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Autore: pandaisia    30/01/2016    6 recensioni
La luna piena risplendeva nel cielo notturno, punteggiato di pigre stelle come una coperta è punteggiata di argentei ricami, riflettendosi sulle lacustri terre circostanti. Non s'udiva il richiamo degli uccelli e le bestie poco lontane riposavano tranquille nei propri recinti: qualche contadino incauto aveva lasciato che il proprio cane entrasse nell'angusta capanna, ed ora latrava a momenti alterni come a contar le ore prima dell'alba. Lì, sulla sponda orientale di Lago Rosso, sedeva immobile la donna dai crini color delle fiamme.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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SIRJA DEL PICCO DEI DANNATI
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irds are silent for the night




Era ancora ferita e dolente, quando entrò nella vecchia locanda gremita di viandanti. Uno in più, uno in meno, di certo non avrebbe fatto la differenza per il vecchio oste con un occhio solo. Quella sola pupilla iniettata di sangue, tuttavia, la intercettò ancor prima che potesse sedersi su uno degli sgabelli liberi davanti al bancone. Sanguinava copiosamente, la donna dall'animo immondo, inzuppando la nera cappa che le copriva i tratti del volto e nascondeva il femmineo corpo da condottiera. Ciò che più desiderava, era lavarsi via il sangue e bruciare le ferite che l'orrida bestia le aveva provocato coi suoi lunghi artigli.

« Andatevene. » Gracchiò l'oste: in mano reggeva una caraffa di vino mezza piena, che non le avrebbe di certo offerto. Lo sguardo della fanciulla si fece di fuoco, tagliente come il pugnale che nascondeva nello stivale sinistro. Avrebbe potuto infilarglielo nella gola, ed allungare quel vecchio vino puzzolente con il suo sangue.

« Mi rifiuto! Posso pagare! » Sibilò la donna, facendo tintinnare il piccolo sacchetto di pelle in cui teneva le monete. Il vecchio lo guardò, storse la bocca e scosse il capo: no, non avrebbe accettato comunque.

« Non vogliamo cacciatori di streghe, qui dentro. Benché meno cacciatori di streghe in gonnella. » La sbeffeggiò, spingendola verso la porta da cui era entrata. Le disse di non farsi più vedere, di togliersi dai piedi. Di appestare altro luogo ma non la sua preziosa locanda. Le disse che quello non era posto per lei, e le richiuse la porta alle spalle ringhiando improperi contro di lei e tutta la stirpe femminile della di lei famiglia. La donna non oppose resistenza, comprendendo d'esser per quei popolani soltanto l'ennesima arraffona che prometteva di liberarli dal male insito sotto le fronde degli alberi ed i portici del mercato.

Sirja aveva orecchie a punta come quelle di un elfo dei boschi, e lunghi canini simili a quelli dei lupi, occhi blu scuro ed il naso all'insù come una naiade. Ma Sirja era un'umana, e nulla più. Nessun potere speciale, nessuna capacità innata, niente di niente.

Solo la propria forza.

Nata dal ventre di una povera contadina dall'ignoto marito, venduta ai mercenari neppure un anno dopo, cresciuta coi capelli tagliati corti e la convinzione di essere un maschio mancato per i brutti modi con cui era stata educata.

Era figlia della violenza, solevano ripetere quelli che l'avevano comprata per dieci pezzi d'argento, e lo dimostravano i suoi folti capelli, rossi come la sciagura degli uomini. E la sua lingua lunga e biforcuta.

Le piaceva parlare, dichiarare i propri intenti con sprezzante divertimento, quando si ritrovava invischiata nel sangue arterioso dei propri nemici sino ai gomiti. E Sirja, di nemici, ne aveva così tanti da non poterli contare sulla punta delle dita. Briganti ed immonde creature figlie degli incubi più fantasiosi: tra loro, le streghe e gli stregoni di cui pareva andar ghiotta.

La luna piena risplendeva nel cielo notturno, punteggiato di pigre stelle come una coperta è punteggiata di argentei ricami, riflettendosi sulle lacustri terre circostanti. Non s'udiva il richiamo degli uccelli e le bestie poco lontane riposavano tranquille nei propri recinti: qualche contadino incauto aveva lasciato che il proprio cane entrasse nell'angusta capanna, ed ora latrava a momenti alterni come a contar le ore prima dell'alba. Lì, sulla sponda orientale di Lago Rosso, sedeva immobile la donna dai crini color delle fiamme.

