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Autore: PandorasBox    26/01/2016    2 recensioni
«Apprezziamo il sacrificio, Gilbert, davvero. Si vede che ci tieni all’esclusiva tanto quanto noi!» aveva detto il Capo e lui aveva gonfiato il petto pieno di un ingiustificato orgoglio, sentendosi un vero Capitan Germania. Un Capitan Germania davvero attraente, per dire.
Perché, certo, non lo aveva fatto per la sensazione di vuoto allo stomaco –ed immotivato nervosismo- che la vista di quel austriaco da strapazzo gli procurava, assolutamente. Era puro altruismo e scalata sociale, il suo, si diceva.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Di articoli, sacrifici ed inaspettate vittorie



 

Era stato per Gilbert un grande, enorme sacrificio accettare quel caso. Come poteva essere altrimenti? Avere a che fare con quel Edelstein e la sua squadra –a partire da quella sorta di Godzilla in gonnella che si porta dietro, passando per l’angosciante medico legale rumeno e finendo con il tizio dalla pallottola facile- era da veri e propri aspiranti martiri.
Per il bene del giornale – e soprattutto delle sue eternamente vuote tasche- però, Gilbert aveva fatto questo sforzo. È veramente una brava persona, sì, eccome se lo è.
 
«Apprezziamo il sacrificio, Gilbert, davvero. Si vede che ci tieni all’esclusiva tanto quanto noi!» aveva detto il Capo e lui aveva gonfiato il petto pieno di un ingiustificato orgoglio, sentendosi un vero Capitan Germania. Un Capitan Germania davvero attraente, per dire.
Perché, certo, non lo aveva fatto per la sensazione di vuoto allo stomaco –ed immotivato nervosismo- che la vista di quel austriaco da strapazzo gli procurava, assolutamente. Era puro altruismo e scalata sociale, il suo, si diceva.
Se Gilbert fosse stato solo un po’ più sincero con sé stesso – e Gilbert era tante cose: megalomane, fastidioso, facile da innervosire ma di certo non sincero con sé stesso- avrebbe smesso di raccontarsi quella spropositata quantità di balle ed avrebbe accettato la cosa per com’è, per quanto possa sembrare strana e quant’altro.
 
Getta la sigaretta sul marciapiede appena vede la seconda volante della polizia accostare ed Edelstein scendere discutendo di qualcosa al telefono. La figura dell’austriaco è, come al solito, celata da quel cappotto che fa tutto tranne che poliziotto, il bavero tirato fin sotto al mento e quella stupida sciarpa grigia intorno al collo. Edelstein sembra più uno di quei musicisti che girano per la città sotto natale, presi da questo o quel concerto in questa o quella chiesa, che un poliziotto. A vederlo così (e non conoscendolo) non gli si darebbe neanche un pizzico di fiducia, poi si scopre il numero di casi risolti in tempi spiccioli ed improvvisamente si cambia idea. È bravo, sa fare il suo lavoro, la sua squadra viaggia come una macchina dagli ingranaggi ben oleati e nessuno ha ancora capito come questo sia possibile. A volte Gilbert vorrebbe che la redazione funzionasse allo stesso modo, poi ricorda che lui in quella redazione vale meno del bicchiere vuoto di caffè e che, probabilmente, tutto il resto funziona benissimo solo che a lui non arriva.

La storia della sua vita, dopotutto, il motivo per cui aveva mollato tutto a casa sua per trasferirsi altrove, la scelta più inutile della sua vita ma ormai l’ha fatta e, sì, se ne pente.

Gott!, certe volte odia pensare.
 
Resiste all’impulso di accendersi un’altra sigaretta e, registratore in tasca e taccuino alla mano, attraversa la strada verso la casa incriminata, aggirando la volante e fermando Pallottola Spuntata (non ha idea di come si chiami, probabilmente non lo imparerà mai) che si è attardato fuori dalla porta, chiedendogli del commissario.
Inizialmente sembra non far caso a lui e Gilbert, che è davvero una persona pessima, torna all’attacco riproponendo con fin troppo zelo la stessa domanda.
Alla quinta volta quello sbuffa, e Gilbert sente l’eco di una bestemmia in qualcosa che somiglia pericolosamente a quella lingua che gli svizzeri chiamano tedesco ma che per lui tedesco non è – e infatti lui lo svizzero non lo capisce, come cazzo parlano quei tizi?- ma comunque entra premurandosi di dirgli, con una grazia che ben poco ha di grazioso, di aspettare fuori. Gli dice anche che ha rotto il cazzo ma questo la sua testa non lo processa.
Uno a zero per Gilbert Beilschmidt, comunque.
 
