay, però, quando Nishinoya sbaglia ben due ricezioni quel pomeriggio. Non è okay neanche il giorno dopo e sabato e il lunedì della terza settimana trascorsa da quando Noya si è portato le mani alle orecchie per la prima volta; probabilmente non lo sarebbe dovuto essere nemmeno nei frammenti di dialoghi catturati fra una pausa e l'altra, come «Nooooyaa-san! Hai preso una nota perché non stavi ascoltando?» oppure «Ryuu, non fare il cretino! Parla invece di muovere solo la bocca!» (la confusione negli occhi di Tanaka indicava che, ehi, lo stava già facendo), ma Azumane-san è un ragazzo dall'espressione gentile e i modi di fare ancora più e quindi fa di tutto per rendere felice Nishinoya (Perché è giusto così, insomma. È uno scambio equo).
La sera Asahi si trova spesso sul suo letto a cercare di capire cosa stia succedendo a Noya. All'inizio pensava fosse otite – perché hey, è chiaro che riguardi le orecchie qualsiasi problema sia – ma poi ha pensato che anche una semplice malattia non può durare così tanto e, in fondo, Yuu non ha fatto altro che peggiorare. Fa scorrere immagini di lui e Nishinoya davanti ai suoi incessantemente, pensando a quando si sono conosciuti in palestra durante il primo anno del libero o a quando Azumane ha deciso di farsela sotto e di tagliare tutti i contatti con lui o a quando Noya l'ha preso per il colletto e lui si è sentito davvero arrabbiato - dopo anni - non solo verso di sé ma verso una persona che non sia lui – riflettendoci, Yuu ha funzionato per tempo e tempo come suo punchball, provando a farlo reagire, poiché «Santo cielo, Asahi-san, un metro e ottanta di terrore fottutamente sprecato». L'ha, in un modo strano che ormai si è insinuato fra loro due soltanto (e Tanaka è il migliore amico di Noya e nessuno potrà mai staccare l'uno dall'altro perché sono un delinquente che si è incontrato con un altro delinquente e che insieme creano tanti incidenti quante risate, questo è vero, ma esattamente come lui e Nishinoya hanno il loro linguaggio segreto fatto di nocche scontrate le une sulle altre e pacche sulle spalle, anche Asahi e Yuu hanno sviluppato un sistema a sé stante che si basa su occhiate segrete e coni gelato), assicurato che reagire fa bene – entrambi lo fanno in modo insano, con Noya che scoppia e urla e Asahi che si stringe le maniche della maglia bloccato dalla paura, ma almeno lo fanno. Azumane ha trascorso sedici anni della propria vita a sotterrarsi in un buco di emozioni non ben controllate prima che arrivasse Nishinoya a dirgli che hey, calma, e questo è l'ennesimo debito che ha nei suoi confronti.
La realizzazione che, cazzo, Yuu probabilmente sta diventando sordo arriva nella notte della trentaseiesima ricezione mancata. Non ne ha ancora la certezza assoluta, ma per quanto sia una scultura di cristallo che va maneggiata con cura e attenzione, Azumane Asahi sa riconoscere le situazioni. E qui è lui quello che deve avere le spalle più larghe fra i due.

(Non è vero che non sa come fare, si ripete alle 2.05 am, non è vero. È solo che fino ad adesso c'ha pensato Nishinoya e Asahi si è limitato a poggiarsi a lui e a farsi trascinare, sfruttando il suo aspetto per – paradossalmente – fare in modo che nessuno ferisse Yuu; se ci pensa non deve poi ripagarlo di così tanto, perché c'ha già messo un po' di buona volontà dalla sua parte. In ogni caso è giusto così, è corretto che in un qualche modo Asahi possa finire di riscattarsi e di mettersi alla pari, per le volte in cui Noya c'era e Asahi un po' meno; presenza costante ma flebile – ecco, magari non così. Cazzo, non così, no. Perchè se è vero che ci sono persone che sono cosa bella ed essere speciale, Noya sarebbe fra quelle-- e sì, è vero, Nishinoya potrà avere moltissimi difetti fra cui quello di non bussare mai prima di entrare nello spogliatoio o quello di cercare di fare tutto di nascosto e poi scoprirsi da solo perché urla d'impazienza – o urla e basta – però è altrettanto fatto appurato che Yuu sia la materializzazione concreta del concetto di Confusione e che proprio a lui, fra i miliardi di ragazzini sovra eccitabili e chiassosi, non doveva essere tolta la possibilità di continuare a esserlo. Noya c'ha una fottuta paura del silenzio: lo evita da sempre, da quando si sono conosciuti per la prima volta e Nishinoya ha gridato «Piacere di conoscerti, Azumane-san!»; e adesso dovrà conviverci per una vita e-- Come possono pretendere che gente come Asahi riesca a maneggiare questo? E come puoi togliere a una persona le basi per esprimersi? In fondo, Hinata e Kageyama lo fanno allo stesso modo, tramite ridicole onomatopee che si rincorrono nello spazio fra una rete e la porta della palestra; Kiyoko preferisce trasmettere se stessa con timidi sorrisi e disperdendo favori in giro per la squadra, donando a ognuno di loro un piccolo aiuto; Takeda è una specie di Suga trentenne, entrambi con l'aria innocente e irradianti serenità da ogni spazio visibile e non del loro essere; il Coach lo fa tra un tiro di sigaretta e un grugnito. Asahi stesso si arrangia chiudendo gli occhi e arrossendo, lo sa, ma Noya.. Noya è un'altra cosa. Ha corso e corso e corso per cercare di non perdere mai la voce e le parole, dicendole sempre a tono troppo alto; ora non riuscirà nemmeno a fare un passo. E come fai, quando hai vissuto per sedici anni attraverso credenze e abitudini e adesso devi ricostruirti da capo?)


