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Autore: taisa    26/01/2016    6 recensioni
A partire da quella telefonata tutto il suo mondo cominciò a precipitare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirai!Bulma | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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TILL THE END

 

Avrebbe passato ore, giorni solo a guardarlo così. Mentre dormiva, si immergeva in un sogno immaginario alla quale lei non poteva accedere. Inevitabilmente si domandava quali erano le sue fantasie. Se lei era nei suoi pensieri. Non lo avrebbe mai saputo e ne era perfettamente consapevole, ma questo non le impediva di viaggiare con la fantasia.

Era triste che lui non potesse raccontarle cosa gli passava per la mente durante il sonno. Quando gli occhi erano chiusi e i pensieri erano leggeri in un limbo che è impossibile raggiungere quando si è svegli.

D’altra parte che concetti potevano mai affollare la testolina di un neonato?

Trunks aveva appena qualche mese, ma sua madre sapeva che era destinato a grandi cose. In realtà non sapeva se questa fosse solo una normale fantasia da mamma o una vera consapevolezza. Forse entrambe le cose, infondo quale madre non ha mai immaginato il proprio bambino in cima al mondo?

Bulma non faceva eccezione, riusciva perfettamente a vedere il figlio pronto a proteggere i deboli da qualsiasi minaccia potesse incombere su di loro. Era sì il figlio di un mercenario conquistatore di popoli, ma un mercenario che aveva deciso, senza mai effettivamente saperlo, di non distruggere il mondo ai propri piedi. Tuttavia era anche sangue del suo sangue e Bulma sapeva che se la forza la prendeva dal padre da lei avrebbe ereditato i valori.

Lo guardò ancora nella culla. Le manine si strinsero a pugno, gli occhietti si ridussero per un attimo, poi tornò a respirare tranquillamente. Poteva vedere il petto minuscolo del bambino salire e scendere ad ogni suo inspirare. Bulma si poggiò sulla grata della culla, facendo scivolare i propri palmi sotto il mento, improvvisando una specie di cuscino. Sorrise.

Un telefono prese a squillare, da qualche parte in quella grande casa. Restò in ascolto, ma non si preoccupò di andare a rispondere.

Allungò una mano all’interno del lettino, strofinando delicatamente una guancia del neonato, come per rassicurarlo della propria presenza. La tua mamma è qui con te. Era così soffice e delicato, così morbido.

Bulma stava per lasciarsi andare nuovamente ai suoi pensieri, quando la porta della cameretta del bambino si spalancò. Si girò velocemente verso di essa, per impedire al visitatore di fare qualsiasi rumore. Trunks si era appena addormentato e non aveva nessuna intenzione di svegliarlo!

Non ne ebbe motivo, né tempo. Sua madre la fissò con un’espressione assai seria, cosa che non era da lei, e sembrò valutare bene le sue parole. Prese un secondo di tempo prima di dire “Bulma, c’è Chichi al telefono. Sembra preoccupata”. La scienziata di casa Brief si alzò delicatamente dalla sua posizione accucciata ed osservò attentamente l’altra donna. Le sembrò quasi irreale come situazione. Di solito la madre non prendeva mai nulla sul serio e quando lo faceva si trattava sempre di cose molto gravi. Nella sua mente si susseguirono tutte immagini dei momenti brutti della sua famiglia e il sangue le gelò nelle vene. Ipotizzò tutte le peggiori disgrazie possibili in quei pochi secondi. Non perse tempo a far domande, capì che era inutile.

Velocemente uscì dalla stanza, seguita dall’altra, raggiungendo il telefono più vicino. Allungò una mano sopra il ricevitore e sentì un brivido terribile. Un groppo le strinse la gola in una morsa micidiale e lei ebbe paura, molta paura.

Scoprì di non voler parlare con Chichi, come se questo avrebbe potuto evitare l’avvento di pessime notizie, ma capì anche che non poteva farne a meno. Qualunque cosa fosse non poteva certo evitarla prendendo la prima navicella in garage per scappare sul pianeta più lontano dell’universo.

Deglutì sonoramente, sperando di non lasciar trasparire tutto questo dalla sua voce. Posò infine la mano sulla cornetta e la portò all’orecchio. Esitò ancora per un secondo. “Chichi? Cos’è successo?” chiese allarmata, trattenendo il fiato.

Ci fu un secondo di silenzio. Uno solo che parve infinito e lontano, più lontano dei monti Paoz. “Bulma” le rispose singhiozzando in un blando tentativo di trattenere delle lacrime che, evidentemente, erano già sopraggiunte.

Bulma ebbe davvero paura.

***

I suoi passi erano regolari e concentrati. Si sentiva in gran forma, e lo era davvero. Stava andando tutto bene, ora. Non c’era più nulla che poteva impedirgli di raggiungere i propri obbiettivi. Nulla.

Intimamente stava ridendo a squarcia gola. Esteriormente mostrava solo un ghigno soddisfatto.

Tuttavia, tutti i suoi pensieri vennero investiti da una valanga che aveva la voce di Bulma. La sentì parlare al telefono, poche frasi concitate. Troppo perché potesse percepirne la natura, ma non era nulla di buono.

Vegeta si fermò a metà del corridoio, prima di voltare l’angolo dietro la quale la terrestre era appostata. L’insopportabile Signora Brief era alle spalle di lei e, china accanto alla cornetta, sembrava intenta a recepire anche l’altra metà della conversazione. Gli parve preoccupata e tanto gli bastò per decidersi a restare in ascolto. Strinse l’asciugamano nella sua mano in un gesto istintivo.

