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Autore: Egomet    18/03/2009    1 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ora di arte non era mai stata tanto noiosa quanto quella di quel giorno. Francesca si guardava attenta e scrupolosa nello specchietto ben nascosto dietro l’astuccio, aggiustandosi i capelli con cura e infilandosi un piccolo fermaglio per fare stare ferma quella frangia bionda che non voleva saperne di lasciarla in pace.
La ragazza dai capelli neri accanto a lei, sviando lo sguardo della professoressa, si protese verso di lei.
-Per chi ti fai bella?- domandò curiosa, senza mancare di darsi lei stessa un’occhiata nello specchio.
-Devo andare a fare una cosa con uno, dopo scuola-
-Hai trovato quel ragazzo?-
-Sì-
L’altra scattò su.
-E non mi dici niente? Cosa ti ha detto?-
Francesca era concentrata per rendere carina quella capigliatura dritta e liscia che si trovava in testa. Come invidiava i bei riccioli scuri dell’amica.
-Non voleva crederci, ma alla fine mi ha ascoltato-
-Gli hai già detto cosa vuoi fare?-
A questa battuta lei si irritò, come le succedeva facilmente.
-No, e non ne ho l’intenzione. Tanto i maschi sono tutti così stupidi che farà il mio gioco senza accorgersene-
La sua amica non fu così stupida da replicare.
-Come va?- disse alludendo alla pancia della bionda.
-Ho vomitato solo una volta questa settimana. E per sfortuna, ca**o, proprio quando c’era lui. Mi ha chiesto cosa avevo e gli ho risposto che era solo mal di pancia. Così ora mi tocca pure mangiare in bianco, quando invece ho una fame…-
Un ultimo filo biondo finì imprigionato nella morsa di quell’unico fermaglio, e Francesca sorrise per questo soddisfatta.
Suonata la campanella e scesa rapidamente nel cortile, avvistò quello stesso ragazzo col cappello calato che un paio di settimane prima aveva il potere di farle battere fortissimo il cuore. Non era proprio il momento di mettersi ad urlare (perché lo avrebbe fatto di sicuro) contro di lui perdendo tempo prezioso, così svicolò infilandosi fra la calca che affollava il cancello.
Sgusciò via inosservata e si incamminò a passo veloce verso il bar.
Chissà se quel ragazzo sarebbe venuto.
Davide per l’appunto stava seduto a braccia incrociate sulla panca fuori dal locale, imbronciato si domandava che esito avrebbe avuto quella strana giornata. Già la sua notte era stata tormentata da una bionda di sua conoscenza, ed era abbastanza sicuro che anche il giorno avrebbe risentito della sua presenza.
La stava aspettando, controllando di tanto in tanto l’orologio al polso, avvolto nel giubbotto verde scuro.
Se non altro, sarebbe stato puntuale.
Erano l’una e venti: tra poco sarebbe arrivata.
Era immerso nei pensieri più strani, procurati da quella ragazzina la sera prima, e quasi non si accorse che un’altra ragazza lo stava chiamando.
-Davide?-
Silvia lo fissava dalla soglia della porta. Lui alzò lo sguardo per incontrare quello della mora, e il suo stomaco sprofondò.
Non aveva proprio voglia di parlare con lei.
Ma la ragazza gli si sedette accanto, incurante del suo stato d’animo.
-Cosa fai qui? Non sei a casa?- chiese.
-Sto aspettando una persona-
Poi preso dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, aggiunse
-Una ragazza-
Silvia lo osservò incuriosita.
-Quella ragazza bionda con cui ti ho visto parlare ieri? È la tua ragazza?-
Quelle parole lo nauseavano peggio dell’odore di vino della cantina. Scosse la testa.
-Ma che dici? È solo un’amica-
-Quanti anni ha?-
Lui scattò infastidito da tutta quella invadenza, si strinse nelle spalle e borbottò
-Uno ora non può nemmeno farsi i fatti suoi?-
La mora rimase stupita da quel suo atteggiamento restio e poco socievole. Inarcò un sopracciglio.
-Va bene, scusa… non volevo dire nulla. Ci vediamo stasera-
E si allontanò indispettita, sotto lo sguardo imbronciato di lui.
-Str***a- le sibilò senza farsi udire.
Come se non bastassero i suoi pensieri doveva complicarsi pure la sua vita sentimentale.
