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Autore: borndumb3dumber    01/02/2016    0 recensioni
«Devi dire che sono il tuo preferito o vado da Yun»
Spalanco la bocca alla sua richiesta, esterrefatta dall’assurdità della questione, ma nell’esatto istante in cui provo a contestarlo, muove un dito verso il pulsante dell’ascensore. [...]
«E va bene!» mi arrendo. Porto le mani alle tempie e chiudo gli occhi. Un profondo respiro e sto guardando di nuovo le sue iridi scure. [...]
«Sei il mio preferito» borbotto le parole e mangio consonanti volutamente in modo da distorcerne il suono. Come mi aspettavo, tuttavia, il ragazzo non se lo fa bastare.
«No» scuote la testa «Devi dire il mio nome e scandire le parole. Potresti averlo detto a chiunque»
«Ho detto» ripeto, stringendo i denti per non dare di matto proprio adesso «che tu, Junhoe, sei il mio preferito»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi hanno sempre elogiata per la forza di volontà, un po’ di meno per il temperamento  ostinato e per la mia testardaggine. Ma, a discapito dell’azione negativa di queste caratteristiche nelle relazioni sociali, ho scoperto di avere un enorme vantaggio in questo particolare periodo della mia vita. Per fare un esempio: il lavoro è faticoso. Prendo l’ascensore centinaia di volte anche nello stesso giorno e c’è un taxi ad aspettarmi sempre, ormai, vicino all’edificio. Haewon –il mio capo- non mi da tregua un attimo, però è anche vero che neanche lei sembra avere molto tempo per riposare. E’ tutto un correre per cose, poi, assurde: “Sunhee-ah, in un minuto esatto voglio il completo a cui sto pensando dall’assortimento di vestiti al secondo piano” o “Portami qui il modello in plastica del cane gigante dalla reception e cerca di non usare l’ascensore!”.
Cosa se ne facciano non ne ho assolutamente idea. A dire il vero, non so neanche in che tipo di azienda io stia lavorando e ormai è passato un mese, ma finché lo stipendio resta così alto e assicurato, a me sta bene. Quello che so per certo è che le persone di questo ambiente sembrano essere molto appassionate di moda e non indosso più metà delle cose del mio armadio se devo venire qui, perché in ogni caso mi danno altri vestiti.
«Hai ricevuto il messaggio?» Mike, il capo in seconda di Haewon, è forse l’unica persona con cui io abbia realmente parlato da quando ho iniziato. E’ estremamente estroverso e dalle idee stravaganti, per non parlare del suo look alternativo in cui preponderano dei capelli blu elettrico.
Annuisco e continuo a digitare sul computer che ho davanti. Il messaggio è di Haewon e, ovviamente, si tratta di un’altra richiesta.
«Sto controllando l’inventario di decine di negozi, ma pare che il costume da ladro sia sold out quasi ovunque» dico, passando una mano sugli occhi che bruciano per la luce dello schermo.
«Farai bene a trovarlo» commenta Mike, con una mano al mento «Sai com’è quando si innervosisce». Oh sì, purtroppo lo so. E’ come avere un tornado che sbraita a due metri da te (se sei tra i più fortunati). Non se la prende realmente con le persone, è perfettamente consapevole che certe richieste siano sull’orlo dei limiti umani, tuttavia sente la necessità di sfogare le sue frustrazioni. Con “Il tempo non si ferma per nessuno” non aveva torto.
«Trovato!» esulto, felice di non dover assistere nuovamente ad una crisi di nervi del capo. Chiudo il laptop dopo essermi segnata l’indirizzo e il numero del negozio, e scendo in fretta le scale diretta al taxi in attesa nel parcheggio. A volte evito di prendere l’ascensore perché, soprattutto verso il primo pomeriggio, c’è un afflusso di gente incontenibile. “Non c’è posto per i pigri, qui” Haewon aveva ragione anche su questo.
Nel taxi chiamo il negozio.
«Negozio di costumi Mask&Fun, come posso aiutarla?» la voce appartiene decisamente ad un ragazzo ed è pulita e pacata.
«Salve, mi domandavo se aveste in negozio il costume da ladro»
«Mh, lasci che controlli» sento il suono indistinto del telefono che viene lasciato e dei passi ovattati –probabilmente i suoi- che si allontanano. Non ci mette molto a riprendere la cornetta: «E’ stata fortunata! Ne è rimasto uno. Vuole che glielo spedisca?»
