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Autore: laviatraversa    27/01/2016    2 recensioni
┊┊ ❛ Però le era sempre sfuggita la parte più importante, il concetto più sottilmente intenso dell'intero problema, e cioè quale fosse, in realtà, la risposta delle cellule di lui, che niente sapevano fare se non allontanarsi ( allontanarla ), barricarsi su un eremo sconosciuto dove anche la semplice aria fungeva da anestetico per la sua anima fatta a pezzi – corrosa dall'eco dolcissimo della marmellata alle more di Mikoto, dei rimproveri di Fugaku, della risata di Shisui, consumata dal troppo, troppo ( infinito ) amore di Itachi –. Sentiva il corpo tremare, sconvolto a sua volta da una verità che, oramai, neanche sperava più di concepire. ❜ ┊┊
(( oneshot ─ sasusaku, team7 ─ lieve OOC ─ post IV guerra ninja ))
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Team 7 | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Dopo un silenzio di più di due anni, torno su efp con un nuovo nickname - prima era egoica - e, per iniziare, una nuova OS. C'è da dire che stazionava nella mia cartella "vaneggi strani" (non fate domande) dall'inverno scorso, quindi potreste rilevare una leggera discrepanza fra lo stile in cui è scritta la prima parte e quello in cui è scritto il finale, che mi è letteralmente capitombolato nel cervello stamattina mentre la professoressa spiegava Wuthering Heights.
Ad ogni modo, ne ho rimaneggiato e riscritto diverse parti, fino a renderla ciò che vi accingete a leggere.
Spero possa essere di vostro gradimento.

 

Disclaimer: Naruto e i suoi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Masashi Kishimoto.
Quanto segue è stato scritto senza alcun scopo di lucro, ma per semplice divertimento personale e blablabla.

 

 

All about you  

 

questa è per Giulia, mio personalissimo angelo custode
e per chiunque creda ancora all'amore

 


 

atto unico: se fosse per sempre

Sakura inspirò profondamente e diede un'ultima, rapida occhiata al ragazzo seduto poco distante da lei, reclinando il capo con una muta richiesta nello sguardo. Richiesta che lui, apparentemente, non sembrava pronto a soddisfare.
Ti chiedo solo di amarmi, Sasukekun. Anzi no, ti chiedo solo di essere importante.
Iniziò a stropicciare l'orlo del suo kimono con dita nervose, guardandolo sollevarsi e poi adagiarsi sulle gambe nude più e più volte – come mare in tempesta. E forse era un po' quel che succedeva al suo cuore matto, la tempesta, quando il suo sguardo incrociava quello di lui e sentiva mancare il fiato come se fosse la prima volta.
Respira, Sakura, respira
, si ripeteva con voce tanto flebile da udirsi appena.
Sasuke sentiva – e sentiva il sangue scorrerle nelle vene e la vita scoppiettare negli occhi verdissimi. Bellissima. Questo, però, non glielo disse mai.

 

 

Why does she make sure to be so immature
about these things, I don't want to change around it
And sometimes this love will end and all will
be forgotten then someday we will laugh about it
And you say it's alright, and I know that it's a lie
from the black in your eyes

 

 

«Tu non capisci, Sakura-chan», protestò debolmente Naruto. Era circa mezz'ora che tentava di spiegarle come erano realmente andate le cose, ma lei sembrava essere sorda – e cieca e muta. Fissava Sasuke con una strana luce negli occhi e un piccolo sorriso sulle labbra, tanto attentamente da fare quasi paura. Non si curava del flusso di chakra che dalle sue mani si depositava – e leniva, curava – sulla pelle dell'amico biondissimo, né dei forti gemiti dello stesso quando toccava punti troppo delicati con dita troppo distratte.
«Mi stai ascoltando?», la riprese ancora. Ultimo, disperatissimo tentativo di ricevere un'attenzione che – ne era cosciente, ormai – sarebbe sempre stata parziale. Perché lei l'aveva sempre dedicata tutta al ragazzo che, su un lettino poco distante, rifletteva in religioso silenzio. E Naruto questo lo sapeva, lo aveva capito quando il suo cuore di dodicenne si era spezzato – amerà sempre lui, solo lui.
Le sventolò una mano davanti al viso, frettoloso. Quasi si pentì quando lei, timide scuse fuggivano da labbra dolcemente dischiuse, voltò il capo nella sua direzione. Sentì di aver commesso un danno irreparabile (o forse no?) quando Sasuke, che ricambiava lo sguardo di lei, le diceva qualcosa con gli stessi occhi che in passato l'avevano schernita, denigrata e anche un po' uccisa – occhi nerissimi, occhi da dimenticare –, voltò la testa e proferì un dignitosissimo “Tsk” per poi schioccare la lingua sul palato.
«Cerca di tenerti a riposo per un paio di giorni, Narutokun», lo redarguì la ragazza. «Ora ti fascio la spalla e poi dovremmo aver finito». Lui non rispose, troppo occupato a squadrare il teme che, sul lettino di fronte al suo, aspettava di essere curato a sua volta. Era diventato una sorta di rituale, quel loro ménage à trois in ospedale. Lui e Sasuke litigavano per qualche sciocchezza e, pieni di lividi, erano costretti dal maestro Kakashi a presentarsi in ospedale e, nei giorni peggiori, accusare qualche colpo anche da Sakura. Forse aveva ragione Sai, quando diceva che non erano capaci di parlare, loro due, e quindi avevano bisogno di lottare per capirsi – e poi tendersi la mano e rialzarsi, insieme. Sempre.
«Questa volta ho vinto io, teme», annunciò divertito. Non aspettò di sentire la sua risposta, aveva già preso l'uscita. Quando la mano di Sakura si era allontanata dalla fasciatura aveva sospirato, si era tirato in piedi e, dignitosamente, se ne era andato. Perché sapeva – forse, in fondo al cuore, faceva ancora un po' male – che il momento successivo alle sue cure era quello dei respiri profondi, delle mani sulla coscienza e dei chiarimenti silenziosi.
Andava bene così, dopotutto.