“Sto arrivando” riuscì solo a sentire, prima che lei sbattesse il ricevitore sulla forcella. Bulma si voltò verso sua madre e, sempre con uno sguardo assai serio, le annunciò “Per favore, tieni d’occhio Trunks. Io devo andare da Chichi”. La bionda annuì con un solo gesto del capo, squadrando la figlia da capo a piedi. “Cos’è successo?” le domandò senza evidentemente riuscire a trattenersi, ma in risposta ebbe solo un leggero diniego. “Non me lo ha voluto dire. So solo che è grave e che riguarda Goku” spiegò allontanandosi dal mobiletto che ospitava l’apparecchio telefonico, fiondandosi poi verso la propria camera da letto.

Vegeta restò ad ascoltare, aggrottando istintivamente le sopracciglia. Qualcosa non andava con Kakaroth e, benché non ne fosse preoccupato per motivi personali, si scoprì impensierito dalla scoperta. Poggiò la nuca alla parete, concentrandosi. L’aura del rivale non era percepibile. Questo rese persino il Principe guerriero piuttosto pensieroso. Kakaroth tratteneva spesso la propria energia, come facevano tutti sulla Terra, ma c’era un problema. In quel momento non la stava affatto trattenendo, era solo debole. Molto debole.

 

***

Se qualcuno, solo un paio di settimane prima, le avesse detto che le cose sarebbero finite in quel modo lo avrebbe preso per pazzo. Goku stava benissimo, era in perfetta forma e un atleta eccezionale, perché avrebbe dovuto ammalarsi? Apparentemente non ne aveva nessun motivo, la verità era che, purtroppo, certe cose accadono inaspettatamente e con una crudeltà che spesso ci lascia senza fiato.

Chichi l’aveva chiamata solo pochi giorni prima, in lacrime. Goku si era sentito male e nessuno riusciva a comprenderne la ragione. Si era alzato quella mattina e stava benissimo, ma poco dopo aveva cominciato a dare segnali preoccupanti. Era diventato pallido e affaticato. Sembrava non riuscisse a fare nemmeno le scale, in un atteggiamento che si confà più ad un anziano. Non ad un guerriero, non ad un Saiyan.

Poi Goku era svenuto, dopo essersi lamentato di un leggero dolore al petto, così le aveva detto Chichi. Aveva agonizzato, aveva lottato e aveva sofferto, ma non aveva più aperto gli occhi.

Goku era morto.

Il cuore, avevano detto i medici. Proprio il muscolo più forte che aveva, quello più allenato. Che macabra ironia, aveva pensato Bulma.

Ora si trovava lì, in un silenzio irreale, accanto ai suoi amici che, come lei, avevano poca voglia di festeggiare. Crilin era in lacrime, e non si premurava di nasconderlo. Yamcha stava solo fingendo di non sentire la stessa necessità. Persino Piccolo sembrava intento a mandare via un magone che lo stava soffocando.

Quanto a Chichi e Gohan… lei sembrava a pezzi, nessuno l’aveva mai vista così disperata. Solitamente una donna forte pronta ad affrontare ogni avversità, ma perdere così il marito era stato uno shock troppo grande. Il ragazzo, invece, mostrava più anni di quanti effettivamente aveva. Accanto alla madre, intento a sorreggerne il peso e pronto ad affrontare le avversità che la vita gli aveva già riservato.

Bulma, invece, stava lottando con una crisi di pianto, mentre davanti ai suoi occhi scorrevano immagini di un’amicizia iniziata presto e che pareva dovesse durare in eterno.

Dannato, stupido destino. Si era fatto beffe di loro, uccidendo così una persona con tanta voglia di vivere. Bulma avrebbe voluto cominciare a cercare le Sfere del Drago in giro per il pianeta, ma era fin troppo consapevole che non sarebbe servito a nulla. Maledetto destino.

Era talmente assorta nei suoi pensieri che si accorse solo molto più tardi della sua presenza, nascosto dietro un albero ai confini di quelle montagne tanto amate dal defunto. Vegeta se ne stava lì, a braccia conserte, dando l’impressione di non essere affatto interessato. Ma lo era, ahhh se lo era. Il fatto che fosse venuto fin lì di sua spontanea volontà, ad assistere al funerale del rivale aveva di per sé un significato che non le era di certo sfuggito.

In quel momento, tuttavia, non trovò la forza per riflettere sulle similitudini. Parevano essere passati mille anni da quando, in un giorno di dicembre, erano tornati tutti sani e salvi da Namecc e attendevano notizie sullo stesso Goku. Mentre con un impazienza generale aspettavano di sapere se l’amico sarebbe tornato a casa dopo aver sconfitto il nemico di turno. E lui, Vegeta, se ne stava in disparte, ascoltando tutte le speranze e preghiere in silenzio. A tutto questo Bulma ci avrebbe pensato poi, in un momento più armonioso.

Con una certa circospezione si avvicinò a lui, senza che questi si voltasse nemmeno una volta per guardarla. Non che se lo aspettasse. “Grazie per essere venuto” gli disse con tono dolce, cercando di mandare via tutte quelle pessime sensazioni che le opprimevano il petto. Vegeta fece spallucce, “Non l’ho fatto per te… e nemmeno per Kakaroth” rispose distaccato, con un apparente disinteresse. Ma Bulma sapeva che, in realtà, un motivo c’era e questo era proprio Goku.