«No, ne ho necessità immediata» dico subito, allarmata dalla paura inverosimile che nei pochi minuti che mi mancano per raggiungere il luogo, qualcuno arrivi in negozio richiedendo lo stesso articolo.
«Può metterlo da parte?» chiedo in tutta fretta «Sarò lì a minuti»
«Nessun problema. A tra poco»  risponde la sua voce armoniosa.
Il taxi si ferma esattamente davanti al negozio, un locale di media grandezza con le vetrine ad esporre costumi di ogni tipo e l’insegna colorata che recita “Mask&Fun”.
Apro la porta e si sente subito il campanellio che avverte del mio arrivo. Mi prendo un momento per guardarmi intorno:  ogni scaffale, mensola o appendiabiti presente nel negozio è occupato da cappelli, maschere e abiti di ogni epoca e stile. La luce del negozio, soffusa il giusto e dai colori caldi, rende l’atmosfera anche più sovversiva.
«Devo supporre che fosse lei al telefono» una voce alle mie spalle attira la mia attenzione e mi volto sapendo chi avrò davanti. Tuttavia, rimango pietrificata per un istante da un volto oggettivamente stupendo: due occhi neri perforanti e labbra generose a completare la forma non eccessivamente spigolosa del viso.
Mi schiarisco la voce prima di rispondere.
«Sì, ero io» confermo annuendo e cercando di non fissarlo troppo. Sorride e tira fuori da uno scaffale un costume in una custodia per abiti trasparente.
«Va bene?» si avvicina per mostrarmi l’articolo e non riesco a fare a meno di irrigidirmi.
«E’ perfetto, grazie!» rispondo con troppo entusiasmo e mi mordo forte un labbro quando mi rivolge le spalle per raggiungere la cassa. Non è il momento di fare figure, sono qui per lavoro e solo per questo. Respira.
Pago il più in fretta possibile sperando di porre fine a questa tortura, ma quando parla di nuovo non mi irrigidisco, mi pietrifico del tutto.
«Posso sapere il tuo nome?» domanda realmente incuriosito, un sorriso gentile dipinto sulle sue labbra perfette.
«Sunhee» rispondo di riflesso e lui annuisce, come se lo sapesse già. Aggrotto le sopracciglia d’istinto non capendo quel gesto, facendolo scoppiare in una risata.
«Vedi» comincia «”sun” in inglese è “sole” e ti si addice particolarmente». Resto ammutolita. Tutto mi hanno detto tranne che io sia una persona solare.
«Oh no» scuoto la testa «Moonhee sarebbe stato perfetto» replico, rilassandomi un po’. Sono una persona lunatica, a pensarci bene, e per fortuna il ragazzo sembra capire il senso del nome.
«Aspetta» realizzo «io non so il tuo nome»
«Sono Jungsu» sembra contento che io glielo abbia chiesto e sento di arrossire. Il telefono che squilla, per fortuna o per sfortuna, mi salva da una situazione imbarazzante.
«Haewon sta iniziando a dare i numeri, dove sei?» Mike sembra più scocciato che agitato e in questo poco tempo ho imparato a fare il callo delle sue reazioni singolari.
«Sto arrivando» dico, afferrando con la mano libera il costume e riponendo il telefono nella tasca.
«Devo proprio andare» il volto del ragazzo si rattrista per un attimo, ma un sorriso dolcissimo appare sul suo volto di nuovo.
«E’ stato un piacere, Sunhee» sento alle mie spalle, scappando dall’imbarazzo per rifugiarmi nel taxi.
 
Quando rientro è come se fossero tutti andati via.
Vado piano perso l’ascensore e premo sospettosa il tasto del sesto piano, dove Haewon e Mike mi aspettano. Approfitto di questo tempo per sistemare meglio il costume dopo la folle corsa in taxi e quasi non mi accorgo dell’ascensore che si ferma al secondo piano. Qualcuno, entrando, calpesta per sbaglio l’orlo della custodia.
«Sta un po’ attento» dico infastidita, trovandomi davanti un ragazzo biondo e vestito da fighetto. Ha anche lui uno sguardo perforante e rientra decisamente nei miei canoni di bello. Ma non è tanto bello quanto quel Jungsu, penso d’istinto e mi mordo la lingua per il fatto che mi sia venuto in mente proprio ora.
