Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Sheep01    02/02/2016    2 recensioni
“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi.”
Clint si trovò ad osservarlo ancora una volta con stupore. Non era da Coulson parlare a quella maniera, non usare quel tono afflitto, sconfitto.
“Avete ingaggiato i migliori, Phil… il governo non arriverà certo prima di noi.”
“Magari non questa volta. Ma la prossima volta che succederà? Quando riusciranno a dimostrare quanto siamo superflui, smetteranno di affidarci qualsiasi tipo di lavoro.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che dovremo cominciare a vedere come atterrare senza uno schianto, Barton.”
---
New York, la sua periferia, pioggia sporca che porta afflizione e la tecnologia che lentamente sta prendendo il posto della manodopera umana. Uno scenario dal sapore futuristico. Un'organizzazione da salvare. Pochi superstiti su cui fare affidamento.
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 16

 

La memoria umana è veramente qualcosa di strano: c'è conservata dentro un sacco di roba inutile, un sacco di cianfrusaglie, come in un cassetto. Mentre le cose importanti, quelle realmente necessarie, svaniscono una dopo l'altra. 

(Murakami)

 

*

 

“Ti sei mai chiesto cosa vuoi fare da grande, Barney?”

“Vorresti…”

“Come?”

“Vorresti – fare da grande. Condizionale presente, Clint.”

“Okay… vorresti fare il professore.”

“E questo chi te lo ha detto?”

“Tu, adesso. Condizionale presente. Sembravi la signorina Holly.”

“Non credo che diventare professore sia la mia aspirazione. Tu… che cosa vorresti fare da grande, Clint?”

“Io? L’esploratore.”

“Credevo che fino alla settimana scorsa volessi diventare un astronauta.”

“Bè, potrei fare l’esploratore astronauta. L’esploratore spaziale!”

“Hai idea di quanto dovrai studiare per fare un lavoro del genere?”

“Bò…”

“Almeno dieci anni.”

“Ma avrò vent’anni, fra dieci anni! Sarò vecchissimo!”

“… se ti va bene. Magari ti ci vorranno vent’anni.”

“E diventare astronauta a trent’anni? Ma sei scemo?”

“Neil Armstrong ne aveva 39, quando arrivò sulla luna.”

“Sì ma era astronauta da tantisssssssimo tempo.”

“Bè, in ogni caso devi prepararti a studiare.”

“Non mi serve la grammatica per andare sulla luna.”

“No, quella no, però sicuramente dovresti migliorare i tuoi voti in matematica.”

“Non mi piace la matematica. Non mi piace… studiare.”

“Allora forse dovremo trovarti un lavoro meno intellettuale.”

“Non mi hai detto tu… cosa vorresti fare da grande? A parte il professore rompiscatole.”

“Da grande…” un respiro profondo, come qualcuno che ha già una risposta, ponderata da tempo “vorrei aiutare la gente. Inventare cose fichissime per migliorare la vita alle persone che non possono aiutarsi.”

“Wow, quindi vuoi fare l’inventore. Cosa devi studiare per diventare un inventore?”

“Non lo so. Ingegneria probabilmente. Informatica.”

“Dovresti convincere papà a comprarci uno di quei… computer.”

Barney rise.

“Faresti prima tu ad arrivare sulla luna.”

“Se arriverò sulla luna te lo regalerò io un computer.”

“Allora sono a posto.”

Sghignazzarono entrambi.

 

*

 

Era stordito. E la testa pulsava. Nondimeno la vista sembrava compromessa: uno spesso strato di impalpabile nebbia gli ostruiva la visuale.

Aveva evitato il palazzo della Robotics Inc. per un soffio. C’erano troppe sentinelle. Di quelle moderne. Sentinelle che non aveva mai visto.

Ne aveva approfittato per studiare un piano. Per quanto la sua testa, la sua memoria, persino le sue percezioni fossero confuse. Come si fosse svegliato da un sogno. Di certo i primi attimi dopo il suo risveglio erano stati piuttosto… singolari. Ma era possibile che molte cose gli fossero risultate assurde per via… della botta.