Alla trentottesima palla sbagliata, Noya non prova nemmeno a guardare Asahi e a mettersi le mani sopra le orecchie: scappa direttamente. Borbotta un «Ragazzi, scusate, ho bisogno di un secondo» e si dirige a grandi passi verso la porta dei bagni – è l'ennesima volta che chiede il perdono della squadra e, seriamente, ormai dovrebbe smetterla. Dovrebbe finirla di continuare a scusarsi per qualcosa che non riesce a controllare e dovrebbe smetterla di essere così testardo e di provarci perché se persino lui, Azumane-san, l'ha capito, vuole che Suga o Daichi non l'abbiano quantomeno intuito? Loro non sono stupidi e Nishinoya non è la persona più discreta di questo mondo; era soltanto questione di tempo prima che a uno dei dodici della Karasuno (o alle due managers, o che dice, magari anche Ukai e il professore) scattasse in mente l'idea che Yuu potesse avere, in effetti, un problema – quindi perché continuare a fingere? Perché non dirlo a tutti e affrontare la realtà che prima o poi Noya e il Caos in comune avranno solo il numero di lettere? E soprattutto, perché non dirlo a lui poiché può arrivare a capire Tsukishima o Yamaguchi o anche Hinata e Sawamura ma lui è Asahi-san e insomma saranno anche totalmente opposti sia nei nomi che nei caratteri ma Azumane avrebbe potuto provare a mettersi nei suoi panni se Noya si fosse aperto un pochino--
Un grido; lunga vocale interrotta da «Mi senti adesso? Eh? Mi senti?», poi un altro e un altro ancora e la palestra si zittisce. Daichi fa gesto ai primi anni di andarsene, che ormai l'allenamento è finito e quando Yamaguchi bisbiglia «È Nishinoya-san, vero?», Sawamura non fa altro che annuire; nel frattempo Hinata sta chiedendo spiegazioni a Sugawara e anche Kageyama e Tsukishima lo stanno guardando con aspettativa, così il vice-capitano decide di promettere risposte a domani e di assicurargliele solo se Noya vuole. Dopodiché sente una pacca sulla spalla e Tanaka che gli dice all'orecchio che è lui quello che può sistemare le cose adesso, Yuu può essere il suo migliore amico ma certe volte questo non basta e seriamente, che ci fa ancora qua? Asahi, mentre avanza verso i rumori che continuano, pensa che non è un cazzo vero che le urla sono tutti uguali; magari sì, partono dalla stessa base, uguale sequenza di corde vocali tirata allo stremo nel tentativo di liberarsi, ma poi-– poi quando la gola viene raschiata e il casino cade sulle altre persone con la consapevolezza che stanno per affrontare le conseguenze di catastrofi che non sono riuscite a non sfiorare, ciascun grido precipita con diversa pesantezza, diverso volume: è qualcosa che cambia a seconda della vibrazione della voce o alla persona che ascolta? Da non dimenticare che ci sono le urla di gioia, di lamento, anche quelle che nascono perché sei felice ma fa male ed è una matassa difficile da srotolare, quella delle tipologie di grida, perché sono un po' come le impronte digitali: ognuno ne ha un tipo diverso. Quelle di Noya ti fanno venire voglia di raggomitolarti su te stesso e vomitare.
È una specie di disastro malamente evitato, adesso, Yuu, con le mani che si aggrappano al bordo del lavandino e gli occhi chiusi strizzati; un miscuglio di lacrime (sta cazzo piangendo okay e Asahi--) e acqua che si è buttato sul viso e di rumori che Azumane non sa bene come affrontare – ma ci prova.
«Noya», e si sente stupido ad aver sussurrato perché se non sente quando parla normale, figurati adesso che continua a gridare e a chiamare se stesso, «Oi, Noya».
E: «Noya-san, va bene. Tranquillo. Noya».
Ancora: «Nishinoya», solo che, chiaramente, Yuu ha continuato a ignorarlo durante tutti i flebili tentativi di ripresa di Asahi e così lui non ha potuto fare altro che avvicinarsi, piano piano, e poggiargli le dita sopra la spalla. È un contatto leggero – Noya potrebbe rompersi definitivamente e Azumane non vuole imparare a raccogliere i pezzi perché non vuole che ce ne sia bisogno – ma basta perché venga notato.
«Asahi-san», tira su col naso, «Asahi-san. Perché sei qua?» - con l'unica differenza che questa volta Nishinoya sta mentendo ed entrambi ne sono a conoscenza. Azumane piega la testa a destra, con lentezza, e si mette un dito davanti alla bocca, sorridendo. Non ha senso quello che ha appena fatto, riflette un secondo dopo, perché Yuu e il silenzio dovranno convivere per anni adesso e non avrebbe dovuto cercare di privarlo del rumore ancora di più; sente i muscoli tendersi al pensiero di come la squadra si sia affidata a lui per riuscire almeno a far smettere di gridare Nishinoya e di come, invece, Asahi si trovi davanti a lui senza ben sapere cosa fare, come muoversi o cosa dire: in fondo lui è solo Azumane-san, un ragazzo con la convinzione che troppa gente veda in lui più di quel che ci sia in verità da osservare, e poi-- poi l'ha sempre messo in crisi il modo di Noya di guardarlo, in ogni variante di uno sguardo che ci possa essere, perché lui spalanca gli occhi ancora di più – che sia felice o spaventato – e Asahi sente cose non ben definite e troppe responsabilità in un colpo solo. Nishinoya è, di base, una persona indipendente a cui piace saper di poter tornare in un luogo in qualsiasi momento voglia – forse sbaglia, perché una delle prime lezioni di vita che ti insegnano è che niente e nessuno si dovrebbe dare per garantito e invece Noya fa così da sedici anni, prende e prende e prende e quando non ha più niente da dare ti guarda come a dire, «beh?» - e Asahi, nello strano contratto che hanno firmato quando hanno deciso di definirsi amici, ha fatto in modo di essere quel luogo. Certe volte lo è meglio, certe volte no – in qualsiasi caso, lo è. Di conseguenza, non si stupisce quando, a bocca semi-aperta, Yuu imita il suo stesso movimento. Rimagono a fissarsi un po' bloccati nella stessa posizione, mentre dalla palestra si sentono sbattere porte e suole delle scarpe affrettarsi a uscire; è una situazione davvero assurda quella in cui Yuu li ha messi dentro, ma tanto vale darci un punto.
«Nishinoya-san--»
«Dio, Asahi-san, ti chiamo per nome da anni e tu vai ancora avanti così».
«Um, Noya», e qui Yuu borbotta un Ora ci siamo – più o meno, «Me lo dici, adesso? Cosa sta succedendo?» Non chiedere una conferma, solo spiegazioni. È del tutto prevedibile quando Noya lo guarda per qualche secondo, prima di voltare il viso verso sinistra e tacere – perché finché sono boiate allora okay, va tutto bene, ma qui si parla di cose serie e affrontarle chiede un altro tipo di sforzo.

