XIV
IMPERITURO
“Keros..tu e papà avrete dei bambini?” domandò Azlan, pasticciando con latte e biscotti.
L’intera compagnia si era appena destata e stava facendo colazione. Il piccolo, con questa domanda, aveva rotto il silenzio assonnato che si era creato.
“C..come?!” farfugliò Keros, convinto di non aver ben capito.
“Una volta ho chiesto a mamma come nascono i bambini e lei mi ha detto che quando due persone si vogliono tanto ma tanto bene..poi i bambini arrivano! E visto che tu vuoi tanto ma tanto bene al mio papà, e gli dai i bacini come fa la mamma, allora avrete dei bambini. No?”.
“Hem..ecco..”.
Keros si guardò attorno, in cerca di un qualche aiuto da parte dei presenti, che però non sapevano bene che dire.
“Azlan!” riuscì finalmente a parlare Arles “Non funziona proprio così. Vedi..ha ragione la mamma, ma per fare bambini ci vuole il maschietto e la femminuccia. Capisci?”.
“Ah. Quindi Keros potrebbe fare i bambini con la mamma!”.
“Oh santo me stesso..hem..ne riparliamo dopo il torneo, ok?”.
“E tu e Keros vi sposerete?” domandò invece Faram.
“Hem..”.
“Il principe sposa sempre la principessa di cui è innamorato. Se siete innamorati, vi dovete sposare. Tu e la mamma siete sposati ma tu e Keros no. È perché ami più la mamma di Keros?”.
“Non faccio questi paragoni, bambina mia. Sarebbe come chiedermi chi fra di voi, figli miei, preferisco. E non posso sceglierne uno, voglio bene a tutti allo stesso modo”.
“Quindi sposerai Keros? Così io potrò vestirmi da principessa? E fare da damigella?”.
Il Dio ed il mezzo demone si lanciarono uno sguardo lievemente preoccupato: la conversazione stava degenerando.
“Papà..” continuò sempre Faram “..ma io dovrò aspettare il mio principe o la mia principessa?”.
“Beh..intanto: non aspettare. L’amore arriva quando meno te lo immagini e stare ad aspettare è del tutto inutile. E poi..che differenza fa? Che sia principe, principessa, demone, angelo, bianco, nero, fuxia, verde, alieno..che differenza fa? Mi auguro che tu possa provare l’amore che ho avuto la fortuna di provare io. Non importa verso chi questo amore verrà rivolto. Se sarai felice, e innamorata, bambina mia..tutto il resto non conterà”.
“Voglio proprio vedere” ironizzò Deathmask “Oh sì, non vedo l’ora di vederti al suo primo appuntamento..”.
“Keros, non vuoi sposare il mio papà?” insistette Azlan.
“Io..sono un demone. I demoni non si sposano”.
“Ma sei anche un angelo”.
“Mi risulta che manco gli angeli si sposino..”.
“Hai paura di stufarti?” suppose Iravat, con un ghigno quasi malefico “Dopotutto, sia tu che mio padre vivrete ancora dei millenni, se non vi fate ammazzare. Ed un legame come il matrimonio..durerebbe troppo a lungo?”.
“Se io potessi firmare un contratto in cui mi si dice che dovrò restare qui altri 6000 anni, o più, lo firmerei all’istante. Non è il tempo che mi spaventa. È il semplice fatto che..tuo padre è il marito di Eleonore. Io sono il suo demone, il suo angelo, il suo servo..sono tante cose..ma per il mio modo di vedere il mondo, per come sono stato cresciuto, non serve di certo che qualcuno mi dichiari in eterno legato a lui, perché lo sono già”.
“E se lui dovesse morire? Rimarresti qui con noi?”.
“Non lo so. Preferisco non farmi domande del genere”.
“Possiamo fare colazione e pensare ad altro?!” interruppe Arles “L’arena ci aspetta! È già tardi! E cosa cazzo è questo suono fastidiosissimo?!”.
