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Autore: HollyMaster    02/02/2016    4 recensioni
Yevgeny Milkovich poteva definirsi fortunato. Aveva due padri fantastici e una madre dolcissima. Anche se suo padre Ian era bipolare, sua madre Svetlana era una ex-prostituta e suo padre Mickey era un delinquente nonchè un pappone. Insomma una normalissima famiglia disfunzionale del South Side.
[Raccolta di One Shot sulla vita in famiglia di Mickey, Ian, Svetlana e Yevgeny]
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Svetlana, Yevgeny Milkovich
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Milkovichs fucking need Gallagher


 
Era strano. 
Mickey cercava di convincersi in continuazione che fosse Ian che avesse bisogno di lui; per le medicine, per il bipolarismo, per le crisi, per continuare a vivere come una persona normale. E Ian pensava la stessa cosa.
Ma quello che aveva più bisogno dell'altro era Mickey. Aveva bisogno di aggrapparsi agli occhi verdi di Ian, di trovarci il suo appoggio, il suo consenso. Aveva bisogno di averlo vicino. Anche solo il fatto che fosse nella stessa stanza con lui cambiava ogni cosa. Il suo corpo lo cercava, così come il suo sguardo. 
E tutto andava fottutamente bene, finchè Ian era lì con lui. Quando sapeva che sarebbe tornato in casa Milkovich blaterando di qualcosa di estremamente bizzarro che era successo dai Gallagher o di qualche nuova persona conosciuta per strada. Quando sapeva che si sarebbe svegliato con lui che gli cingeva i fianchi e che avrebbe potuto sentire il suo respiro, caldo e rilassato, sulla spalla. Quando lo aiutava a capire cosa avrebbe dovuto fare con Yevgeny e gli ricordava, semplicemente rivolgendo a quel bambino quello sguardo pieno d'amore, che non era colpa sua se era nato dai uno dei ricordi più fottutamente spaventosi e tormentati di Mickey.
Quando c'era Ian tutto era perfetto.
Ma Ian se ne era andato da qualche giorno e la serenità in casa Milkovich era andata a farsi fottere. 
Yevgeny non aveva mai visto suo padre così prima d'ora. Passava da una stanza all'altra incapace di stare fermo, una sigaretta sempre accesa tra le dita e il cellulare costantemente in mano nella speranza che Ian lo chiamasse o già appoggiato all'orecchio che ascoltava il suono vuoto nell'attesa di una risposta che non sarebbe arrivata. 
Sua madre diceva che se lo sarebbero dovuti aspettare, che "Pel di Carota" era così, che lo aveva già fatto in passato. Yev non aveva capito bene, ma c'entravano le medicine che prendeva tutte le mattine per il bipoqualcosa.
-Papà Ian tornerà a casa, vero mamma?- Chiese Yev rivolto alla madre seduto sul divano con un sospiro. Ormai non si faceva vedere da due giorni e le occhiaie di suo padre erano sempre più scure e pesanti, in netto contrasto con la sua pelle chiara.
-Lui ama tu e tuo padre. Lui ha impazzito, ma torna sempre.- Gli rispose lei cercando di sorridergli.
Yev voleva che Ian tornasse, gli mancava, non solo perchè lo accompagnava a scuola la mattina mentre suo padre era ancora addormentato nel letto, o perchè era un ottimo costruttore di fortini fatti di cuscini e lenzuola, ma perchè sapeva e vedeva quanto ne avesse bisogno la sua famiglia. E non solo Mickey, ma anche Svetlana, che per quanto potesse cercare di fare l'indifferente era palesemente toccata dalla scomparsa del rossino. Casa Milkovich aveva bisogno di Ian semplicemente per funzionare.
Aveva pianto, nascosto nell'armadio della sua stanza per non farsi sentire da nessuno, pensando che forse avrebbe dovuto arrendersi ad una vita senza Ian. Aveva fatto scendere le lacrime fino a che non gli avevano completamente annebbiato la vista, cercando di trattenere le urla di dolore che sentiva rimbombargli nel petto. Non aveva mai pensato che qualcuno della sua famiglia avesse potuto abbandonarlo. Si passò il palmo della mano sugli occhi, e liberandoli dalle lacrime salate decise che non sarebbe stato quello il caso. Ian sarebbe tornato. 
Per suo padre. Per lui. Perchè erano la sua famiglia.
Il bambino uscì dall'armadio con gli occhi arrossati e si sedette sul divano, dove suo padre continuava a camminare avanti e indietro col telefono poggiato all'orecchio. 
