ROSSO COME IL SANGUE
Alexer
osservava il compagno di avventura che, stancamente,
indossava la divisa.
Egli
era già pronto da un pezzo, ma Hiroshi
era reduce da una crisi isterica che aveva causato un ritardo nei preparativi; apparentemente
adesso era tranquillo, ma Alexer sapeva che era tutta illusione, lo leggeva
negli occhi, negli atteggiamenti dell’amico quanto fosse stanco, quanto male
avesse accolto l’annuncio di quella nuova missione.
Infatti,
come aveva previsto, non appena Hiroshi allungò la
mano per prelevare dal ripiano il suo pugnale, ancora incrostato del sangue
ricordo della precedente caccia, le dita tremarono vistosamente
e si ritrassero ancor prima di sfiorare l’elsa, come se avessero preso la
scossa. Il ragazzo sospirò penosamente e fece un passo indietro.
“Hiroshi…” mormorò il compagno, sospirando a propria volta,
scrutandolo con la fronte corrucciata dal bordo del letto sul quale stava
seduto, in attesa.
“Non
ce la faccio” piagnucolò il ragazzo, arretrando fino a
sedersi accanto all’amico per poi prendersi la testa tra le mani “Non riesco
ad affrontarlo ancora, non…”
Alexer
circondò con un braccio le spalle del più giovane e lo attirò
con foga verso di sé, per arginare quell’ondata di disperazione; quel gesto bastò
a sciogliere definitivamente Hiroshi, che abbandonò
la testa sul suo petto, scoppiando in un pianto dirotto.
Il
ragazzo più anziano rimase muto, imbarazzato, momentaneamente incapace di
prendere il controllo della situazione, di trovare una risposta efficace a quel
crollo che, ormai, durava da troppo; passò le dita tra i capelli lunghissimi e
fini come filigrana dorata dell’adolescente così particolare nell’aspetto,
androgino, non effeminato, ma neanche mascolino, le forme ambigue e irrealmente
eleganti. Egli aveva sempre immaginato così i biondi elfi descritti da Tolkien, il suo idolo letterario. Biondo… nonostante le
origini in parte nipponiche, ravvisabili unicamente nella forma degli occhi,
lievemente a mandorla, altro elemento che tanto contribuiva a farlo somigliare
ad un elfo.
“Perché proprio a noi doveva toccare un simile destino? Perché… proprio in noi è stato riconosciuto quel maledetto potere?”
“Non
hai pensato una cosa?” sussurrò Alexer con tutta la dolcezza che riuscì a
trovare “Se non fosse stato per quello noi… non ci
saremmo mai incontrati…”
Accompagnò
la carezza della voce con un bacio lievemente posato sulla nuca del compagno e
percepì il fremito che percorse le tenere membra per tutta la loro lunghezza.
“Il
fato è dispettoso” gli rispose la voce dolce e triste soffocata dal suo petto
“Ci ha offerto il dono più bello insieme al dolore più
immenso…”
“La
stai vivendo troppo male, piccolo, in fondo ci è
sempre andata bene…”
Il
volto pallido di Hiroshi si sollevò di scatto e due
occhi azzurri lo fissarono, angosciati:
“Come
puoi dirlo? Rischiamo la vita ogni volta, ogni volta
temo che la morte ci separi e… loro… le nostre vittime…”
Alexer
sospirò, aveva provato a girare attorno all’argomento, ma non era evidentemente
possibile: Hiroshi, nonostante tutto, provava pena
per coloro che erano costretti ad annientare.
“Le
consideri vittime? Ma loro non sono più umani, sono…”
“Lo
sono stati! Comunque vivono e soffrono ed io sono
certo che una parte del loro passato sussiste in loro, che una minima parte di
umanità, nella loro anima, lotta per sconfiggere la tenebra e quel lumicino
così debole e solo si sente lacerato, urla perché vede se stesso compiere ciò
che non vorrebbe! E noi non diamo loro la vita eterna, non li liberiamo
assicurando loro il ritorno alla luce… nostro compito è cancellare dal mondo
ogni traccia della loro esistenza… e così il loro passato di umani
non esiste più.”