Francesca lo osservò per un po’, incerta se chiamarlo o meno. Lo aveva visto scambiarsi qualche parola con quella cameriera, e poi lei se n’era andata via; lui pareva arrabbiato.
-Davide?-
Un tono di voce diverso, più limpido attirò la sua attenzione.
Fissò la biondina che stava in piedi davanti a lui, con lo zaino piccolo sulle spalle, il giubbotto bianco aperto.
Subito si alzò, superandola in altezza. Cambiò l’espressione che aveva da arrabbiata ad incerta.
-Andiamo?-
Lei annuì e incominciò a camminare.
Dopo un po’ che procedevano in silenzio, lei commentò
-Non credevo saresti stato puntuale. Pensavo mi avresti piantato in asso-
Davide scrollò le spalle, finto indifferente.
La verità era che quella storia lo aveva fatto stare in pensiero e ora voleva vederci chiaro; dopodiché avrebbe deciso il da farsi.
-Non sono così bastardo sai?-
Lei alzò velocemente gli occhi al cielo senza farsi vedere.
 
La clinica era a pochi passi dalla scuola; era piccola e vi lavoravano pochi medici, ma non aveva pensato ad altro posto dove poter chiedere aiuto.
Entrarono dentro, avvicinandosi alla dispensatrice di informazioni.
-Cosa posso fare per voi?-
La bionda parlò, alzandosi leggermente sulle punte.
-Mi chiamo Francesca Daniele. Ho un appuntamento col dottor Martino- disse facendosi rossa.
L’assistente controllò le carte che aveva nascoste sul bancone, poi si alzò.
-Ora ve lo chiamo-
E si allontanò di corsa.
Davide la guardò perplesso.
-Scusa ma i tuoi? Non si preoccuperanno se non torni a casa a mangiare?- chiese.
-Fatti miei- rispose lei, poi si sedette su una seggiola, aspettando il dottore.
Lui la imitò, osservandola. Perché doveva essere così?
Notò che sbuffava spesso, e batteva il piede contro il pavimento.
Si mordicchiava morbosamente il labbro inferiore e continuava a gettare occhiate alla porta di una stanza.
-Cos’hai? C’è qualche problema?- domandò stavolta con più gentilezza.
-Nessun problema-
Fece un lungo e rumoroso sospiro, poi si abbandonò al piccolo schienale, raggomitolandosi e mettendo le gambe sul sedile.
-Mi prendi qualcosa da mangiare per favore?- domandò porgendogli delle monete.
-Cosa vuoi?- fece il ragazzo alzandosi.
-Tutto va bene, sto morendo di fame-
Dopodiché appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.
Davide le comprò una merendina qualsiasi, poi tornò al suo posto.
Nel frattempo la porta che stava osservando prima lei si aprì, e ne uscì un uomo alto, dai capelli lunghi e col camice sbottonato.
-Ciao Francesca- sorrise nella sua direzione.
La bionda si rizzò immediatamente e si mise composta.
-Buongiorno- mormorò.
-Come va? Tutto bene?- porse la mano prima a lei e poi a Davide, che la strinse sospettoso.
-Abbastanza-
-Allora, c’era qualcosa che volevi dirmi?-
-Veramente sì, una ci sarebbe-
-Andiamo nel mio studio, vieni….- sorrise lui, e la condusse verso la porta da cui era uscito.
Francesca si voltò a guardare Davide che era rimasto zitto, bellamente ignorato da entrambi.
-Aspetta qui- gli disse piano per poi sparire dietro la porta insieme al dottore.
Ci mettevano un po’ troppo tempo quei due, a suo avviso, pensò mentre stava seduto silenzioso su quelle seggiole. E quel dottore gli aveva fatto una pessima impressione.
Finalmente poi uscirono, e non mancò di notare che la bionda aveva il viso tutto rosso, come quando ieri sera si era arrabbiata con lui.
Il dottore rivolse un sorriso anche a lui, che si alzò.
-Allora, dobbiamo solo farti un esame. Niente di preoccupante, se vuoi seguirmi-
Lui lo fece, e mentre la superava cercò di incontrare lo sguardo di lei, ma la ragazza teneva lo sguardo basso e andò a sedersi senza dirgli nulla.
Chiusasi la porta, perduto nei suoi pensieri non si accorse di quello che stava dicendo il dottore.