Sirja attendeva silenziosa che i fuochi venissero accesi, sulla sponda opposta del placido specchio d'acqua. Allora, sapeva, si sarebbe mossa silenziosamente con gli altri cacciatori per porre fine alla vita delle streghe durante l'orgiastico sabba in onore del diavolo.

Al suo fianco, Devran Occhio di Falco l'aveva raggiunta quatto, osservando l'orizzonte con fare impaziente. Affilava la sua spada, la lisciava con un panno umido e tornava ad affilarla. Di tanto in tanto, tuttavia, si sentiva sbuffare il più giovane dei tre: Loraq di Scudo Alto detestava attendere, ed ancor più detestava attendere al buio e al freddo, con lo stomaco vuoto per colpa di un oste marrano e di una donna come comandante. Benjen e Donald la Donnola se ne stavano zitti, appostati sugli alberi sopra al trio.

« Smettila. » Furono le uniche parole che la Sirja rivolse al ragazzo: egli non smise di lamentarsi però, e ricevette come giusta risposta una gomitata sul naso. Nei concitati momenti che seguirono quella baruffa, i primi fuochi presero a brillare timidamente intorno ad una contorta quercia dai rami nodosi ed il tronco cavo: ivi, raccontavano gli abitanti di quel piccolo villaggio di pescatori e contadini, le streghe dai lunghi capelli e le zanne aguzze dimoravano in compagnia di alcuni stregoni. Compivano rituali sotto le stelle, rapivano infanti, profanavano giovani vergini e si accoppiavano alla luce del sole come cani in calore.

Tra gli orridi stregoni, le aveva confidato una vecchia signora dall'aspetto rugoso e rappreso, ve n'era uno in particolare che incuteva timore a buona parte delle donne del villaggio: il suo nome era Belail, e si vantava d'avere almeno mezzo secolo di scorrerie al suo attivo. Di essere un profanatore di tombe, un demoniaco mostro capace di infestare i sogni del mondo intero. Egli vestiva di nero, e Sirja sapeva che sotto la sua cappa v'erano occhi blu e zanne da lupo.

Belail era la preda che la cacciatrice braccava da almeno quindici anni, e che aveva inferto numerose delle ferite che portava sul corpo tutto muscoli. Con un gemito, s'alzò dalla propria postazione e fece cenno agli altri di muoversi. Rapidi e silenziosi, i cinque si mossero ai margini della strada battuta, intercettando coi propri passi piccoli cespugli e tronchi cavi ormai popolati di piccole creature del bosco: Benjen e la Donnola guizzavano da un albero all'altro con agilità, mentre Devran andava in avanscoperta lungo la strada.

I canti al demonio iniziarono a farsi chiari e blasfemi quando ormai il rosso delle torce illuminava il terreno lì dappresso, ed i cinque rimasero silenziosi tra le fronde loro protettrici.

Quattro donne vestite d'abiti succinti danzavano intorno alla vecchia quercia, illuminata a giorno da piccole e grandi lanterne: dinnanzi all'albero v'era un uomo senza vestiti, col volto incorniciato di capelli neri come la pece. Aveva gli occhi chiusi, le braccia spalancate, il volto tramutato nell'espressione dell'estasi più pura. A formare un pentacolo di cui egli era il fulcro, cinque stregoni osservavano le danze con libidinoso interesse.

Egli gridava, e le sue grida si levavano alte perdendosi tra i canti delle streghe al suo cospetto.

Un cenno della testa, e la cacciatrice diede il via alla carneficina: avevano studiato quel piano con attenzione, ed ella aveva insistito perché venisse ripassato ogni giorno sino alla luna piena. Sino a quella notte.

Appostati in alto, laddove era quasi impossibile scorgerli nel buio notturno, due cacciatori tesero i propri archi nel medesimo momento in cui Loraq e Devran s'avvicinavano alle spalle di due stregoni.

Scoccarono i propri dardi di ferro.

Pugnalarono loro la schiena con lame di ferro.

