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Autore: ValeriaLupin    26/01/2016    2 recensioni
Remus si sveglia in una stanza di Grimmauld Place, dopo un sogno tanto strano quanto famigliare, sdraiato su uno scomodo materasso, scoperto e decisamente non solo; prima a fargli compagnia: la sua coscienza.
[Decima classificata al psycho!contest indetto da chia_3 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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· Nick forum e EFP: psycho!contest   fangirl23
· Prompt: Sogno premonitore
· Titolo: L’ennesima vittoria, l’ennesima sconfitta
· Rating: Verde
· Avvertimenti/Note: Nessuno
 
L’ennesima vittoria, l’ennesima sconfitta
 
Correva su un tappeto di fogliame umido e schivava robusti tronchi d’albero che intercettavano il suo cammino. Non aveva una meta ma il vento che s’insinuava fra il suo manto scuro come una mano dalle dita esili e algide e gli odori che gli inebriavano i sensi, lo estasiavano e non rendevano inutile la sua corsa. Alzò appena il muso e d’improvviso c’era solo cielo nero spezzato da una grande pallida sfera di luce accecante.
Le chiome degli alberi erano sparite assieme agli svariati rumori che prima aveva captato ma il cielo era sempre lì. Gli bastò abbassare lo sguardo per notare che anche il fogliame era scomparso e sotto non vi era solida terra ma assi di legno scrostato e impolverato.
Sapeva di essere intrappolato fra quattro solide mura, con quella certezza che si ha nei sogni, eppure quando alzò nuovamente lo sguardo, il cielo di pece era al suo posto e la sfera lucente con lui.
Solo che ora il buio lo spaventava e la sfera non mandava più bagliori argentei ma rossi, che ferivano gli occhi. La Luna era una palla incendiata proprio nel mezzo del cielo senza stelle. Il Lupo sentiva le sue urla, le urla della sua Dea che andava in fiamme, e gli occhi gli si colmarono di lacrime. Impotente di fronte a quella crudeltà, il Lupo giacque a terra, respirando polvere e muffa e uggiolando mestamente.

 
***

Spalancò gli occhi così bruscamente che per un attimo fu accecato dalla luce improvvisa malgrado i pochi raggi che riuscivano a penetrare dalle pesanti tende logore fossero fiochi. Fissò la finestra appena socchiusa, ne proveniva un leggero vento gelido che gli procurò un brivido sulla schiena e solo in quel momento si accorse di essere quasi completamente scoperto e che le coperte erano un fagotto caldo che avvolgevano la giovane donna accanto a lui. Il tempo di uno sguardo furtivo e già il suo respiro profondo e regolare lo aveva cullato in dormiveglia.
Una risata sommessa lo scosse con ancora gli occhi semichiusi, una risata che alle sue stesse orecchie suonò spenta, priva di allegria, dovuta solo all’ironia della situazione: dopotutto la notte che si accingeva ad affrontare era quella che aveva appena vissuto.
La Maledizione, infatti, sembrava incapace di accontentarsi delle notti che le erano concesse una volta al mese, pertanto alle volte, prima di addormentarsi, si insinuava prepotentemente fra i suoi pensieri come una nebbia densa che non lasciava più la sua mente e infettava irreparabilmente i suoi sogni, decisa a non dargli tregua. Erano notti movimentate in cui avvertiva la sua parte selvaggia, animale venire a galla e smaniare per la libertà di una corsa attraverso una foresta oscura, rumorosa, impregnata di odori penetranti. Una libertà che non le concedeva dall’incidente avvenuto nel suo primo e ultimo anno d’insegnamento, molto tempo prima.
«Che hai da ridere?» chiese la voce impastata e assonnata di Tonks al suo fianco, ridestandolo completamente.
Un lieve sorriso piegò le sue labbra aride.
«Solo… un sogno premonitore, immagino».
«Ampliate la mente, aprite il vostro occhio inte-interiore» imitò la voce nebulosa della professoressa Cooman, terminando con un ampio sbadiglio. Grugnì e dopo una breve pausa la sentì sussultare «Oh, per Tosca» disse e Remus intuì che aveva appena aperto gli occhi «non è ancora l’alba!».
Era molto esasperata e Remus non la biasimò affatto. Quei giorni erano stati pieni e impegnativi per tutti i componenti dell’Ordine della Fenice e Tonks aveva preso l’abitudine di passare la notte al Quartier Generale quando le missioni si protraevano fino a tardi. Era stato questo il caso della giornata precedente quando Remus si era accorto che la giovane, divisa fra le missioni per l’Ordine e quelle per il Ministero, aveva pochissime ore di sonno. Le evidenti borse sotto gli occhi e il pallore erano già abbastanza eloquenti ma comunque la strega non aveva mancato di farglielo notare, quando si era presentata nella stanza nella quale si era confinato dalla sera precedente, colto dai consueti dolori prima di una trasformazione.
Dopo un’estenuante giornata, si era gettata sul letto e detta incapace di muoversi e nel giro di qualche minuto si era addormentata placidamente. Era stato Remus a tirarle gentilmente la trapunta sfilacciata fin sotto il mento ma, fiacco com’era, non aveva poi trovato la forza per trascinarsi in un’altra stanza, perciò si era coricato accanto a lei.
Quando Remus voltò appena il capo nella sua direzione, notò che aveva appeno serrato gli occhi con forza, raggomitolandosi sul fianco.
«Il sogno me lo racconti dopo. Torna a dormire, Remus» ordinò perentoria, completamente inconsapevole che non ci sarebbe mai riuscito; il dolore irrigidiva la sua postura, le fiamme gli attanagliavano i muscoli che sentiva tendersi come tutte le mattine prima di una Luna piena.
Complicazioni a cui si era adeguato, come a tutto il resto. Ormai anche gesti semplici e meccanici come potevano essere stendere un braccio o voltare il capo erano diventati calcolati. Percepiva ogni rumore, ogni odore e ogni movimento intensificati ed era una sensazione strana e terribilmente famigliare al tempo stesso. Erano sintomi che solitamente gli ricordavano quanto fosse un essere ignobile e come la luna non dimenticasse mai di sorgere ma in quel momento affianco a una creatura tanto meravigliosa, fresca, onesta, tanto giovane e tanto viva, con i pensieri scanditi dal suo respiro caldo che aveva già provato sulla pelle, accanto a lei, era qualcosa di molto più orripilante: una mostruosità, un abominio.
D’un tratto credette di poterla contaminare non solo con la sua malattia ma soprattutto con la sua malinconia, stanchezza, credette di poter, in qualche modo, intaccare la sua inconfondibile vitalità e la sua caratteristica spontaneità con il suo malessere interiore. Ebbe paura di raffreddarla e renderla come lui, l’ombra di se stesso. Ninfadora aveva le ali pronte per librarsi in aria e volare alto ma lui gliele avrebbe bruciate ancor prima che ne avesse avuto l’opportunità.
Lottò contro la stanchezza e la rigidità dei muscoli e, con piccoli movimenti lenti e accorti, riuscì ad alzarsi e ad abbandonare la camera senza svegliarla, lasciandola sola fra le lenzuola ancora calde mentre la Maledizione rideva, perché ancora una volta aveva vinto. Perché ancora una volta si era intromessa e aveva fatto appassire precocemente qualcosa che ancora del tutto era sbocciato.


Salve a tutti, 
spero sia stata una lettura piacevole. Se volete appuntarmi qualcosa, recensite! 
Non sono sicura che fosse questo il modo in cui dovevo utilizzare il prompt ma vabbè... mi è venuta così :)
Bacioni e a presto,
Fangirl23
   
 
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