«Sei ridotto male», commentò Sakura dopo avergli lanciato un rapido sguardo. Faceva male, però, quello sguardo, perché Sasuke si sentiva nudo – e vulnerabile – al cospetto degli occhi di lei.
«Mh», mugugnò appena. Ti ascoltando, Sakura.
Lei lo fissava ancora, le guance imporporate di rosso e la bellezza che scoppiava sotto di esse – dentro di lei.
«L-la maglietta, Sasuke-kun».
Subito si apprestò a eseguire l'ordine implicito e scoprì la pelle bianca, mettendo in mostra, al cospetto di lei, tutte le sue cicatrici – e il cuore che batteva fortissimo –, desiderando solo di uscire di lì il più presto possibile. Sentiva una strana inquietudine scuotergli le viscere, avvilupparvisi intorno e più si convinceva che ai pensieri molesti che gli rimbombavano nel cervello avrebbe pensato la notte – nel suo letto, lontano dagli occhi di lei e da sogni tanto vividi da avere la nitidezza di un giorno qualunque –, più Sakura indugiava sulla sua pelle con carezze leggerissime, tanto lievi da fargli paura.
«Dovreste smetterla», mormorò lei senza troppa convinzione. Sai era fin troppo perspicace, se si trattava di legami dai confini instabilissimi. E lei aveva accettato da tempo che quel ragazzo stranissimo, talvolta, era capace di leggere Sasuke e Naruto meglio di quanto lei stessa avesse mai fatto. E mai aveva davvero desiderato che smettessero di comunicare in quel modo un po' bizzarro – tanto lo sapeva, che alla fine buttarsi un po' più giù era solo un modo per risalire insieme e salvarsi ancora. Andavano sempre da lei, dopo, e proprio non se la sentiva di chiedere di più – Sasuke era casa, se non felice era almeno sereno e, in momenti come quello, le permetteva persino di farsi più vicina; un passo alla volta, ma comunque più vicina.
«A cosa pensi?», domandò improvvisamente lui.
Sakura sentì le gote tingerlesi nuovamente di rosso, ma non vi badò troppo.
Il sangue circolava sempre impazzito quando c'era il Suo profumo nell'aria.
«Non preoccuparti Sasuke-kun, sono sciocchezze», tagliò corto.
«Mh», non sembrava troppo convinto, ma neppure insistette. Era tipico di lui, dopotutto. Probabilmente aveva già fatto uno sforzo mostruoso a interessarsi a qualcosa che non fosse lui, che non lo riguardasse in prima persona – era sempre così oscenamente egocentrico (ed oscenamente bello, anche). Sakura quasi si strozzò con la sua stessa saliva, una volta che i tasselli andarono tutti al posto giusto e lei, semplicemente, capì.
Si aprì in un sorriso luminosissimo e quasi contagiò anche lui, che perlomeno vide sorridere, se non con la bocca, almeno con il cuore – internamente.
«Comunque io non mi preoccupo, Sakura», borbottò leggermente indignato, con tenacia così infantile – e fiabesca – che lei non ebbe il coraggio di smentirlo.
Ma forse, se me lo insegni, potrei preoccuparmi per te.

 

 

You don't have to do this on your own, like there's
no one that cares about you
You don't have to act like you're alone, like
the walls are closing in around you
You don't have to pretend no one knows, like there's
no one that understands you
I'm not just some face you used to know,
I know all about you
And you should know that someone cares
about you, I know all about you

 

 