“Hiroshi… noi non possiamo permetterci questo coinvolgimento
emotivo, non puoi violentare te stesso in questo modo,
non ti serve… non serve a te, né a me… né a loro…”
“Lo
so… lo so… è che trovo tutto così crudele…”
Le
mani di Alexer corsero a cercare le guance di Hiroshi, gli sollevarono il volto, il più anziano della
coppia cercò gli occhi dell’altro ed in essi affondò, abbassò il viso, finché
le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero, non intrusivo, un tocco
frugale, quasi un soffio di alito vitale per Hiroshi.
“Adesso
dobbiamo andare, lo sai, vero?”
Il
tono di Alexer non ammetteva repliche questa volta,
pur non mancando della solita gentilezza che mai, nei confronti di colui che
era il suo amico del cuore ed il suo sensibile amante, riusciva ad accantonare.
L’altro
annuì rassegnato e fu il primo ad alzarsi; Alexer lo precedette poi laddove era
posato il pugnale, lo prese e glielo porse. L’esitazione di Hiroshi
fu palpabile, ma non arretrò nuovamente: tese la fine mano bianca, strinse
sull’impugnatura le dita lunghe e sottili, quindi fissò l’arma alla cinta.
Si
scostò una ciocca bionda che ricadeva insistente davanti agli occhi, diede le
spalle al compagno e fu il primo ad uscire nella notte.
***
Alexer
ed Hiroshi erano cacciatori di demoni ormai da un
anno, chiamati dall’organizzazione segreta in virtù dei poteri che permettevano
loro di utilizzare le armi sacre, il pugnale e la spada forgiati da mani
spirituali nella notte dei tempi, con polvere di stelle e frammenti
di luna, uniche in grado di cancellare l’anima del posseduto causando,
al contempo, la morte del demone responsabile.
Non
avevano avuto scelta: se non si fossero sottoposti al rituale di consacrazione
anche loro, come i demoni, sarebbero stati cancellati per sempre. I duchi
supremi della luce, capi al vertice dell’organizzazione, dopo averli fatti
rapire e portare al loro quartier generale, avevano espresso il loro rammarico
per essere costretti a così drastiche minacce ma il
loro servizio era necessario alla riuscita della missione ed a salvare la terra
dall’invasione demoniaca e poi loro non volevano vedere il mondo intero svanire
in seguito all’assalto dell’orda infernale, non era forse così?
Da
quel momento, Alexer ed Hiroshi avevano portato
avanti con rassegnazione, ma con altrettanto coraggio, la missione imposta,
conducendo clandestinamente parte della loro esistenza, il loro sacro dovere
celato dalla maschera di normalità che indossavano mentre,
al contempo, trascinavano con sempre maggior fatica i loro impegni scolastici
in una Londra protagonista ignara di una lotta senza quartiere tra forze
opposte ed altrettanto feroci.
“Dove dobbiamo andare questa volta?” domandò Hiroshi un po’ distrattamente, mentre la pioggia
picchiettava insistente sul suo giaccone bianco che carezzava morbidamente le
sue caviglie ad ogni passo, lasciando spuntare al di sotto solo una porzione
degli stivali neri in finta pelle.
“Westminster” gli rispose con tono lugubre l’amico,
lanciandogli un’occhiata di sfuggita “un covo di demoni è stato individuato al di sotto della cattedrale, dove nessuno avrebbe mai
immaginato. Sono diventati furbi e più resistenti agli influssi spirituali
delle alte gerarchie angeliche.”
“O, più probabilmente, i luoghi sacri della terra sono più
affini alle forze demoniache di quanto ci vogliano far credere le autorità
ecclesiastiche” ribatté Hiroshi con una pessimistica
alzata di spalle.
Alexer
lo fissò per qualche istante, gli occhi stretti, quindi
scosse il capo, sconfitto:
“Forse
hai ragione.”
Proseguirono
senza parlare più molto, due spettri che avanzavano in quella che sembrava una
città fantasma; l’atmosfera non lasciava dubbi a chi era in grado di percepire
dentro di sé le sfumature energetiche invisibili alle persone comuni, ma
probabilmente ogni cittadino aveva preferito, quella notte, senza porsi troppe
domande sul perché, rimanere protetto, al sicuro, tra le mura di casa. Era
bizzarro vedere Londra così deserta, nonostante il temporale ed il freddo,
chiaro indice che le forze del male erano diventate potenti, facevano percepire
la loro presenza su ogni animo che, terrorizzato, si rifiutata di uscire dal proprio
guscio di cemento.