Quale botta, Trickshot? Quale botta?

Si era procurato dei vestiti puliti da una lavanderia a gettoni. E aveva raggirato un ragazzotto, dall’aria poco sveglia: chiedergli informazioni per rubargli il portafoglio, una cosa da niente. Ricordi di una vita passata.

Passaporto, tessera universitaria, scontrini di un thailandese a portar via e di un bar del centro, la foto di una donna anziana, la foto di un ragazzo attraente, un preservativo, bancomat e carta di credito. Una banconota da venti dollari. Se la sarebbe fatta bastare. Gettò il resto nel cestino della spazzatura.

I carretti degli hot dog ancora facevano prezzi abbordabili. Più di McDonalds. Aveva optato per un panino e una bottiglia d’acqua. Con il resto ci comprò un pacchetto di chewing-gum e una di quelle mantelle a basso costo che alcuni ragazzi indiani vendevano agli angoli delle strade.

La pioggia. Quella non cambiava mai. New York, sempre la stessa, da dieci anni.

Era tornato al palazzo della Robotics Inc, masticando quella gomma che sapeva di menta fresca.

E attese.

Attese che le tenebre fossero a un livello accettabile di oscurità e poi si attivò per raggiungere l’ingresso principale del palazzo.

Le sentinelle. Un lavoro che sapevano fare bene.

“Si identifichi, prego.”

“Sicurezza”, si assicurò di avere il cappuccio della felpa ben calato sulla testa, “Agente Clinton, Francis, Barton.”

La scansione avvenne in maniera rapida e meticolosa. Sullo schermo olografico, comparve il volto dell’agente Barton, accanto a quella della foto appena scattata. Le due immagini straordinariamente simili, se non per alcuni, significativi particolari.

“Non troviamo alcun riscontro.”

“Prova ancora”, disse, prendendo fra le dita la gomma da masticare. Mentre questi riprendeva il calcolo fisiognomico identificativo, allungò una mano e andò a sistemare la gomma su uno dei pannelli della sentinella robotica. Una piccola scintilla.

Il calcolo venne interrotto all’istante.

“Mani in alto”, un’altra sentinella. L’ordine perentorio ma freddo.

Barney alzò le braccia.

“Agente: Clinton, Francis, Barton”, confermò di nuovo la prima sentinella, l’istante successivo, “confermato.”

“Posso entrare?”

“Non senza autorizzazione, agente.”

“Ma io ce l’ho l’autorizzazione”, mostrò la mano.

Incrociò le dita che le impronte digitali non lo tradissero in quello stesso momento.

 

*

 

Aveva ripreso a piovere, come da copione.

Grazie al cielo, era il caso di dire: cominciava a sentirsi a disagio senza il costante picchiettio della pioggia e l’umidità che andava a tormentare le ossa.

Non-Jarvis alla fine aveva avuto la meglio. Da androide senziente, galoppino di Stark, a mezzo di trasporto eccezionale e volante.

Barney Barton era stato individuato, anche quello come da pronostico, nei pressi della nuova sede della Robotics Inc. – ex Stark Tower.

Il dubbio su come avesse fatto a entrare venne rapidamente sedato dai fatti.

Riconoscimento retinico ed epidermico convalidato all’ingresso.

Evidentemente le falle del sistema erano più di quante ne potessero immaginare. A uno come Stark non sarebbe successo, ma l’Hydra doveva aver mantenuto un database piuttosto ristretto di accessi. E Barney Barton si erano dimenticati di eliminarlo dalla lista. Dopotutto risultava morto, no?

In piedi sul tetto di uno dei palazzi adiacenti alla nuova sede della Robotics. Inc, Clint osservava la torre che svettava nel cielo con le sue luci artificiali. Un totem di cento piani, frustato dalla pioggia battente, oscuro e imponente, come una grottesca mastodontica sentinella, protettrice dell’intera città di New York.

