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Autore: VaticanCameos221B    28/01/2016    2 recensioni
Ti presi in braccio e non fu né la prima, né l’ultima volta. In futuro non ti avrei sorretto soltanto con le mie braccia, ma anche con le mie spalle, le mie gambe, le mie mani, l’intera mia esistenza. Sei cresciuto in fretta come un’epidemia e ti sei preso tutto. Ti ho concesso tutto. Feci la vergognosa e sconsiderata conclusione che sarei vissuto da quel momento in poi sotto la tua ombra, come quello ormai escluso e privo di ogni considerazione. Mi sbagliavo.
[Holmes Brothers]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: In questo capitolo è presente il personaggio Victor Trevor. Se vi fa piacere, immaginatevelo come Tom Hiddleston!



Il vento dell’est. Impossibile sfuggirgli. Ogni cattivo avrebbe rabbrividito prima di essere stato sradicato dalle proprie radici, spazzato via dalla faccia della terra da un tornado inarrestabile. Un vento impietoso e pungente, dove la sua terrificante avvenuta preannunciava sempre l’inizio della luce. La serenità dopo la bufera. Il bene dopo il male. C’era qualcosa nella quale ti rifugiavi e che per te era come il vento dell’est. Creavi la tempesta al fine di essere trascinato via, insieme ai tuoi problemi, lontano dalla tua realtà.
 

«Ti dico che è stata la droga, Mycroft.»

«E come lo sai? Era il tuo compagno di canne?»

Venni a trovarti al college un pomeriggio di primavera. Eravamo seduti su una panchina del parco e discutevamo dell’improvvisa morte di un tuo compagno di corso. Infarto, dicevano. Tu ovviamente non eri della stessa convinzione. Avevi sempre da ridire. Ci avevi visto dell’altro. Avevi visto dove gli altri non sapevano guardare. Alla mia provocazione, mi rivolgesti uno sguardo tagliente, con quell’aria da diciannovenne trasandato e i capelli ricci in rivolta.

«Hanno mentito. È chiaro. Non potevano infangare il buon nome della sua famiglia ed io dimostrerò che ho ragione. Ci riuscirò ad ogni costo così quegli idioti la smetteranno di blaterare!»

«Per l’amore del cielo, Sherlock! Stai per laurearti in chimica. Vuoi concentrati una buona volta sulle cose più importanti e lasciar perdere le tue manie di protagonismo? Vuoi continuare a deludere mamma e papà, è questo che vuoi?» Non mi resi conto di star quasi urlando.

«Beh, se lo facessi, gli rimarrebbe pur sempre il figlio prediletto, il primogenito entrato a far parte del governo inglese.»

«Su come quel ragazzo sia morto, non ci interessa. Non devi dimostrare niente a nessuno. La vita non è il tuo palcoscenico dove sei il solo e unico protagonista. In passato il tuo bisogno arrogante di metterti al di sopra di tutti, ci è costato noiosissime ore di colloqui con i professori e la cosa continua a ripetersi tutt’ora al college, sfortunatamente.»

«Hai paura che ti rubi la parte, non è così? Cosa temi? I riflettori adesso saranno puntati su di te avendo Londra nelle tue mani. Sarai tu ora il vento dell’est che porterà ordine e giustizia in questo paese. Te la ricordi ancora quell’orribile fiaba sui cattivi spazzati via – ovviamente io ero uno di loro - che mi raccontavi da bambino per spaventarmi? Sei sempre stato così antipatico, Mycroft.» Ti vidi scuotere la testa e arricciare le labbra infastidito.

«E tu uno sconsiderato e pomposo fratellino che crede di essere tanto intelligente ma che invece è così lento. E debole

Mi raggelasti nuovamente con i tuoi occhi che un tempo sembravano così stanchi e non seppi mai di cosa. Sostenesti il mio sguardo e sapevo bene che questo preannunciava sempre una sfida.

«Se io sono così lento, vediamo cosa riesci a dirmi riguardo a quel ragazzo laggiù in fondo seduto sull’erba. Giochiamo alle deduzioni, fratellone.» Vidi uno scintillio di provocazione nei tuoi occhi e accennasti un sorriso di spiego.

«Cosa potrei mai dirti di un ragazzo orfano, dalle abitudini maniacali dal modo in cui stende ordinatamente tovaglietta e posate sull’erba e tiene il cibo rigorosamente diviso in scompartimenti in una vaschetta per alimenti, vegetariano solo per esibizionismo dal modo di come mangia disgustato quel panino al tofu e che per altro frequenta il tuo stesso corso? Come faccio a sapere che vi ritroviate in classe senza che tu te ne accorga? Come sempre tu guardi ma non osservi, fratellino. Ti tengo d’occhio, ecco come lo so. I miei occhi sono sempre su di te.»

