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Autore: eliseCS    29/01/2016    3 recensioni
Della serie: qualsiasi cosa è meglio che studiare parte II...
Buona lettura e mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!
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Dal testo:
"Pensi davvero che io sia così disperato per la rottura con Vanessa?" si ritrovò quindi a domandare con tono beffardo, non capendo cosa lo stesse trattenendo a parlare ancora con lei invece di scappare a gambe levate dopo che gli aveva confessato con inaudita leggerezza di sapere il suo nome e cognome e persino dove abitava e che lavoro faceva suo padre. Ok che Mason Blake era un avvocato piuttosto famoso in città, ma gli sembrava un po' eccessivo.
Cos'era, una stalker?
Sorrise trionfante quando la ragazza rimase in silenzio senza apparentemente sapere come rispondere alla sua ultima provocazione.
Neanche a dirlo il silenzio ebbe vita breve, come anche il suo sorriso.
"Devo davvero continuare?" chiese infatti la ragazza con tono fintamente innocente riservandogli uno sguardo che sembrava chiedergli: pensi che io sia così superficiale?
Genere: Fantasy, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In silenzio, tre passi indietro come un'ombra'
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(© elyxyz)






 
In silenzio, tre passi indietro come un’ombra
- Non ne vale la pena -


 
Tutti abbiamo quella giornata no, quella giornata in cui qualsiasi cosa potrebbe andare male lo fa.
Quella giornata in cui ci sembra che la nostra vita non potrebbe andare peggio di così e ci sentiamo persi come nel bel mezzo di una tempesta senza neanche un misero salvagente.
Sono quelle giornate in cui tendiamo ad isolarci, a stare lontano da tutto e tutti con la speranza che la solitudine riesca a scacciare la cattiva sorte che ci perseguita e che la situazione si aggiusti in qualche modo.
Ma è proprio in quelle giornate che accade: senza neanche rendercene conto incontriamo quella persona che nonostante tutto decide di parlarci, di ascoltarci, di lasciarci sfogare.
Quella persona che sembra conoscerci meglio di noi stessi, che inquadra con due parole la situazione e con altrettante è in grado di risolverla facendoci capire che isolarsi e aspettare non è la strategia giusta.
Quella persona che ci sprona ad andare avanti e a prendere in mano la nostra vita perché solo noi possiamo decidere come viverla.
Quella persona che compare dal nulla e nel nulla ritorna quando capisce che il suo lavoro è stato svolto e la sua presenza non è più necessaria.
E ci spaventa vedere come un perfetto sconosciuto ci conosca così bene senza sapere che in realtà ci segue da un bel po’ : in silenzio, tre passi dietro di noi come un’ombra.
 
 
Secondo le regole dell’Accademia dei Guardiani un angelo custode è tenuto a seguire il suo protetto senza mai interferire nelle sue azioni, rivelandosi ad esso solo in caso di particolare necessità e rigorosamente in un’unica occasione che non dovrà mai ripetersi.
 
 
Molte persone si chiedono se avranno mai l’opportunità di incontrare di nuovo quella persona che dopo avergli mostrato la via per risalire dal baratro se n’è andata senza aspettare neanche un ringraziamento senza sapere che quella persona in realtà è stata e sarà sempre lì con loro.
 
 
 
 
 
 
 
Ore 7.02
La sveglia suona insistentemente dalla sua posizione sul comodino tra la lampada e il cellulare tenuto sotto carica.
Un braccio si allunga velocemente nella sua direzione a fermare il fastidioso allarme per tornare subito dopo al caldo sotto il piumone.
 
Dylan sbuffò stropicciandosi gli occhi continuando a rimanere disteso sotto le coperte rimuginando sulla giornata che lo stava aspettando.
 
Solo per il fatto che fosse lunedì partiva male.
 
Poteva già sentire il ticchettio insistente della pioggia che batteva fuori dalla finestra con la persiana ancora abbassata, e il suo umore calò ulteriormente nel ricordare che quella mattina avrebbe avuto un compito di economia e che il suo amico Ethan, dal quale di solito copiava quando si trovava in difficoltà, non sarebbe stato lì per aiutarlo visto che la sera prima lo aveva avvisato per dirgli che sarebbe rimasto a casa perché aveva l’influenza.
 
Si costrinse alla fine a lasciare il tepore rassicurante delle lenzuola per dirigersi verso il bagno e andare a vestirsi dopo aver recuperato una felpa e un paio di jeans lungo il tragitto.
 