Con le rivelazioni degli ultimi giorni però non c’era niente che non gli apparisse più come un mostruoso, tentacolare Cthulhu dell’immaginario horror, più che come un bonario e solido guardiano della città.

Lo scenario gli metteva i comunque, da sempre, i brividi e aveva sempre faticato a comprenderne le ragioni (le sue amnesie avevano sedato ricordi e traumi), ma adesso… adesso che ricordava, adesso che sapeva, la sola idea di tornare in quella sottospecie di sepolcro fatto di vetro e cemento, lo metteva in difficoltà. Un dolore lontano ma costante a contrargli i muscoli addominali. Una mano contratta sul ventre come a cercare di contenere l’esplosione di ricordi imminente.

“Rogers e Barnes sono nelle vicinanze”, la voce di Natasha alle sue spalle. Stava ricaricando una pistola, evitando sapientemente il raggio delle luci deambulanti del palazzo di fronte, “hanno radunato anche gli altri vigilanti, nel caso fosse… necessario.”

Clint inspirò a fondo e lasciò ricadere la mano. La donna sembrava tranquilla, più di quanto lui non fosse. Cercò di dissimulare.

“Speriamo di non dover arrivare a tanto.”

Fermare Barney adesso diventava una questione prioritaria. Per quante forze fossero dalla loro, nessuno avrebbe potuto prevenire un nuovo disastro, nel caso fosse riuscito a metterlo in moto.

Di nuovo l’immagine del disastro dell’Expo. I volti ferrei, inespressivi di quelle macchine distruttrici.

Non un mistero ora perché gli fossero così indigesti quei robot dall’aria distaccata. Non un mistero che non gli piacesse Non-Jarvis.

Però gli permise di nuovo di afferrarlo per la vita. E di volare sui tetti della città per arrivare al culmine del palazzo della Robotics Inc.

 

*

 

Superare i controlli non era stato difficile.

Ingannare i robot e la sicurezza, mai così semplice.

Qualche interferenza nel suo personale sistema, lasciava che percepisse i colori e i movimenti in modo assai anomalo, ma si decise a ignorarlo.

L’obiettivo ben delineato.

Si affiancò ad uno degli operatori notturni, mentre prendeva il caffè da una macchinetta.

“Ehi, amico, hai moneta?” la mano a sottolineare la richiesta.

“Ahm… ho solo qualche… ehi, ma che hai fatto alla mano?”

Barney abbassò il capo, rendendosi conto della superficie metallica totalmente priva di epidermide. In qualche modo lo sapeva. Eppure lo aveva rimosso. Di nuovo.

Gli sorrise…

… prima che quella stessa mano andasse a catturargli il viso. A stringere con quelle dita metalliche, serrare la presa che soffocava i singulti dell’uomo, che faceva scricchiolare le ossa del suo cranio.

Quando lo lasciò andare si rese conto che aveva smesso di respirare.

La telecamera di sicurezza viva e pulsante, solo fuori dall’area di ristoro.

Si preoccupò di nascondere il cadavere… e di raccogliere il badge identificativo e le chiavi d’accesso di tale: Frederick Winston.

 

*

 

Natasha aveva sparato un paio di colpi e la porta della scala che conduceva ai piani tecnici inferiori saltò senza troppi problemi.

Clint scostò un paio di sentinelle robotiche che aveva mandato in tilt a distanza con un paio di frecce ben calibrate.

Giacevano ai suoi piedi con il loro unico occhio ciclopico che a malapena rimandava lampi di luce… coscienti.

Alle sue spalle l’ingombrante presenza di Non-Jarvis che sembrava osservarli incuriosito e un po’ inquietante.

“Che fai, vieni con noi?” gli domandò Clint, non del tutto sicuro che, nel caso avessero incrociato qualcuno, avrebbero saputo spiegare senza incidenti la sua presenza.

“Credo sarebbe opportuno mi trattenga qui. Monitorerò la situazione. Vi avviserò dei rischi. E terrò d’occhio i vostri amici di sotto.”