“D’accordo” gli rispose solamente, portando lo sguardo sui suoi amici, senza più badare all’uomo accanto alla quale sostava. “È la verità! Non l’ho fatto per Kakaroth!” sbottò all’improvviso, voltandosi verso di lei. E quando Bulma riuscì a guardarlo negli occhi per la prima volta capì. C’era tristezza in quello sguardo, in quelle pupille nere che raccontavano molto più di quanto non facessero le parole. Gli aveva già visto quella luce negli occhi… tanti anni prima. “D’accordo, ho detto” ribadì, ma senza foga, lo disse con tono comprensivo, come se volesse calmarlo. Eppure, per la prima volta, il Saiyan non sembrò intenzionato ad aver ragione. “A me non interessa nulla se Kakaroth è vivo o morto. Non sono qui perché provo quello che provate voi terrestri, chiaro? A me non interessa” continuò a parlare Vegeta e Bulma se ne sorprese. Non se lo aspettava così chiacchierone e ben presto si accorse che lui stava cercando di convincere più se stesso che lei. “Va bene, come vuoi tu” ma l’uomo parve non sentirla, dando per scontato che lo stesse rimbeccando. Forse perché così era più facile. “Quello stupido Kakaroth! Come ha osato morire così? Dovevo essere io ad ucciderlo… io!” fece una pausa, puntandosi un pollice al petto con energia. Era arrabbiato, comprese Bulma, che poi era il suo modo di sentirsi giù per la morte di quello che era una persona importante nella sua vita. Che lo ammettesse o no.

“Sono diventato un Super Saiyan apposta. Potevo sconfiggerlo, sono più forte di lui. Ma quel codardo è morto!” sbraitò per l’ultima volta sferrando un pugno al tronco dell’albero dalla quale si era appena scostato. Poi si allontanò, senza guardarsi mai indietro. Bulma lo sentì aggiungere qualche altra cosa del tipo “Dannato Kakaroth”, prima di diventare un puntino nel cielo.

Si sentì più triste che mai. Vegeta non le aveva mai fatto delle confidenze e in un modo molto contorto quello sfogo era proprio una rivelazione. Qualcosa che si annidava nel suo animo che aveva bisogno di sgusciare fuori. L’aveva scelta come confidente, ma Bulma non si prese il tempo per rallegrarsene. Capì fin troppo bene che quelle parole erano parecchio insidiose. Che la morte di Goku potesse avere conseguenze anche su Vegeta?

Il futuro non era mai stato così grigio, pensò. Ma si sbagliava.

 

***

I mesi erano passati velocemente, dalla morte di Goku. La vita di tutti quelli che lo avevano amato era ricominciata. Quasi tutti almeno.

Vegeta era l’unico ad essersi fermato a quel giorno. E mentre l’inverno aveva lasciato il posto alla primavera, lui era rimasto condannato alla sua apatia. Sembrava l’ombra di se stesso e Bulma non poteva esimersi dal preoccuparsi per lui.

Al funerale lo aveva visto arrabbiato e sconvolto, ma successivamente era diventato una specie di fantasma. Aveva smesso di allenarsi, come se non ne sentisse più la ragione. E questo, secondo la terrestre, era un grado d’allarme già di per sé molto alto. Poteva essere paragonato ad uno sportivo che non vuole più praticare il proprio sport perché non ne sente l’esigenza, dimenticando così la sua ragione di vita.

Aveva smesso di mangiare, cosa assai grave trattandosi di un Saiyan. Benché il paragone le facesse venire un nodo alla gola, ricordava fin troppo bene come s’ingozzava Goku, anni prima. Non di meno anche Vegeta era sempre riuscito a spazzolare un pasto in grado di sfamare un intero esercito. Vederlo così, a digiuno, fu un altro campanello d’allarme che la fece sentire inutile ed inadeguata. Non poteva fare nulla per lui, non sapeva cosa fare.

Dubitava che dormisse. Non avevano più passato molto tempo assieme sotto le lenzuola da… beh, da prima di Trunks, pertanto non era in grado di dire con certezza quante ore di riposo riuscisse a concedersi il Principe. Se dormiva bene, se aveva incubi o semplicemente se fissava il soffitto della sua stanza notte dopo notte.

Era smagrito, Vegeta, doveva aver perso qualche chilo. E le ore di sonno perdute erano visibili dai cerchi attorno agli occhi e dal rossore che contornava le pupille una volta così vitali, ora vacui.

“Dovresti mangiare qualcosa” gli rinfacciò Bulma, una sera, dopo essere entrata in camera del Saiyan che per tutta risposta si era rifugiato sotto le lenzuola con una mano sotto la testa, intento a fissare la finestra buia. “Va via” le rispose non tanto gentilmente, e lei non poté fare a meno di notare il tono roco e cavernoso, anche più del solito, tipico di chi non era abituato a parlare troppo spesso. “Ti prego Vegeta, sono seriamente preoccupata per te!” lo implorò lei, avanzando di qualche passo nella stanza, fino a soffermarsi accanto al letto. Si lasciò cadere sul fondo di esso senza mai distogliere lo sguardo dall’uomo. “Non è per me che te lo chiedo. Vieni a mangiare qualcosa” insistette.

Silenzio. “Vegeta” sussurrò la donna a mezza voce intrecciando le dita sulle proprie ginocchia. “Ho già perso un amico, non voglio che succeda anche con te” farfugliò osservando attentamente la nuca di lui, giusto in tempo per scorgerlo nell’attimo in cui si girò.