Quando arrivò in cucina per fare colazione suo padre era ovviamente già uscito di casa, per cui si ritrovò come sempre a mangiare in silenzio sotto l’occhio vigile di Flor, diminutivo di Florencia, la loro domestica, che ormai non si stupiva più quando rispondeva con grugniti inarticolati ai suoi più allegri “Buongiorno”.
 
Si accorse di aver dimenticato a casa l’ombrello quando ormai era già in macchina, a metà strada verso la scuola.
Dopo aver parcheggiato una volta giunto a destinazione controllò un’altra volta il cellulare: stranamente Vanessa, la sua ragazza, non gli aveva ancora lasciato alcun messaggio, per altro non rispondendo nemmeno a quello che lui le aveva mandato mentre faceva colazione in cui le augurava buona giornata.
In realtà non aveva risposto nemmeno a quelli che le aveva inviato domenica.
Era strano perché di solito non passavano un paio d’ore senza che lei si facesse sentire, e a volte si arrabbiava pure se lui non rispondeva.
Era vero che ultimamente aveva cominciato a trovare la cosa un po’ fastidiosa, ma dopotutto se stavano ancora insieme dopo otto mesi voleva pur dire qualcosa.
Forse era ancora arrabbiata perché alla festa del sabato appena trascorso che si era tenuta a casa di Alan, un altro suo amico, si era ubriacato di brutto dimenticandosi completamente che avrebbe dovuto riportarla a casa… Adesso gli sarebbe anche toccato chiedere scusa, magari portandola a cena fuori o al cinema per uno di quei film sdolcinati che lei insisteva sempre per andare a vedere insieme quando lui avrebbe di gran lunga preferito fare altro.
Represse l’impulso di sbattere la testa contro il volante al pensiero che la giornata vera e propria doveva ancora iniziare.
 
 
 
***
 
 
 
Ore 7.02
La sveglia venne spenta con una manata e l’attimo dopo Aurora era già saltata giù dal letto andando ad aprire gli scuri della finestra che rivelarono all’esterno una splendida giornata di pioggia.
Sorrise pensando che qualcuno non sarebbe stato per niente entusiasta di quel tempo, qualcuno che di sicuro stava ancora perdendo tempo sotto le coperte nonostante la sveglia avesse rigorosamente decretato che era ora di alzarsi.
Se lo sentiva che era così.
Si concesse di perdersi per qualche momento a riordinare il disastro che era la sua stanza impiegando il tempo che sapeva che lui impiegava per vestirsi e fare colazione.
Alla fine eseguì un rapido cambio di abbigliamento e dopo aver aggiunto anche una giacca e aver recuperato un ombrello –non che le servissero realmente- uscì per dare inizio alla sua giornata di lavoro.
Non c’era bisogno di affrettarsi troppo comunque, nonostante la pioggia sapeva che per strada lui non avrebbe avuto problemi.
 
~
 
Osservò da lontano Dylan arrivare con la sua macchina nel parcheggio della scuola e posteggiare il mezzo.
Come suo solito aveva dimenticato l’ombrello a casa per cui lo vide fare di corsa tutto il tragitto dall’auto all’ingresso della scuola cercando di ripararsi i capelli biondi ordinati con il gel usando lo zaino.
Lo seguì mentre raggiungeva il suo armadietto unendosi al suo storico gruppetto di amici, Alan, Matthew e Luke, Ethan era a casa ammalato, che lo salutarono con le solite pacche sulla schiena.
Era una sua impressione o sembravano discretamente nervosi?
 
Evidentemente Vanessa, la ragazza di Dylan, quel giorno non sembrava essere molto incline alle smancerie visto che non si fece proprio vedere.
Se da una parte gli dispiaceva per Dylan, che per tutto il tempo aveva continuato a cercarla con lo sguardo tra gli studenti, dall’altra ne era contenta: quella ragazza non le era mai piaciuta, non andava bene per lui.
Aspettò che il ragazzo entrasse in classe prima di uscire dall’edificio per andare a svolgere alcune commissioni.
Al momento la sua presenza lì non era necessaria, se fosse successo qualcosa l’avrebbe saputo.
 