“Sono sicuro che Rogers e Barnes se la sapranno cavare benissimo anche da soli.”

“Non ne dubito.” Gli rispose, ma di fatto, non si mosse di un solo passo.

“Senti… volevo… ringraziarti. Per quello che hai fatto.”

Il cyborg sembrò guardarlo con una punta di sincera curiosità.

“Sono qui per agevolare la missione. E assicurarmi di proteggere i progetti del signor Stark.”

Sorrise, vagamente divertito. Non si era certo atteso una risposta diversa, ma per certi versi aveva sperato gliene fornisse una più elaborata. Dimostrare che fosse lì per scelta, non per obbligo. Che anche un cyborg dopotutto fosse dotato di libero arbitrio.

“Bè, allora ci si vede… Non-Jarvis.”

Il cyborg di nuovo lo fissò con occhio fermo e analitico, ma quando fece per congedarsi la risposta che gli diede, fu certo diversa da quella che si era attesa.

“Visione.”

“Come prego?”

“Il mio nome… è Visione.”

“Oh…” Clint fu lì lì per domandargli se per caso se lo fosse dato da solo, quell’assurdo nome. Ma tacque. Un po’ per fretta, un po’ per amor proprio.

Non era forse una risposta spontanea che stava cercando dall’androide? Quella fu più che sufficiente a decretare che nemmeno lui era solo una macchina.

“È stato un piacere, Visione.” Si congedò mentre Natasha ancora lo aspettava sulla porta spalancata verso i piani inferiori.

“Il piacere è stato tutto mio, agente Barton.”

“Clint…” mormorò, “puoi davvero chiamarmi solo… Clint.”

Scorse lo sguardo di Natasha, un misto di consapevolezza e approvazione. Non era stato facile assorbire tutte quelle assurde verità, nella manciata di poche ore, ma accettarle in così poco tempo, fu qualcosa che riuscì a sorprendere persino lui stesso.

“Andiamo”, le disse richiudendo l’arco che aveva fra le mani fino a renderlo a misura di zaino.

L’attimo successivo erano finalmente dentro il palazzo della Robotics Inc.

 

*

 

La stanza non era per niente come quella che ricordava. Ne aveva studiati di piani e cartine, per mesi, eppure gli sembrava di essere finito in un ambiente nuovo, completamente diverso.

Si passò una mano sul viso, tra i capelli, ancora impiastricciati di una qualche sostanza viscida.

I computer che serpeggiavano con i loro schermi colorati lungo tutto il locale sembravano indicargli la via. Un ultimo pannello. Quello centrale.

Cercò su uno dei monitor l’orario.

Le quattro del mattino.

Secondo i piani avrebbe dovuto attendere le undici.

Per qualche strano motivo, non gli sembrò poi così importante rispettare le scadenze.

Si avviò con passo claudicante verso il pannello centrale. Dietro quell’ultima porta, il suo primario obiettivo.

 

*

 

“Sei pronto? Al mio tre…”

“Barney… non sono sicuro che dovremmo farlo.”

“Oh andiamo! È una buona mezz’ora che pianifichiamo il colpo, non vorrai mollarmi proprio adesso?”

“Non… non voglio mollarti, ma non sono sicuro che sia una buona idea. C’è la biblioteca, se ti serve un computer… e…”

“Non è la stessa cosa, Clint. Quel tizio ha esattamente il modello di cui ho bisogno.”

Clint voltò la testa per esaminare di nuovo la povera vittima designata.

Uno studente, probabilmente. Benestante a giudicare dall’abito. Fisso con lo sguardo a quel suo cellulare dall’aria altrettanto costosa. Un sandwich al tonno ammezzato sulla panchina. Una lattina di coca cola a rotolargli fra i piedi. E lì accanto una valigetta, nella quale aveva sistemato con cura un laptop di ultima generazione.

Di furti Clint e Barney ormai potevano dirsi esperti. Portafogli, orologi, cellulari, tutte operazioni che ormai non richiedevano nemmeno grandi sforzi.