Una profonda tristezza la investì in pieno petto. Quegli occhi della quale si era innamorata erano quasi irriconoscibili, sostituiti da due anonimi puntini neri. Dove prima splendeva tutta quella forza che lo rendeva uno dei più grandi guerrieri dell’intero universo ora non c’era altro che vuoto.

Avrebbe voluto scoppiare a piangere solo per quello, ma riuscì a ricacciare tutto indietro. Non era il caso, né il momento.

“Sparisci” una parola pronunciata con una fiacchezza che le diede quasi il colpo di grazia. Dov’era tutta quella spavalderia, quella forza, quella irruenza. Dov’era Vegeta?

Bulma si alzò, ubbidiente, ma non perché stesse seguendo il suo ordine. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi e la voglia di versarle era salita al punto che nemmeno lei, che di solito riusciva a trattenersi, sarebbe stata in grado di arrestarle. Ebbe paura, in quel momento. Vegeta era malato, ma non era nulla di fisico. Era psicologico, profondo e così radicato che la spaventò a morte. Le gambe le tremavano più in quel momento che anni prima, quando lui rappresentava un diverso tipo di minaccia, più reale.

Uscì da quella stanza con slancio, richiuse la porta e vi appoggiò la schiena come se potesse sorreggere il peso che le sue gambe non potevano più sopportare.

 

***

Il giorno successivo era il 12 maggio dell'era 767, e Bulma si era alzata di buon mattino. Intenzionata a non abbandonare Vegeta senza combattere. Aveva quindi deciso di preparargli un’abbondante colazione.

Aveva acceso la televisione in cucina per farle compagnia e da circa un’ora stavano trasmettendo un telefilm. Nel frattempo lei si dedicò alle sue faccende, sperando che lui avrebbe mangiato effettivamente qualcosa.

La tragedia, tuttavia, era inaspettata e dietro l’angolo. Forse anche più della dipartita di Goku. L’orologio aveva appena superato le nove e un quarto, circa, quando tutto cominciò a precipitare rapidamente. Bulma fece giusto in tempo a memorizzare l’orario, quando il programma venne bruscamente interrotto.

Per prima cosa partì la sigla del telegiornale e il pensiero della donna fu di sorpresa. Dovette leggere l’aggiuntiva dicitura della parola “speciale” posta proprio sotto il logo del notiziario per rendersi conto che qualcosa di brutto era accaduto nel mondo.

Un solo titolo anticipò l’entrata in scena del solito mezzo busto: Tragedia a pochi chilometri dalla Città del Sud, recitò l’intestazione e lei lasciò cadere sul tavolo il cucchiaio che aveva in mano. Si concentrò completamente sul televisore, alzando il volume per poter sentire più agevolmente.

“Un misterioso incidente ha provocato centinaia di morti su un’isola a pochi chilometri dalla Città del Sud. Le cause sono tutt’ora ignote…” attaccò a dire l’anchorman, senza prendersi la briga di respirare. Le immagini, registrate da sopra un elicottero, mostravano un’isola completamente in fiamme. Il fumo saliva fino in cielo e sotto la gente gridava disperata cercando una qualsiasi via di fuga.

Bulma trattenne il fiato, gli occhi di un azzurro profondo erano fissi sullo schermo. Seguirono servizi e reportage per una buona mezz’ora, interpellando una serie di così detti esperti tutti dediti ad indovinare le cause dell’incidente. Poi l’impensata verità. C’erano due persone alla base della violenza, un uomo e una donna, intenti a distruggere qualsiasi cosa capitasse loro a tiro. L’elicottero sul posto cercò di inquadrarli, ma nell’atto di avvicinarsi fu coinvolto in un esplosione. La donna, una giovane bionda, alzò lo sguardo quando udì l’automobile in avvicinamento e senza batter ciglio sollevò la mano facendo scaturire da essa quella che Bulma riconobbe come una sfera d’energia.

Chi avrebbe salvato la Terra ora che il suo più impavido salvatore era trapassato a causa di un semplice problema cardiaco?

Potevano Piccolo, Crilin, Yamcha e tutti gli altri fermare la nuova minaccia che proveniva da chissà dove? E Gohan? Era all’altezza di suo padre? E Vegeta?

Quel pensiero le fece venire un brivido. No… Vegeta non era in grado di salvare nessuno, era troppo debole, troppo deperito. Persino lei poteva capirlo. Non percepiva le aure come i suoi amici, ma era perfettamente in grado di capire che non era al pieno delle sue forze. Probabilmente lo sapeva anche lui, ma questo lo avrebbe fermato?

Come una furia, Bulma, si lanciò verso le scale, correndo come non aveva mai corso in vita sua. Imprecò mentalmente e in quel momento sperò di abitare in una casa molto più piccola della Capsule Corporation, ma purtroppo non era così. Impiegò pochi secondi prima di arrivare davanti alla porta del Saiyan, ma era già troppo tardi. Quando la spalancò trovò la finestra completamente aperta e la battle suite, che di solito si trovava appoggiata ad una sedia, era sparita. Si affacciò al davanzale, ma la sola cosa che vide fu una scia alta nel cielo che si allontanava sempre di più, svanendo a pochi secondi dal suo passaggio.

“Vegetaaaaaaaa!” urlò nonostante il fiato corto, pur sapendo che lui era ormai troppo distante per poterla sentire.

Lui era andato a combattere.