Quel giorno si respirava un'aria strana a Konoha. Era come se per un'indefinita congiunzione astrale gli abitanti, ninja o civili che fossero, non sapessero bene come comportarsi – o, più semplicemente, si chiedevano per quale motivo dovessero necessariamente comportarsi in qualche modo. La verità era che non gli importava niente della cerimonia solenne, presieduta da una compitissima Tsunade – quante, fra queste persone, capivano il dolore che stava narrando loro? –, cui stavano prendendo parte; si limitavano a presenziare, a riempire ogni angolo, anche il più sperduto, di un giardino che, se loro non fossero stati tanto ipocriti, avrebbe affascinato per la sua bellezza silente.
Sasuke poteva quasi annusarla, quell'ipocrisia, sentirla poggiarsi –
candido fiocco di neve – sulla pelle delicatissima delle labbra e circondarlo, avvolgerlo in un abbraccio che possedeva lo stesso calore del mare in inverno.
Eppure non riuscì a dispiacersi, o a serbare rancore.
Itachi avrebbe apprezzato tutta quell'empatia (
falsa, falsissima), perché il solo fatto che tutti loro si trovassero lì per ascoltare, sebbene le loro orecchie non fossero ancora pronte – è troppo presto, semplicemente troppo presto, nii-san –, significava aver fatto un passo in più verso il futuro.
E il futuro era un barattolo della marmellata alle more di Mikoto, un rimprovero di Fugaku e una risata di Shisui. Il futuro sarebbe sempre stato uno sguardo sereno al passato, un perdono che veniva da altri e culminava però nell'
assolversi con una totalità così densa di significati da sembrare (sembrargli) terrificante.
Sasuke quasi sorrise a ognuno dei presenti, quando uno dopo l'altro si erano avvicinati, gli avevano stretto frettolosamente la mano, ancora timorosi –
il nostro nome non dice chi siamo, ma è anche la prima cosa che ci identifica, otouto, diceva sempre –, troppo poco convinti – e in un giorno qualunque quello stesso nome te lo trovi cucito addosso, incancellabile –, per niente desiderosi di scoprire la verità e far proprio il colpo al cuore che ne seguiva – proprio perché grazie a quel nome gli altri pensano di conoscerti, sta a te decidere che significato dargli, Sas'ke.
La fila si concludeva con Naruto, che anche in un'occasione simile non aveva abbandonato il suo completo arancione di dubbio gusto – o il sorriso.
«Mi dispiace, Sas'ke», l'aveva apostrofato, fissandolo di sottecchi e scrutandolo tanto intimamente da fargli pensare che quello sguardo non solo era sgradevole, ma anche pieno di tutte le parole (e le
scuse) che, per orgoglio, non si sarebbero mai detti.
Mi dispiace – non trovava il termine giusto per definirlo, eppure sentiva di averlo sulla punta della lingua. Naruto non gli aveva rivolto sguardi pietosi o asettiche strette di mano, si era limitato a prendere un po' del suo dolore e farlo proprio. Perché lui sapeva che Itachi era morto quella notte – con il sangue di Mikoto, gli occhi vitrei di Fugaku e la risata di Shisui che erano solo un ricordo lontano – e bisbigliare “Condoglianze” non avrebbe rimarginato le sue ferite (non quelle del cuore, indubbiamente). Veloce com'era arrivato – un soffio di vento, quasi – era scomparso e l'aveva lasciato solo, chiuso nella sua gabbia di pensieri.
E ricordi, ricordi rosso cremisi.

Sakura si era portata alle sue spalle. Era arrivata così silenziosamente che, senza che se ne accorgesse o potesse fare qualcosa per impedirlo, era riuscita a rubare (rubarsi) un pezzetto di lui. Aveva portato le mani sulle sue spalle, indugiando sulla tensione che le animava con precisione maniacale. Poteva immaginare il sorriso dipinto sulle sue labbra, quando si era lasciato andare e, al sicuro dal mondo – protetto dal tramonto che, inesorabile, poneva fine a quella giornata (addio, nii-san) – aveva iniziato a piangere lacrime così leggere da divenire invisibili.
Sasuke tremò quando lei si allontanò di qualche passo e tremò con ancor più forza quando si portò davanti a lui e con dita bianchissime colse la sua disperazione, mossa da una calma che non sospettava potesse appartenerle. Poi lo abbracciò e sentì il bisogno di piangere con lei, fra i suoi capelli, cedendo un altro pezzo di quel dolore che era sì insopportabile, ma condiviso appariva un po' meno straziante.
«Sasuke-kun...», iniziò lei, «...i-io non so cosa dire».
Va bene così, Sakura. Basta che resti così vicina e prometti di farlo sempre.
«Non c'è niente da dire», commentò pacato lui. Non era stato particolarmente astioso o seccato, ma la vide irrigidirsi e cercare risposte nel suo sguardo.
Sasuke allora la abbracciò, goffissimo, passando le braccia intorno al busto di lei e chiudendole dietro lo stesso, stringendosi un polso con il palmo dell'altra mano. E lei rimase ferma lì, si crogiolò in quel modo tutto suo che aveva di parlarle.
Sei noiosa, Sakura, ma sei anche importante. E sicuramente insopportabile.
Poi prese in mano la situazione con un sorriso dolcissimo, sottraendosi appena dal suo abbraccio maldestro e buttandogli le braccia al collo, tirandolo a sé (sempre più vicino, ancora così lontano), premendo la fronte contro la sua.
Sentì il fiato mancarle quando Sasuke ricambiò la stretta, dimostrandosi allievo attento e sicuramente desideroso di imparare.
Fammi capire il trucco, spiegami come fai ad amare (amarmi) con così tanta forza.
Lui d'altronde la forza l'aveva persa da un pezzo, seppellita insieme ad una famiglia che era, indubbiamente, troppo bella per essere vera. Gli sembrò quasi di sentirla annuire, ma non fiatò, godendo appieno di quel contatto tanto banale quanto eloquente – bellissimo. Questo, però, non lo disse; non si pronunciò circa le emozioni che gli facevano battere furiosamente il cuore nel petto, sugli occhi che pizzicavano da una rinnovata voglia di piangere (non di dolore, non questa volta).
Forse non glielo avrebbe detto mai.