Ma stavolta era diverso. Stavolta si trattava di rubare qualcosa di veramente costoso. E potenzialmente pericoloso. Erano ben consapevoli del fatto che un aggeggio del genere potesse avere un dispositivo tracciabile. Barney gli aveva assicurato che tempo cinque minuti e avrebbe disinserito il dispositivo e assicurato loro un furto sicuro al cento per cento.

Clint si fidava di Barney, lo aveva sempre fatto. Da quando erano bambini, da prima dell’incidente che li aveva resi orfani, e dopo, quando avevano dovuto imparare a cavarsela da soli.

Ma era da qualche tempo che c’era qualcosa, nello sguardo del fratello che Clint non riusciva del tutto a comprendere. Una sorta di sordida cupidigia, un’inconsapevole malignità. Ardeva nel profondo dei suoi occhi qualcosa di diverso: ambizioni taciute, senso di rivalsa, e una profonda amarezza inespressa.

Per quello sì, certo, non avrebbe mai smesso di sostenerlo, ma non a costo di non esprimere anche il suo… di modesto parere. Ancora troppo forte però l’influenza che riusciva a esercitare su di lui per non mettere da parte i dubbi e cedere, ormai a scoppio ritardato, ad ogni suo capriccio.

Persino rubare, non era mai stata una sua idea. Sopravvivenza o meno.

“Allora… ci siamo o no?” una sorta di delusa minaccia nel tono della sua voce.

La delusione, fra tutti i sentimenti che sperava di non suscitare nel fratello era di certo la più umiliante. E la più insopportabile.

“Ci siamo…” cedette.

“Al mio tre allora: uno… due…”

 

*

 

Tre.

Avevano atterrano altre tre sentinelle robotiche prima di riuscire ad accedere all’ultimo piano. Le disposizioni che Barnes aveva dato loro per la disattivazione sembravano funzionare in modo eccellente.

Nessuna di loro aveva fatto in tempo a lanciare l’allarme. E le telecamere erano state sedate agilmente da Natasha, prima che potessero riprendere movimenti sospetti.

“Da qui in poi dovremmo essere tranquilli.” Disse la donna, mentre Clint tornava a sistemarsi il cappuccio sulla testa, come protezione e camuffamento.

“Avremmo dovuto procurarci degli abiti più consoni.”

“Saranno sufficienti. Non dobbiamo esattamente passarci tutta la notte qui dentro… o almeno…”

“Lo speri.”

Clint si mosse rapidamente fino al corridoio successivo. Le telecamere, vistose come occhi vigili ad ogni angolo.

“Comportati in modo naturale. Andrà tutto bene.”

“Non ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare…”

La sentì afferrargli il cappuccio e levarglielo dalla testa.

“Ehi…”

“Comportati… in modo naturale.”

Clint stronfiò qualcosa, prima di riprendere a muoversi, un passo dopo l’altro.

Il palazzo gli era del tutto estraneo. Eppure sapeva essere la stessa identica struttura che solo tre anni prima aveva percorso in lungo e in largo… il giorno dell’Expo.

Le ristrutturazioni erano state lunghe e vistose. La forma era rimasta intatta a imperitura memoria del massacro, ma all’interno tutto sembrava essere mutato.

Quelle mura però...

D’improvviso i ricordi di quel giorno ripresero a riaffiorare dai recessi della sua memoria in modo del tutto inarrestabile.

Il fumo, il fuoco, le fiamme, il rumore delle esplosioni, delle grida. I suoi passi su pavimenti di linoleum anneriti dalla cenere. I calcinacci a pioggia. Uno dopo l’altro.

Occhi ad ogni angolo, imploranti, impotenti. E le grida, tutte quelle grida…

“Clint…” la mano di Natasha sulla sua spalla. A fermarlo o impedirgli di cadere.

Le rivolse uno sguardo strano, carico di insofferenza.