 
 
Quando tornò nei confini della scuola, in orario per la fine delle lezioni, capì subito che qualcosa non andava.
Nulla di grave, certo, altrimenti sarebbe sicuramente stata avvisata, ma appena individuò Dylan si rese conto in maniera lampante che il suo umore era notevolmente peggiorato rispetto a quella mattina, il che era tutto dire.
Non poteva essere colpa del tempo visto che aveva smesso di piovere già da un pezzo e il sole era tornato a illuminare il cielo, e nemmeno il compito di economia.
Sapeva bene che, consapevole dell’assenza di Ethan, Dylan aveva studiato molto meglio rispetto al solito, il test non poteva essere andato male.
Quindi doveva per forza essere qualcos’altro.
 
Aurora fece un rapido giro per la scuola che pian piano stava cominciando a svuotarsi raccogliendo tutte le voci di corridoio e i pettegolezzi per poi raggiungere appena fuori dall’edificio Dylan e gli altri ragazzi che stavano cercando di tirargli su il morale, senza però ottenere molti risultati.
 
Vanessa aveva lasciato Dylan.
O meglio, Dylan aveva lasciato Vanessa dopo aver scoperto che la ragazza se la faceva già da qualche tempo con un ragazzo della squadra di calcio di cui anche lui faceva parte.
La cosa era venuta fuori alla festa di Alan, e se lui era troppo ubriaco per notarlo il resto della popolazione scolastica che era stata invitata lo aveva visto benissimo, e siccome quel giorno tutta la scuola non parlava d’altro non era stato difficile che le voci arrivassero alla fine anche al diretto interessato.
Non si era mai sentito così umiliato, anche da quella distanza Aurora lo poteva percepire perfettamente.
La rabbia e lo sconforto erano ben visibili nei suoi occhi e sul suo viso, il che secondo la ragazza era un vero peccato visto che Dylan era sì un bel ragazzo, ma ancora di più quando sorrideva.
Oltre ad essere bello, però, Dylan era anche intelligente, motivo per cui Aurora confidava che il dispiacere per la tragica perdita di Vanessa gli sarebbe passato presto.
 
Cominciò però a ricredersi quando neanche l’ennesima battuta di pessimo gusto di Luke riuscì a far spuntare nemmeno l’ombra di un sorriso sul volto del ragazzo.
Questa volta sembrava davvero una cosa seria.
 
Aspettò pazientemente che Dylan salutasse i suoi amici prima di cominciare a seguirlo come era solita fare: in silenzio, tre passi dietro di lui come un’ombra.
Era lunedì, non aveva allenamento, quindi il programma per la restante parte del pomeriggio poteva dirsi già scritto.
Ormai avrebbe potuto citare a memoria la sua routine di tutta la settimana.
 
 
Dylan sarebbe tornato a casa, avrebbe esplorato frigo e credenze in cerca di qualcosa di commestibile per merenda che poi avrebbe consumato spalmato sul divano guardando la tv, senza curarsi delle eventuali briciole che sarebbero cadute tra le imbottiture in pelle o del fatto che secondo suo padre un ragazzo per bene non dovrebbe atteggiarsi a quel modo.
Non quando il suddetto genitore sarebbe tornato dal lavoro a mala pena in tempo per la cena e Flor avrebbe pulito tutto alla perfezione prima che il padrone di casa potesse accorgersi di qualcosa.
Poi sarebbe salito al piano di sopra, chiudendosi rumorosamente alle spalle la porta di camera sua, sulla quale spiccava un vistoso cartello di divieto d’accesso, brontolando sulla quantità di compiti che anche quel giorno i professori avevano assegnato.
Come sempre avrebbe fatto un po’ di scena sparpagliando libri e quaderni su tutta la superficie disponibile della sua scrivania, di per sé già abbastanza limitata visto il caos che regolarmente vi regna sovrano, per poi dedicare sì e no venti minuti effettivi allo studio e perdersi subito dopo dietro a computer e cellulare.
Alla fine, richiamato da Flor, sarebbe sceso per la cena, avrebbe scambiato meno di due parole con il padre riassumendo sbrigativamente come era andata la giornata per poi ridursi a fare i compiti che gli rimanevano, quindi la quasi totalità, prima di andare a dormire.
E poi aveva pure il coraggio di stupirsi e lamentarsi se la mattina aveva sonno.
 