 

 

Here I am still holding on you're finding
ways to break the bonds,
they're stronger than you realized,
You could say that I've not tried, I left you down
left you behind, but you're the one who's saying goodbye
And you say it's alright, and I know that
it's a lie, from the black in your eyes

 

 

Sentì distintamente Sasuke che borbottava qualcosa riflettendo a bassa voce. Erano stati circondati con una rapidità tale che avevano appena fatto in tempo ad accorgersene. I nemici erano sempre più vicini e, ad un rapido esame, era stato facile comprendere che non potevano competere in materia di velocità. Tuttavia Sasuke non aveva colto lo sguardo con cui l'aveva ammonito e subito si era gettato nella mischia sfoderando la sua katana, ottenendo solo qualche risata da parte dei nukenin che affrontava e di ferirli superficialmente. Subito si era riportato alla posizione originaria – gliel'avevano permesso, in effetti – e, senza darle tempo di esporgli il suo piano, aveva attivato lo Sharingan e lanciato l'Amaterasu[1] contro di loro, che, essendo informati della strabiliante abilità oculare del clan Uchiha, l'avevano scansato con estrema facilità, provocando un gemito stizzito di Sasuke, il quale fissava la sola vegetazione bruciare intorno a loro.
«Pensi di riuscire a farlo altre due volte?», gli chiese Sakura. Ricevette in risposta solo un sopracciglio inarcato. «
Fidati di me», supplicò allora, il cervello attivo in un processo mentale che non era sicuro di essere riuscito a decifrare.
«Quando te lo dico», ordinò, «in tutte le direzioni».
E Sasuke si fidò, non mosse ciglio quando la vide indossare i guanti neri e muovere qualche passo verso di loro.
«Dove pensi di andare, zuccherino?», si sollevò una voce dalla fitta schiera di fronte a loro.
Lei non vi badò, ma proseguì nella sua avanzata fino a portarsi a una distanza irrisoria.
Allora caricò il chakra nella mano destra e incise un profondo solco sul terreno.
Non li sfiorò neppure e Sasuke temette il peggio, ma poi si accorse che Sakura non sembrava toccata dalle loro risate e pensò che doveva necessariamente esserci un motivo – non apparente, ma perlomeno
insito. Non poté tuttavia evitare di darle mentalmente della sciocca: avevano evitato le sue fiamme, avvenimento più unico che raro, cosa poteva farle credere di sorprenderli con un pugno? Poi la voce di lei lo distrasse.
«
Adesso». E fu tutto nero per un tempo imprecisato.
Quando il fumo si diradò poté constatare che la situazione non era particolarmente diversa, fatta eccezione per Sakura che era tornata accanto a lui. E sorrideva. Istintivamente si chiese il perché. Poi il suo sguardo si concentrò sulle sue mani e ancora sulla radura di fronte a loro, disseminata di piccoli kunai. Luccicavano al sole, fiori di freddo acciaio, e Sasuke si chiese dove fossero finiti Naruto e le sue idee assurde. Non che fosse particolarmente preoccupato sull'esito della missione, Sakura era cresciuta come donna e come ninja – bella come le rose che ogni giorno depositava sulla tomba di Mikoto prima di recarsi in ospedale –, tuttavia una strada inquietudine lo agitava internamente. Improvvisamente sentì l'urgente bisogno di dire qualcosa – potrebbe essere troppo tardi –, di esternare ciò che da tempo non era più solo una futilissima congettura.
«Sakura...», la chiamò pianissimo, «
Grazie».
E lei non cercò conferme, né sembrò averne bisogno.
«È un piacere, Sasuke-kun».
È un dovere prezioso.
Poi si mosse veloce e con dita espertissime – le stesse che, immersi nel bianco di una stanza d'ospedale, avevano spento il fuoco del suo dolore muto – intrappolò i nemici nella trappola che aveva teso poco prima.
«Adesso», mormorò con un filo di voce.
In quel momento Sasuke capì che, se lei l'avesse chiesto – e sapeva già che Sakura, con quel troppo amare che talvolta lo spaventava, non l'avrebbe mai fatto –, si sarebbe buttato nel fuoco senza pensarci due volte.
Perché si fidava, si fidava di lei più che di se stesso.
Questo glielo avrebbe confessato sulle labbra, forse.