I
loro passi rimbombavano tra gli scrosci di pioggia, restituiti da una cupa eco
che dava ai due cacciatori la sensazione perenne di essere seguiti da qualcuno…
qualcosa di inconoscibile
alla mente. Poi l’abbazia si stagliò con la sua mole biancastra davanti a loro,
sovrastandoli come una minacciosa regina di pietra bramosa di rapire e
sommergere gli incauti visitatori.
“Pensare
che una chiesa dovrebbe risultare rassicurante”
mormorò Hiroshi, scosso da un brivido “La
consacrazione non ha segnato solo una svolta nelle nostre esistenze ma, almeno
per quel che mi riguarda, mi ha dato lo stimolo a percepire le apparenze sotto
una prospettiva del tutto nuova.”
“Forse
abbiamo semplicemente acquisito un diverso livello di comprensione. Ma stiamo
perdendo tempo in dissertazioni che lasciano il tempo che trovano, diamoci da
fare.”
Senza
attendere la reazione del compagno, Alexer lo precedette, sforzandosi di
ignorare la palese oppressione che gravava sul cuore di Hiroshi;
si fermò nuovamente di fronte alla grande porta, ma si
voltò di scatto quando udì l’urlo lancinante dell’amico, in contemporanea alla
spaventosa esplosione di energia che si levò, alla stregua di un ruggito
infernale, alle sue spalle.
Una
cappa di tenebra caliginosa aveva circondato Hiroshi
ed aveva assunto la forma di tante appendici tentacolari che si avvinghiavano
implacabili intorno al suo corpo, trascinandolo in un baratro di oscura materia spirituale.
Assistere
alla scena e precipitarsi verso il compagno dopo aver sguainato la spada fu
tutt’uno ma un’altra fonte di energia arrestò la sua
corsa, un flusso ben noto e tanto rassicurante di solito quanto gli parve
ostile in quel momento.
“Non
ti avvicinare, stai lontano!” urlò intanto Hiroshi,
mentre si dibatteva disperatamente in quel groviglio mostruoso.
Alexer
imprecò con ferocia, il suo amico gli stava impedendo di fare qualcosa per lui,
aveva eretto una barriera spirituale per proteggerlo
dall’attacco dei demoni e per tenerlo al di fuori della colluttazione.
“Non
fare cazzate, Hiroshi, non puoi farcela
da solo!”
Un
lampo che partecipava di luce e ombra sfrigolò davanti a lui, accecandolo;
istintivamente sollevò un braccio per ripararsi gli occhi, mentre veniva scagliato lontano. Andò a sbattere contro la facciata
dell’abbazia e l’impatto con la dura pietra fu micidiale, tanto da mozzargli il
fiato; convinto di aver esalato l’ultimo, agonizzante respiro della sua breve
vita, si lasciò inghiottire dall’oblio.
***
Schiuse
le palpebre, a fatica, su due occhi rosso sangue che lo fissavano intensamente,
incastonati in un volto dal colorito cinereo, capelli candidi come neve, lunghi
e fini, ricadevano intorno a quei lineamenti inumani e sul suo corpo ancora
disteso.
“A…
le… x…”
Labbra
livide che si aprivano e chiudevano a formulare il suo nome… quella voce…
“Hiroshi!” esclamò il giovane, sollevandosi con uno scatto
fulmineo, le sue mani che andarono a cercare, in una mossa spontanea, le guance
della creatura; ma essa si ritrasse, come se stesse per prendere la scossa, i
suoi occhi mostruosi si sbarrarono in una consapevolezza improvvisa.
“Stammi…
lontano…”
Com’era
roca la sua voce e cos’era accaduto ai suoi capelli
color dell’oro, ai suoi occhi dolcissimi forgiati nella più preziosa ossidiana?
Alexer
allungò ancora una mano che si chiuse sul vuoto, perché la creatura si ritrasse
ancora, gli diede le spalle con un singhiozzo straziante e fuggì, un bianco
balenio nella notte. Il cacciatore di demoni non si mosse subito, non riusciva
a razionalizzare, la sua mente era ancora convinta di vagare nel sogno, forse,
dopotutto, non aveva cessato di ritenersi morto, l’irrealtà era protagonista
indiscussa di quegli istanti insensati.