“Va tutto bene”, una rassicurazione troppo frettolosa.

“Resta concentrato.”

Si guardò attorno e il silenzio permeato di ronzii riuscì a riportarlo alla realtà.

“Il computer centrale si trova al piano di sotto.”

“Come facciamo ad accedere alla stanza?”

“Una difficoltà per volta.”

Passarono sotto alcune telecamere di sorveglianza che si volsero a seguire i loro spostamenti con il loro occhio luminoso.

“Senza fretta. Non guardarti attorno in modo circospetto.”

“Nat… so cosa devo fare”, ribadì per l’ennesima volta, esasperato dal comportamento della donna. Non era ancora arrivato al punto di non ritorno. Aveva solo avuto una defaillance, ma sapeva perfettamente come comportarsi in un momento del genere.

Il rumore alle loro spalle, però riportò entrambi all’attenzione.

Un’altra sentinella veniva verso di loro, apparentemente senza alcun interesse bellico.

Natasha di nuovo gli rivolse quello sguardo, e le avrebbe voluto urlare, che sì, aveva capito e che no, non avrebbe fatto niente per compromettere la missione. Che era ancora convalescente, in un qualche assurdo modo ma che poteva controllarsi e non aveva disperatamente perso qualsiasi abilità spionistica che aveva imparato dopo tanti anni di onorato servizio allo SHIELD.

“Agente: Clinton, Francis, Barton?” una nota di colore nella tonalità di voce che di solito si limitava ad affermare. Mai a chiedere. Ogni domanda di quei vigilanti di latta appariva sempre più come un’affermazione senza inflessione alcuna, che una gentile richiesta.

Clint restò in silenzio per un lungo attimo, prima di lanciare uno sguardo a Natasha.

Non fu semplice prendere una decisione. Rispondere, atterrarlo e rischiare di essere visti dalle telecamere.

Come diavolo facevano a sapere che era lui?

Lo scanner facciale che per un attimo lo accecò senza preavviso, diede alla sentinella, la risposta che cercava.

Il fischio metallico che ne seguì non sembrò una cosa positiva.

“Agente: Clinton, Francis, Barton. Ricercato dalla polizia di New York per atti di presunto terrorismo, resistenza all’arresto e fuga. E’ pregato di seguirci senza opporre resistenza.”

L’arma in dotazione ai tubolari già puntata verso di lui. Natasha al suo fianco si irrigidì, pronta all’attacco, in barba ai sistemi di sicurezza e controllo.

La sua mano fece appena in tempo a raggiungere l’arco, sapientemente accartocciato dietro la schiena che il suono di uno sparo andò a riempire l’aria.

La sentinella robotica cadde al suolo con un tonfo sordo e una nebbia di circuiti esplosi.

Nel caso non le fosse venuto un collasso spontaneo, la soluzione a quell’inaspettato cambio di avvenimenti era da attribuire al fatto che qualcuno aveva freddato la sentinella prima che potessero anche solo azzardare una contromossa.

Dalla nebbia maleodorante emerse un altro tubero di metallo. L’arma ancora fumante, puntata contro il suo simile, appena divenuto vittima.

“Che cazzo sta succedendo?”

“Potete proseguire.”

Clint gli scoccò uno sguardo strano e dopo aver guardato Natasha gli sembrò piuttosto chiaro quello che stava succedendo: Barnes era riuscito a infiltrare alcuni dei modelli che aveva personalmente modificato lì dentro.

“Certo che se ce lo avesse detto, ci avrebbe risparmiato un patema…” confermò l’arciere, riprendendo a camminare, prima che il rumore dei cingoli di almeno uno squadrone di sentinelle si apprestasse a sbarrar loro la strada.

“Dietro di me, prego.” Di nuovo il tubolare robotico. Clint non se lo fece ripete due volte.

Catturò Natasha per mano e si lanciò letteralmente nel corridoio adiacente. Il rumore degli spari a riecheggiar per i corridoi, non fu che il misero preludio a quello che venne dopo.