Konoha distava appena mezza giornata di cammino. Peccato che fosse notte e che non avessero più le forze di affrontare un altro scontro, non con ninja del calibro di quelli precedenti. La decisione di prendersi una pausa e fermarsi per la notte era stata presa silenziosamente, senza spendere neppure una parola, e all'unanimità.
«Pensi tu ad accendere il fuoco, Sasuke-kun? Io cerco qualcosa da mangiare», propose Sakura non appena furono giunti in prossimità di un luogo abbastanza adatto in cui accamparsi. «Dubito che le poche provviste che sono rimaste possano sfamarci».
Sasuke annuì con un semplice cenno della testa e la guardò sparire nel fitto verde della boscaglia che circondava la piccola radura in cui si erano fermati. Quando la sagoma della donna si fece indistinguibile spostò lo sguardo verso gli alberi e sospirò pesantemente. La notte prima c'era stato un bruttissimo temporale, non era troppo sicuro di trovare qualcosa che facesse al caso loro. Una strana sensazione si fece strada dentro di lui – inadeguatezza? – e si trovò, stupidamente, a rimuginare sul fatto che non era capace neppure di
scaldarla. Mezz'ora dopo era ancora lì, in piedi al centro della radura; nessun fuoco era stato acceso. Così si diede da fare, si inoltrò per oltre cento passi nel bosco e, dopo un'attenta perlustrazione, trovò un piccolo alberello che, protetto da quelli circostanti – che lo sovrastavano –, non aveva risentito troppo delle piogge della notte precedente. Se fosse stato un tipo romantico avrebbe trovato una certa analogia tra quel piccolo arboscello e il suo cuore freddissimo, probabilmente. Estrasse lentamente la katana dal fodero che portava sulla schiena e si accinse a iniziare la sua opera. Poco dopo ripercorreva i suoi passi con una catasta di legna fra le braccia, mentre il freddo delle notti autunnali iniziava a insidiargli la pelle nuda del petto e degli avambracci, scoperti dal kimono.
Si trovò a pensare che era
forse era giunto il momento di andare a cercare Sakura, che non accennava a tornare – che le fosse successo qualcosa? –. La consapevolezza di aver imparato, finalmente, a preoccuparsi di qualcuno che non fosse lui stesso lo colpì con violenza al petto, ma non ebbe tempo di smentirsi o giustificarsi – è una mia compagna di squadra, l'Hokage non accetterà che rientri da solo – perché improvvisamente, proprio mentre si accingeva a utilizzare il Katon, si sentì cadere e perse i sensi.
Sakura stava facendo ritorno proprio in quel momento.
«Più di qualche bacca non sono riuscita a trovare, Sasuke-kun, è una zona davvero arida questa. Però abbiamo ancora...». La voce cristallina della ragazza era percepita da Sasuke come lontanissima mentre la stessa camminava lungo il sentiero che anche lui aveva percorso poco prima. «Ma insomma, quanto ti ci vuole ad accendere il fuoco? Sono andata via tre ore-». Subito fu al suo fianco e subito sottili fili di chakra gli accarezzavano la fronte.
Lui aveva ancora gli occhi chiusi, ma era rinvenuto e, con un po' d'impegno, forse riusciva anche a dirle qualcosa.
«Sakura...», tentò.
«Schh, stai zitto. Non sprecare energie», lo redarguì lei.
Da abile ninja medico quale era non impiegò tanto a capire da cosa derivasse l'improvviso malessere del compagno.
«Bastardi», sussurrò a denti stretti e Sasuke pensò che quella fosse la prima volta che la sentiva imprecare.
«Devono averti colpito in mezzo al trambusto, quei poco di buono ti hanno avvelenato, Sasuke-kun», mormorò impaurita.
Slacciò il marsupio che portava sulla vita e ne rovesciò il contenuto per terra, osservando le boccette alla ricerca di quella giusta.
«Questo farà un po' male», lo avvisò. Sembrava quasi che fosse lei quella in procinto di morire, tanta era la preoccupazione nella sua voce. Con il bisturi di chakra gli fece un piccolo taglio sul braccio e prelevò un po' di sangue, depositandolo nella boccetta vuota che aveva preso prima e che teneva stretta fra le labbra per facilitarsi i movimenti. Poi tornò con lo sguardo alla sua strumentazione e afferrò un piccolo plico di foglietti di carta trasparente, tenuti insieme da un elastico. Vi rovesciò qualche goccia del suo sangue e vi passò sopra la mano, chiudendo gli occhi e concentrandosi esclusivamente sulle risposte che il suo chakra pareva sussurrarle sottovoce nella mente
[2]. «Bastardi», ripeté. Questa volta, però, sembrava più arrabbiata che spaventata e Sasuke, comprendendo subito che il peggio era ormai passato, si concesse un lungo respiro. Non si era neppure accorto, nella frenesia del momento, di aver trattenuto il fiato. C'erano ancora così tante cose che voleva – doveva – dirle. E Sakura parve intuirle tutte, nessuna esclusa, perché dopo avergli iniettato l'antidoto gli si lanciò addosso e lo strinse forte a sé per un tempo infinito.
«
Sei pesante, Sakura[3]», mormorò stanco.
La risata di lei lo accompagnò – mano nella mano – mentre si lasciava andare e sprofondava in un sonno senza sogni.