Anche quel giorno si svolse così come aveva previsto senza eccezioni, e per l’ennesima volta da un po’ di tempo a quella parte Aurora di ritrovò a desiderare che una volta tanto Dylan facesse qualcosa di diverso.
Che diamine! Aveva diciotto anni, era all’ultimo anno alla high school, capitano della squadra di calcio della scuola con un paio di borse di studio per lo sport già verosimilmente in vista da parte di un paio di college.
Invidiato dai ragazzi che volevano essere suoi amici, desiderato e ammirato dalle ragazze.
Insomma, il perfetto stereotipo del ragazzo popolare della scuola.
Avrebbe potuto fare quello che voleva, eppure sembrava che niente fosse in grado di farlo deviare da quella noiosa e statica routine che aveva consolidato con il passare degli anni.
Sperava almeno che la rottura con Vanessa fosse una scossa sufficiente per innescare anche il più piccolo e insignificante dei cambiamenti.
 
Nonostante lo conoscesse così bene quella volta Aurora di sbagliava.
 
 
 
[•••]
 
 
 
Erano passate due settimane da quel fatidico giorno e le cose, contrariamente a quanto Aurora aveva sperato, non erano affatto cambiate.
Anzi, si poteva quasi dire che la situazione stesse lentamente ma inesorabilmente peggiorando.
 
Dylan era sempre stato fin da bambino una persona con un carattere riservato e timido, solo con i suoi amici e in campo dietro alla palla usciva allo scoperto il suo lato più spontaneo e impulsivo.
In quel periodo aveva cominciato a chiudersi ancora di più in se stesso e anche i rari rapporti col padre, già tesi e precari di loro, avevano finito per tendersi ancora di più tanto che il ragazzo scattava per qualsiasi cosa il genitore gli dicesse.
 
Quel giorno però Aurora aveva deciso che qualcosa doveva cambiare, non poteva andare avanti così.
 
 
Complice il bel tempo Dylan quella mattina aveva deciso di andare a scuola a piedi visto che a parer suo non era poi così lontana da dove abitava.
Ad Aurora era sembrata subito una pessima idea: prima perché quel giorno il ragazzo, oltre allo zaino, aveva anche il borsone con tutto il necessario per l’allenamento di calcio che si sarebbe tenuto nel pomeriggio al termine delle lezioni; poi perché durante il tragitto, distratto com’era in quel periodo, Dylan aveva rischiato di farsi investire almeno tre volte, e questo la ragazza non poteva tollerarlo.
 
 
Si sedette sull’erba a bordo campo inspirandone il profumo e godendosi i raggi del sole nel freddo di quella giornata di fine gennaio così bella da sembrare quasi irreale mentre aspettava che Dylan uscisse dagli spogliatoi.
Sapeva bene che al ragazzo piaceva prendersi il suo tempo sotto l’acqua della doccia –non che fosse mai andata a guardare, lo sapeva e basta- quindi non si preoccupò quando vide il resto della squadra uscire per dirigersi verso i rispettivi mezzi di trasporto nel parcheggio senza di lui.
Quel giorno poi l’allenamento era stato particolarmente intenso, il che significava che avrebbe avuto ancora un po’ da aspettare: dopo tutti gli allenamenti a cui aveva assistito da quando Dylan era entrato in squadra al suo primo anno ne era ben consapevole.
 
Quando finalmente il ragazzo uscì Aurora non potè impedirsi di restare qualche secondo a osservarlo: i suoi capelli ancora leggermente umidi sulle punte a causa della doccia sembravano ancora più biondi sotto la luce del sole che pian piano stava cominciando il suo declino in vista della sera.
In quel momento non stava guardando nella sua direzione ma la ragazza sapeva che gli occhi castani e caldi del ragazzo erano chiusi mentre la sua mente si perdeva in mille pensieri diversi.
Poteva quasi sentirli.
 
Quando alla fine si mosse Aurora fece per alzarsi in modo da seguirlo fino a casa come aveva sempre fatto, ma non aveva ancora messo in atto il movimento che il ragazzo la soprese mollando zaino e borsone lì a bordo campo per poi risalire sugli spalti dedicati agli spettatori che si ergevano lì in parte.
Si lasciò cadere su una panca appoggiando i gomiti alle ginocchia e prendendosi la testa tra le mani.
A quel punto qualcosa scattò in Aurora, che ignorando palesemente la vocina nella sua testa che urlava come impazzita cose come: ferma! Cosa pensi di fare? Non puoi, è contro le regole! Torna subito al tuo posto!, si alzò subito cominciando a sua volta a risalire i gradini degli spalti finchè non si ritrovò esattamente di fianco a Dylan che nel frattempo non si era mosso dalla sua posizione.
 