«Non è colpa mia se usi quel coso per pulire il pavimento» risponde noncurante, le mani in tasca e lo sguardo davanti a sé. Divento rossa anche questa volta, ma sicuramente non perché io sia in imbarazzo. Mi sto innervosendo.
«Hai mangiato simpatia a pranzo?» sbotto e alle mie stesse parole lo stomaco emette un brontolio. Controllo l’orologio e comprendo di aver saltato completamente il pranzo. Il ragazzo si volta a guardarmi la pancia a quel suono ed esita un secondo sul mio volto, per poi ritornare a guardare le porte dell’ascensore.
«Io almeno ho pranzato» dice ed esce dall’ascensore non appena questo si ferma e lascia che le porte si aprano.
Su questo piano vige il caos: gente ovunque che trasporta oggetti di ogni tipo, tra i quali coperte, cuscini e alcuni addirittura un materasso. Il ragazzo biondo è scomparso nel flusso di gente.
Che diavolo sta succedendo? Per quando possano essere caotiche le mie giornate lavorative, non c’è mai così tanta gente ed è uno dei motivi per cui quelli presenti hanno tantissime cose da fare. Urto qualcuno mentre cammino, in cerca di un volto familiare, ma dopo qualche minuto di vana ricerca prendo il telefono. Haewon risponde subito.
«Hai il costume?» chiede ansiosa.
«Sì, ce l’ho» quando rispondo, un sospiro di sollievo mi giunge alle orecchie.
«Perfetto. Vieni nella stanza A4»
Ogni piano è munito di diverse stanze, alcune delle quali parecchio spaziose e che conducono ad altre stanze ancora. Io ne ho realmente viste pochissime e tutte di modeste dimensioni, con al massimo una scrivania e scaffali, o la zona pranzo. La A4 non è una di quelle.
Setaccio i numeri sulle porte con fretta, continuando ad evitare persone che camminano velocemente e trovo la stanza dopo quelli che sembrano secoli. Esito davanti alla porta qualche istante, indecisa se bussare, ma alla fine abbasso semplicemente la maniglia.
«Sunhee-ah, finalmente. Vieni» mi incita Haewon. Chiudo la porta alle mie spalle e, mentre cammino verso di lei, mi concedo un momento per osservare la stanza: uno spazio che sembra riprodurre una camera da letto è illuminato da alcuni fari, dietro ai quali alcune persone sistemano diverse attrezzature elettroniche come una macchina da ripresa. Ci sono anche altri spazi, nella stanza, ma sono ancora quasi spogli nonostante le persone che ci lavorano. Uno di questi mostra chiaramente il tentativo di ricreare una strada, un'altra invece un… deserto? Non saprei davvero dirlo con certezza. Lo definirei come un set.
Haewon era intenta parlare con un uomo all’incirca della sua età, discutendo con gli occhi puntati su dei fogli nelle sue mani. Quando le porgo il costume, però, l’uomo si allontana per dare indicazioni a coloro che lavorano alla scenografia e il mio capo non sembra farci troppo caso. Non deve essere la prima volta che lavorano insieme evidentemente.
«Perfect, honey!» dice in inglese. Aggrotto le sopracciglia a questo repentino cambio di atteggiamento e l’unica spiegazione che riesco a darmi è che si sia costruita una certa immagine con chiunque siano queste persone e ora voglia mantenerla.
«Puoi portarlo da Mike» me lo riporge e mi indica in quale stanza si trova adesso. Decido di evitare l’ascensore per scendere di un solo piano –è lì che si trova Mike- e prendo le scale, deserte. Così anche il corridoio che mi trovo davanti. Vado verso la stanza in cui dovrei trovare Mike e il vociare di numerose persone è la prima cosa che noto. La seconda: è una specie di camerino.
«Mike?» chiamo, sperando che possa sentire la mia voce sopra quelle di tutti gli altri. Non ricevo risposta, ma riesco, dopo opportune occhiate ad ogni angolo, a individuare una chioma blu riflessa in uno specchio posto malamente per terra. Supero lo spazio iniziale per scoprire che la stanza è munita di un’altra zona di trucco e parrucco, specchi enormi e postazioni incluse, separata da una porta trasparente.