-Cazzo, continua a non rispondere!- Si lamentò Mickey dalla cucina. Yev non aveva contato quante volte sua padre avesse già provato a chiamarlo. Non sapeva arrivare a numeri così alti.
-Deve tornare a casa quel figlio di puttana! Deve prendere le sue cazzo di medicine! Anzi, dobbiamo andare a cambiargliele, evidentemente non vanno più bene, guarda che cazzo combina!- Aveva cominciato di nuovo a parlare a rafica, lo faceva quando era agitato.
-Starà molto male senza?- Chiese ingenuamente Yev guardandolo allungarsi verso un pacchetto di sigarette già quasi finito che poggiava sul tavolino al fianco del posacenere pieno di mozziconi usati.
-Cazzo, sì!- Fu la sua risposta secca di Mickey mentre cercava l'accendino nelle tasche della tuta che aveva indosso già da due giorni.
-Mickey!- Urlò Svetlana comparendo sulla porta della sua stanza rivolgendogli uno sguardo truce. -Ian torna presto. Dopo tutto bene.- Disse poi rivolta a Yev con un mezzo sorriso.
-Ah si?! E se pensando di essere un fottuto pennuto si butta giù dal tetto di qualche cazzo di casa?!- Urlò Mickey agitando le braccia nell'aria. Yev sgranò gli occhi sconcertato. Era davvero possibile che Ian facesse una cosa del genere? Poteva davvero... morire? Questo voleva dire che non sarebbe tornato mai più.
Il bambino sentì le lacrime pizzicargli gli occhi chiari. Questa volta non era sicuro che sarebbe riuscito a frenarle per sfogarsi nell'armadio, da bravo Milkovich.
-Basta! Tu metti paura a Yevgeny.- Lo rimproverò Svetlana avvicinandosi al figlio per accoglierlo in un abbraccio rassicurante.
Mickey sospirò rumorosamente buttando fuori dalle narici del fumo e posò gli occhi su quelli identici del figlio che lo fissavano da sopra le braccia della madre che lo stringeva a se. Quell'azzurro lo colpì allo stomaco, non solo avevano lo stesso colore di quelli che vedeva riflessi nello specchio ogni mattina, ma erano lucidi di lacrime che non sarebbero riusciti a trattenere a lungo, esattamente come i suoi.
Fu in quell'esatto momento che capì che erano una famiglia.
-Ehi campione, scusami, io...- Cominciò Mickey sospirando mentre Yev scioglieva l'abbraccio con la madre per poterlo guardare meglio.
-Tu hai paura che papà stia male.- Finì la frase per lui. Suo padre annuì espirando dell'altro fumo dalle narici mentre socchiudeva gli occhi stanchi e lucidi.
-Perchè?- Chiuse ingenuamente abbassando lo sguardo sul tavolino.
-Deve prendere le sue medicine o va fuori di testa.-
-Ma dopo mangiato o gli viene una brutta diarrea!- Ricordò il bambino cercando di farlo sorridere. Quando alzò la testa per controllare se fosse riuscito nel suo intento notò che l'angolo delle labbra del padre si era leggermente piegato verso l'alto in quello che sembrava un piccolo sorriso. -Hai fottutamente ragione Yev.-
-Ci vuole bene. Io lo so che torna.- Esclamò il bambino annuendo. Era quello in cui aveva deciso di credere, ma Mickey non era così ingenuo, non bastava credere in una cosa perchè questa succedesse.
Svetlana pose lo sguardo torvo nuovamente su Mickey come ad intimarlo di non dire nulla, di lasciare il bambino con le sue speranze e la sua spensieratezza prima di scomparire nella sua camera. Yev aspettò che il padre si sedesse al suo fianco, sul divano, e finse di addormentarsi poggiando la testa sul braccio del genitore volendo lasciargli del tempo da solo, senza abbandonare fisicamente il suo fianco, perchè aveva bisogno di sapere che, qualunque cosa sarebbe successa, aveva qualcuno che non lo avrebbe lasciato solo. Poteva sentire il respiro agitato di Mickey e, a volte, i suoi muscoli tremare dalla rabbia che provava nel non riuscire a trattenere i singhiozzi e le lacrime che lasciava correre libere credendolo assopito.
Coccolato da quella triste nenia probabilmente finì per addormentarsi veramente perchè quando riaprì gli occhi fu solo grazie allo scricchiolio del portone di casa che veniva aperto.