Poteva sentire l’adrenalina scorrere provocandole brividi lungo la schiena per la consapevolezza di stare per fare qualcosa di assolutamente proibito.
Ma alle conseguenze del suo gesto avrebbe pensato in un secondo momento.
In cuor suo rimproverava sempre il ragazzo di perdere troppo tempo a pensare e di non buttarsi mai –a parte quando si ubriacava, ma quello era un altro discorso- adesso non poteva certo venire meno alle sue stesse dritte.
Anche se forse per lei il discorso era leggermente diverso.
Ma in quel momento non gliene sarebbe potuto importare di meno.
 
Prese quindi un lungo respiro prima di sedersi sulla panca proprio accanto a lui e commentare ad alta voce: “Non ne vale la pena”
 
 
 
***
 
 
 
“Non ne vale la pena”
 
Una voce limpida e sicura, sicuramente appartenente ad una ragazza, lo fece sobbalzare facendogli scappare un’esclamazione non esattamente educata.
Ma tanto suo padre non era lì per dirgli di moderare il linguaggio…
Doveva proprio essere perso nei suoi pensieri per non accorgersi che qualcuno era salito sugli spalti dopo di lui sedendosi al suo fianco.
Avrebbe potuto giurare di non aver nemmeno sentito tremare la struttura sotto i passi della nuova arrivata, tanto da rendersi conto di non essere più solo solamente nel momento in cui lei gli aveva rivolto la parola.
 
Raddrizzando la schiena e sistemandosi i capelli che gli erano caduti davanti agli occhi rivolse finalmente l’attenzione alla figura al suo fianco.
 
Aveva lunghi capelli corvini che incorniciavano un bel viso ovale reso espressivo da un paio di occhi azzurri e cristallini, rigorosamente senza trucco, circondati da folte ciglia scure.
La linea del naso dolce e le labbra rosse e piene incurvate in un sorriso divertito e di scuse allo stesso tempo: evidentemente non era rimasta scandalizzata dalla sua uscita poco galante.
La pelle era diafana e priva di imperfezioni, poteva nominare alcune ragazze della scuola che avrebbero ucciso per poterla avere così, la corporatura non eccessivamente esile ben intuibile attraverso i jeans aderenti che indossava e le maglia con le maniche a tre quarti e lo scollo a V.
Aveva persino tutte le curve al punto giusto.
Nonostante la sua bellezza, quasi troppa per essere vera, e lo strano abbigliamento, decisamente troppo leggero per il clima del mese nonostante il sole che comunque stava cominciando a calare, Dylan si riscosse abbastanza in fretta.
Se aveva aspettato che tutti i suoi compagni di squadra se ne andassero prima di fare la doccia e se poi era rimasto lì seduto sugli spalti era perché voleva stare da solo: il messaggio gli sembrava piuttosto chiaro anche visto dall’esterno.
Non capiva quindi perché quella ragazza, che tra l’altro era sicuro di non aver mai visto in vita sua, avesse palesemente ignorato la sua volontà per venirgli a parlare di chissà che cosa.
 
“Scusami?” domandò quindi, anche piuttosto seccato e non facendo nulla per nasconderlo.
La ragazza non sembrò per niente turbata: “Ho detto che non ne vale la pena” ripetè infatti guardandolo negli occhi e mantenendo il contatto senza problemi.
Contatto che Dylan si ritrovò ad interrompere poco dopo: quello sguardo sembrava in grado di leggergli dentro, di capirlo, come mai nessuno aveva fatto.
E faceva paura.
 
“Non so di cosa tu stia parlando” ribattè lui sbuffando e guardando ovunque tranne che verso la ragazza.
Quella non sembrò affatto impressionata dalla sua seconda risposta, di nuovo sgarbata, tanto che gli fece il verso sbuffando a sua volta.
Come si permetteva?
Avrebbe voluto dirlo ad alta voce ma lei lo precedette prendendolo in contropiede: “Non vale la pena ridursi così solo per una ragazza. Non una come Vanessa comunque. È solo tempo perso e pure per niente”
“E tu che ne sai?” sibilò Dylan che a quel punto cominciava ad arrabbiarsi.
Chi si credeva di essere quella a spuntare così dal nulla sputando sentenze senza sapere assolutamente niente di lui.
Lo disse: “Te lo dico io: tu non sai niente!” aveva quasi urlato e si era addirittura alzato in piedi incombendo su di lei.
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato la ragazza non fece una piega a quel suo scatto, non si ritrasse.
Anzi, a giudicare dal modo in cui i suoi occhi avevano cominciato a brillare sembrava quasi che quella fosse esattamente la reazione che voleva ottenere.
 