“Papà
ha
detto: cazzo!” si indignò Azlan.
“Parli
di
questo?” sorrise Aiolia, mostrando un ciondolo che terminava
con un
campanellino “Me lo ha regalato Marin. Dice che porti
fortuna”.
“Ha
un
suono che ti trapana il cervello!”.
“Non
esagerare!” rise Eleonore “A me piace. E non dire
le parolacce davanti ai
bambini!”.
“Ma
è vero!
È tremendo!”.
“In
effetti..” convenne Keros, concedendosi l’ultimo
biscotto “..anche a me da un
certo fastidio”.
“Mi
ha
detto che serve a tener vicino a me l’angelo
custode” spiegò ancora il Leone.
“È
un
fottuto chiama angeli!” sibilò Arles.
“Papà
ha
detto: fottuto!” rise Faram.
“Ary!”
si
accigliò Eleonore “Dovrei lavarti la lingua con il
sapone!”.
“Sì,
è un
chiama angeli” alzò un sopracciglio Aiolia
“Che problema c’è?”.
“Hai
presente i fischietti per cani? Tu lo usi e odi solo un fischietto
normale, un
cane sente una specie di rottura di coglioni che gli martella le
tempie. E sì,
papà ha detto: coglioni!”.
I
bambini
risero ed Eleonore colpì il marito dietro lo nuca con un
cucchiaio di legno,
minacciandolo.
“Perciò
se
non lo agiti troppo, ci fai un favore” concluse Keros, mentre
Arles veniva
colpito di nuovo.
“Capito”
rise il Leone.
All’arena,
come sempre, c’era un gran baccano. Apollo stava per
annunciare gli scontri
successivi ed erano tutti curiosi ed impazienti. Arles ed i gold, in
particolare, attendevano di sapere cosa gli aspettava. Il Dio
organizzatore
delle sfide si era alzato, e si apprestava a parlare, quando una risata
familiare interruppe il discorso sul nascere. Il terreno
vibrò e, assieme ad un
incessante rumore di catene, un uomo altissimo comparve
all’anfiteatro. Aveva
l’aria anziana e la sua pelle era scura. Immediatamente,
molti Dei o
riconobbero e la risata si ripeté.
“Fratellino”
parlò una voce, il cui proprietario comparve poco dopo
“Posso far partecipare
un amico ai giochi?”.
“Ares!”
ringhiò Apollo “Lo sapevo che eri un coglione, ma
da qui a liberare Cronos e
condurlo qui..”.
“Non
mi
ringraziare” ghignò il Dio della guerra
“Vi aiuto a superare le vostre fobie. So
bene che cosa temono gli Dei, più di ogni altra cosa: il
tempo che corre. La
vecchiaia. È per questo che l’ambrosia ve la
trincate come non ci fosse un
domani”.
“Che
cosa
vuoi? Perché devi portare scompiglio in una tale situazione?
Dove riusciamo ad
agire in pace e con il rispetto reciproco?”.
“Patetico
idiota. Non distingui la realtà dalla finzione, la
lealtà dall’inganno. Siete
forse incapaci di combattere sul serio, senza di me? Ad ogni modo..il
qui
presente Cronos vorrebbe sfidarvi. Se c’è qualcuno
con le palle che accetta la
sua sfida. In caso contrario..che succede? Vince lui? Diviene re
dell’Olimpo?”.
Gli
Dei si scambiarono
degli sguardi preoccupati. Non volevano che l’ancestrale
Cronos vincesse, ma
nessuno di loro aveva il coraggio di raccogliere la sfida. Sapevano
che, con il
minimo errore, rischiavano di divenire polvere nella clessidra del
tempo. Un
vociare sommesso e lievemente spaventato correva fra le scalinate. Il
Dio delle
illusioni non comprendeva del tutto ma ricordava bene come i suoi
figli,
Tolomeo ed Ipazia, avessero perso preziosi anni della loro
gioventù per colpa
di quella creatura. Non ci teneva di certo ad invecchiare e morire, ma..