-………abbiamo bisogno di un campione dei tuoi spermatozoi per controllare che tutto vada bene. Potresti essere portatore di qualche malattia e potresti avergliela trasmessa. Ora, niente di cui preoccuparsi- ripeté, trafficando con degli strumenti sul ripiano.
Gli consegnò una provetta e gli spiegò brevemente cosa doveva fare.
Davide arrossì vistosamente.
Ma in che razza di situazione si era cacciato?
Fece un gesto con la testa per dire ‘va bene, se proprio si deve fare…’.
Il dottore gli indicò il bagno e lo fece entrare.
Davide, perplesso, non si mosse. Poi fece scattare la serratura.
Lo specchio che aveva davanti gli rimandava l’immagine sconcertata che aveva.
Negli ultimi giorni gli stavano capitando cose davvero strane.
Guardò la provetta che aveva in mano. Ma guarda tu…
Ma guarda tu cosa gli toccava fare.
Sbuffò seccato. Prima si inizia e prima si finisce.
Enormemente imbarazzato, si calò i pantaloni.
 
Aprì la porta del bagno e la richiuse, tornando nello studio. Con grande sorpresa c’era Francesca seduta ad una delle sedie. Quando lo vide il suo sguardo si posò immediatamente sulla fiala riempita che reggeva, e sorrise maliziosa.
-Ci hai messo poco tempo, Davi- commentò sfacciata.
Davi? Da quando in qua erano passati a così tanta confidenza?
Ma non poteva farla vincere stavolta.
-Come ben sai, i miei spermatozoi non sono affatto pigri-
Lei non ribatté perché in quel momento il dottor Martino entrò nella stanza. Sorrise quando vide il ragazzo porgergli la provetta.
-Molto bene, datemi giusto il tempo di controllare, cinque minuti…-
I ragazzi uscirono, Davide con la pancia che brontolava e Francesca togliendosi il giubbino bianco.
Si sedettero alle sedie nella sala, uno affianco all’altro.
-Senti…- cominciò il ragazzo.
-…qualunque cosa succeda dopo di questo… avrei una cosa da dirti-
-Spara- fece lei, mentre accaldata appoggiava il capo contro il muro e socchiudeva gli occhi, stanca.
-Penso che dovresti cambiare dottore- sussurrò lui.
-E perché?- lei voltò di un poco il volto verso il ragazzo.
-Non mi piace questo qua- abbassava la voce in modo da non farsi sentire.
-Che, ora sei pure frocio?- domandò lei strafottente.
-Non mi piace come ti guarda-
Francesca sbarrò gli occhi, voltandosi stavolta del tutto a guardarlo. Arrossì un po’, poi schiuse le labbra.
-Sei geloso?-
Davide si imbronciò e infilò le mani in tasca.
-Guarda che lo dicevo per te, sai?-
La bionda sorrise.
-Ma è successo qualcosa fra di voi?- domandò lui, sicuro di ciò che diceva.
La ragazza non rispose, mordendosi un labbro e continuando a tenere ostinata lo sguardo davanti a sé.
Forse lui si era spinto troppo in là, e magari non aveva voglia di rispondere; forse era troppo personale.
-Tieni- disse allungandole la merendina che le aveva preso prima.
Lei la afferrò mormorando un ‘grazie’.
L’aveva già finita quando il dottor Martino uscì dalla stanza, un gran sorriso stampato sul volto.
Quello stupido sorriso non faceva presagire nulla di buono, pensò il ragazzo.
Si mise davanti ai due, esitando a parlare.
-Allora?- lo incalzò Francesca.
-Complimenti, ragazzi- disse euforico –è sano come un pesce. Aspettate un bambino-
Il peso della notizia fece colare a picco la mascella del ragazzo che stette per un po’ così, con sguardo ebete.
-Ne è sicuro?- balbettò riprendendosi.
Quello annuì.
-Porca miseria…- imprecò.
Detto da lei era una cosa, ma sentirlo pronunciare dal dottore che lo aveva esaminato, era tutta un’altra cosa.
Fece scivolare una mano fra i capelli, per sostenersi la testa; sconsolato fissava il pavimento.
Francesca non sembrava particolarmente turbata dalla notizia, perché si infilò il giubbino e salutò molto fredda il dottore, alzandosi.
Sarebbe diventato papà.
-Andiamo a mangiare qualcosa?- chiese lei.