Dopo qualche istante di silenzio la ragazza si lisciò le pieghe dei pantaloni e si alzò a sua volta, fronteggiandolo.
Era più bassa di lui di almeno dieci centimetri ma per qualche motivo era lui a sentirsi in soggezione.
 
“So che ti chiami Dylan Blake, che abiti quattro isolati da qui nel quartiere delle belle ville della città insieme a tuo padre, che fa l’avvocato. So che fino a due settimane fa eri fidanzato con Vanessa Cooper –non ho mai capito cosa ci trovassi in lei comunque- la quale non smentendo la sua natura da zocc… ehm… ragazza molto superficiale non ci ha pensato due volte a tradirti con il primo un po’ carino che le è passato davanti al naso perché tu stavi cominciando a trascurarla rendendoti più o meno consapevolmente conto di che razza di persona fosse e, lasciatelo dire, facendo la cosa più giusta che avessi potuto fare da quando vi siete messi insieme. Per cui te lo ripeto un’altra volta: non ne vale la pena. E se persino i tuoi amici se ne sono accorti forse vuol dire che alla fine dei conti potrei davvero avere ragione”
Mentre la ragazza andava avanti con il suo discorso gli occhi di Dylan si erano spalancati insieme alla sua bocca nella più tipica e inconfondibile espressione di stupore.
Come faceva a sapere tutte quelle cose?
Ne aveva parlato poco persino con i suoi amici che, doveva ammetterlo, effettivamente gli avevano detto esattamente la stessa cosa: lascia stare, non ne vale la pena.
Sentirselo rinfacciare da una perfetta sconosciuta però faceva il suo effetto, letteralmente: aveva davvero avuto bisogno di sentirsi dire quelle cose da lei per capire che si stava comportando da idiota a continuare a stare male per Vanessa? Evidentemente sì.
 
Era anche vero però che il problema Vanessa, seppur consistente, non era l’unico motivo per cui in quelle settimane si era sentito così giù.
E ovviamente lui era troppo orgoglioso per ammettere con la ragazza che almeno sotto quel punto di vista lei ci aveva visto giusto e aveva ragione.
 
“Pensi davvero che io sia così disperato per la rottura con Vanessa?” si ritrovò quindi a domandare con tono beffardo, non capendo cosa lo stesse trattenendo a parlare ancora con lei invece di scappare a gambe levate dopo che gli aveva confessato con inaudita leggerezza di sapere il suo nome e cognome e persino dove abitava e che lavoro faceva suo padre. Ok che Mason Blake era un avvocato piuttosto famoso in città, ma gli sembrava un po’ eccessivo.
Cos’era, una stalker?
Sorrise trionfante quando la ragazza rimase in silenzio senza apparentemente sapere come rispondere alla sua ultima provocazione.
Neanche a dirlo il silenzio ebbe vita breve, come anche il suo sorriso.
“Devo davvero continuare?” chiese infatti la ragazza con tono fintamente innocente riservandogli uno sguardo che sembrava chiedergli: pensi che io sia così superficiale?
 
 
Aurora sapeva bene che Vanessa non era l’unica ragione per cui Dylan in quel periodo si stava comportando a quel modo, sapeva che dietro c’era un altro problema, ben più grosso, che gli gravava sulle spalle tanto che a volte il ragazzo pensava di non riuscire nemmeno a respirare.
Aveva semplicemente preferito cominciare la loro conversazione con il male minore, sperando che bastasse, ma evidentemente non era così.
 
 
Dylan deglutì piuttosto rumorosamente facendo andare su e giù il suo pomo d’Adamo.
La ragazza lo prese come un invito a continuare.
 
“Potrei azzardare che il tuo rapporto con tuo padre stia andando peggio rispetto al solito…” cominciò cautamente lei cambiando decisamente tono rispetto a quello usato fino a quel momento: adesso sembrava molto più… dolce?
“Perché lui ha già il suo piano per te per il tuo futuro e non vuole neanche ascoltarti quando gli fai presente che tu i tuoi piani li avresti già fatti, da solo. E questo fa male perché lui è tuo padre e dovrebbe ascoltarti e appoggiarti nelle tue decisioni, mentre l’unica cosa che riesce a fare, probabilmente senza neanche rendersene conto, è farti sentire inadeguato e mai all’altezza delle sue aspettative…”
Una lacrima solitaria scese lungo la guancia del ragazzo che era come paralizzato.
Riuscì a chinare la testa, imbarazzato, mentre le emozioni più disparate lo attraversavano.
Quella ragazza aveva appena riassunto in un paio di frasi quella che era stata la sua vita da quando aveva cominciato la high school: lui con i suoi sogni chiusi nel cassetto perché suo padre aveva già pianificato tutto il suo futuro secondo quello che a suo parere sarebbe stato meglio per il figlio.
Come poteva sapere così bene come si sentiva quando neanche il suo stesso padre riusciva a dedicare due minuti del suo tempo per cercare di capirlo sul serio.
Sembrava quasi che lo conoscesse meglio di quanto lui conosceva se stesso.
 
