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Autore: Snow_Elk    02/02/2016    2 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

2s1582s

Episodio X- Risveglio Fatale

L’ultima frase l’aveva sconvolta più di qualunque altra cosa fosse accaduta in quelle ultime settimane. Un colpo di grazia da manuale.
Tutto iniziava ad avere un senso, da quella notte al “Picchiere Nero” fino a quell’ultimo fatidico sogno. Un incubo nitido come l’acqua.
Zebra, uno degli esseri più sadici, malati e oscuri che GrandGaia avesse mai conosciuto era ancora vivo, sopravvissuto alla battaglia di La Veda, e l’aveva usata, soggiogata, divertendosi con lei come con una bambola senz’anima e senza coscienza.
Semplicemente disgustoso.
 
La risata di quel bastardo le risuonava ancora nelle orecchie, un ronzio perenne ed estremamente fastidioso: come aveva potuto farsi fregare a  quel modo? Perché non era riuscita a far nulla, a capirlo prima?
Si sentiva una stupida, una ragazzina alla mercé di uno psicopatico, e non poteva torrerarlo. Non più.
- E’ forse odio quello che leggo nei tuoi occhi? Affascinante – quella voce era più velenosa del cianuro, si sentiva invasa da una rabbia incontrollabile, qualcosa di così forte da corrodere ogni singola cellula del suo corpo.
Zebra rise nel vederla in quello stato e le sfiorò di nuovo le gambe con la punta della lama. “Basta”.
 
Strinse con forza i pugni e iniziò a tirare le catene, dimenandosi come una belva in gabbia, lanciandogli addosso tutti gli insulti che conosceva, mentre lui continuava a ridere nel vedere quella scena.
- Patetico, Alice, patetico – la schernì e ciò non fece altro che alimentare la sua rabbia: afferrò con furia le catene, ignorando il dolore dellle ferite e della violenza appena subita, tirando con tutte le sue forze finché uno degli anelli non cedette alla tensione.
Bastò un attimo: la catena si spezzò, agitandosi nell’aria come una frusta impazzita, e ben presto la sorella gemella la seguì in quella strana danza.
Strinse ancor di più la presa e senza pensarci due volte usò le catene come un’arma per attaccare Zebra.
Il demone si lasciò colpire, senza provare a schivare le frustate, mentre le tenebre calavano su di loro, improvvise e nefaste.
Prima che potesse capire cosa stava succedendo, troppo accecata dall’ira, si ritrovò circondata da quella malsana oscurità, le catene persero la presa su Zebra, sgretolandosi e sentì la sua voce perdersi nell’oblio:
- Non serve dormire per vivere un incubo, mia piccola Alice –
 
                                                                [...]
 
Aprì gli occhi e la luce del sole la accecò: era ancora lì, poggiata con la testa sul letto, la mano stretta intorno a quella di Kikuri, il silezio surreale che regnava nella stanza.
Era tornata nel mondo reale, riuscendo a fuggire dalla folle prigionia di Zebra, ma sentiva il bruciore dei tagli sulla pelle, i sudori freddi sulla schiena, la sensazione sgradevole di essere stata violata senza alcun ritegno.
Quel bastardo non mentiva, tutto ciò che era accaduto in quella specie di incubo era reale e lei ne portava i segni distinti addosso.
 
Scosse la testa per levarsi la nebbia dai pensieri, la stessa sensazione di una sbronza a mente lucida, e guardò Kikuri: non si era mossa di un centimetro, dopotutto non poteva, ma si ritrovò ad invidiare quella sua immobilità, quella tranquillità perpetua.
Tranquillità, ce n’era troppo nella stanza, a dir poco surreale, e nessun suono proveniva dall’esterno e dal resto della struttura.
Troppo tranquillo anche per un dannato ospedale.
 
Evocò con un sussurro la falce udendo dei passi distinti che si avvicinavano alla porta e si allontanò dalla ballerina, pronta a dare il “benvenuto”  allo sconosciuto.
La maniglia ruotò leggermente e la porta si aprì con una lentezza angosciante.
Trattenne il respiro, percependo la stessa tensione che aleggiava nell’aria e si lanciò in avanti per bloccare sul nascere qualsiasi reazione.
Roteò la falce per far prendere un colpo allo sconosciuto, chiunque fosse, ma una lama di luce fermò il fendente con una piccola pioggia di scintille.
Lame di luce, la dama bianca. Sefia.
 
Fece scomparire la falce nella nube di farfalle e guardò perplessa la donna, che ricambiò, mostrando preoccupazione.
- La senti? – le chiese e Sefia annuì – Si, sono venuta proprio per questo. Non va bene, non va affatto bene – rispose, guardandosi attorno, senza muovere un muscolo.
- Cosa pensi che sia? E’ vicino, troppo vicino -  anche lei prese a cercare con gli occhi, senza sapere esattemente cosa.
- Non so cosa sia, ma... – le parole le morirono in gola. Sovrastate da un sibilo che sembrò far vibrare l’aria stessa.
 