Inaspettatamente,
Hermes si alzò in piedi e puntò il suo bastone
contro Cronos.
“Io
raccolgo la tua sfida” esclamò “Non ho
paura di te. Il tempo corre, è vero,
però io..corro più veloce di lui!”.
“Hermes,
fratellino!”
si allarmò Artemide “Sei sicuro di quello che
fai?”.
“Ma
certo,
sorella. Tranquilla. E tu, Ares, preparati: perché dopo
toccherà a te!”.
Il
Dio
della guerra rise di nuovo. Arles lo osservava attentamente, cercando
di capire
la verità. Il Dio alzò lo sguardo e gli sorrise.
“Sei
ancora
vivo, ragazzo. Complimenti” commentò
“Ridammi l’elmo, per favore. A te non
serve. E non temere: una volta archiviata questa piccola sfida, la
sistemo la
faccenda con te ed il tuo amichetto impiccione. Solo che questa volta
vi stacco
la testa dal collo!”.
“Quello
non
è mio padre!” disse Eros, girandosi verso Apollo,
che però era impegnato ad
osservare i movimenti del fratello minore.
Hermes,
a
passo fiero, aveva lasciato la sua postazione e si era portato al
centro
dell’arena. Con un gesto di sfida, invitò Cronos a
fare altrettanto.
“Padre,
chi
è?” domandò Sadalta.
“Cronos”
gli spiegò Camus “Una divinità
estremamente antica, che molti confondono con il
titano Crono. È legato al tempo ma..credevo che gli Dei lo
avessero
imprigionato tanto tempo fa. Non pensavo che Ares avesse la forza
necessaria
per liberarlo!”.
“Il
potere
di Ares è terribile” commentò Kiki
“Anche se non comprendo i suoi intenti”.
“Non
possiamo fermarlo?” domandò Aiolia
“Mentre si svolge lo scontro fra Cronos ed
Efesto, lo possiamo bloccare!”.
“Non
penso
sia una mossa saggia” rispose Aiolos.
“Saggia
o
non saggia, ora vado là!” ringhiò Milo
“E lo prendo a ceffoni finché non mi
dice dov’è Mirina!”.
“Milo!
Calmati!” lo fermò Camus “Si tratta pur
sempre di un Dio! Rischi di scatenare
su di te le ire del resto della famiglia”.
“E
sai
quanto me ne frega?!”.
“Papà!”
sospirò Sargas.
“Ares!”
sbraitò Milo, alzandosi
“Dov’è mia moglie?!”.
“A
lavorare. Assieme a quella gran bagascia di sua madre”
ghignò il Dio della
guerra.
Lo
Scorpione
scattò in avanti, furioso, ma subito fu ricacciato indietro
dal vento provocato
da Hermes: lo scontro era iniziato, e non permetteva interferenze.
“Apollo!”
chiamò Arikien, girandosi verso il trono che aveva alle
spalle “Devo
raggiungere mio padre. Voglio capire!”.
“Calmati!
Ho dato ordine che non gli sia data la possibilità di
lasciare l’arena. Appena
lo scontro sarà terminato, lo spingeremo al centro
dell’anfiteatro e dovrà
parlare. Saremo tutti uniti questa volta, te lo prometto”.
“Pensi
davvero che sia veramente Ares a fare tutto questo!?”.
“No,
non
poteva liberare Cronos da solo. Ma non fa differenza. Che sia lui da
solo o se qualcuno
lo aiuta, o lo manovra, lo fermeremo e..”.
“Lascia
che
ci parli io. Lasciami avvicinare”.
“Dopo
quello che ha fatto l’ultima volta?!”.
“Fidati.
Devo avvicinarmi”.
“Va
bene.