 

***

Aveva passato l’intera giornata di quel fatidico giorno di primavera a fissare la televisione, alle prese con uno zapping sfrenato. All’esterno, in contrapposizione con il suo stato d’animo, il sole splendeva alto in un cielo di uno splendido azzurro. La popolazione mondiale sembrava andare avanti con le proprie vite, convinti che l’incidente nell’emisfero sud era un caso isolato. Domani sarebbe tornato tutto alla normalità. Ma Bulma aveva ancora una pessima sensazione.

Il sole era calato, aveva lasciato il posto alla luna, ma le sue paure non erano mutate. I notiziari non emettevano più nuovi comunicati sull’accaduto. Sembrava essere un evento già dimenticato. Era capitato, punto. Ora si sarebbe provveduto ad aiutare le vittime e tutto sarebbe tornato come prima.

Stavano combattendo, lei lo sapeva. Riconosceva quella falsa quiete, quel momento di pace in cui i civili sono totalmente all’oscuro delle battaglie dei grandi guerrieri. Dove tutti ignoravano i turbamenti dell’atmosfera, di montagne che in valli sperdute si sgretolavano come castelli di sabbia. Di onde d’energia in grado di generare crateri sulla superficie del pianeta come cicatrici indelebili.

Le tornò in mente Namecc. Rifugiata tra le fredde rocce di una cavità mentre ascoltava inerme le esplosioni lontane. Immaginando ciò che avveniva a chissà quanti chilometri di distanza senza tuttavia averne alcuna idea. Si sentiva come allora e come altri momenti della sua vita, in trepidante attesa che il suo eroe personale scendesse sul campo di battaglia per eliminare la minaccia di turno. Ma questa volta era diversa. Goku non sarebbe mai arrivato.

Non c’era alcuna possibilità che comparisse dal nulla a salvare la situazione. Lui non c’era più e questo pensiero non fece altro che aumentare la sua spasmodica inquietudine.

Bulma era una donna forte, nonostante tutto. Sedeva sul divano, rannicchiata sotto una coperta leggera, sentendo una crisi di pianto minacciare d’incombere su di lei come un uragano. Ma lei non lo avrebbe permesso. Non aveva alcuna intenzione di soccombere ai suoi timori. Vegeta sarebbe tornato vittorioso. Chissà, forse anche psicologicamente. Sarebbe rinato dalle ceneri della sua precedente disfatta e avrebbe proclamato all’universo che il Principe dei Saiyan era nuovamente pronto alla battaglia.

Tuttavia.

Tuttavia il viso scarno e malconcio di lui le tornava sempre alla mente come un dannato boomerang. Più lo lanciava lontano e più il maledetto tornava alla riscossa più violentemente e prepotente di prima. E allora aveva davvero voglia di permettere ai suoi sentimenti di prendere il sopravvento.

“C’è una notizia dell’ultima ora” annunciò un cronista, leggendo da un foglio che gli era appena pervenuto dalle mani di un assistente. Il mezzobusto lesse rapidamente la missiva e alla Capsule Corporation una donna trattenne il fiato. Ti prego! Fa che non sia successo nulla a Vegeta! “Nei pressi della città del Sud c’è stato un altro disastro…” la voce dell’uomo gracchiò, lasciando trasparire tutta la sua preoccupazione. E fu così che anche il resto del pianeta Terra prese consapevolezza della gravità della situazione.

Hanno fallito! Si ritrovò a pensare Bulma stringendo le ginocchia al petto come se questo potesse portarla in dietro nel tempo, quel tanto che bastava per impedire a Vegeta di uscire di casa. Stava per perdere le speranza, per cedere, per dar adito a tutto quello che aveva cercato di ricacciare nella profondità della sua anima, quando un piccolo barlume di speranza si accese nel suo cuore.

Era debole e attutito dai suoi pensieri, ma lei riuscì a udirlo ugualmente. Un piccolo tonfo, un leggero bussare alla vetrata della porta finestra che dava sul balcone. Lo aveva già udito e lo riconobbe, aggrappandosi con tutta la sua forza a quell’unica possibilità. Forse il peggio non era accaduto. Lui era tornato, forse ferito, ma era vivo!

Balzò giù dal sofà e si lanciò verso l’imposta, scostò le tende senza guardare, fuori c’era solo buio. La mano si posò sulla maniglia e lei fece scorrere l’anta fino a sentire l’aria fredda battere contro gli zigomi arrossati da emozioni svariate. Paura, ansia, speranza… delusione.

A cadere tra le sue braccia non fu Vegeta, come aveva intimamente sperato, ma il più piccolo del gruppo di guerrieri. Gohan si afflosciò su se stesso dopo quello che sembrava essere un terribile sforzo.

Era ferito e malconcio. I vestiti logori e distrutti, il viso contuso e ferito. Gli occhi stanchi e privi di speranza. Il giovane Saiyan la guardò come se sperasse che lei potesse leggere nel suo sguardo tutto l’orrore che aveva vissuto quel pomeriggio. E Bulma non faticò a notarlo.

“Mi dispiace tanto” farfugliò il ragazzo, le lacrime agli occhi. E in quell’istante lei si soffermò a pensare quanto il figlio del suo migliore amico fosse cresciuto in quegli ultimi mesi. Non fisicamente, ma nello sguardo.

“Cos’è successo?” si accinse a chiedergli, mentre gli faceva da sostegno, terrorizzata dall’idea che potesse improvvisamente crollare al suolo.

Son Gohan distolse lo sguardo e chiuse le palpebre, forse per non guardare lei, forse per non essere visto. Restò in silenzio, serrando di più le dita di un bambino già grande attorno alla manica che vestiva l’amica. Bulma lo accompagnò verso il divano, cercando di ignorare quello che il suo cervello aveva già recepito da quella semplice reazione.