 
Qualche minuto dopo erano seduti al tavolino esterno di un bar, l’una che mangiava vorace il suo panino, e l’altro che aveva la testa fra le mani. Davide non aveva toccato cibo.
Non poteva levarsi dalla testa i pensieri che lo affliggevano.
Sarebbe diventato papà.
-Non lo mangi?- chiese la bionda, già pronta a rimediare.
Ma non le rispose.
-Davi?-
Stavolta alzò lo sguardo quando sentì il buffo modo con cui l’aveva chiamato.
Spinse da parte il panino, porgendoglielo.
Era tutto così assurdo.
-Ma non dici nulla?- incalzò Francesca mentre addentava anche l’altro panino.
-Cosa dovrei dire?-
-Stai per diventare papà- fece lei con un piccolo sorriso.
-Lo so- la voce si perse in un sospiro rassegnato, come di quelli che fanno i condannati a morte.
La ragazza lo fissava attenta, in attesa della sua reazione.
-Non posso crederci-
-Ora cosa pensi di fare?-
Lasciò andare il panino che stava mangiando per concentrarsi sulla sua risposta, ansiosa.
Lui ci rifletté sopra.
Era da un giorno che quella ragazzina lo stava preparando a quella notizia e lui l’aveva bellamente ignorata. Si sentì un po’in colpa per questo. E poi… la cosa strana era che non l’aveva affatto premeditato.
Guardò Francesca, seduta davanti a lui.
Non sapeva nulla di lei. Non sapeva quanti anni aveva, non sapeva se andava a scuola, se era brava. Non sapeva cosa ne pensava lei di quel suo bambino, non conosceva i suoi genitori. Non ricordava né la sua faccia, né alcun particolare di quella serata lussuriosa trascorsa con lei mesi addietro.
Non conosceva il suo mondo, e ora era stato catapultato al suo interno senza preavviso.
Aveva detto che era stata la sua prima volta.
Chissà come era stata; chissà se si era comportato bene; chissà se l’aveva fatta stare bene.
Ne dubitava un po’, perché a quanto gli aveva detto era ubriaco fradicio.
Ma stranamente non gli aveva rinfacciato nulla, si era solo e semplicemente preoccupata di fargli avere quella notizia.
Era una cosa da apprezzare.
-Beh, niente… dovrai andare a farti i controlli… ma non da quello lì-
-Ma perché no?- domandò la ragazza, riprendendo a masticare il suo pranzo.
-Te l’ho già detto. Tu……… lo hai detto a qualcuno?-
Francesca assottigliò le palpebre. La conversazione scivolava verso un argomento che non aveva voglia di trattare e si allontanava da ciò per cui lo aveva cercato.
-Sì. Ma tu, cosa hai intenzione di fare?-
Puntò gli occhi celesti nei suoi verdi, impedendogli di sfuggire il suo sguardo.
Era quella la risposta che le premeva di conoscere.
Davide ricambiò in silenzio l’occhiata che gli stava dando.
-I tuoi genitori cosa dicono?-
-Niente-
-Come niente?-
-Niente-
Non sembrava che avesse voglia di approfondire la questione, così lui lasciò perdere.
-Non posso tornare a casa, se continuo così. Se andiamo avanti tutti cominceranno a fare strane domande…- disse finalmente.
-Non gliel’hai detto?-
Lei scattò arrossendo a questa domanda.
-E che gli dico? Che sono incinta di uno che nemmeno conosco? Ma fammi il piacere-
Continuò a rimanere rossa in viso anche dopo, e subito per smorzare il suo imbarazzo afferrò la lattina di Coca-cola sul tavolo, la stappò e bevve un sorso lungo.
-Cosa vorresti fare? Prima o poi lo noteranno i tuoi genitori… insomma, quando…-
Francesca non rispose a quella affermazione. Giocherellò con una carta, poi lo guardò negli occhi.
-Non vuoi tornare a casa?-
-No-
Quella sillaba troncò la conversazione, e fece fermare entrambi a riflettere.
Poi dopo averci pensato su un bel po’, disse
-Se vuoi, io ti rispetterò. Puoi venire a stare da me per un po’, tanto io sono sempre fuori il giorno. Poi decideremo il da farsi-
La bionda alzò il capo, vittoriosa e il suo sguardo splendeva di soddisfazione. Era la risposta inaspettata che però arrivava molto gradita.