Poi
la sensazione di umido e freddo si fece insistente,
così come il dolore delle membra contuse e sofferenti; la vista mise a fuoco,
nel buio, l’ambiente che lo circondava, la pioggia, le imponenti mura
dell’abbazia sopra di lui, l’erba fradicia sotto le sue mani. A fatica si
mosse; una sola parola gli martellava nella testa, un nome… Hiroshi… Hiroshi… Hiroshi…
Che
cos’era accaduto al compagno? Forse si era trattato
unicamente di una visione, desiderava disperatamente che non fosse altro se non
una visione, altrimenti avrebbe significato una realtà troppo orribile da accettare.
Scosse il capo, portandosi una mano alla fronte…
troppo orribile per essere anche solo presa in considerazione.
Si
guardò intorno, mosso da un vago desiderio di scorgere il corpo tanto amato,
scosso da un terrorizzante pensiero che si affrettò a ricacciare, ma che,
istante dopo istante, tornò ancora a bussare al suo animo, insistente, come un
urlo stridulo di creatura inumana: vorrei
trovarlo cadavere, dei del cielo, non fatemi questo, fatemelo
trovare morto, ma non quello che ho visto!
Ogni
frammento del suo corpo gemette quando tentò di
mettersi in piedi, ma ignorò ogni lamento; non gli importava nulla in quel
momento, se non trovare Hiroshi.
Zoppicando,
si diresse verso il punto in cui, non sapeva quanto tempo prima, si era svolta
la lotta tra il compagno e la creatura infernale; tutto era confuso nei suoi
ricordi, non era certo quanto dell’accaduto fosse deformato dal sogno e quanto
fosse reale memoria; sicuramente agognava che si trattasse unicamente di oniriche immagini perché, se ciò cui aveva assistito si
era davvero svolto sotto i suoi occhi, anche l’apparizione che aveva accolto il
suo risveglio avrebbe acquisito un significato che rinnegava con tutto se
stesso.
“Dove
sei?” mormorava in una cantilena intervallata da singhiozzi, lui che non piangeva
mai, che in Hiroshi aveva
trovato l’essenza della sua difficile vita, si sentiva ora smarrito come un
bambino appena abbandonato da una mamma crudele “Hiroshi,
amore mio, dove sei?”
Camminò
in una condizione di sospesa irrealtà, senza interessarsi alla pioggia, alle
contusioni, la materialità del suo corpo si trovava in una dimensione
differente che non lo riguardava. Neanche Londra sembrava la stessa di sempre…
o, più probabilmente, non era la stessa di sempre, non poteva esserlo con
quello che stava accadendo sotto le sue fondamenta. Ma forse, davvero tutto ciò
che stava vivendo si svolgeva su un piano parallelo e da qualche parte, in
un’altra dimensione, la città nella quale era cresciuto continuava a rivelarsi
la solita metropoli affollata e viva, forse lui ed Hiroshi
erano vittime di un orribile inganno e non era vero
che stavano combattendo per la salvezza della terra. D’altronde chi aveva mai
dimostrato loro una cosa del genere? Li avevano rapiti, studiati, analizzati,
torturati psicologicamente perché accettassero ciò che veniva
definito come il loro destino
prescritto da un Dio che non aveva mai rivelato loro la sua reale identità. Chi
era quel Dio?
“Siamo
solo strumenti” singhiozzò, portandosi una mano agli occhi, senza fermarsi, le
spalle curve “Burattini manovrati da qualcosa… o qualcuno… che non conosciamo e che neanche sappiamo se esista realmente. E se fossimo… armi nelle mani delle tenebre? Se il male ci stesse ingannando fin dall’inizio di tutta questa
storia?”
“A…
lex…”
Sollevò
il capo di scatto a quel richiamo e lo vide, una creatura bianca che spiccava
nelle tenebre della notte, le gocce di pioggia che giocavano come perle liquide
tra i lunghi capelli color della neve; era in piedi, davanti a lui, bellissimo,
il biancore che caratterizzava tutta la sua persona generava una tale
impressione di luce da far credere che intorno all’essere aleggiasse un’aura
abbagliante. Il cuore di Alexer perse un colpo e fu
assalito da un’irrazionale ondata di sollievo: una tale luce, un tale candore,
non potevano essere generati delle tenebre, Hiroshi
si era mutato in un angelo, non in un demone, qualunque fosse il significato da
conferire alle due definizioni.
Ma
poi gli occhi dell’essere fiammeggiarono, una fiaccola accesa di rubino e
sangue ed Alexer tremò.
