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Autore: Koira    29/01/2016    2 recensioni
Stremata dai continui traslochi della madre, apparentemente ingiustificati, Madeleine Dodgson non ha la minima idea delle capacità che possiede. Giunta in una nuova, insolita città, sarà travolta da un vortice di inaspettati eventi, che porteranno al crollo di tutte le sue certezze.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi. Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni".(Jeremy Irons)
****
C'era di fronte a me una culla, una piccola culla semicoperta da una tendina di un bianco pallido. Al suo interno si intravedeva, attraverso un piccolo spiraglio tra i tessuti, una bellissima neonata dall'aria curiosa e intelligente.
Sentii dei passi farsi più vicini: stava arrivando qualcuno.
Non sapevo perché, ma l'istinto mi suggeriva di nascondermi, e così feci.
Era un uomo...
<< Madeleine >>.
Gli scossoni di mia madre mi sottrassero violentemente all'atmosfera onirica, catapultandomi nella realtà.
Avevo nuovamente fatto quel sogno.
L'immagine di quella stanza, così perfettamente bianca, di quella neonata, di quell'uomo, mi tormentava ormai da diversi anni.
Da quando avevo memoria, in effetti.
E avevo definitivamente rinunciato a pormi interrogativi sul significato recondito che potessero celare.
D'altronde ci pensava mia madre, con i suoi continui traslochi, ingiustificati ed ingiusti, ad occupare gran parte dei miei pensieri.
<< Madeleine Dodgson! >>.
Tipico di lei: era l'unica a chiamarmi col nome per intero (per gli amici ero Mad), o addirittura, non ottenendo risposta al primo richiamo, col nome e cognome.
<< Sono sveglia >> risposi di rimando, sbadigliando sonoramente ed estendendo in avanti le braccia, più addormentate di me.
<< Oh, amore. Ti ho per caso svegliata? Stavi dormendo? >>.
Domanda retorica.
<< No, mamma. Mi piace tenere gli occhi chiusi e pensare, non lo sai? >> esclamai, sarcastica.
<< Scusami. Ho visto che ti agitavi e mi sono preoccupata... incubi? >>.
Non le avevo mai raccontato di quel sogno che animava costantemente le mie notti.
Controllava già gran parte della mia vita da sveglia: almeno di notte volevo sottrarmi a quella sua spasmodica necessità di controllo e iperprotezione.
<< No, nulla >> la rassicurai, rivolgendole uno dei miei soliti sorrisi falsi e patinati.
Passai agilmente dal sedile posteriore a quello anteriore, alla sua destra, ed estrassi dal vano portaoggetti una bottiglietta d'acqua e una confezione di biscotti.
<< Che ora è? >> mi informai, sgranocchiandone alcuni.
<< Quasi le sei del mattino >> rispose, sospirando sonoramente. << Ma sta tranquilla, siamo quasi arrivate >>.
Certo.
Chi non starebbe tranquilla dopo ennesimo trasloco, sapendo che questa volta la meta sarebbe stata una città sconosciuta, a malapena citata sulle mappe?
<< Spero che questa sia l'ultima volta >> commentai, rivolgendole le spalle e guardando fuori dal finestrino.
Lo facevo sempre.
Era una sorta di passione che avevo: osservare frammenti delle vite altrui rendeva meno deprimente la mia, probabilmente.
Avevo solo diciassette anni, ma nella mia vita avevo visto più città e paesi di chiunque altro.
A mia madre non andava mai bene nessun luogo, motivo per cui, dopo uno, al massimo due mesi, decideva così, arbitrariamente, di fare le valigie e partire verso una nuova destinazione.
Inutile dire che la mia vita sociale era praticamente ridotta a zero.
E mio padre...
Be', lui ci aveva abbandonate già da diversi anni, quando ero solo una bambina.
Non che mi mancasse, anzi: il non averlo mai conosciuto mi aveva portata ad idealizzare la sua figura, rasentando l'inverosimile.
Cercavo in lui la perfezione che non vedevo in mia madre, né tantomeno in me.
Ero convinta che se ne fosse andato per inseguire qualcosa di più importante di una stupida famiglia.
<< Hai preso la pillola? >>.
Mi voltai verso mia madre e la osservai, pensierosa.
La pillola.
Quella era una delle poche cose che le interessassero di me.
Le domande che mi rivolgeva si riducevano alle canoniche "hai mangiato?", "hai studiato?", "hai dormito bene?" e "hai preso la pillola".
Aprii la zip dello zaino e tirai fuori il flacone, versandone fuori una compressa ed ingurgitandola controvoglia.
<< Sì >> mi limitai a rispondere.
Sapeva benissimo che detestavo essere controllata come una poppante.
<< Questa sarà la volta giusta, me lo sento >> dichiarò, risoluta.
Le sue parole suonavano come un déjà-vu, chissà perché.
<< Sì >> borbottai distrattamente, voltandomi verso il finestrino ed immergendomi nuovamente nei miei pensieri.
Sapevamo entrambe che non sarebbe stato così.
   
 
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