Ma se sguainerà la spada, darò ordine di
ucciderlo”.
“Bene..”.
Con
i sandali
alati, Hermes fluttuava in aria. Cronos lo osservava, senza
espressione. Con un
gesto, fra le mani della divinità ancestrale comparve della
sabbia. Lentamente,
avvicinò le mani alle labbra e soffiò. La sottile
polvere si sparse,
arricciandosi e volando, prendendo la forma di migliaia di farfalle.
L’arena
rimase affascinata dinnanzi a quello spettacolo.
“Questa
cagata dovrebbe far paura?” alzò un sopracciglio
Lucifero, fissando una delle
farfalle che si avvicinava.
Anche
Mihael pareva perplesso. Le farfalle, volando, lasciavano dietro di
sé una
sottile polvere che risplendeva d’oro. Con il sole, questa
polvere lanciava
riflessi per tutto l’anfiteatro.
“Magnifico!”
sorrise Afrodite.
“Non
toccatele!” ordinò Arles ma ormai era tardi: molti
dei presenti avevano già
quella sabbia fra le mani.
Con
addosso
quella polverina, gli occupanti dell’arena iniziarono a
scorgere delle
immagini. Ognuno di loro poteva vedere qualcosa riguardante il proprio
passato,
presente o futuro. Questo risvegliò la paura. Quel che
rivedevano erano momenti
tremendi, infelici, spaventosi. C’era chi ricordava persone
care che perdevano
la vita, chi imperdonabili errori commessi e chi vedeva materializzarsi
i
peggiori incubi per il futuro. Il Dio delle illusioni in principio fu
avvolto
da ricordi legati al santuario. La sua vita da Gran Sacerdote,
l’angoscia ed il
senso di colpa. Tentò di non perdersi in quelle immagini,
che già diverse volte
aveva rivissuto nella testa. Sfruttando il suo potere,
riuscì ad allungare lo
sguardo ed andare oltre. Era circondato dagli altri occupanti
dell’arena, che a
loro volta erano circondati da visioni poco piacevoli. Ma
qualcos’altro
attirava la sua attenzione. Alle spalle di ogni singola creatura
presente,
iniziò a scorgere delle ombre, che divennero sempre
più nitide. Il primo che
riconobbe fu Shion. Alle spalle di Mur e Kiki, l’antico
Sacerdote e cavaliere
dell’Ariete osservava con tenerezza i suoi successori.
Accanto a lui, altre
armature d’oro. Arles non ne conosceva i nomi, salvo qualche
raro caso, ma
intuì che coloro che vedeva dovevano essere tutti i
cavalieri passati. Erano
sempre di più. Anche dietro alle divinità erano
comparse altre persone: Dei del
passato, a cui avevano rubato il posto, o reincarnazioni di varie
epoche.
Accanto a Lucifero e Mihael riusciva a vedere come erano prima della
guerra del
cielo, quando il demone era ancora uno degli angeli. Riusciva a
vederlo, mentre
probabilmente lui rivedeva la propria caduta e la separazione da
Sophia. E poi
vedeva tutte le creature da cui avevano acquisito degli aspetti, che
ormai
l’uomo aveva dimenticato. Le creature si moltiplicavano,
divenendo uno sciame
che si allungava all’infinito. Creando due file, che si
attorcigliavano in
cielo in spire sempre più sottili, Dei e mortali si
intersecavano. Come due
serpenti, uno di fronte all’altro, le file si intrecciavano.
Avvinghiati in un
corpo quasi unico, il Dio vide emergere due figure, il cui corpo era in
buona
parte composto da quella moltitudine di esseri del passato e del
presente. Le
due figure si osservavano e parevano danzare, in un imperituro
movimento
cosmico. Poi si fermarono di colpo, quando una terza figura comparve
dinnanzi a
loro che, avvolta da luce oro, spalancò le ali, le braccia e
tutti e quattro
gli occhi.