In un battito di ciglia, tempo di un respiro mancato, la parete che dava sulla strada principale si infranse come un vetro, massacrata da una forza imponente, facendo sussultare l’intero ospedale come una grande bestia.
Calcinacci e mattoni volarono in tutte le direzioni come proiettili vaganti, mentre crepe sinistre avanzavano sul resto della stanza simili a serpenti, e in quello stesso istante vide Sefia scattare verso Kikuri per proteggerla col suo stesso corpo.
Lei invece si era limitata ad inginocchiarsi per evitare i resti della parete, disintegrando con la falce qualunque cosa puntasse al letto della ballerina, in attesa di guardare in faccia il pazzo che li aveva attaccati.
 
Sefia era troppo occupata a sincerarsi delle condizioni della sua amata per accorgersi che due gocce di fuoco la stavano squadrando, passando poi alla ballerina e infine soffermandosi proprio su di lei.
Quegli occhi, il suono di una risata stridula e irritante.
La peccatrice, Lico la mezza demone.
 
Non solo non mostrava i segni del loro precedente scontro, in cui l’aveva quasi spedita all’altro mondo, ma sembrava più forte di prima e brandiva un’enorme ascia bipenne. La stronza sorrideva.
- Sefia pensa a Kikuri, quella piccola bastarda è mia! – esclamò senza perdersi in altri pensieri, ignorando il caos scoppiato nell’ospedale e scagliandosi con furia contro la mezza demone con la falce che riappariva in tutta la sua eleganza fatale.
Con un salto disumano divorò la distanza che le separava, ma con estrema facilità la ragazzina roteò l’ascia e bloccò il suo colpo: non appena le due armi si toccarono una piccola onda d’urto le spedì nei versi opposti, generando una breve pioggia di fiammene nere.
Oscurità, quella dannata arma, se non la ragazza stessa, era intrisa di energia oscura, la sua fonte di potere, la sua essenza.
 
Atterrò su ciò che restava del pavimento e lanciò uno sguardo dietro di sè: Sefia stava usando le sue lame come uno scudo e fissava preoccupata le strumentazioni.
Se anche una sola di quelle macchine smetteva di funzionare Kikuri sarebbe potuta morire.
Si morse le labbra e ripartì all’attacco contro Lico, che nel frattempo si era messa a pulire le vesti dalla polvere come se niente fosse.
Scagliò la falce verso la mezza demone e quest’ultima la schivò con agilità, ma ancor prima che potesse reagire il suo gancio destro l’aveva presa in pieno volto, scaraventandola contro l’edificio accanto.
 
Lico scoppiò a ridere mentre la falce si staccava dalla parete diroccata per tornare dalla sua padrona.
La ragazzina trascinò a terra l’ascia e con forza bruta la fece calare su di lei, un attimo e la falce sussultò sotto il peso della possente arma: l’impatto la destabilizzò e si ritrovò con un ginocchio a terra, mentre il terreno sotto i suoi piedi cedeva.
La piccola bastarda stava dimostrando una forza e una velocità che non le appartenevano.
Lico aumentò la pressione e sentì il ginocchio affondare nei calcinacci.
 
- Lascia che ti dia una mano! – urlò Sefia alle sue spalle.
- No! Tu devi proteggere Kikuri! – le rispose di rimando lei fissando Lico negli occhi – Questa volta giuro che ti faccio fuori... – sibilò e le grandi ali da farfalla spuntarono dalla sua schiena.
Un solo attimo di distrazione e Lico si ritrovò a volare contro l’ennesimo muro, seguita dalla sua ascia.
Si rialzò e approfittò della breve tregua per riprendere fiato, tempo di assicurarsi che Sefia fosse ancora al suo posto e si gettò di nuovo nella mischia.
La peccatrice sbucò furiosa dalle rovine ancora fumanti, leggermente ferita ma più minacciosa di prima, e in pochi secondi le due armi si incrociarono in un susseguirsi furibondo di fendendti, affondi, parate e schivate.
La mezza demone riusciva a tenerle testa più di quanto si aspettasse ma non si sarebbe arresa, non questa volta.
Schivò con estrema grazia un affondo che l’avrebbe tranciata in due e facendo volteggiare la falce disarmò la ragazzina, ma non bastò: Lico riuscì a recuperare velocemente l’ascia e la pioggia di fendenti ricominiò, più violenta di prima.
 
Il loro scontro stava letteralmente distruggendo gli edifici circostanti, ma fortunatamente qualcuno aveva fatto evacuare la zona o almeno ci stava provando.
Strisciò a terra usando la falce come freno e sospirò: c’era qualcosa che non andava, sembrava quasi che Lico si stesse divertendo, in attesa di altro.
Rotolò a terra per evitare l’enorme ascia e la inchiodò al terreno usando la falce come un martello.
Lico sgranò gli occhi ma la sua mano le aveva gia afferrato il collo.
- Ti ricorda qualcosa? – le chiese, con un sorriso sadico stampato sul volto, e prima che potesse rispondere l’alzò di peso e la sbatté a terra con tutta la rabbia che aveva in corpo.
 