Grida di dolore, lamenti e stridii, fendettero l'aria notturna e Sirja se ne nutrì: i canti delle donne cessarono all'improvviso, mentre i mostruosi stregoni tramutati in demoni si dibattevano ora a mezz'aria, ora strisciando sul terreno come orridi vermi tra le carni dei cadaveri.

Belail spalancò gli occhi, furibondo, cercando in ogni dove i fautori di quel massacro: li percepiva, li fiutava, ma cieco della potenza del sabba non li vedeva: se li avesse trovati, li avrebbe uccisi squartandoli come vitelli.

« Mie serve! Serve del demonio! » Esclamò, la voce tronfia vibrò nella fredda aria notturna.

« Non abbiate paura, gli infidi umani non avranno la vostra vita. » Aggiunse, ridendo sguaiato.

« Non sono che formiche! Che lombrichi. » Le streghe annuirono, e risero prostrandosi ai suoi piedi. Egli, incapace di trovare i colpevoli del macello, non si diede per vinto. Non si azzittì, invece sollevò solenne le mani verso l'alto invocando la forza del proprio signore.

« Chi ha fatto questo? Ditemelo! Scopritelo! » Esortò le donne desnude, che gridarono il proprio assenso: in uno scricchiolio sinistro d'ossa e di pelle, queste si privarono delle proprie vesti e divennero arpie dai lunghi artigli. La pelle si fece cianotica, le ossa apparvero diamantine sotto la carne sottile, e lunghe zanne apparvero al posto dei denti in sorrisi malevoli ed assassini. Lunghe code striscianti lambirono i loro fondo schiena, e non vi furono più parole ma solo urla disumane.

In quel momento, i quattro uomini al servizio della cacciatrice sopraggiunsero alle di lei spalle: Devran, Loraq, Benjen e la Donnola reggevano in mano pugnali ed archi, soppesando l'idea di metter fine a quel creato di mostri e raccapriccianti visioni. La donna annuì, sollevò il capo e si liberò della pesante cappa che indossava: il braccio ferito saettò ad afferrare la lunga spada di ferro che portava al fianco, ed una cascata di ribelli ciuffi ramati ondeggiò ben oltre le sue spalle. Sirja del Picco dei Dannati si fece avanti.

« Sono stata io, Belail. » La sentirono dire, mentre s'apprestava ad entrare nel cerchio diabolico. Le arpie soffiarono, una venne colpita da un dardo dritto in fronte, e furono pochi gli attimi che trascorsero prima che iniziasse a schiumare, a sputare sangue: le fattezze, mentre giaceva morente sul terreno, tornarono umane.

« Chi? Chi osa pronunciare il mio nome? » Gridò lo stregone, ed intercettando i tratti della donna dai fulgidi capelli di rame scoppiò in una fragorosa e bestiale risata di scherno. Sirja serrò la mascella, strinse più forte la spada che reggeva nella mancina, e soffiando lo accusò d'essere un mostro. Egli rise ancora, più forte, ghermendo la sua presenza con fare mellifluo e tentatore.

Alle spalle della donna, anche i quattro uomini si mostrarono nelle loro cappe nere ed argentee: le arpie furono su di loro. Lame e coltelli ferirono carni e tagliarono dita, così come gli artigli cavarono occhi e dilaniarono gole. Le serve del demonio attaccarono in branco, come lupi che infieriscono sulla propria preda, ed i cacciatori di streghe bruciarono i loro corpi col fuoco e col ferro, col sale e con l'acqua benedetta dai chierici del piccolo paese. In lontananza, rinchiuso nella cappella della piccola chiesa, l'uomo devoto a Dio pregava per la vittoria degli uomini ascoltando le grida provenienti dalle sponde del Lago Rosso.

Belail spalancò le braccia, ridente come un giovane fanciullo, ed il vento scostò i suoi lunghi capelli neri mostrando una lunga cicatrice pallida che gli divideva in due il volto. Sirja la vide, sorrise, sollevò la spada e gli chiese di pronunciare le sue ultime parole. Lo faceva ogni volta, ed ogni volta non era l'ultima.

« Sai dirmi che sera è questa, mia adorata? » Domandò invece lo stregone, tracotante nel suo atteggiarsi a Signore delle Tenebre dinanzi ad un'indegna umana armata solo di spada.

« La sera in cui tu morirai, mio caro padre. » Soffiò la donna, prima di scoccare il mortal attacco.

   
 
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