 


You don't have to do this on your own,
like there's no one that cares about you
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«Qualcosa devi inventarti, teme», commentò saputo Naruto prima di prendere un altro sorso della sua limonata.  «E questo qualcosa deve essere speciale», continuò. Dal canto suo, Sasuke fece finta di non aver sentito.
«
Naruto ha ragione», esordì Sai, attirando l'attenzione di Kakashi e Yamato. Proprio quest'ultimo sembrò particolarmente interessato al discorso quando, fermando una risata in fondo alla gola, ruotò il capo verso di lui e lo fissò nelle palle degli occhi.
«Sì, Sas'ke-kun. Naruto ha ragione», confermò con tono che al diretto interessato parve vagamente irrisorio.
«Naruto dovrebbe imparare a farsi gli affari propri», commentò piccato.
Perché lo sapeva pure lui ( non ci voleva mica un genio, dopotutto ) che Naruto aveva
dannatamente ragione.
«Non preoccuparti, teme, ti aiuto io a cercare un regalo per Sakura-chan».
Sasuke avrebbe voluto strozzarlo – da quando Naruto era così intelligente, fra l'altro? –, ma si limitò a sollevare le spalle con noncuranza e a guardare dall'altra parte.
Sfortuna volle che, invece che il nulla, incontrò lo sguardo serio – e
forse, forse un po' paterno – di Kakashi.
Qualunque cosa andrà bene, se viene da te, sembrava dirgli.
E ancora una volta, qualcuno che non era lui riusciva a capire tutto. Quella situazione iniziava seriamente a fargli saltare i nervi – di per sé già poco saldi, bisognerebbe precisare. Più tardi, sulla via di casa, sentì l'urgente necessità di esternare i suoi pensieri confusi e non avendo nessuno con cui farlo, Kakashi e Yamato erano andati via poco prima per organizzare una missione, dovette relazionarsi con i due consiglieri meno capaci della storia.
«Cosa potrebbe piacerle?», domandò con voce tanto bassa che nessuno parve udirlo.
«Cosa potrebbe piacerle?», ripeté genuinamente infastidito.
«Qui ti volevo, Sas'ke!», berciò allegramente l'Uzumaki prima di tendere la mano in direzione del secondo.
«Mi devi cinquanta ryo», esclamò trionfante.
Sasuke strabuzzò gli occhi e, onde evitare di infliggere multeplici ferite al baka poco distante, decise di ritirarsi in un dignitosissimo silenzio.
Neppure li salutò, quando varcò l'entrata del quartiere Uchiha.


Era arrivato il gran giorno.
Nell'aria si respirava un'aria festosa, elettrizzata e lui –
perché devi sempre fare il bastian contrario della situazione, Sasuke-kun?, aveva chiesto Lei una volta – avrebbe volentieri passato la giornata rintanato in casa. Purtroppo non poteva, perché Lei gli aveva chiesto con sguardo così speranzoso di presenziare a quell'assurdo cenone natalizio[4] che lui non aveva potuto far altro che incassare la testa nelle spalle e annuire impercettibilmente.
Non ricordava precisamente
quando fosse divenuto così difficile, se non impossibile, negarle qualcosa. Forse era perché Sakura non chiedeva mai niente di assurdo o esagerato e aveva fatto – faceva – talmente tanto per lui che si sarebbe sentito un mostro nel deluderla, nel vedere quel sorriso dolcissimo incresparsi e gli occhi inumidirsi.
Il piano d'azione l'aveva studiato attentamente in una delle innumerevoli notti insonni che erano trascorse da quando Naruto gli aveva insinuato nel cervello l'assurda idea che fosse necessario farle un regalo. Si sarebbe presentato, le avrebbe fatto gli auguri e poi, dopo aver mangiato, si sarebbe dileguato con la scusa di un'improvvisa  – e molto poco credibile  stanchezza. Filava tutto liscio, ogni cosa era al suo posto, ma...
ancora non aveva un regalo. Il tempo ancora a disposizione, poi, era davvero irrisorio. Adesso si trovava nella sua camera da letto, davanti allo specchio, mentre cercava di sistemare il suo abito da cerimonia. Era un kimono piuttosto semplice, di un blu scurissimo, a dir la verità, e neppure aveva idea di come fosse finito nel suo guardaroba, per dirla tutta. Poi gli venne in mente che probabilmente era stata lei a sceglierlo e che doveva averlo portato lì quella volta che, in una sessione di shopping matto e disperatissimo con la Yamanaka, aveva ritenuto doveroso rifargli il guardaroba – hai un sacco di vestiti tutti uguali, Sasuke-kun, la gente inizierà a pensare che non ti lavi, ci aveva scherzato su. Non fosse mai che un Uchiha venisse additato di scarsa igiene personale.
In fin dei conti, farsi convincere era
piacevole ( il sorriso di Sakura lo era ).
Il ragionamento filava ancora meglio se percorreva, per l'ennesima volta, quel viale lunghissimo, cosparso di ricordi tanto felici quanto crudeli, a ritroso.
Stai benissimo con questo colore, Sasuke-kun, aveva commentato dopo il funerale del Terzo, troppo innamorata della vita per farsi abbattere dalla tragedia che era la stessa. Lui non aveva commentato, ma apprezzato in silenzio – lui non ce l'aveva più una mamma che gli preparasse i vestiti alla mattina e quel kimono blu era l'abito più scuro che possedesse.
Fissò il suo riflesso nello specchio per qualche istante –
vanesio, vanesio ed egocentrico –, poi si voltò le spalle e uscì dalla stanza, finalmente pronto. Forse aveva capito.