“Phanes..”
mormorò Arles “Ma..che cosa significa? Che cosa
sto guardando?”.
E
perché
quella specie di angelo pareva impedire a Keros di intervenire e
reagire?
L’unico
che
non era stato colpito dalla polvere, e che quindi aveva mantenuto una
certa
lucidità, era stato Hermes. Grazie alla sua
velocità ed alle sue ali, non si
era fatto coinvolgere in quell’attacco. Ignaro di quanto i
suoi colleghi
vedessero, continuava a cercare di colpire Cronos.
“Irritante”
sbottò Cronos, con voce inquietante “Non si
può sfuggire al tempo che scorre,
sai?”.
“Ci
sono
riuscito fin ora, cosa ti fa credere che mi fermi adesso?”
ridacchiò Hermes,
schivando un altro attacco con la sabbia.
“Sei
un
illuso”.
“Può
darsi.
Ma visto che tieni sotto controllo tutti i miei fratelli, è
compito mio sconfiggerti
per liberarli”.
“Non
potrai
mai farlo. Il destino è dalla mia parte”.
Ares
si
voltò, osservando suo figlio. Non era sotto
l’influsso delle visioni come gli
altri, stava vedendo qualcosa di diverso. Ma che cosa? Cosa passava per
la
testa a quello strano essere? Ebbe un lieve sussulto quando
notò che il Dio
delle illusioni si era alzato ed aveva girato gli occhi, lo stava
fissando. Lo
sguardo che gli rivolse lo fece rabbrividire per qualche secondo. Poi
il Dio
della guerra sorrise, mentre i suoi occhi mutarono.
“Mi
hai
trovato..” commento.
Hermes
era
stanco di correre, volare e fuggire. Sapeva di non poterlo fare
all’infinito,
ma Cronos si era avvolto nella sabbia e lanciava soffi verso il
più giovane dei
figli di Zeus. Con un poderoso battito delle ali dei suoi sandali, si
avvicinò
il necessario per riuscire finalmente a colpire Cronos con un poderoso
pugno.
“Lascia
che
ti mostri perché sono il Dio degli atleti!”
sbottò, schivando il contrattacco
dell’anziana divinità molto più grossa
di lui.
Poggiò
uno
dei sandali sul petto dell’avversario, rigirandosi e
riuscendo a colpirlo di
nuovo, questa volta con un calcio. Era estremamente veloce ma questo
non
scoraggiò Cronos, che lanciò di nuovo la sua
sabbia. Questa volta non era in
forma di meravigliosa farfalla ma acuminata freccia, che
colpì il braccio di
Hermes. Subito il proprietario lo sentì molto più
pesante e rigido.
Guardandolo, vide che era come appassito, invecchiato, per colpa di
quella
freccia. Non si perse d’animo e contrattaccò
immediatamente, con una raffica di
calci che spedì a terra Cronos. Hermes ne
approfittò per creare un piccolo
vortice d’aria, nel tentativo di dissolvere parte della
sabbia. Ora che parte
di essa era svanita, poteva scorgerla chiaramente: la clessidra! La
clessidra,
simbolo e fonte del potere del suo avversario, si mostrava accanto a
Cronos.
Non molto sicuro di fare la cosa giusta, ma del tutto incapace di
pensare ad
altro, corse verso di essa. Il suo sfidante tentò di
afferrarlo e fermarlo, ma
non ci riuscì. Concentrando l’energia nel braccio
sano, Hermes si lanciò contro
quell’oggetto e riuscì ad infrangerlo. La sabbia
lo avvolse e dovette fare uno
sforzo immane per volar via.
“Pazzo!
Non
sai che..?” iniziò Cronos, ma un gesto di Ares lo
zittì.
Hermes
si
stupì. Da quando il Dio della guerra poteva controllare il
tempo? Notò con un
certo sollievo che gli altri presenti all’arena si stavano
riprendendo. Molti
erano turbati e spaventati.