-Non te ne andrai anche tu, vero?- Chiese il bambino stropicciandosi un occhio, rivolto al padre moro che aveva già un piede sul portico.
-No, vado all'Alibi, almeno me lo tolgo dalla fottuta testa per un pò.- Era stata la semplice risposta del genitore.

 
***

Erano già tre notti che Mickey raggiungeva l'Alibi e tornava solo quando Kev lo riportava in casa trasportandolo a peso morto su una spalla. Lo buttava sul divano dove si addormentava quasi subito e la mattina dopo si alzava puzzando di alcool e sudore e con tutte le intenzioni di occuparsi della sua famiglia e cercare Ian, ma quando arrivava la sera, e l'intero giorno era passato senza che si vedesse nemmeno l'ombra del rossino, nulla impediva a Mickey di tornare nel bar a sfasciarsi di whisky cercando di dimenticare.
Anche quella sera Yev lo aspettava sveglio. 
Aveva aspettato che sua madre si addormentasse e lo credesse nel suo letto a russare per poi andare a sedersi sul divano che entro qualche ora sarebbe stato occupato dal padre e leggersi qualche fumetto rubato alle edicole nell'attesa. 
Quando Yev sentì un rumore metallico provenire dalla porta si sorprese nel pensare che suo padre fosse tornato a casa sulle sue gambe e stesse cercando di utilizzare le chiavi per entrare. Il bambino si mise in piedi e si avvicinò al portone d'ingresso per poi aprirlo. Dall'altra parte un uomo stava cercando di inserire le chiavi nel buco della serratura fallendo miseramente a causa del buio della notte. Yev lo osservò ricambiato da due occhi che splendevano verdi e luminosi nell'oscurità.
Era Ian. 
-Non dovresti aprire senza chiedere chi è a quest'ora della notte.- Lo rimproverò per poi sorridergli malinconico. Non lo vedeva da troppo tempo, gli era mancato.
-Sei tornato.- Mormorò Yev incredulo.
-Scusami per quello che ho fatto.- Cominciò Ian piegandosi sulle ginocchia abbassandosi all'altezza del bambino per poterlo guardare meglio. Erano passati solo pochi giorni da quando era sparito senza far più sapere niente a nessuno ma sembrava che quel poco tempo avesse trasformato Yevgeny. Sembrava più alto, i capelli biondi e spettinati si erano allungati e anche i tratti sembravano più maturi e adulti.
-Sei tornato!- Esultò con la sua risata cristallina il bambino buttandosi tra le braccia dell'altro facendogli quasi perdere l'equilibrio. Ian lo accolse in un abbraccio stretto. -Sì e non voglio più andare via.- Gli sussurrò in un orecchio mentre gli passava una mano tra i capelli chiari.
Sciolto l'abbraccio si spostarono sul divano. Ian doveva ammettere che gli era mancato anche solo l'odore di quella casa.
-Mickey?- Chiese guardandosi attorno. -Dimmi che non è in giro a farsi di qualcosa o a ubriacarsi fino a vomitare.- Gli occhi, che aspettavano una conferme delle sue paure, puntati in quelli di Yev.
-No, è all'Alibi, ha un qualche affare da finire.- Mentì il piccolo Milkovich. Se aveva imparato a mentire lo doveva a suo padre, aveva capito fin da piccolo che quella era una dote che gli sarebbe rivelata utile nel South Side. -Lui ti ama, lo sai? E anche io ti voglio bene.- Gli disse il bambino arrossendo leggermente. Pensava semplicemente che avrebbe dovuto saperlo.
-Sì, lo so. Amo entrambi anche io.- Rispose Ian spettinando i capelli biondi di Yev seduto al suo fianco.
-E allora perchè te ne sei andato via?-
-E' difficile da spiegare...- E lo era. Ian non riusciva a spiegarlo nemmeno a se stesso, figurarsi ad un bambino che aveva cominciato la scuola da qualche mese. Una parte di lui voleva, però, che Yev capisse che non era ciò che voleva, o almeno non ciò che il lato razionale di lui voleva.
-E' il bipoqualcosa, vero?- Chiese il bambino stupendo il rosso. 