Quando il piccolo guerriero si stese, riprendendo fiato, la donna lo fissò in trepidante attesa. “Cos’è successo, Gohan?” aveva provato a trattenere l’apprensione, ma fu la propria voce a tradirla. Vide il bambino volgere lo sguardo allo schermo televisivo rimasto acceso. Lo vide tremare, cedere al pianto che era riuscito a cacciare fino a quel momento, ma che ora aveva preso il sopravvento. Aveva pur sempre soli dieci anni. “Mi dispiace” ripeté colto dai singhiozzi, portando le gambe al petto proprio come lei stessa era seduta pochi minuti prima.

Bulma si ritrovò a provare una compassione infinita per quel bambino. S’inginocchiò accanto al divano. Gli poggiò una mano sulla spalla nel vago tentativo di consolarlo e lui la circondò con le piccole e muscolose braccia in cerca di un abbraccio. Lo accontentò.

“Va tutto bene adesso, sei qui con me” lo rassicurò, pur sapendo che era un’affermazione senza molto senso. Lei non poteva certo offrir maggiore protezione ad un guerriero, per quanto giovane egli fosse. Gohan pianse silenziosamente per qualche minuto, bagnando la blusa dell’amica con le proprie lacrime. “Non sono… non sono riuscito a salvare nessuno! Sono… morti tutti. Io… io sono l’ultimo rimasto” la informò tra un singhiozzo e l’altro.

Il mondo di Bulma si spense in quel momento. La sua mente precipitò in un abisso senza fine. Nonostante l’impressione di precipitare anche stando coi piedi ben saldi al terreno decise di rimandare le ovvie conclusioni ad un altro momento. Ora no, ora doveva essere lei quella in grado di distruggere le montagne. “Tutti?” riuscì appena a dire, sentendo il ragazzino annuire tra le sue braccia.

“Sono cyborg… sono stati creati per distruggere. E io non sono stato in grado di fermarli, anche se mi sono trasformato in Super Saiyan” il suo lamento s’intensificò e la donna comprese quali erano le frustrazioni del ragazzo. Simili a quelli che anche lei condivideva.

Goku.

Gohan era demoralizzato. Non era stato in grado di fare ciò che suo padre aveva fatto centinaia di volte durante il suo percorso. Se solo fosse stato ancora vivo, se solo avesse potuto salvare nuovamente la situazione. Così come tutti quei momenti in cui lo aveva ammirato silenziosamente. Come se non bastasse… “Piccolo…” disse solamente e non ci fu bisogno di altre spiegazioni.

L’altra persona che il giovane ammirava tanto, il suo secondo padre. L’uomo che, nonostante le previsioni, lo aveva allevato e allenato per primo come guerriero. Che aveva il valore di un maestro, un amico e un fratello. Colui che per Gohan era secondo solo al padre stesso. Anche lui era defunto.

L’altro pensiero, che nonostante fosse secondario non poté fare a meno di balenare nella mente di entrambi, fu l’ovvio collegamento con le Sfere del Drago.

Bulma chiuse gli occhi, poggiò il mento sul capo del ragazzino carezzandogli i lunghi capelli neri. Lo strinse di più a sé. Poi si morse le labbra e si maledisse per quanto stava per dire. Sapeva che non era opportuno, che avrebbe potuto e dovuto risparmiarselo. Ma doveva chiederlo, sarebbe impazzita se non lo avesse fatto.

Prese fiato.

“Vegeta?” domandò solo, lasciando all’immaginazione il compito di comporre il resto della frase. Gohan rimase immobile per un secondo e il suo silenzio a Bulma parve durare in eterno. “Mi dispiace Bulma” sussurrò, dando la conferma indiretta a tutte le paure della donna.

I pensieri di lei saettarono attraverso i corridoi dell’enorme abitazione, fino a giungere nella camera del figlio e le pianse il cuore. Quel bambino non avrebbe mai più potuto conosce suo padre! Un neonato innocente stava già affrontando una grossa perdita, e nemmeno lo sapeva.

Poi pensò a se stessa, a quello che provava quando stava con lui, nonostante nessuno riuscisse a comprenderne il reale motivo. I momenti che avevano diviso, dentro e fuori dal letto, e che mai più avrebbero potuto avere.

Era sola adesso.

Sentì le lacrime minacciare di percorrerle i lineamenti, ma se lo impedì nuovamente.

Sii una roccia, Bulma; si disse in un disperato e ultimo tentativo di rimanere con i piedi per terra.

“Stai tranquillo adesso. Riposati un po’ qui, io vado a telefonare a tua madre e le dico che stai bene. D’accordo?” propose lei e Gohan annuì nuovamente. Quando lei tornò, dopo aver parlato con Chichi, lo ritrovò addormentato sul divano evidentemente stremato fisicamente e mentalmente.

 

***

Il mattino successivo si alzò di buonora, reduce da una notte insonne. Era scivolata giù dal letto quando l’orologio non segnava nemmeno le sei. Si preparò velocemente, afferrando la prima scatola di capsule che le capitò a tiro. Certa che vi avrebbe trovato all’interno uno o più aerei. In punta di piedi scese le scale, superando il salotto più silenziosamente possibile, evitando di svegliare i suoi ospiti.