Ti vidi schiudere le labbra e strabuzzare lo sguardo. Probabilmente mi stavi uccidendo e torturando in mille modi diversi nella tua mente.

«Avvertivo negli ultimi tempi una presenza maglina. Grazie tante fratellone, adesso si spiega il perché. Orfano, dici? Giacché mi osservi, osserverai dunque tutti quelli che mi circondano e magari saprai in parte la storia della loro vita. Ora che fai parte del governo non hai cose ben più importanti da occuparti che pedinare come un maniaco tuo fratello? Ma andiamo al dunque. Deduco che sia orfano dal suo continuo restare al campus anche sotto le vacanze. Infatti, ora sono iniziate le vacanze di primavera, ma lui non lascerà il dormitorio. I suoi genitori sono morti oppure, in alternativa, non ha qualcuno da cui tornare con gioia. Come lo capisco. Vegetariano per esibizionismo? È ovvio. Vuole fare colpo sul ragazzo accanto a lui che fa parte del club: “Salviamo il pianeta”. Ridicoli. Dal modo in cui l’osserva se lo sta letteralmente mangiando con lo sguardo. È un tipo molto insicuro di se stesso. Si passa la mano di continuo sulla fronte fingendo di scostarsi i capelli ma in realtà suda perché la presenza del ragazzo che gli piace lo mette a disagio. Devo continuare o ti basta per sapere che non serve conoscere una persona per capire chi sia?»

Eri in grado di far venire un’emicrania fulminante quando iniziavi a parlare a raffica.

«Chissà come mai gli altri bambini si annoiavano sempre con te a scuola. Non saprei proprio spiegarmelo», commentai sarcastico al solo scopo d’irritarti. «E così, dunque, non tornerai a casa per queste vacanze?»

«No, Mycroft, devo studiare e voi mi distrarreste. L’hai detto tu che devo concentrarmi sulle cose importanti. Saluta mamma e papà da parte mia.» Deviasti lo sguardo come a volermi nascondere qualcosa.

Fuggivi sempre.

«Lo farò.» Sospirai e mi alzai dalla panchina mentre sentivo il tuo sguardo critico puntato addosso.

«Da quando te ne vai in giro sempre con quell’affare?» Indicasti il mio ombrello.

«Beh, sai. Gli acquazzoni come le disgrazie possono accadere in qualsiasi momento. Meglio farsi trovare preparati.»

Ti lascia stare e me ne andai. Sapevo perché ti ostinavi a voler rimanere al college e a non voler tornare a casa per le vacanze. Ti saresti sentito soffocare, impazzire. E non ci sarebbe stato ormai più nessuno in grado di calmarti come Barbarossa. Tu dovevi risolvere un problema. Dovevi dimostrare al mondo come stavano realmente le cose. Risolvere il mistero, il crimine. Se eri fermamente convinto delle reali cause della morte di quel ragazzo, tu l’avresti scoperto ad ogni costo. Ed era proprio questo ciò che allora mi preoccupava. Il prezzo da pagare.
 

Una parte di me, era rasserenata al pensiero che c’era qualcuno a tenerti d’occhio, ed era Victor Trevor, il tuo compagno di stanza. Non ti vidi mai prima di allora affezionarti ad un essere umano. Parlarci quasi civilmente. Riderci insieme, di tanto in tanto. Gradirne la presenza senza provare disgusto. Né tanto meno avevo mai conosciuto una persona in grado di sopportarti senza l’istinto irrefrenabile di scappare su un asteroide lontano, o addirittura di ucciderti. Anche se in futuro la vita mi avrebbe sorpreso ancora una volta. O per meglio dire, mi avresti sorpreso tu.

Dovevo capire fin da subito il motivo per il quale nutrivi tanta simpatia verso questo ragazzo quando lo incontrai fuori dal college la prima volta. Era astuto. “Intelligente sopra la media” per citare le tue parole.

«Sei Mycroft Holmes, non è vero? Il fratello maggiore e altezzoso di William, voglio dire Sherlock.»

Odiavi a morte quando nostra madre usava il tuo primo nome e permettevi a lui di chiamarti così. Deve essere stato proprio un colpo di fulmine.

«Esattamente. E tu devi essere il suo nuovo amico, Victor. Pensa, il primo era fastidiosamente invadente e affettuoso. Decisamente meno alto, più peloso e dalla disgustosa abitudine di leccare le mani. Ringrazio il cielo che mio fratello abbia cambiato le sue preferenze. Sentiamo, come hai fatto a capirlo?»

«Si riconosce sempre un Holmes quando lo s’incontra. Sono unici, impossibile non notarvi. Avete gli stessi occhi, lo stesso modo enigmatico di osservare e di leggere le persone in una sola e rapida occhiata. Fa raggelare il sangue.»