La peccatrice sputò sangue mentre il terreno intorno a lei si riempiva di crepe.
Aveva ancora le dita serrate intorno al suo collo quando la sentì ridere:
- Lo trovi così divertente? – le domandò, puntandole la falce contro il fianco.
La ragazzina continuò a ridere, ignorando il dolore e le ferite.
- Quando avrò finito ti sarà passata la voglia di ridere – stava per infilzarla come uno spiedino ma la ragazzina smise di ridere – Io non lo trovo affatto divertente, rido perché sei cieca, Alice –
- Cos... cosa diavolo stai blaterando? – il suo sguardo era identico a quello di Zebra.
- Non eri tu il mio obiettivo – sorrise sadica – E quella... – lanciò uno sguardo fugace all’ascia - ... quella non è la mia unica arma – prima che potesse capire il senso di quella frase un aculeo oscuro grande quanto un tronco spuntò dal terreno e la investì in pieno, scaraventandola verso l’ospedale.
 
Prima di finire nella stanza accanto a quella di Kikuri riuscì ad intravedere altri aculei oscuri spuntare dal nulla e Sefia che vi si scagliava contro con tutte le lame al seguito:  ora era tutto chiaro, Lico era lì per far fuori Kikuri, colei che aveva quasi ucciso Zebra.
Lei e Sefia non erano altro che un intoppo per la peccatrice che, dopo essersi divertita, aveva tirato fuori il suo vero potenziale.
Spinse via ciò che restava di un letto e osservò sconcertata la scena: Sefia stava volteggiando in aria cercando di schivare e distruggere gli aculei oscuri, continuando al tempo stesso a difendere la sua amata.
Non poteva permettere che le accadesse qualcosa, non dopo ciò che aveva fatto per lei.
Si liberò dalle macerie e facendo appello a tutte le sue forze spiccò il volo, puntando contro Lico, ma gli aculei oscuri le furono subito addosso e si ritrovò a doverli schivare o distruggere.
Era a pochi metri dalla ragazza demone  quando vide Sefia travolta dalla pioggia oscura mentre tentava di difendere ancora una volta le strumentazioni.
La vide scomparire in una nube di detriti e polvere al pian terreno.
 
Ancora più infuriata sfrecciò verso Lico ma il suo fendente fu bloccato da uno scudo oscuro e poco dopo fu investita dalla stessa pioggia di aculei che aveva travolto Sefia.
Si ritrovò a rotolare in mezzo alle macerie, sballottata da una parte all’altra, schiantandosi contro la facciata in rovina di una casa.
L’impatto le spezzò il fiato e sentiva un dolore lancinante che le attraversava tutto il corpo.
Non appena la vista le si schiarì si ritrovò davanti Lico con un’espressione di estrema calma stampata sulla faccia, una maschera di gioia che si trasformò ben presto in un sorriso sadico: un ventaglio di aculei oscuri si spalancò alle sue spalle, una sentenza di morte dall’aspetto affascinante.
Fissava quello spettacolo con gli occhi spalancati, sentendosi impotente di fronte  a quella manifestazione di forza e follia:  di Sefia non c’era traccia, ancora sepolta sotto le rovine di chissà quale edificio, forse ferita gravemente per l’ultimo attacco subito e Kikuri, Kikuri era lì da sola, indifesa.
 
Si morse le labbra per la rabbia e la frustrazione. Lico rise come se percepisse quel suo stato d’animo.
- Non lo capisci? Non ci arrivi? Il mio maestro Zebra mi ha concesso parte dei suoi poteri, è una sensazione meravigliosa, è come se il suo sangue mi scorresse nelle vene... – mentre parlava gli aculei puntarono minacciosamente verso di lei. Che fosse giunta la fine? Una morte davvero ridicola per Loto Nero.
- Pagherai per aver portato così tanto rancore nel cuore del mio signore – sentenziò la peccatrice e lei chiuse gli occhi, pronta ad accettare la sconfitta.
Ma non fu così: udì dei sibili acuti, qualcosa che le sfrecciò accanto facendola rabbrividire, Lico imprecare e un suono atroce di pietra sgretolata e vesti strappate, poi solo il silenzio.
 
Aprì l’occhio destro per guardarsi intorno e vide Lico inchiodata da alcuni kunai alla parete opposta: non era stata ferita  mortalmente ma aveva un’espressione di puro terrore in viso e fissava un punto preciso alle spalle.
- Tu – sibilò rivolta alla misteriosa figura che l’aveva apesa come un quadro.
Travolta da una curiosità insana si vole anche lei e la vide: una giovane donna dai capelli corvini, con addosso un camice d’ospedale, la fronte e le braccia ricoperte di bende e con ancora i tubi delle flebo che le penzolavano dai polsi.
Sei grandi ali nere affilate si stagliavano silenziose alle sue spalle e il suo sguardo era colmo d’odio e rabbia, in netto contrasto con la sua espressione calma.
Non riusciva a credere a suoi occhi, non poteva esser  vero, eppure era proprio lì, Kikuri era davanti a lei.
   
 
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