-Sul serio?- chiese per averne la conferma, un sorriso che già le spuntava sul volto.
-Beh…… dopotutto ce l’ho anche io delle responsabilità da prendermi in questa storia-
Pazzesca, aggiunse mentalmente.
-Puoi venire a dormire da me, se non vuoi tornare dai tuoi. Però non mi devi impicciare in nessuna faccenda. Trovati una scusa o quello che ti pare, ma non mi mettere nei casini, che già…-
-D’accordo, d’accordo, non c’è problema- fece lei, sovrappensiero.
-Devo andare a casa a prendere le mie cose, però. Tu hai una macchina? Tanto quello che mi porto è solo una valigia-
Lui annuì.
 
Francesca stava racimolando tutte le sue cose in uno zaino consumato che aveva trovato da qualche parte; ci gettò dentro una fotografia, facendo attenzione a non farla piegare. Poi qualche reggiseno che non entrava in valigia, una felpa con la cerniera, e lo chiuse.
La valigia era già pronta, sistemata vicino la porta, e lui era sotto con l’auto che l’aspettava.
Si fermò sulla soglia a guardare la casa.
Chissà come sarebbe stato, si domandò, se avesse avuto davvero dei genitori a cui confidare quel piccolo segreto che cresceva nella sua pancia.
Purtroppo, si ricordò malinconicamente, lei genitori non ne aveva.
Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto dirlo a nessuno. A meno che non si considerasse qualcuno quell’uomo alto, bello ed aitante che l’aveva adottata.
Ma lei non era sua figlia, né lo era mai stata.
Tutte le sue amiche la invidiavano.
-Che bell’uomo che è tuo padre!- dicevano.
A lei veniva da piangere a volte, sentendo quelle false parole.
Eppure lui non era un patrigno tanto male, aveva cercato di convincersene più volte, che  non le aveva mai fatto mancare nulla, che era pronto ad ascoltarla e ad aiutarla con la scuola.
Ma qualcosa di più potente, nel suo animo, nella sua testa, rifiutava di provare affetto per quell’uomo, arrivando a farla disgustare della sua presenza.
Certe volte odiava il suo sorriso gentile e le sue mani che accarezzavano i suoi capelli, come farebbe qualsiasi padre con sua figlia.
Ma lui non faceva parte della sua vita.
E andare via di casa era l’unico modo per farlo sparire.
Perché per lei, le persone che non le andavano a genio, dovevano sparire dalla sua vita.
E quale occasione migliore?
Scrisse due righe formali e con la richiesta di non cercarla, che l’avrebbe vista a scuola. Gli disse che andava a stare da una sua amica, tanto per infoltire la scusa.
Non aveva intenzione di farsi comandare ancora.
Staccò le chiavi di quella casa dal suo portachiavi e chiuse sbattendo il portone dell’appartamento.
 
La casa di Davide si trovava al terzo piano di un bel palazzo, e quando Francesca entrò pensò che le rassomigliava tanto ad un ristorante esotico.
Subito, appena entrati, si trovava il salotto.
Mobili di legno scuro, che poi erano solo una libreria e il mobiletto posto a reggere la televisione.
Un divano in pelle scura si trovava davanti a questa, ai suoi piedi un tappeto rosso.
Un lampadario in stile moderno si trovava all’angolo, acceso dato che si era fatta sera. Tutta la parete frontale era occupata da lunghe tende, rosse anche quelle.
-Eccoci qua- disse il ragazzo, vergognandosi un po’ per le cianfrusaglie sparse che non gli facevano fare certo una bella figura.
Avanzò portando la sua valigia in camera da letto. Francesca si guardò attorno sbalordita. Era proprio bella quella casa.
Guardò interessata il soprammobile di legno scuro posto sul mobiletto nero basso, una specie di corallo in legno, inciso da piccoli solchi. Che bello, si trovò a pensare.
Il tutto creava una certa atmosfera.
Girò la testa a destra e vide l’entrata per una camera.
Il letto era basso, con un lenzuolo bianco steso sopra. A parte un armadio e un comodino non c’erano altri mobili in quella stanza. Alla parete che dava sulla strada erano attaccate ancora quelle tende rosse.
Davide osservò la bionda per capire se le andava bene quella sistemazione.
-Come ti sembra?- chiese.
-Che bella- commentò lei guardando attenta la stanza.
-Dormirai tu qua, io mi metto sul divano- disse subito lui.