“Ha
vinto?”
si stupì Apollo “Il mio fratellino ha vinto contro
il tempo?”.
Hermes
rispose
con un lieve inchino, sentendosi molto stanco. Il contatto con la
sabbia lo
aveva fatto invecchiare un po’, anche se non abbastanza da
renderlo
irriconoscibile. Si udì un sibilo, e la clessidra si
ricompose. Ares, ridendo,
applaudì e si alzò. Nell’arena scese il
silenzio, mentre Arles non distoglieva
lo sguardo dal Dio della guerra.
“Chi
sei?”
gli domandò, infine.
“Chi
sono
io?” ghignò Ares “Me lo
chiedi?”.
“Sì,
perché
io non ti conosco. Chi sei, donna?”.
“Mi
vedi?
Ma che bravo..”.
L’anfiteatro
borbottò. Donna? Quale donna? Il Dio delle illusioni scese i
pochi scalini che
lo separavano dall’arena, vedendo che Ares faceva lo stesso.
Keros trattenne il
fiato. Alle sue spalle, un’invisibile Phanes lo tratteneva
dall’intervenire.
“Chi
sei?”
ripeté ancora Arles “E perché hai
scatenato il tempo contro di noi? L’altra
volta, quando sono stato trafitto dalla spada, non c’eri. O
meglio..non eri
dentro a mio padre. Probabilmente lo controllavi a distanza ma, essendo
più
potente di me, non sono stato in gradi di scorgerlo. Ora, invece,
riesco a
capire che non è mio padre colui con cui sto
parlando”.
“Io
sono
certa che lo sai chi sono, Dio delle illusioni” sorrise il
corpo di Ares,
allungando una mano verso la fronte del figlio e sfiorandolo con due
dita.
Arikien
spalancò gli occhi, d’un tratto comprendendo. Quel
breve tocco gli aveva
mostrato il vero aspetto di chi aveva davanti.
“Ananke?”
riuscì a dire “Il destino? Il principio primigenio
del mondo? La forza contro
cui nessuno può nulla?”.
“Mi
conosci..”.
Arles
si
inchinò, gesto che stupì molti dei presenti che
non capivano quanto stesse
accadendo.
“Vi
ho
tanto cercata” confessò il Dio delle illusioni.
“Lo
so. Ho
udito la tua voce. È stata lei a destare me ed il mio
compagno, che altrimenti
avremmo continuato a riposare. Non so se ringraziarti o punirti. Ma il
potere
che hai..mi piace. Inoltre, pare che pure mio figlio Phanes sia
interessato
alla cosa. Perciò non ti distruggerò”.
“Che
avete
fatto a mio padre? Che sta succedendo?”.
“Voi
proprio saperlo? Vieni a vederlo con i tuoi occhi”.
“Come
faccio? Dove sono i miei fratelli? E le mie sorelle?”.
“Raggiungimi,
nel luogo dove a lungo ho riposato, e lo scoprirai. Ho tante cose da
dirti,
Arikien delle illusioni”.
“Ma..io
non
so dove si trova quel luogo!”.
“Lo
saprai.
Se mi raggiungerai, non mi vedrete più in questo anfiteatro
ad infastidirvi”.
“Io?
Perché
io?”.
“Perché
ho
udito la tua voce, non quella di qualcun altro. E tu mi hai visto, fra
le
sabbie dell’eternità, risalendo fino agli albori
del tempo. Accetta il mio
invito. Trovami, e tutte le domande che tanto a lungo ti poni
troveranno
risposta. E rivedrai la tua famiglia, te lo prometto”.
“Cosa
avete
fatto a mio padre?”.
“Lo
rivuoi?
E va bene..per dimostrarti che non ti sto ingannando, te lo
concedo”.
