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Autore: Scamander    27/01/2016    0 recensioni
" Quella notte, pensai che sarei morto: la pazzia divora quelli della mia specie come un morbo di cui ognuno di noi è portatore. È un morbo latente, un morbo che, in potenza, è in me come in qualunque altro della mia razza: un morbo che distrugge Dillon - ed anche Wendy, seppur ancora umana - e lascia a me e alla cara Lucinda, che ancora ci trasciniamo per questo mondo che ormai ci ricorda solo dolore e sciagure, una esistenza squarciata, ma, per qualche ragione, ancor degna di essere vissuta "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanguini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
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{ Francia, 1880. Presso la "Villa di Monsieur Sanguini }

« E la avete uccisa? »

Lucinda era una novizia e questa sua condizione - questa sua ingenua curiosità - era stata evidenziata del suono delle sue parole: erano come un curioso scampanellare. La bella bocca, che solo a fatica era riuscita a non dischiudersi in un sorriso divertito, non riusciva però trovar pace e si piegava ed inclinava in dolci e deliziose pose. Io la odiavo, ma - a voler essere precisi - odiavo tutte le novizie. Odiavo quella loro eccitazione, quella loro irrispettosa ansia di morte. Come se avessero avuto il diritto di parlarne, della morte. Come se fosse cosa loro. Lucinda aveva smesso di essere sfiorata dal sole solo qualche anno prima: e ciò non era abbastanza per percepire il tocco, la consistenza ed il sapore della morte sulla propria pelle. Per non aggiungere, inoltre, che data la sua età avrebbe ancora potuto essere in vita. Il suo corpo non era stupito dal fatto di essere ancora grazioso, piacevole in quel suo abito estivo, /desiderabile/. La sua mente non aveva ancora domandato alla pelle per quale ragione non stesse cedendo, alle sue ossa perché non fossero in procinto di sbriciolarsi sulla pietra di un umido mausoleo, alla sua voce perché continuasse a vivere in un modo ormai non suo. Continuava a danzare alle feste, ignara dello scricchiolio che avrebbe, col tempo, inondato quella sua testa armoniosa, bella nella sua graziosa acconciatura. Era così /irrispettosa/.

La fissai per qualche istante, sperando che quel suo celato sorriso si incrinasse. Era così delizioso e grottesco, il fatto che la morte la facesse divertire: era così adatto a quella epoca senza regole. Se solo avesse vissuto la mia di epoca, con il peso di una più grande punizione sulle spalle ed uno sguardo volto ad un cielo che non era più tuo…
« Certamente no, Lucinda »
Non ero in vena di grandi appellativi e quel sorriso, ancora celato ma presente, non mi spingeva alla cortesia « Questa è un'epoca di assaggi. Un'epoca di /antipasti/ »
Qualche commensale trovò le mie parole veritiere e le approvò con sparsi versi di indignazione, alcuni ne colsero la faccia di divertente piacevolezza e si sciolsero in una rassegnata risata. Il mio viso invece, così come il mio sguardo, rimase immobile: non avevo ancora abbandonato quel volto che, come non sfiorato dalle mie parole, continuava a nascondere un ben evidente sorriso.
« E avete lasciato che se ne andasse? » domandò infine, lasciando libera la dentatura da quella morsa di eleganza.
« Ho lasciato che se ne andasse » la mia mano destra, prima ferma sul tavolo, cominciò a sfiorare la base della forchetta che giaceva sulla tovaglia. Era piacevole, durante quelle riunioni, allestire una bella tavolata e mimare la vita. Atto primo, scena prima.
« Che spreco »
Ecco che il suo viso assunse una posa capricciosa: guance gonfiate come quelle di una bambina « Non è giusto »
« Cosa non è giusto? »
I commensali erano attenti, interessati. Per quanto quella conversazione non mi aggradasse, ero ormai costretto a portarla avanti per mantenere viva quella scintilla di attenzione. La mia bocca si mosse in una linea di accondiscendenza, come influenzata dal suo agire bambinesco.
« Che si debba fingere. Che si possa assaggiare, ma non concludere. Che la nostra natura sia disprezzata, mentre quella di altri--- »
« Quali altri…? »
« /Monsieur/, potreste rispondere, invece di domandare? »
« Non vedo nessuna domanda »
Un vecchio uomo in abiti un po' datati - anche per le norme della nostra razza - poggiò le dita sulla spalla nuda della novizia. Era un gesto perentorio: tanto intimo - anche in quella pubblica circostanza - da muovermi un moto di stizza.
« Lucinda cara, non tediate oltre Monsieur Sanguini »
Doveva essere stata la sua preda, prima che la sua compagna. Era abbastanza evidente. Avevo invitato a cena Vincent Dillon perché sarebbe stato un poco sconveniente non farlo, ma non pensavo che /la compagna/ per la quale aveva domandato un invito potesse essere così inappropriata. Eppure immaginavo che si fosse sparsa la voce della mia pacata insofferenza nei confronti dei novizi. Per quale ragione, solo nel momento del bisogno, le voci erano così tarde nel loro correre?
« Ma…! Non penso che Monsieur Sanguini si stia infastidendo. Siete infastidito, Monsieur? » la bocca della ragazza, se possibile, assunse una posa ancor più infantile; questa volta, però, era macchiata da una traccia di malizia.
« Per nulla. Potete tranquillizzarvi, Dillon. La /vostra/ Lucinda… » Sottolineai quel "vostra" in modo un poco eccessivo, in maniera che si comprendesse quanto ritenessi quel contatto fisico immoderato « …è adorabile »
Si diceva che non ci fosse più età, una volta che si smetteva di essere toccati dal sole: ma quel vecchio, con quella ragazza…! Che raccapriccio. Era tra le loro menti che vi era terribile contrasto: come poteva un uomo tanto vecchio stringere tra le mani un'anima tanto giovane? E schiacciarla? …Ne sarebbe morta?