 
 

 
Il quarto omicidio dall’inizio dell’inverno: Roderich è combattuto tra la voglia di urlare e la stanchezza di chi ha passato fin troppe ore sulle scartoffie. Ci sono attimi della sua vita in cui si pente di aver cercato un “lavoro vero” come aveva chiesto suo padre, quei momenti arrivano circa ogni mattina all’ora in cui suona la sveglia.
Scende stancamente dalla macchina avvicinandosi verso la pattuglia già arrivata sul posto, Hédeváry lo aspettava sulla porta.
«Dettagli sul caso?» chiede ad Erzsébet, la sua cara Erzsébet sempre tanto puntuale ed ordinata.
«Lisa Klammer, cinquantuno anni, incensurata, ferita d’arma da taglio sull’addome è morta prima che potesse chiamare aiuto. Mancano gioielli e la cassaforte è aperta ma non sembra ci siano segni di scasso. Deve aver aperto al suo assassino.»
«Qualcuno ha sentito qualcosa?»
Erzsébet aveva scosso la testa «Ci sono solo altre due case abitate su questa strada e sono entrambe vuote da quasi tre giorni: settimana bianca.»

Roderich aveva sospirato pesantemente e, dopo essersi sistemato gli occhiali sul naso –la strana sensazione che qualcuno lo stesse osservando che non lo abbandonava da quando era sceso dalla macchina- ed aveva fatto per entrare in casa «Spero almeno il dottor Rădulescu abbia capito qualcosa più di quanto potremmo capirci noi.» aveva detto, la ragazza accanto a lui aveva storto il naso.
 

«C’è un giornalista che dice di conoscerti, chiede di te.» sbotta Vash, entrando in casa poco dopo di lui e degnando a malapena il cadavere di uno sguardo per tornare ad armeggiare con il telefono. Sua sorella è alle prese con non sa bene quale esame, gli ha spiegato, e Roderich ha deciso che per una giornata può fare a meno dell’eccessiva irritabilità del collega e può permettersi di portarselo dietro solo per far numero – soprattutto perché altrimenti, al posto di Zwingli, avrebbe dovuto far ricadere la scelta sullo stupido novellino viennese che gli fa venir voglia di trasferirsi in Tirolo per non rischiare di vederlo e no, decisamente meglio così.
«Ti stai uccidendo di lavoro, oggi, Zwingli. Finalmente avrò la possibilità di farti l’autopsia che tanto ti prometto!» lo canzona il medico legale, e si becca un dito medio in risposta.
Non fossero tanto bravi, Roderich avrebbe spedito quel branco di ragazzini alla Stradale senza passare dal via, non ha mai avuto la vocazione del maestro d’asilo, assolutamente.
 
«Erzsébet, puoi tenere tu a bada la situazione mentre cerco di liberarmi del giornalista?»
La ragazza aveva alzato un sopracciglio, pensierosa, misurava a grandi passi la stanza, attenta a non urtare gli altri poliziotti.
«Posso usare violenza contro di loro, se ce ne fosse bisogno?» aveva chiesto, poi, rivolgendo uno sguardo di sufficienza ai suoi colleghi.
«Finché non li rendi inabili al lavoro puoi fare quel che più ti aggrada, pensavo di essere stato chiaro.»
La faccenda si era conclusa con un segno di assenso da parte della ragazza e uno sbuffo da parte degli altri due. Sperava di non trovare un altro cadavere nella stanza, una volta rientrato.
 
 
 

 
«Non posso crederci, Beilschmidt. Il giornale naviga in acque tanto pessime?»
Aveva esordito Roderich uscendo dalla porta di casa, e Gilbert aveva buttato l’ennesima sigaretta sperando di non essere visto ─ l’aver passato la notte in bianco non aiutava il suo aspetto né il suo nervosismo. Stupido articolo da scrivere, stupido ego che cerca di compiacere, stupido Capo, stupido lavoro che gli serve.
«In realtà mi sono offerto volontario, sai com’è, dicono che quel tale Edelstein sia impossibile da sopportare e che toglierli un paio di parole di bocca sia terribilmente difficile. Mi sono sacrificato, se vogliamo metterla così.» era stata la sua risposta, accompagnata da un’alzata di spalle ed il sorriso di chi la sa lunga.
«Cosa vuoi, stavolta?»
«Fare due chiacchiere?» ed aveva prontamente tirato fuori il taccuino dalla tasca (bucata) del giaccone, la penna prontamente sfilata da dietro l’orecchio. «Potrei offrirti un caffè, magari un bicchierino di qualcosa, se questo ti sciogliesse la lingua ma credo sarebbe contro la tua etica professionale. O forse contro la mia, ma dubito di averne una, dunque … »
«Siamo appena arrivati sulla scena, Beilschmidt, non abbiamo dichiarazioni da rilasciare, a malapena ...»
«Neanche un nome o…un possibile movente? Non ci credo! Il tizio lì, quello che apre i cadaveri, è arrivato almeno un’ora fa! Avanti, qualcosa dovete pur sapere!»