“Non
è Hiroshi” sussurrò tra sé “Non può
essere lui… non deve essere lui…”
Nello
stesso momento si precipitava verso la figura che, per un po’, rimase immobile,
in attesa; infine, quando Alexer le fu abbastanza
vicino da poterla sfiorare, si sottrasse al tocco, le sue mani si sollevarono,
a coprirsi gli occhi. Solo a quel punto il cacciatore notò le striature
scarlatte che fuggivano alla barriera delle dita, colando lungo la pelle, fino
ai polsi e alle braccia.
Quando
le mani della creatura si abbassarono, Alexer notò le chiazze che solcavano le
guance, terribili lacrime di sangue di chi non possedeva
più la pura trasparenza delle lacrime umane, la purezza che aveva sempre
caratterizzato Hiroshi anche nei momenti più duri,
forse, in quel modo, cercava di liberarsi dalla prigionia in cui si trovava
avvinta, provocata da un evento troppo più grande di loro due, troppo
incontrollabile e troppo doloroso per venire accettato senza perdere la
ragione.
“Mi
dispiace tanto” singhiozzò la creatura “Non ho saputo fermarli… non… non ce l’ho fatta…”
Nonostante
una maggiore cupezza, nonostante un roco velo che la deformava, quella voce era
dolce, era la voce del suo Hiroshi, musicale come un
canto di sirena, la voce di un angelo in un corpo di demone.
Alexer
sollevò un braccio, ma con meno foga rispetto a prima, non voleva rischiare un ulteriore allontanamento della creatura terrorizzata da se
stessa.
“Vieni
qui da me” invitò gentilmente, carezzevole come se
parlasse ad un cucciolo diffidente “Avvicinati, Hiroshi,
non sfuggirmi…”
Lo
sguardo sanguigno corse alla mano aperta, ma, anziché accettare la supplica,
fece un nuovo passo indietro.
“Perché fai così?” domandò il cacciatore, vinto dallo
sconforto, ma senza riabbassare la mano.
“Mi
lascerò toccare da te ad un solo patto, Alex-kun…”
Questa
volta il braccio di Alexer ricadde, lentamente,
abbandonandosi come se avesse perso consistenza.
“Devi
uccidermi… voglio morire adesso, prima di perdere completamente la consapevolezza
di me… voglio morire… voglio essere cancellato… prima di perdere completamente
me stesso.”
E
così fu Alexer, questa volta, a fare un passo indietro, sconvolto, gli occhi
sbarrati; non capiva più nulla, se non che desiderava
con tutto se stesso risvegliarsi da quell’incubo troppo realistico. Scosse il
capo, lentamente mentre, quasi si stessero impegnando, attori involontari in un
bizzarro gioco che metteva alla prova la loro psiche
prossima alla disgregazione, Hiroshi si mosse verso
di lui, rapito da una nuova risoluzione. E, come tardivo riflesso in uno
specchio, riprodusse la mossa di colui che gli stava
davanti, sollevando la mano in segno di supplica:
“Ti
prego… in nome del nostro amore… non mi farai del
male… mi salverai…”
Alexer
osservò quella mano con gli occhi di chi si trovava improvvisamente al cospetto
della più orribile minaccia ed in effetti, quello che si stava concretizzando,
nonostante le orribili esperienze degli ultimi tempo,
nonostante la sofferenza che aveva costellato pressoché ogni giorno della sua
vita, era a tutti gli effetti la peggiore prospettiva cui la sua mente avrebbe
potuto dare forma, mai sarebbe stato in grado di immaginare un simile incubo.
“Questo
non puoi chiedermelo… io ancora non riesco a credere a
quello che vedo… io voglio che tu ritorni da me… io…”
Gli
rispose un sospiro, l’abbassarsi mesto del capo di Hiroshi,
l’abbandono sconsolato delle sue membra e altre lacrime rosse piovvero al suolo con un macabro sgocciolio.