Chichi si era precipitata dal figlio, appena aveva ricevuto la chiamata. Lo aveva medicato e lo aveva coccolato fino a quando, entrambi, erano entrati nel mondo dei sogni. Bulma aveva offerto loro la possibilità di occupare una delle stanze della grande casa, ma erano troppo sconvolti e stanchi per preoccuparsene, soprattutto il piccolo.

Dormivano ancora, quando Bulma si aggirava per i corridoi con passi simili a quelli di uno spettro. Fissò madre e figlio per un istante, scoprendosi a riconoscersi nel loro dolore. Anche lei stava per affrontare il vuoto di una grande perdita ed era proprio lì che si stava recando. A prendere consapevolezza.

Lasciò un veloce biglietto alla madre, chiedendola di occuparsi di Trunks, poi uscì nella tiepida mattina di maggio.

Guidò per almeno un paio d’ore, prima di giungere nei pressi della Città del Sud e ogni momento era un’agonia. Il tempo passava, ma sembrava non volesse realmente scorrere. Fossilizzato ed eterno.

L’isola stava ancora fumando. Ruderi e macerie ardevano al suolo, mentre lei atterrò a qualche metro di distanza da alcune delle vittime sopravvissute. Non era scesa a terra casualmente, sapeva dove doveva andare, cosa cercare. Crateri profondi tanto da apparire infiniti, nel luogo dove nulla stava bruciando, perché non c’era più nulla che potesse prendere fuoco. Dove la città era diventata il nulla.

Dall’alto del cielo aveva intravisto quella zona, ma non ebbe il coraggio di atterrarvi. Troppa paura di ciò che poteva trovare, nonostante ne fosse già fin troppo consapevole.

Ritirò la capsula, stringendola saldamente tra le dita, prima di riporla nell’apposita custodia. Poi si voltò, lentamente, osservando la disperazione delle persone nei paraggi. Gli abiti logori, i visi sporchi e contusi mentre si reggevano ai loro cari o a uno sconosciuto che aveva prestato loro assistenza.

Bulma non era diversa da coloro che bazzicavano la zona. Condivideva il dolore di aver perso una persona cara, di dire addio per sempre a qualcuno disposto a sorreggerci.

Goku, dove sei? Si ritrovò a pensare irrazionalmente, come se l’amico fosse in grado di cambiare il destino. Forse no, forse la sua presenza non avrebbe cambiato nulla, ma la sua forza l’avrebbe sorretta come nessun altro era mai stato in grado di fare.

I suoi piedi si muovevano istintivamente nella zona morta vista dall’aereo, i suoi occhi azzurri scrutavano l’orizzonte. Era dunque questo il futuro che li attendeva? Ora che nessuno era più in grado di fermare quei cyborg?

Mentre entrava in quella che aveva mentalmente soprannominato la linea del nulla cominciò a vedere proprio ciò di cui aveva più paura.

Fu Yamcha il primo che incrociò sulla sua strada. I corti capelli neri solitamente ben curati erano ora intrisi di sangue e fango, ricadendogli sul viso già segnato da grosse cicatrici. Altri graffi, altre contusioni gli rovinavano il bel volto sempre pronto a regalare un sorriso. Ora, quell’espressione gioviale, era rovinata da una smorfia di dolore e sofferenza. Era deceduto come non se lo meritava e Bulma ebbe un tuffo al cuore. I ricordi di qualche anno addietro, quando lo aveva ritrovato rannicchiato su se stesso con gli abiti squarciati dall’esplosione che gli aveva strappato la vita, le tornarono alla memoria. Lo stesso vuoto, la stessa sensazione d’impotenza. Glielo avevano portato via per sempre.

Non pianse, tuttavia, non come le era capitato l’ultima volta. Si inginocchiò accanto a lui gli accarezzò i capelli scuri come faceva quando il loro rapporto si basava su diversi principi. Gli chiuse delicatamente gli occhi e pensò di aver appena perso un altro dei suoi migliori amici.

Afferrò una seconda scatoletta di capsule, quella che conteneva i contenitori criogenici da lei inventati quando in passato un altro massacro l’aveva costretta a pregare in silenzio e a lottare come solo lei sapeva fare.

Yamcha, Crilin, Piccolo… furono tutti trasportati con la stessa delicatezza all’interno di quei preziosi refrigeratori.

Poi arrivò il momento da lei tanto temuto.

La prima cosa che vide fu il suo stivaletto bianco, lo riconobbe immediatamente. La gamba che indossava quella particolare scarpa era nascosta dalle macerie, lontano dalla sua vista e Bulma avrebbe voluto che rimanesse così. Sapeva, però, che doveva farlo, doveva vederlo.

Esitò ancora per un secondo, fissando le chiazze di sangue che rovinavano la calzatura in un modo che non le piacque affatto. Un profondo sospiro, pochi passi, poi si bloccò nuovamente. Avrebbe voluto tornare indietro e scappare. Era ancora in tempo.

Non si arrese, continuò ad intercedere, fino a quando la gamba non divenne il busto, i pettorali. Ed infine il viso.

Si coprì la bocca con una mano e chiuse gli occhi. Era lui, era davvero morto. Vegeta.

Gli occhi si offuscarono dalle lacrime che, questa volta erano più forti e Bulma capì in quel momento che non sarebbe riuscita a vincerle.

Si chinò accanto a lui, al suo corpo martoriato da colpi violenti e crudeli, non ci voleva un esperto per capirlo. Il viso duro e marmoreo era una maschera di sangue. Le iridi nere erano ridotte a due puntini senza vita. Persino la sua espressione le risultò irriconoscibile. Peggio degli ultimi mesi, peggio del periodo ancora precedente quando, disperato, cercava di diventare biondo. E tutta quella fatica non era servita assolutamente a nulla.