Il
corpo di
Ares ebbe un fremito, mentre Ananke lo lasciava. Alle spalle del Dio
della
guerra, i presenti videro una strana creatura, in parte serpente, che
lentamente si dissolse, rivolgendo solo un ultimo “Ti
aspetto” al Dio delle
Illusioni. Anche Cronos si dissolse, assieme alla sua sabbia, in pochi
istanti.
Ares invece cadde in avanti, privo di sensi. I lunghi capelli neri
erano
divenuti candidi, così come bianca era la sua belle ed il
suo sguardo, cieco.
“Padre
Ares!” lo chiamò Arles “Ma che ti hanno
fatto?!”.
“Fratello”
chiamo Gibrihel, rivolto all’arcangelo che aveva a fianco
“Fratello, tutto
bene? Che cosa è stato? Cos’erano quelle
visioni?”.
“Non
ne ho
idea” ammise Rahael “Dove Mihael?”.
“Non
lo so.
Non vedo nemmeno Lucifero”.
“Come
sempre
quei due si sono allontananti per bisticciare?”.
Poco
più in
basso, fra i gradini, Asmodeo sollevò lo sguardo e
lanciò uno strano sorriso a
Rahael, che rispose con un ben poco angelico dito medio.
“Raphy!”
mormorò Gibrihel “Comportati bene”.
“Quanto
lo
odio” sibilò l’arcangelo “Gli
spaccherei la faccia in un istante! Quanto mi
irrita!”.
“Sì
ok
ma..ora rilassati. Che è meglio..troviamo Mihael. Noi non
dovremmo gironzolare
per il mondo così a casaccio”.
“Hai
ragione..non devo cedere alle provocazioni di quel demone”.
Rahael
parve riprendere il controllo ma non resistette a voltarsi ancora una
volta,
fissando Asmodeo negli occhi e dedicandogli un
“fottiti” con il labiale.
Quella
sera, poco dopo il tramonto, Keros osservava il suo signore. Aveva lo
sguardo
distante, concentrato sul fuoco. Apollo aveva visitato il fratello
minore Ares,
senza comprendere che cosa gli fosse successo. Quel che aveva capito
però, era
che il Dio della guerra non sarebbe vissuto a lungo. Stava invecchiando
e si
consumava velocemente, nulla pareva donargli sollievo o giovamento.
Afrodite,
disperata, continuava a chiedere per quale motivo al suo amato toccava
appassire come un bel fiore candido. “Dove sono i tuoi colori
e la tua
giovinezza, amor mio?” ripeteva, senza che nessuno potesse
darle risposta.
“Che
cosa
pensate di fare?” parlò finalmente il mezzo demone.
“Ti
sei
cambiato..” si limitò a commentare Arles.
“Il
bianco
non è il colore più adatto per il luogo che avete
in mente”.
“Non
sei
obbligato a venire con me. So che ti scoccia andare in certi
posti”.
“La
cosa
non mi scoccia. Mi lascia indifferente. Piuttosto..perché ci
andiamo? È per via
di qualcosa che avete visto prima, con la sabbia di Cronos?”.
“No,
direi
di no. Tu che cosa hai visto?”.
“Io?
La
fine di ogni cosa. Voi?”.
“Io
il suo
inizio”.
Eccoci con l'aggiornamento del Lunedì. Ormai è quasi un appuntamento fisso..Lunedì e Giovedì :P
Sono
andata a spulciare figure ancestrali della
mitologia greca. Mi sono arrovellata per trovare delle creature che in
pochi
usano nelle loro storie. Ci sono riuscita?
Preparatevi
al prossimo capitolo: si va
all’inferno! E, tanto per chiarire, i miei Lucifero ed
Asmodeo non sono quei
cosi osceni degli OAV di Saint Seiya :P
Non
so come si carichino le immagini su questo
sito perciò vi lascio questo link, nel caso siate curiosi e
ancora non abbiate
visto il mio primo disegno su Keros
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205323967527672&set=g.256279363821&type=1&theater