Roderich gli aveva lanciato un’occhiata stanca ed aveva fatto per andarsene: non sarebbe stata la prima volta, molto spesso lo lasciava a bocca asciutta ─ troppo spesso lo lasciava a bocca asciutta, a dir la verità, e lo faceva su tanti fronti e forse se lo meritava.
 
«Sei ancora messo come due mesi fa, Gilbert?» aveva però chiesto, bloccandosi a metà strada prima di rientrare, e a lui era toccato ridere perché, fanculo!, ovvio che è ancora messo come due mesi prima. E due mesi prima era messo come sei mesi prima e così ancora: è nella stessa condizione da quando è cominciata tutta quella storia, perché sarebbe lì, altrimenti? Roderich aveva sospirato pesantemente, probabilmente ancora spera che riesca a sbloccare la sua situazione, forse è un illuso più di quanto possa immaginare.
 
«Lisa Klammer, cinquantuno anni, vedova, nessun precedente. Ferita d’arma da taglio all’addome. Mancano soldi e gioielli dalla sua stanza ma non ci sono segni di scassino. Si pensa che questo omicidio sia legato a quelli precedenti.» aveva poi detto, sottovoce, tutto di un fiato, e lui aveva tentato di appuntare tutto quel che poteva sul suo block notes, velocemente, prima che l’altro potesse andarsene.  «Farai meglio a vendere questo articolo come si deve, Beilschmidt, perché mi sto sacrificando anche io.»
Gilbert aveva represso a fatica la voglia di saltargli al collo per ringraziarlo – non è consono, non si fa durante l’orario di lavoro, non si fa e basta- quindi aveva annuito e lo aveva lasciato andare, ringraziandolo.
«Ti devo almeno un caffè, damerino!»
«Prima mi devi un po’ d’aria, Beilschmidt, e i soldi che ti ho dato per tentare di ritirarti su, poi si potrà parlare di un caffè, un sabato, nella pasticceria accanto alla piazza. Non una parola su chi ti ha passato le informazioni, chiaro?»
Gilbert aveva fatto un saluto militare che gli aveva fruttato solo un’altra occhiata di palese disgusto da parte dell’austriaco ma non gli interessava, figurarsi, le farfalle al momento nel suo stomaco non gli permettono di badare tanto a certe cazzate.
Mostra un dito medio ad Erzsébet che osserva la scena dalla finestra, semi-celata dalle tendine di pizzo della –ormai defunta-  signora Klammer, e che gli ricambia il favore.
 
Mentre si avvia verso la sua vecchissima BMW –e tenta di metterla in moto ma, al diavolo!, forse è rimasto senza benzina!- Gilbert sente il suo cellulare vibrare ed il numero della redazione lampeggia sul display.
«Beilschmidt, sei ancora vivo o Edelstein ti ha dato in sacrificio a Chopin o Dio solo sa chi altro è che ascolta in continuazione?»
La voce del Capo è davvero preoccupata e a Gilbert viene da ridere ─ ma non si azzarda, figurarsi, lo licenzierebbe in tronco e avrebbe un po’ un meno da gioire.
«No, per oggi Schubert non ha avuto il mio sangue, sono vivo e vegeto e come l’erba cattiva. Prepari la prima pagina per Gilbert Beilschmidt, però, Grande Capo.»

 

 
 
Era stato per Gilbert un grande, enorme sacrificio accettare quel caso. Come poteva essere altrimenti? Avere a che fare con quel Edelstein e la sua squadra –a partire da quella sorta di Godzilla in gonnella che si porta dietro, passando per l’angosciante medico legale rumeno e finendo con il tizio dalla pallottola facile- era da veri e propri aspiranti martiri.
Però ora sapeva che a Roderich non sarebbe dispiaciuto un caffè alla pasticceria accanto alla piazza –che poi è vicina all’appartamento di quel suo amico che lo sta magnanimamente ospitando mentre cerca una bettola in cui abitare- e quindi lui si adopera perché succeda e Godzilla se la può prendere dove vuole, ha vinto lui.
Ed osservando il suo articolo sulla prima pagina del quotidiano più venduto in città («E nella regione, prenditi i tuoi meriti.» gli aveva fatto notare Roderich), Gilbert  si dice che anche sacrificare una nottata di sonno e gran parte della sua spavalderia vale totalmente la pena se poi, dall’altra parte del tavolo, è Roderich ad osservarlo con uno sguardo perplesso ma divertito da dietro la montatura di quegli occhiali che non sopporta poi troppo («Ti invecchiano, Roderich, ammettilo»). Roderich che sta finendo quella fetta di torta che gli ha generosamente lasciato e che sembra tornato quel ragazzo, quello che ancora sognava di fare il musicista, che lo aveva accolto – tra una litigata e un consiglio- al suo arrivo in Austria.
Succede che qualcosa vada come sperato, a volte, nella vira.
Non molto spesso se sei Gilbert Beilschmidt, certo, ma succede.
 
   
 
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