Vegeta.

Bulma gli afferrò delicatamente le spalle, lo stinse a sé come mai aveva fatto quand’era in vita. Si poggiò il viso di lui nell’incavo della spalla, incurante del sangue, e continuò a tenerlo in un irrazionale paura di spezzarlo. “Vegeta” gli sussurrò in un orecchio come se lui potesse sentirla.

Ed eccole, le tanto temute lacrime che fino a quel momento aveva cercato di evitare. Le rigarono gli zigomi, le scivolarono sul mento, sul lungo collo pallido e precipitarono. Caddero sul volto del Principe dei Saiyan, sulla fronte, superarono le sopracciglia e s’insinuarono nella cavità oculare, continuando il loro incedere lento ed esasperante fino al suolo. La loro scia lavò il sangue sul corpo dell’uomo, dando tra le altre cose l’impressione che Vegeta stesse piangendo da un luogo lontano ed irraggiungibile.

“Vegetaaaaaaa!” strillò Bulma, alzando lo sguardo al cielo e urlando a qualcuno che non era più in grado di sentirla.

Era tutto finito, tutto era diventato effimero.

Non c’era più alcuna speranza.

 

***

Era sera tarda quando Bulma rientrò in casa. Il salotto era tutto tranquillo. Gohan stava dormendo sul divano, la madre accanto a lui. Esattamente come li aveva lasciati quella stessa mattina. Per un attimo ebbe l’assurda idea che quella giornata fosse solo un brutto sogno, una specie di incubo dalla quale si sarebbe svegliata da un momento all’altro. Avrebbe girato il capo trovando Vegeta profondamente addormentato al suo fianco.

Illusione, lo sapeva bene.

Con un sospiro s’incamminò lungo i corridoi di casa. Gli occhi le bruciavano ancora dopo aver pianto per l’intera giornata.

“Bulma” la accorlse la voce seria di sua madre. E mentre sollevava lo sguardo su di lei rivide la stessa espressione con la quale le aveva annunciato l’arrivo della telefonata che le aveva sconvolto la vita, mesi prima. “Sembri stravolta cara” le disse, sistemandosi il sonnolento nipotino tra le braccia. Trunks sbadigliò, volgendo poi lo sguardo alla madre.

Era troppo piccolo per saperlo, ma quello che fece in quel momento, quel semplice gesto istintivo, fu ciò che salvò Bulma Brief da un baratro senza fine. Con estrema naturalezza, il neonato Saiyan cercò le braccia della donna, agitando le manine in attesa di essere preso in braccio. Con quello sguardo, che sua madre aveva ribattezzato bieco per paragonarlo al padre, la fissò intensamente, fino a quando lei non lo accolse in un abbraccio.

“Ha appena mangiato, stavo per metterlo a letto” la informò la bionda, fissando la figlia con aria un po’ preoccupata, ma si premurò di nasconderlo. Bulma, d’altra parte, non ebbe modo di accorgersene. “Ci penso io” la rassicurò socchiudendo le palpebre, lasciandosi cullare dal bambino che, senza conoscerne la ragione, cercò di consolarla circondandole il collo con quelle braccine ancora troppo piccole.

Bulma accompagnò il figlio nella sua stanza, stendendolo con delicatezza tra le sbarre della culla. “Trunks, oggi è successa una cosa molto brutta” gli disse come se lui potesse capire. “Il tuo papà è andato via… per sempre” continuò a spiegargli, accarezzandogli i capelli lilla.

Il bambino, in lotta col sonno, osservò con aria dubbiosa la donna. Ma prima di perdere la sua personalissima lotta afferrò il dito della madre e le sorrise accompagnando quel gesto con uno strano suono che poteva equivalere ad un tentativo di esprimersi a parole. Poi si addormentò.

Lei restò a fissarlo ancora per un po’, infine capì.

Tutti abbiamo i nostri modi di lottare, di tenere duro contro le avversità. Non tutti erano in grado di cambiare il colore degli occhi e dei capelli in un secondo. Tuttavia ci sono altri sistemi per continuare a restare a galla.

Anche lei aveva un modo diverso dai suoi amici per affrontare i cattivi di turno. Mai stata in prima linea, ma c’era sempre quando quei guerrieri tanto forti non erano in grado di vincere quelle avversità senza una piccola spinta.

La prima linea era stata sbaragliata, era vero. Niente più guerrieri a sbarrare la strada dei cattivi. Ma le retrovie stavano per entrare in azione!

Bulma guardò il figlio nella culla e per la prima volta da mesi riuscì a concedersi un sorriso. “Noi…” cominciò rivolta al neonato “troveremo un modo per distruggere quei cyborg” gli annunciò come se Trunks potesse capire, e lui si mosse nel sonno.

Il futuro non aveva più speranza, d’accordo, ma il passato poteva essere ancora salvato. Forse anche con l’aiuto di Goku.

Lei avrebbe continuato a lottare fino alla fine.


 

FINE


 

Questa storia ha una storia travagliata tutta sua. La scrissi all'epoca, prima di allontanarmi dal sito, ma dopo averla riletta non la ritenni all'altezza di una pubblicazione. Negli anni mi sono spesso ritrovata a riguardarla, combattuta per quanto riguardava il suo destino.

Oggi ho finalmente deciso che sarete voi a giudicarla definitivamente. Come si dice, ai posteri l'ardua sentenza.

  
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