Lucinda, dal canto suo, non comprese la reale ragione delle mie parole e si colorò di un sorriso lusingato. La sua bocca si inclinò su un poco e così fece il suo viso.
« Vedete? A Monsieur non dispiace » Si volse per qualche istante in direzione di Dillon, che intanto aveva scostato la mano dalla sua spalla « Non dite sempre che devo imparare? »
Dillon le sorrise, ma era un sorriso indirizzato a me più che alla ragazza: "Possiate perdonarla", diceva, "È una bambina".
« Imparare? Cosa vuole che impariate, Lucinda? »
« Monsieur Sanguini…! Vi prego, non lasciate che cominci a parlarne » Si stava divertendo la graziosa novizia; potevo quasi vederla muovere i piedi sotto il tavolo, piedi avvolti da deliziose e delicate calzature.
« Mademoiselle Lucinda crede… » cominciò Dillon, che finalmente aveva compreso fosse necessario prendere la parola « …che le leggi nei nostri confronti siano /sbagliate/. Che minino alla nostra…come dite, cara? »
« Alla nostra natura » concluse lei, facendosi improvvisamente seria « Non avreste preferito uccidere quella donna, Monsieur Sanguini? »
« A chi lo state chiedendo, Lucinda? A me od alla mia natura? »
« Sentite differenza tra voi stesso e la vostra natura? Rinnegate, forse, che voi stesso siete un vam-- »
« Lucinda » la voce di Dillon la interruppe bruscamente « Non siate scortese »
Non ricordavo quando fosse diventato sconveniente pronunciare il termine "vampiro": semplicemente, avevamo smesso di dirlo. Non che io provassi un particolare disagio alla pronuncia di quel termine… ma era così poco raffinato!
« Non nego »
« Allora la volevate uccidere » incalzò Lucinda.
« Non volevo la sua morte, volevo ciò che poteva darmi »
« Il sangue »
« Lucinda » ancora Dillon.
La tavola si mosse a disagio: non si parlava di sangue a tavola. Sentivo il loro stomaco e le loro vene contorcersi dal desiderio.
« Il sangue » decretai portando un cupo silenzio sulla stanza. Un silenzio che si protrasse finché Lucinda, ancora non soddisfatta, aggiunse: « Ma non è più piacevole uccidere, Monsieur Sanguini? »
« Non mi fate dire ciò che non vorrei, Lucinda. Le mie parole avrebbero un peso. Nel momento in cui dovessi darvi ragione, sarei costretto a dare prova di ciò che dico. Se avessi ucciso, avrei ucciso per piacere di fare e non per mia natura »
« Quale è la differenza? » Si sporse un poco in avanti, visibilmente interessata.
« La lucidità. Ultimamente mi sento troppo lucido » Altri mormorii di assenso: la mia mano destra si era spostata sulla base del calice che sostava di fronte al piatto.
« Non uccidereste, lucidamente? » Quella domanda era davvero inadeguata e tutti parvero rendersene conto tranne la novizia stessa: era così giovane; non le era dunque giunta la voce…? Nessuno le aveva parlato del padrone di casa?
« Potrei. Ma fuggo questa eccessiva libertà. Sarei costretto - che ironia! - dalla mia stessa libertà, a quel punto. Potrei essere costretto ad uccidere voi, Lucinda »
« Oh, ma…! » Le labbra della ragazza si arricciarono ed il suo collo si allungò in mia direzione « Ma fatelo, fatelo! Sarebbe così bello! »
La stanza fu avvolta da risate accondiscendenti, come le risate rivolte ad una bambina capricciosa ed alla sua divertente ed infantile recita. Le mie dita si strinsero sulla base del calice.

Sarebbe morta presto, dunque. Vi era morte nei suoi gesti come nella direzione presa dalla sua mente acerba. Quelle mani così vecchie avevano afferrato quella anima così giovane...e la avevano condannata a morte!

   
 
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