Il
desiderio di abbracciarlo si fece talmente struggente che Alexer neanche provò
a contenerlo e, con un balzo, afferrò la creatura che era
stata il suo compagno e l’attirò, con foga, verso di sé, contro il
proprio petto. Hiroshi si divincolò con una serie di urla lancinanti che, anziché convincere Alexer a
liberarlo dalla stretta, lo fecero sentire ancor più convinto di non volerlo
lasciare andare; scivolò in ginocchio con lui, piangendo gli parlò
nell’orecchio:
“Stai
soffrendo così tanto e, se tu devi soffrire, io
soffrirò insieme a te… non ti lascerò da solo, non aver paura, amore mio, noi
staremo insieme, nonostante tutto…”
Il
ragazzo dai capelli color della neve si era immobilizzato, ma il respiro
affannoso tradiva l’agitazione ancora palpabile che lo dominava. Scosse il capo
premuto contro la spalla di Alexer:
“Non
sarà… possibile…”
Lo
sussurrò inizialmente poi, come se le stesse parole da lui pronunciate avessero
segnato un irreversibile istante, sussultò, si agitò convulsamente, fece leva
con le mani sul corpo di Alexer e le unghie inumane cresciute
in maniera innaturale, affondarono involontarie nella carne del petto,
strappando alla vittima un lamento di sorpresa. Il dolore che arrivò inatteso
spinse il cacciatore a spostarsi in un moto spontaneo, rendendo facile ad Hiroshi il proprio allontanamento.
Istintivamente,
Alexer si portò una mano sul cuore, per arginare lo zampillo di sangue ma il significato profondo di quel gesto era un
altro; i suoi occhi erano fissi sul ragazzo demone, come lui ancora in
ginocchio poco distante, a ricambiare lo sguardo con una diversa, ma
altrettanto intensa disperazione.
“Vedi
cosa ti ho fatto? Tra poco non potrò più controllarmi… tra poco perderò ogni
coscienza di me… tra poco non esisterò più comunque…
già sento che l’oscurità mi inghiotte…”
“Ci
dev’essere un modo!”
L’esclamazione
di Alexer uscì stridula, stonata, quanto era
rassegnata e sempre e comunque dolce la voce di Hiroshi.
“Lo
sai anche tu che non c’è, non c’è mai stato…” rispose morbido il ragazzo
demone, inclinando lievemente la testa su una spalla, un tenero gesto
straziante per Alexer, in quanto risvegliava in lui i ricordi più leggiadri del
suo meraviglioso compagno che tra poco sarebbe stato annullato per sempre. Non
era possibile prendere in considerazione una simile prospettiva ed Alexer si portò
le mani al volto, soffocando un singhiozzo. Quando le
riabbassò ed il velo di lacrime si dissolse quel tanto che bastò per
permettergli di mettere a fuoco l’immagine di Hiroshi,
lo vide rannicchiato su se stesso, le dita affondate nei capelli, a graffiare
la cute sulla quale si aprivano lacerazioni di carne messa a nudo, i suoi occhi
erano serrati ed un flebile lamento si levava dalle labbra morse a sangue.
“Oh,
no… no…” mugolò Alexer, cominciando a strisciare verso di lui, infine lo sfiorò
con le dita della mano protesa e il compagno sobbalzò, scattò in piedi, quindi
con un urlo balzò addosso al cacciatore, spingendolo con la schiena al suolo. Hiroshi era sempre stato più fragile di Alexer
in quanto a costituzione, ma adesso aveva in corpo l’inumana forza di demone e
non fece alcuna fatica nel dominare l’altro che, d’altronde, neanche tentava di
difendersi da quell’assalto insensato.
Le
braccia di Alexer si adagiarono lungo i fianchi, la
sua testa scivolò di lato, voleva fuggire a quegli occhi, a quel viso, con lo
sguardo spento e vuoto rimase come una bambola inerme nelle mani del demone che
incombeva su di lui; unicamente il respiro indicava che un alito di vita
soffiava nelle membra immobili.
Ancora
più evidente era, tuttavia, il respiro di Hiroshi, ridotto
ad un rantolo, unito a qualche sporadico singhiozzo, il tutto dovuto alla lotta
che la sua anima stava conducendo all’interno di quel corpo conteso tra due
differenti essenze. Le mani del demone si spostarono dalle spalle del ragazzo
dove si erano pericolosamente posate, troppo vicine al collo e scesero, fino
all’elsa della spada allacciata al fianco sinistro.
“Cosa…”
mormorò Alexer sollevando un poco il capo, proprio mentre
la sua arma veniva fatta scivolare fuori dal fodero dalle mani di Hiroshi che tremavano al tocco.