L’allarme centrale aveva preso a suonare.

Stranamente se ne sentì rinfrancato. Il frastuono che stava sentendo lui, probabilmente era arrivato anche a suo fratello Barney.

 

*

 

Si volse di scatto non appena l’allarme esplose fra le mura della stanza.

Il computer centrale rimase statico e inespressivo mentre tutt’intorno si scatenava il caos.

Forse si erano resi conto della sua intrusione. Forse era stato inviato l’allarme per quel motivo.

Barney tornò ad armeggiare con tastiere e codici, procedendo con rigore. La fretta forse avrebbe messo in moto i meccanismi inceppati di quella sua difettosa memoria.

Sotto stress aveva sempre lavorato meglio di chiunque altro.

Era il migliore.

L’Hydra lo aveva scelto per quel motivo.

Non poteva deluderli. Non permetter loro di pensare che fosse al di sotto delle loro aspettative.

La testa gli doleva e quella mano di metallo digitava a fatica sulle tastiere luminose. Il monitor continuava a recapitargli sempre lo stesso messaggio di errore.

Represse l’ira, ricalcolò il percorso, ricominciò.

Un gioco, un enigma.

Era sempre stato un mostro con i rebus e le parole crociate. Cercò di considerarlo come uno di quei giochi sulle riviste enigmistiche con cui riempiva le sue giornate da ragazzino. Completando le parole crociate di suo padre sulle definizioni più complesse, imitandone alla perfezione la scrittura.

Quando Harold Barton riusciva a completare uno schema, finiva le sue giornate di buon umore. Un modo come un altro per Barney di rimandare l’avvento dell’orco sempre in agguato.

Si sorprese nel ricordare un dettaglio tanto insignificante, quando non riusciva ad accedere ai dati di un programma che lui stesso aveva contribuito a creare.

Il successo di quel particolare schema di codici, nel peggiore dei casi gli avrebbe permesso di attivare il programma dell’Hydra e scappare illeso. Nel migliore invece… di attivare il programma dell’Hydra, sabotare comunque il progetto di… (come si chiamava?) Stark ed essere arrestato.

Probabilmente da Clint Barton.

Sapeva di essere stato monitorato. Sapeva di essere stato scoperto. E sapeva che Clint era sulle sue tracce. Lui e la sua partner. Lui e lo SHIELD tutto.

Non il peggior modo in cui concludere quella triste esperienza.

Si trovò a sorridere a come, man mano che prendeva familiarità con il computer centrale, i ricordi tornassero a riaffiorare, uno dopo l’altro. La confusione dopo quel singolare risveglio, si diradasse, aiutandolo ad affrontare più lucidamente la sua missione.

La consapevolezza che ancora qualcosa non tornasse, che qualcosa si fosse perso, in quel subbuglio di emozioni e ricordi.

L’Hydra lo aveva scelto, era vero. L’Hydra lo aveva accolto, viziato…

E poi… e poi piegato, sedato, riabilitato, intrappolato.

Non aveva fatto una scelta. Si era limitato ad obbedire. Così come si erano assicurati che facesse, con i tutti i mezzi a loro disposizione. Ricatto, minacce, torture, plagi.

Li aveva convinti. Si era convinto.

Ed ora avrebbe concluso quello sconclusionato piano. Un caro prezzo per la libertà. Qualsiasi tipo di libertà.

Il computer centrale gli rimandò un altro segnale luminoso.

Il codice di errore era stato risolto.

La schermata da rosso fuoco divenne verde acceso.

Era riuscito ad ottenere l’accesso.

 

*


 

Note:

Che mi scuso per il ritardo ormai è una cosa talmente scontata che non mi dilungherò oltre.

Siamo alla resa dei conti. E l’anticipazione che… in tre capitoli, dovremmo arrivare alla fine della storia. Come sempre ringrazio gli affezionatissimi, con cui mi scuso… e la mia socia e beta Sere, sempre in prima linea per taaaaante cose.

Alla prossima.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Sheep01