Oh, sì. Il ragazzo era sveglio ed anche sfacciatamente irritante col suo sorriso raggiante e affabile, con quei capelli di un biondo acceso e gli occhi azzurri. Ovviamente non era la sua bellezza ad interessarti, ma il suo modo di essere e di pensare.
 

Diventò in breve tempo la mia talpa. Usai lui per avere tue informazioni. Sapevo che il solo osservarti da lontano non sarebbe bastato. Sembrerei io quello fuori di testa, il fissato, ma non era così. Mi preoccupavo per te. Io mi preoccupo continuamente tutt’ora per te. Non per stupido sentimentalismo. Non sono mica nostra madre. Sapevo solo cosa eri in grado di fare e di farti. Eri la tua stessa rovina e ne avrei avuto la conferma molto presto.

Una sera Victor mi chiamò e mi disse d’incontrarci in un bar fuori dal campus perché doveva parlarmi su qualcosa d’importante che ti riguardava. Erano ancora le vacanze di primavera ed erano passati pochi giorni da quando ero venuto a trovarti. Victor non partì e non tornò dalla propria famiglia trovando una scusa banale per timore di lasciarti solo.

«Sherlock mi preoccupa, Mycroft. Credo stia peggiorando, che stia cedendo totalmente… Sappiamo bene che fa uso di droghe, anche se in quantità ridotte e, per così dire “leggere”. Ma credo che ora ne stia abusando più spesso. Ovviamente lui nega e sa nasconderne le tracce molto bene, ma non può di certo nascondere gli effetti su se stesso. È evidente. Alle volte il suo sguardo è così vuoto, spento. Fa paura. I suoi occhi sono tutto. Tutto. Vederli così mi uccide. Capisci? In alcuni momenti è così calmo e spossato che a stento respira, altre volte invece è così iperattivo che rompe quasi ogni cosa che tocca. Non so cosa fare. Ci sono giorni che non mangia e nemmeno dorme. Lo sento parlare da solo e capita che non si accorga nemmeno della mia presenza. Per via del suo “palazzo mentale”. Conserva ogni cosa nella propria mente e quando gli serve si rintana in se stesso per andarla a cercare come se aprisse un cassetto. All’inizio credevo fosse semplicemente pazzo, poi ho capito. Sherlock non è pazzo, è solo troppo intelligente per questo mondo e anche troppo spaventato per viverci. Non ci credo che sia senza cuore. Probabilmente ha un cuore molto più grande del nostro. Io credo che lui sia più fragile di quanto non voglia far crede. Riesci a capirlo? Ovviamente, ti prego. Dobbiamo stare molto attenti affinché non sappia mai del nostro tenerci in contatto. Sarebbe la rovina. Tutto si perderebbe, io lo perderei. È già così frustrante non riuscire a parlargli alle volte, vederlo allontanarsi e non lasciarsi aiutare. Non poter nemmeno stargli vicino. Io non riesco a sopportarlo. Non riesco.»

C’erano cose in quel momento che avrei voluto dire, ma non ci riuscii. Le parole di Victor spazzarono via ogni mia sicurezza. Mi sentii annientato.

Avevo fallito.

«Se ti ho chiesto d’incontrarci con tanta urgenza è perché temo stia per fare qualcosa di pericoloso. Negli ultimi giorni è ossessionato dalla morte di quel ragazzo… Vuole mostrare a tutti la verità sulla vera causa della morte, dice. Magari si sente in qualche modo in colpa. Una volta credo di averli visti parlare insieme. Mi ha detto che questa notte probabilmente rientrerà tardi, che deve andare in un certo posto ma non ha voluto dirmi quale. Devi trovarlo, Mycroft. Prima che sia troppo tardi.»

Stranamente mi sentii ridicolamente commosso alla manifestazione del suo affetto per te. Eri stato in grado di far affezionare una persona - all’apparenza sana di mente -, al disastro che sei. Pensai che fosse questa la definizione esatta della parola: straordinario.


Ti trovai in una squallida casa abbandonata a circa due chilometri dal campus. Non c’era posto dove non riuscivo a trovarti. Te ne stavi a contorcerti dal dolore su di un materasso lurido, con la luce fioca di qualche candela ad illuminare quell’edificio raccapricciante ed umido. Non dissi una parola appena ti vidi, né tanto meno tu. Mi sedetti accanto a te, poi, affranto, mi presi la testa fra le mani e a fatica sussurrai:

«Che cosa hai fatto, Sherlock?»