“…e poi c’è tua madre…” continuò lei, e a quelle parola Dylan rialzò di scatto la testa, sconvolto.
“… che per anni, dopo il divorzio, non si è più fatta sentire e salta di nuovo fuori da un momento all’altro rivendicando la sua autorità di genitore su di te, che fra parentesi sei già maggiorenne, pretendendo di sapere quello che è meglio per te dopo anni che nemmeno ti parla. Un’altra persona che invece di ascoltare e capire pensa di poter prendere le decisioni al posto tuo”
Dylan pensò che stava per svenire.
Era tutto vero.
 
 
All’epoca, aveva dodici anni, sua madre Hannah aveva tradito il marito con un altro uomo, chiedendo poi il divorzio dopo aver scoperto di essere rimasta incinta.
Suo padre glielo aveva concesso piuttosto di buon grado, dopo quello che aveva fatto non voleva avere più nulla a che fare con quella donna, e aveva anche sfruttato i suoi agganci da avvocato per velocizzare il più possibile le pratiche.
Aveva posto una sola condizione: Dylan sarebbe andato con lei perché lui da solo, con il lavoro che faceva, non sarebbe riuscito a crescerlo e a seguirlo come era giusto che fosse.
Hannah accettò subito, salvo poi sparire nel nulla con il suo marito nuovo di zecca una volta che la pratica fu conclusa, lasciando dietro di sé solo un biglietto in cui si scusava dicendo che Dylan sarebbe stato molto meglio nella città dove era nato e cresciuto e che loro sarebbero già stati molto impegnati con il nuovo bambino in arrivo e non avrebbero avuto tempo da dedicare al fratello maggiore.
Da quel momento non si era più fatta viva.
 
A circa metà della settimana precedente suo padre aveva ricevuto una chiamata da un numero non registrato in rubrica e dopo due secondi aveva cominciato ad urlare all’interlocutore dall’altra parte del telefono così che Dylan aveva potuto tranquillamente seguire tutta la conversazione stando seduto in corridoio fuori da camera sua nonostante la porta dello studio del padre, dove il genitore stava parlando, fosse chiusa.
Sua madre sarebbe tornata quella primavera, giusto in tempo per non perdersi la cerimonia del suo diploma e poi l’avrebbe portato via con sé.
Lì dove abitava attualmente c’era un college piuttosto prestigioso e Dylan ci avrebbe solo guadagnato ad andarci.
A quanto pareva il fatto che il ragazzo non avesse alcuna aspirazione ad intraprendere la carriera medica non era un problema che la riguardava.
Quando suo padre aveva iniziato a protestare affermando che la carriera che il figlio voleva non era certo quella Dylan aveva sentito un moto di gratitudine nei confronti del genitore, che però si era spento subito non appena quello aveva argomentato la sua affermazione dicendo che lui sarebbe diventato un provetto avvocato penalista proprio come il padre.
A quel punto era ritornato in camera sua sbattendo la porta con quanta più forza gli era riuscito buttandosi poi a peso morto sul letto chiedendosi se le due persone che chiamava genitori si sarebbero mai fermate un attimo per ascoltare quello che lui aveva da dire, quello che lui voleva andare a fare al college –che per la cronaca era architettura.
 
 
Le lacrime avevano cominciato a scendere copiose senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Quella ragazza gli aveva appena ripetuto tutto quello che aveva sempre avuto paura di ammettere a se stesso.
Aveva sempre cercato di essere un figlio modello, soprattutto dopo che Hannah se n’era andata, facendo tutto quello che il padre programmava per lui per poter essere sempre all’altezza.
Oramai quel ruolo di figlio perfetto aveva cominciato ad andargli stretto già da tempo, peccato che lui non sapesse come uscirne: la possibilità di deludere suo padre era reale e non lo allettava per niente.
 