-Sono io.- Ammise infine in un sospiro. La malattia faceva parte di lui, non era un'altra persona, doveva solo imparare a gestire meglio tutto quello che aveva attorno. -Non mi capisco nemmeno da solo molto spesso. Ogni tanto mi sembra che questa famiglia funzioni talmente tanto bene che mi sento quasi un peso, quello di cui tutti si devono preoccupare, quello instabile...- Scosse la testa facendo in modo che un ciuffo di capelli ribelli uscisse dalla capigliatura piena di gel. -La maggior parte del tempo nemmeno io so cosa penso o il perchè.-
-Devi prendere le tue medicine.- Esclamò annuendo il bambino nella sua ingenuità. Yev si alzò dal divano e corse a prendere il tubo arancione per porlo all'altro. Ian gli rivolse un sorriso riconoscente. Non sarebbe bastato del litio per sistemare tutto il casino che aveva fatto, ma era grato di sapere che il bambino sarebbe stato lì per aiutarlo. 
Yev si allontanò per correre in cucina e tornare da lui con un pacco di cracker che gli porse con un sorriso gentile. -Devi mangiare prima o ti verrà una brutta diarrea!- Lo infomò ripetendo le parole che aveva sentito pronunciare dal padre. -E domani andiamo a cambiarle, queste non vanno molto bene.- Aggiunse ricordando il discorso di Mickey di qualche mattina precedente. 
Ian annuì e ingoiò le sue medicine per poi aprire il pacchetto di cracker e cominciare a sgranocchiarne uno. Yev contò le pillole e decise di imprimersi nella mente quel numero; se l'altro le avrebbe dimenticate gliele avrebbe ricordate lui! 
-Mi dispiace Yev, che tu sia dovuto crescere così in fretta. So cosa vuol dire, anche mia madre era bipolare, l'ho preso da lei. Fortuna, eh?- Disse ironico il rossino mentre con un gesto offriva il suo spuntino al bambino che si limitò a scossare la testa. Era Ian ad aver bisogno di mangiare in quel momento.
-Non tanto. Io ho preso gli occhi azzurri di papà e tu la malattia della tua mamma, è un pò ingiusto.-
-Un pò...- Concordò Ian in un sospiro.
-Ma questi occhi azzurri non ti lasceranno più. D'ora in poi ci sarò io a ricordati che ci vuoi bene e che sei super importante!- Esclamò Yevgeny alzando lo sguardo per incontrare quello verde dell'altro che sorrideva riconoscente.
-Anche io ricordo a te.- Fece una voce dal forte accento russo. Svetlana se ne stava in piedi, in camicia da notte, nel piccolo corridoio che portava nelle camere da letto. Vedendola Yev si preoccupò immediatamente che si sarebbe arrabbiata nel vederlo fuori dal letto, ma lei non sembrò quasi accorgersene troppo presa dalla vista del ragazzo.
Ian si alzò di scatto per abbracciarla. Anche lei gli era mancata.
-Sei mancato a tutti Pel di Carota.- Disse sincera una volta sciolto l'abbraccio.
-Ho deciso! Se quel coglione non vuole tornare andiamo noi a cercarlo, cazzo!- Mickey era comparso sulla porta d'ingresso borbottando ad alta voce per poi bloccarsi, come congelato alla vista del rossino.
Yev sorrise, alla fine era davvero tornato a casa sulle sue gambe.
-Mickey...- Sussurrò Ian guardandolo immobile.
-Gallagher...- Fu il mormorio impercettibile che uscì dalle labbra del moro. -'Fanculo.- Aggiunse sorridendo facendosi avanti verso di lui. 
Poggiò la mano sulla guancia di Ian avvicinando il suo viso al proprio. Toccò la sua altra guancia con la punta del naso e fece in modo che i loro visi si accarezzassero per poi lasciare cadere la testa nel collo di Ian e inalare il suo profumo, quell'odore che gli era terribilmente mancato.
Le braccia strette attorno alle sue spalle, i palmi aperti sulla sua schiena e gli occhi azzurri socchiusi per non lasciare andare le lacrime che supplicavano di essere liberate, in un abbraccio bisognoso.
Ian si piegò, abbassandosi, per nascondere gli occhi nella spalla del moro e poggiò le mani sui suoi fianchi per fare in modo che i loro corpi aderissero l'uno all'altro.
Mickey lasciò che una mano vagasse tra i capelli di Ian districandosi tra quella chioma rossa per poi stringerlo ancora più a sè, con urgenza, costringendolo ad abbassarsi ancora di qualche millimetro.
-Hai preso le fottute medicine?- Ian annuì silenziosamente. Volevano entrambi semplicemente sentirsi appartenere l'uno all'altro. 
Le parole non sarebbero servite. 