La ragazza non ribatté, ma si sedette di colpo sul letto. Era morbido, pensò. Accarezzò con una mano il lenzuolo perfettamente liscio, increspandolo come un’onda nel mare.
-Questo letto è abbastanza grande per tutti e due- disse, immersa nei suoi pensieri.
-Dici? Pensavo ti facesse schifo dormire con me-
-Tanto non mi toccherai-
-Non oserei mai farlo- precisò il ragazzo.
-Perché ti prenderei a pugni- proseguì la ragazza, senza ascoltarlo.
Poi si alzò, annuendo per confermare la sua approvazione.
-Okay, mi piace. È pure vicina alla scuola-
 
La luce della cucina era accesa e due ragazzi, seduti ad un tavolo spigoloso, mangiavano in silenzio il cibo che Davide aveva trovato in frigo.
Ovvero, due pacchi di wurstel insaporiti dal ketchup, un’insalata scondita.
Francesca mangiava in silenzio, senza lamentarsi.
Lui smise di mangiare e la osservò.
-Quanti anni hai?- domandò.
Lei alzò lo sguardo.
-Diciassette ad ottobre- disse, pulendosi il muso con un tovagliolo.
-E che scuola frequenti?-
-Lo scientifico. È vicino qui, non so se lo conosci-
-Sì, lo conosco-
Era tutto così strano.
Così inverosimile. Una pazzia, per farla breve. Solo l’altro giorno lui era uno scapolo che viveva nel suo bell’appartamento da solo, andava a lavoro e aspirava ad uscire con la bella cameriera che faceva impazzire i clienti del bar.
Il giorno dopo si era trovato una ragazzina in casa, estremamente determinata e poco propensa ad essere amichevole. E la cosa più grave era che questa ragazzina portava in grembo quello che probabilmente era suo figlio.
Era molto strano.
Dopo che ebbero finito tutto, il ragazzo gettò i piatti di plastica che aveva usato e infilò le posate in lavastoviglie.
Francesca si era seduta, quasi sdraiata sul divano, e stava giocando con quello che c’era nel suo zaino. Invitò il ragazzo a raggiungerla accanto a lei.
Lui lo fece, ma stette zitto.
Non aveva idea di cosa dirle.
Non sapeva se doveva scherzare, se doveva fare domande o di che accidenti dovesse parlare.
Non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione simile.
Si schiarì la voce per spezzare il silenzio.
La ragazza sbadigliò e si appoggiò contro lo schienale, chiudendo gli occhi.
-Se hai la fidanzata diglielo che tu questo figlio non lo vuoi e che io non sono qui per entrare nel tuo letto. Non intendo farmi dare della pu**ana e se non vuoi che le rompa qualcosa a pugni prendi le precauzioni-
-Tanto non ce l’ho la donna-
-Lo immaginavo- commentò lei.
A questa frase lui si accigliò.
-E perché mai?-
-Uno che in discoteca va con una di sedici anni non deve avere molte risorse-
Teneva sempre gli occhi chiusi e aveva un’insopportabile aria di superiorità che fece andare fuori dai gangheri Davide. Dopotutto era lui il maggiore fra di loro.
-Ti ricordo che ero ubriaco. Molto ubriaco- marcò bene la parola.
Lei non accolse la provocazione, limitandosi a fare un sospiro stanco.
Ci fu una pausa di silenzio, poi la bionda disse
-Dicevi sempre Silvia-
Il ragazzo non afferrò subito il senso della frase.
-Come?-
-Dicevi sempre il suo nome, mentre facevamo l’amore-
Lui arrossì distogliendo lo sguardo da lei.
-Chi è, la ragazza che ti piace?- domandò con una punta di sarcasmo Francesca.
-No-
-E allora perché dicevi il suo nome?-
-E che ne so io- fece lui, sempre più imbarazzato.
Maledetta Silvia che rompeva le scatole anche quando non c’era.
Poi ripensò alle parole che aveva detto lei. Ciò significava che aveva consumato un rapporto con lei pensando ad un’altra. E questo era terribile per qualsiasi persona.
Voleva scusarsi, ma non sapeva cosa dirle. D’altronde, non sembrava avere molta importanza per lei, così lasciò perdere.








Grazie a chi ha recensito il primo capitolo, i vostri commenti mi hanno fatto molto piacere.
  
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