(Non che Nishinoya non ne sia in grado, duh. Solo che – in qualche modo, Asahi è convinto che Noya sappia già che lui sa, che probabilmente lo sta odiando in questo momento, costretto a dire qualcosa già chiara a chiunque; e magari si starà chiedendo Asahi-san, Asahi-san, perché mi vuoi umiliare così e Azumane vorrebbe dire che non è vero che vuole farlo sentire una merda, semplicemente ci vuole un punto d'inizio per tutto e tanto vale darglielo, 'sto punto, così che Asahi possa finalmente aiutarlo. Forse si sta comportando egoisticamente, però ci sono casi in cui Yuu sa cavarsela da solo e altri in cui Yuu vuole cavarsela da solo e beh, non è chiaro quale sia questo?)

«Non ci sento più». Duh. C'è voluto poco. «--Insomma, non è che anche adesso non capisca niente. A volte. A intermittenza, tipo. Ci sono casi in cui sento tutto silenzio ed è, um, faticosa. Come cosa. Mi sto arrangiando, comunque».
«Quanto tempo?» (prima che smetta il caos?)
«Cinquantaquattro giorni--», poi le spalle cadono, la testa si abbassa e Nishinoya trema e piange di nuovo e Asahi si siede sul pavimento del bagno spalancando le braccia. Non è costretto ad accettare l'invito, Nishinoya; Azumane aspetta tre minuti prima che Yuu si accoccoli al suo fianco continuando a lacrimare e altri quattro prima che borbotti uno «Scusa, Asahi-san, s-scusa, scusami» e si si sistemi direttamente sopra le sue gambe, mettendogli le braccia al collo e appoggiandogli la testa sul petto e adesso probabilmente Azumane avrà tutta la maglia sporca di lacrime e moccio ma onestamente – amen, amen. Yuu è un groviglio di ossa e tremori che va avanti a tirare su con il naso (Asahi prova a dargli un fazzoletto) e a bisbigliare che ha una paura fottuta, onestamente, Asahi, ho paura; e anche quando smette – dopo quanto? - Azumane continua a passargli una mano fra il ciuffo biondo e quelli castani, pettinandogli i capelli con calma perché non sa bene come smetterla di farlo sentire spaventato (chi non lo sarebbe?) però almeno possono esserlo in due, abbracciati sopra delle mattonelle squallide seguendo un copione prefissato in un mucchio di romanzetti d'amore e fanfictions di poco conto.
Quando Nishinoya si addormenta, Asahi lo prende in braccio, chiude la palestra, e lo porta a casa (sa).

 

   
 
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