“Io
non posso impugnarla” disse il ragazzo demone “Non è concesso ad un demone, il
mio pugnale è andato distrutto a causa dello scontro con il demone superiore
che mi ha sconfitto… non sai quanto vorrei liberarti
di quest’incombenza, ma… dovrai farlo tu…”
Non
appena Alexer realizzò dove le parole di Hiroshi
volessero andare a parare, riprese di colpo le proprie energie, si agitò,
sgusciò sotto al corpo del compagno mutato il quale,
prima che potesse allontanarsi troppo, gli afferrò con forza le mani tra le
sue, le attirò verso il punto in cui la spada, libera dalla sua prigione, era
posata, a terra, gliele portò fino all’elsa, con una fermezza che all’umana
essenza del giovane non era mai appartenuta.
Alexer
tentò di ritrarsi, ma solo una mano fuggì a quella stretta, mentre l’altra veniva premuta sull’elsa dalle dita di Hiroshi
che, al contempo, lo costrinse a serrare il pugno su essa, graffiandolo nel
compiere l’atto.
“Non
volevo farti del male… ma ho bisogno di te… non sai
quanto, davvero, vorrei risparmiarti tutto questo.”
Senza
interrompere il contatto, obbligò Alexer a sollevare la spada: adesso erano seduti l’uno di
fronte all’altro e piangevano entrambi, ma lo sguardo di Hiroshi
si fece risoluto nel momento in cui cominciò a guidare la mano del compagno in
una nuova direzione, forzandolo a puntare verso il suo petto la lama affilata.
Alexer non ebbe il tempo di attuare nessuna ribellione né di rendersi conto di
ciò che stava accadendo, Hiroshi si lasciò cadere in
avanti, finché il proprio corpo incontrò la punta aguzza che si aprì facilmente
una strada nella tenera carne; il viso del ragazzo demone, lottando contro lo
spasmo di dolore, sfiorò quello del compagno, le labbra si incontrarono,
inerti ed aride quelle di Alexer, assetate quelle di Hiroshi
in quello che sarebbe stato l’ultimo bacio rubato tra loro.
Ed infine
Alexer realizzò, mentre l’urlo gli esplodeva nel petto, mentre inorridito
tirava selvaggiamente indietro la spada che ormai aveva trafitto il cuore
dell’amante, le cui braccia si erano aggrappate a lui, alla ricerca dell’ultimo
appiglio. L’arma colpevole della ferita mortale venne
scagliata lontano, il volto di Alexer si rivolse, incredulo, mosso da una furia
cieca, verso il cielo a maledire chiunque abitasse lassù, percepiva la fronte
di Hiroshi, gelida sul suo torace, udì ancora parole
stentatamente pronunciate dalle labbra, imbevute del sangue che trovava sfogo
all’esterno:
“Non
piangere più, Alex-kun… io sono felice, perché la mia
anima è salva… abbiamo fatto in tempo e non sarò cancellato…e potrò portare con
me il mio amore per te… il tuo amore per me… dovunque adesso io andrò…”
Poi
più nulla e l’urlo impotente di Alexer squarciò, a
lungo, il silenzio della notte.
***
Fuggiva
da giorni ormai, braccato da due fazioni contrapposte, rassegnato al fatto che,
almeno una delle due, prima o poi sarebbe riuscita a
catturarlo e, in qualunque caso, la sua fine sarebbe stata dolorosa.
Non
che gli importasse in fin dei conti, da quando aveva
perduto Hiroshi, ogni giorno della sua esistenza era
stato caratterizzato dal desiderio di annullarsi e scomparire in qualunque
modo, pur di non pensare ed in effetti l’idea di farla finita lo sfiorava ogni
istante; una sola cosa lo convinceva della necessità di andare avanti, almeno
un poco ancora… capire… comprendere il senso di ciò che era accaduto ad Hiroshi e cosa si celava dietro quella battaglia tra forze
apparentemente opposte, ma che lui percepiva tanto simili alla resa dei conti.
Per
questo aveva rifiutato di negare ogni ulteriore
servizio a coloro che gli avevano imposto un ruolo di schiavo ed aveva
preferito iniziare ad agire da solo, deciso a giungere alla fonte di quel
secolare dissidio. Forse sarebbe morto prima di trovare le risposte che cercava,
probabilmente sarebbe morto perché l’impresa in cui si era gettato si rivelava
titanica, ma, quanto meno, aveva trovato uno scopo
grazie al quale trascinare la propria esistenza, per fare anche qualcosa in
nome di Hiroshi, l’unico amore della sua vita,
l’unica meta verso cui avrebbe continuato a camminare nel mondo fino all’ultimo
passo concessogli.