«Accidenti, no! Deve far finta di dormire, non sfoggiare una tenuta da lord!» la voce di Mike e squillante mentre protesta contro una donna. Mi da le spalle, ma si volta subito come se avesse avvertito la mia presenza.
«Il costume?» domanda avvicinandosi. Invece di rispondere con l’ovvietà, mi lascio sfuggire: «Sei uno stilista?»
Mike mi osserva per tre secondi netti e poi scoppia a ridere.
«Ma certo! Cosa credevi che facessi?» arrossisco alle sue parole, perché, mi rendo conto, non ho davvero pensato a delle possibilità. Credevo che fosse anche lui un manager, come Haewon, però è anche vero che non l’ho mai visto fare niente delle cose che invece occupavano il mio tempo e quello del mio capo.
«Ah, tranquilla!» dice lui prima che la mia bocca possa emettere un solo suono «L’importante è che tu adesso lo sappia. Hai qualche compito da Haewon?»
«No, mi ha detto di dare una mano a te»
«Fantastico! Ho bisogno del parere di qualcuno su questi vestiti» dice allegro. Nonostante io non ami particolarmente vestirmi alla moda, so riconoscere dei bei look. Mi lascio scappare una risatina e annuisco, confermandomi entusiasta in questo ruolo.
«Aspetta. Bobby-ah, potresti venire qui?» alle parole di Mike, una testa sbuca fuori una pila di vestiti nell’angolo e un ragazzo ne fa capolino piuttosto sconvolto.
«Quante altre cose devo ancora provare?» dice, visibilmente esausto. Ha un’aria che mi ricorda un… coniglio, direi.
«Prometto che è l’ultimo. Sono sicuro che ti piacerà» Mike lascia che lui prenda la sacca con il costume da ladro e, appena lo vede, Bobby sembra rallegrarsi in un batter d’occhio. Corre a cambiarsi da qualche parte e io e Mike aspettiamo che venga fuori.
«E’ sempre stato il mio sogno vestirmi così» commenta, ancora euforico. Il mio amico stilista annuisce consapevole.
«E’ stato merito di Sunhee-ah. Ha passato ore a cercarlo» Bobby sembra accorgersi solo ora della mia presenza e si volta a guardarmi del tutto. Allarga le braccia per mostrarmi come gli sta e l’attimo dopo mi porge la mano, chinandosi più volte.
«Grazie mille, sono molto felice. Sono Jiwon, comunque, in arte Bobby»
«In arte?» chiedo incuriosita. Forse è un mago e aveva bisogno del costume per un nuovo spettacolo.
«Oh, giusto» si intromette Mike «Fa parte di un gruppo, gli iKON. Non ne hai mai sentito parlare?»
«Veramente no» rispondo, scuotendo la testa. La faccia di Bobby assume un’espressione rattristata.
«Non siamo ancora molto conosciuti» si gratta la nuca a disagio e mi affretto a chiarire le cose.
«No! Davvero, non ne so molto» ribatto «Sono tornata dall’estero qualche mese fa, dopo sette anni» non è esattamente una bugia. Sono tornata alcune volte, per le feste, in particolare, o durante l’estate, ma ho frequentato la scuola all’estero da sempre e tornare non mi sembrava una buona idea. Evito di dire altro.
L’espressione di Jiwon riprende immediatamente carattere e non sembra più colpito dalle mie parole.
«Grazie ancora per il costume» dice, sorridendo timido.
«E’ il mio lavoro» rispondo e prendo una sedia quando Mike tira fuori altri vestiti.
«Non esiste! Voglio andare a mangiare» alle parole di Bobby, lascia andare il completo che aveva nelle mani e sbuffa, le braccia ai fianchi e il volto pensieroso. Il mio stomaco, nel frattempo, brontola rumorosamente e il suono si disperde limpido nella stanza silenziosa e quasi deserta, in netto contrasto con la rumorosa presenza di altre persone nella stanza annessa a questa.
«D’accordo allora. Vai a mangiare e fai venire qualcun altro per provare i vestiti» Bobby annuisce contento e procede verso il camerino per cambiarsi. Quando ha fatto, promette che costringerà qualcuno a venire qui. Mike poi aggiunge: «Ci puoi giurare. E fagli portare del cibo per la nostra Sunhee-ah, ok? Ha bisogno anche lei di mangiare». Jiwon mi guarda e sorride.
«Non c’è problema! A dopo» e sparisce dietro la porta.



   
   
 
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