Ti vidi annaspare, tutto il tuo corpo si ripiegava su se stesso, la tua fronte era imperlata di sudore, gli occhi in fiamme, la pelle del tuo naso screpolata e macchiata di sangue, come se ci avessi passato sopra della carta vetrata. Non riuscivi nemmeno a parlare tanto i tuoi denti battevano. Dolorante, ti vidi allungare un braccio per porgermi qualcosa. All’inizio non capii finché non lessi tutte le sostanze di cui avevi abusato e stilato una lista su un pezzetto di carta raggrinzito. Per la prima volta in vita mia provai paura.

Mi sorpresi che ancora fossi vivo.

«N-non era previsto… Q-questo… Ho sbagliato le dosi. Volevo solo dimostrare che avevo r-ragione.» Prendesti una pausa prima di continuare, stringendo i denti così forte per soffocare un gemito. «Sapevo fosse la droga, Mycroft. Ne riconosco gli effetti. Q-quel ragazzo… l’avevo visto in compagnia di certi tipi, spacciatori, che non diresti m-mai… mai…» La voce venne meno, i tuoi occhi rotearono e svenisti.
 

Ti risvegliasti un paio d’ore dopo su di un letto d’ospedale. La tua immagine era pressappoco identica a quella di uno spettro. Quando chiamai i nostri genitori per avvertirli, loro sembravano aspettarselo. Come un condannato che non è sorpreso alla vista del patibolo. Mi dissero solo: «Arriviamo subito» di sicuro abbandonando qualche noioso spettacolo teatrale.

«Ben svegliato, fratellino. Il viaggio verso l’inferno l’hai trovato piacevole?»

Ti vidi guardarti confuso intorno, poi, come colpito da una consapevolezza fulminante, strizzasti gli occhi e sospirasti amareggiato.

«Non sono sicuro che questo non sia più l’inferno ora che ti vedo.»

Riuscivi ad essere velenoso e ricolmo di rancore anche dopo aver appena scampato la morte. Ammirevole, in un certo senso.

«Vuoi spiegarmi come stanno realmente le cose, Sherlock?»

«Non è stato un semplice infarto ad uccidere Richard Hamilton. Era un tossico, io lo conoscevo bene, come conosco bene chi gli aveva venduto la droga. A vederli non sospetteresti mai che siano spacciatori. Ragazzi per bene, i classici studenti modello. Dopo la sua morte m’intrufolai di nascosto nelle camere di questi ragazzi per indagare, trovare delle tracce. Nei loro appartamenti trovai numerosi oggetti costosi ovviamente non di loro proprietà, tra cui l’orologio da polso che vidi su Richard. Molti ragazzi non possono permettersi la droga così preferiscono pagare in oggetti di valore. Volevo portare all'attenzione gli effetti sul mio corpo, identici a quelli riscontrati sul ragazzo. I suoi amici avevano visto le sue condizioni prima di morire e avrebbero potuto fare un confronto su di me. Sapevo inoltre che qualcuno gli aveva fatto un tossicologico, ma i risultati sono misteriosamente spariti così come sono state occultate le prove del suo naso palesemente rovinato dall’abuso di droghe e le punture degli aghi. Mi sarebbe servito il tuo aiuto nel recuperare i risultati del tossicologico e confrontarli poi con le analisi del mio sangue.»

«Opportunista come sempre. Complimenti, detective, ha risolto il caso, anche se ha rischiato di lasciarci le penne oh, beh. Ma non è stato un rischio, non è vero? Era intenzionale.»

«Le cose non stanno esattamente così. Mi sono distratto, ho sbagliato le dosi.» Ringhiasti stringendo i lembi del lenzuolo.

«Ma certo. Ti consiglio di fingere di dormire perché mamma e papà stanno per arrivare e a chiunque verrebbe voglia di drogarsi con i piagnistei e la drammaticità di nostra madre.» Mi alzai dalla sedia ma prima di andarmene aggiunsi: «Oh, quasi dimenticavo. C’è un tuo amico fuori che vuole vederti. Un certo Victor. Lo faccio entrare?»

«Non fingere di non conoscerlo, Mycroft. So bene che vi sentite e vedete di nascosto. Credi davvero che non me ne accorga? … fallo entrare.»

Sorrisi e me ne andai.
 

Ti lasciai perdere per un paio di giorni finché non ti fossi realmente ripreso per affrontare la questione. Farti entrare in un programma di recupero sarebbe stato un disastro. Saresti andato maggiormente fuori di senno. Un caos giornaliero. C’era un'unica soluzione e quando ne fui convinto, ti minacciai dicendoti:
 
«Quando avrai voglia di farti, compilerai una lista su ogni cosa che hai preso o giuro che ti rinchiudo in un istituto finché non ti disintossichi, a costo di farti incatenare.»

Suggellammo il nostro patto e col tempo me ne pentii amaramente.
 
 


 
   
 
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