Non era stato necessario suonare il campanello
o palesare la sua presenza in alcun modo. Sakura era fuori, sotto il piccolo portico nell'ingresso di casa sua, gli occhi sorridenti e la neve fra le dita. Improvvisamente goffo, Sasuke sentì le gambe farsi pesanti passo dopo passo; più si avvicinava alla meta, più sentiva di non meritarla in ogni senso possibile.
«Benvenuto Sasuke-kun», lo accolse lei non appena fu abbastanza vicino da udirla.
«Buon natale», soggiunse, avvicinandosi per schioccargli i tradizionali due baci sulle guance. Lui non la lasciò fare, però, e depositò fra le sue braccia un sacchetto minuto.
Sakura lo fissò per un istante lunghissimo, perdendosi lungo il profilo delle labbra –
tentatrici ed aguzzine, cattive –, risalendo lungo quello del naso e concludendo quella caccia al tesoro matta e disperata posando lo sguardo sui suoi occhi nerissimi.
Irriverente. Sasuke era irriverente – e
bellissimo.
Dunque spostò l'attenzione sul pacchetto che teneva fra le mani e, prima di aprirlo, lo guardò un'ultima volta –
posso Sasuke-kun?–. Con dita tremanti sciolse il fiocco maldestro che dita più tremanti delle sue avevano applicato sul semplice rivestimento blu notte che circondava quella che, a una prima impressione, aveva tutta l'aria di essere una piccola scatolina quadrata. Era minuscola – e incantevole – la catenina d'argento che ora stava posata sul palmo della sua mano, adornata da un semplice ciondolo, d'argento anch'esso, che rappresentava un piccolo ventaglio. Sasuke ammise solo molti anni più tardi che quella collana era appartenuta a Mikoto e che, fin dal massacro, egli non se ne era mai separato. Dandola a Lei, però, egli avvertì quel passaggio di proprietà non come una rinuncia – o una perdita; era una condivisione, ecco. La verità era una sola e quasi lo stordì, nel realizzarla: lui non si era mai perso, perché non aveva mai avuto qualcosa da perdere. Almeno, così era stato fino a quel momento.
Sakura gli regalò un sorriso bellissimo e sentì gli occhi inumidirsi.
«Potresti?», domandò con voce tremante.
Sasuke non aveva notato che lei si era girata e aveva raccolto i capelli fra le mani, scostandoli di lato, scoprendo la pelle candida del collo. Era in contemplazione anche adesso, mentre stringeva fra i polpastrelli quel filo d'argento e legava intorno al collo di lei la sua promessa.
Adesso non si torna indietro, Sakura, lo sai?
Dopo qualche goffo tentativo era riuscito ad avere la meglio sul gancio e, per un istante, si era sentito sospeso – come quando una ferita troppo profonda gli faceva temere che, quella volta, non ce l'avrebbe fatta. E in effetti era proprio così, perché la sua vita – o meglio, la sua vita da quel momento in poi – l'aveva appena messa nelle mani di Sakura e il suo futuro era improvvisamente diventato
importante.
Faceva male, quasi gli spezzava il cuore, non sapere cosa lei stava per dire – o fare.
Potrei anche tornare indietro, Sasuke-kun. Io e te, noi due insieme, siamo infiniti. E l'infinito non si perde, non si crea e non si distrugge. Ogni passo che facciamo ci porta in un luogo in cui siamo già stati e in cui torneremo ancora. Per sempre.
La ragazza si era voltata di nuovo nella sua direzione e lo guardava con quei suoi occhi verdissimi.
«Non so cosa dire, Sasuke-kun», aveva mormorato.

E mai risposta era stata più giusta, perché le parole in quel momento erano inutili, insufficienti – e lui, lui si sentiva il cuore scoppiare per tutto l'amore che vedeva negli occhi di lei. Sakura gli si era lanciata addosso, gli aveva stretto le braccia al collo e gli aveva sfiorato le labbra con le sue.
L'aveva baciato mentre la neve ricominciava a cadere e Sasuke aveva improvvisamente ricordato cosa fosse la felicità.