Non seppe come ma si ritrovò di nuovo seduto sulla panca metallica degli spalti mentre la mano della ragazza gli accarezzava delicatamente la schiena che si alzava e abbassava in sincrono con i suoi singhiozzi.
“Dicono che piangere faccia bene, che aiuta a liberarci da tutto ciò di negativo che ci opprime: pensieri, emozioni… in modo da poter poi vedere le cose in modo chiaro, senza influenze e solo dal nostro punto di vista. È uno sfogo e tu Dylan, fidati, avevi davvero un disperato bisogno di sfogarti” disse la ragazza quando si fu un po’ calmato.
In qualche modo sapeva che aveva ragione: si sentiva già meglio.
“Questa è la tua vita Dylan, tua e di nessun altro. Nessuno ti può dire come viverla perché è tuo diritto e dovere deciderlo. E non preoccuparti di deludere le persone: se ti vogliono veramente bene capiranno e appoggeranno la tua scelta, altrimenti… beh, non ne vale la pena. Non se tu sei felice con quello che hai deciso: quella è l’unica cosa che conta, sii fiero di te stesso. Prendi in mano la tua vita Dylan, e non lasciare mai che qualcun altro la viva al posto tuo” continuò spostando la mano dalla schiena alla spalla e da lì alla sua guancia asciugandogli le lacrime con il pollice e facendogli alzare il viso in modo da poterlo guardare di nuovo negli occhi.
 
Rimasero qualche istante a guardarsi finchè la ragazza non fece una cosa che lo lascò davvero stupito: si chinò verso di lui fino ad appoggiare le labbra sulla sua fronte dove lasciò un bacio.
La cosa davvero strana fu che con quel bacio fu come sentire che per la prima volta c’era qualcuno che lo capiva, che lo supportava, che ci sarebbe sempre stato qualsiasi cosa avrebbe fatto.
Non aveva mai provato nulla di così intenso e palesemente imbarazzato distolse lo sguardo per l’ennesima volta.
 
“Per quello che conta: io sono fiera di te” la sentì sussurrare.
Ci mise qualche istante per realizzare il significato di quelle parole e quando lo fece riportò subito la sua attenzione su di lei.
 
Della misteriosa ragazza però non c’era più traccia, se n’era andata improvvisamente e silenziosamente così come era arrivata.
 
 
 
Durante il tragitto fino alla sua abitazione Dylan non fece altro che pensare a lei.
Aveva la sensazione che fosse stato come se una parte di lui, quella coraggiosa probabilmente, si fosse staccata per fargli presente tutte quelle cose che pensava sempre più spesso ma che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere del tutto a se stesso.
Lei però ci era riuscita, gli aveva fatto capire, e ora non avrebbe più ignorato lo stato delle cose.
Avrebbe preso in mano la sua vita e né su padre né tanto meno sua madre sarebbero riusciti a imporsi, non questa volta.
Si rammaricò di non essere riuscito a ringraziarla per averlo aiutato, per avergli aperto gli occhi, per avergli fatto capire che aveva bisogno di piangere e per averlo consolato mentre lo faceva; chiedendosi allo stesso tempo da dove fosse saltato fuori quell’angelo, se non l’avesse inconsapevolmente già incontrata da qualche parte –perché diciamocelo, la sua presenza al suo fianco alla fine gli era sembrata così rassicurante e familiare- o se fosse stata semplicemente frutto della sua immaginazione.
 
Peccato che quella sarebbe stata la prima e ultima volta che gli era stato concesso di vederla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
O forse no?













 

Faccio davvero i miei più sentiti complimenti a chi è arrivato a leggere fino a quaggiù.
All'inizio avevo pensato di dividere la storia in due ma alla fine l'ho pubblicata tutta insieme, mi dispiace se è venuta troppo lunga e noiosa da leggere.
Per prima cosa, prima che mi dimentichi, ringrazio il gruppo di Potterhead di whatsapp che mi ha dato una mano con la scelta dei nomi :)
E poi in realtà non c'è un secondo punto.
Non so neanche io da dove sia saltata fuori questa one-shot, non so neanche quanto possa essere originale, ma così mi è venuta, quindi...
Mi piace pensare di aver lasciato il finale in qualche modo aperto, non so ancora se potrebbe esserci un seguito, e penso che questo potrebbe dipendere da quello che (spero) mi farete sapere voi che avete letto.
Grazie a tutti quelli che hanno dedicato un momento del loro tempo a questa storia

E.

   
 
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