 

 


And you should know that someone
cares about you, I know all about you
And you should know that someone
cares about you, I know all about you
And you say that it's alright,
and I know that is a lie
from the black in your eyes

 

 

«Tre, due, uno».
Sasuke non si curava del conto alla rovescia, né del fatto che fossero presenti tutti i loro amici – suscitava ancora un groviglio di sensazioni contrastanti chiamarli così,
amici –, ma era particolarmente impegnato nella contemplazione di Lei.
Sakura lo guardava a sua volta, le gote lievemente arrossate per via dello spumante, e la carezza dei suoi occhi sulla pelle bruciava con intensità spaventosa.
«Dovresti andare da lei, Sas'ke», sopraggiunse Naruto. Gli posò una mano sulla spalla e sembrava volesse abbracciarlo. Normalmente lo avrebbe scostato con poco garbo, avrebbe sibilato qualcosa su certi
baka che si prendono troppa confidenza e avrebbero iniziato a fare a botte. Tutto nella norma, insomma. Però Sakura lo stava guardando e sorrideva impercettibilmente.
E lui non sentiva più il bisogno di portare una maschera, difendere una reputazione che, fra l'altro, neppure gli rendeva tanto onore. Così fu lui a portare le braccia intorno alle spalle di Naruto, goffamente.
«Felice anno nuovo,
testa quadra», mormorò.
Un sussurro impercettibile il suo, udibile solo da chi, come l'Uzumaki, aveva le orecchie (
e il cuore ) ben aperte e un immenso desiderio di sentirlo.

 

«Inizierò a pensare che tu mi segua, Sasuke-kun», l'aveva accolto lei.
Ed in effetti la ragazza ci aveva preso in pieno, ammise interiormente lui, che si limitò tuttavia a borbottare un qualcosa di incomprensibile, contenente almeno un paio di “noiosa” e “insopportabile”. Sakura si sporgeva dal balcone e fissava incantata Konoha, immersa nella neve e dolcemente accarezzata dalla luce della luna pienissima. Guardava dritta di fronte a sé e pareva riflettere, il suo viso era teso in un'espressione tanto concentrata che ella sembrava sul punto di risolvere l'arcano più vecchio del mondo e scoprire cosa ci fosse al di là dell'orizzonte. Solo quando parve averlo capito si mosse, una nuova luce negli occhi verdi ( e
vivissimi ), voltandosi verso di lui. Era sempre stata consapevole di come ogni cellula del proprio corpo tendesse in modo così naturale da essere doloroso – quale consapevolezza non lo è, dopotutto, quando si hanno dodici anni e hai già amato con tutto l'amore a tua disposizione – verso quelle di Sasuke, nell'idea di fondervisi, di creare un unico agglomerato indivisibile. Per sempre. Però le era sempre sfuggita la parte più importante, il concetto più sottilmente intenso dell'intero problema, e cioè quale fosse, in realtà, la risposta delle cellule di lui, che niente sapevano fare se non allontanarsi ( allontanarla ), barricarsi su un eremo sconosciuto dove anche la semplice aria fungeva da anestetico per la sua anima fatta a pezzi – corrosa dall'eco dolcissimo della marmellata alle more di Mikoto, dei rimproveri di Fugaku, della risata di Shisui, consumata dal troppo, troppo ( infinito ) amore di Itachi –.
Sentiva il corpo tremare, sconvolto a sua volta da una verità che, oramai, neanche sperava più di concepire. Seppur si allontanassero, infatti – ed era questo, signore e signori, il tragico arcano, il mistero irrisolto –, esse andavano a posizionarsi ( dolcissima ironia ) dritte con le spalle contro il muro. Il fatto che quel muro fosse visibile solo a lei, che solo a lei fosse concesso di avvicinarsi nel momento in cui era più vulnerabile, ripagava ogni suo sforzo. Assolutamente nessun rimpianto.
«
Scacco matto », sussurrò allora.
Cosa significassero le sue parole Sasuke Uchiha se lo sarebbe chiesto per sempre.

 

 

 

[1] : sono pienamente consapevole del fatto che l'Amaterasu non possa sbagliare bersaglio ( o almeno così avevo letto su Wikipedia ), ma quando scrissi questa scena, che avevo immaginato proprio così, non sono riuscita a inventarmi un'alternativa. Prendete per buona la mia pessima capacità di descrivere combattimenti ninja (?).
[2] : la nota qui l'ho messa solo per spiegare che io immagino il "funzionamento" di un ninja medico proprio così; Sakura fa parlare il suo chakra con quello dei pazienti, per così dire, fa delle domande e ottiene delle risposte. Chiamiamola licenza poetica, dai.
[3] : il riferimento a un Sasuke moribondo dopo lo scontro con Haku che se ne esce con "Sei pesante" dopo che lei piangeva il suo innamorato morto ci stava tutto, suvvia.

  
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