Fu Mickey a sciogliere l'abbraccio, aveva bisogno di mettere in chiaro qualche punto, lasciando però una mano appoggiata alla sua spalla.
-Domani le andiamo a cambiare...-
-Sì, lo so, il piccolo Milkovich mi ha già avvisato.- Lo informò indicando con il capo il bambino che gonfiava il petto fiero delle sue azioni.
Mickey abbassò lo sguardo sul figlio e gli fece un occhiolino complice mentre Yev sorrideva felice.
-E chiamiamo quello strizzacervelli, ci devi tornare da quel coglione.- Aggiunse poggiando nuovamente la mano sulla guancia di Ian. Quel ragazzo gli era mancato più dell'aria stessa, ora non lo avrebbe lasciato più andare.
-Scuola domani. Tutti in letto adesso.- S'intromise Svetlana tornando a prendere il ruolo dell'adulto responsabile della casa.
Yev si infilò nel letto dopo aver dato la buonanotte a tutta la sua strana famiglia e finse di addormentarsi, per la seconda volta quella sera, ma aveva altri piani e doveva assolutamente portarli a termine. Quando fu sicuro che sua madre dormisse si sedette alla sua scrivania e cominciò a trafficare con colori, colla, e fogli di tutte le grandezze. Quando fu soddisfatto del risultato raggiunse la stanza dei suoi papà per posizionare i suoi lavori, entrando solo dopo essersi assicurato che i due avessero smesso di ridere e mormorare tra loro come due piccioncini.

 
***

Quella mattina Ian si svegliò nel letto che condivideva con Mickey, in quella che ormai considerava anche casa sua. L'altro dormiva al suo fianco abbracciato al cuscino. Ian si tirò su appoggiando la schiena al muro per osservarlo meglio. Ricordava distintamente le parole di Carl di diversi anni prima e non poteva che dargli ragione; l'esemplare di Mickey addormentato era la cosa più dolce che avesse mai visto, ma certo non glielo avrebbe mai detto. 
Lentamente gli occhi di Ian lasciarono il corpo di Mickey che, praticamente del tutto esposto, aveva offerto al rossino un ottimo intrattenimento, e li lasciò vagare per la stanza. Fu solo in quel momento che si rese conto che era tappezzata di disegni che ritraevano lui, Mickey e Yev. Ma non mancavano quelli che raffiguravano Lip, Svet, Mandy, Carl, Liam, Debs, Fiona, Kev, V, e perfino Iggy. La sua grande famiglia allargata, non mancava assolutamente nessuno.
Sul comodino erano adagiate le pillole di litio e di olanzapina. Al fianco una tazza bianca, piena d'acqua, sulla quale era stata dipinta, in un blu acceso, una grande scritta: "I Milkovich hanno bisogno di te!"
Il cuore di Ian perse un battito e i suoi occhi divennero lucidi mentre si guardava attorno ancora incredulo.
-Non ti metterai a piangere adesso, checca.- Mickey sbuffò tenendo gli occhi chiusi.
-Non sto piangendo.- Mentì Ian tirando su con il naso e asciugandosi gli occhi con dita. -Ehi, ma tu non stavi dormendo?- Domandò constatando che avesse ancora gli occhi chiusi.
-L'ho sentito stanotte appendere tutta questa roba.- Spiegò quello per poi sbadigliare rumorosamente. -Quel bambino ti adora.- Aggiunse aprendo gli occhi e puntando quel suo sguardo azzurro sul rossino. -Quindi non farlo mai più, andartene via così.- Concluse prima di stropicciarsi gli occhi con il palmo della mano.
-Scusa, io...-
-Non devi chiedere scusa, cazzo. So che è così che sei fatto, che sei tu, anche con questa cazzo di malattia. E che non posso cambiarti o metterti a posto o che cazzo so io.- Lo interruppe lui. -Posso capirlo, o almeno provarci. Ma lui? Lui ha fottutamente bisogno di te.- Terminò prima di avvicinarsi a lui pronto a un bacio del buongiorno.
-Perchè sono parte della sua famiglia.- Disse l'altro in un mormorio, più tra sè e sè che per essere realmente ascoltato.
-Sì, testa vuota del cazzo.- Confermò Mickey passandogli una mano tra i capelli per spettinargliegli in modo infantile. -Sei parte della mia famiglia, della sua. Sei importante per noi, così come sei.- Aggiunse guardandolo dritto negli occhi. 
Yev entrò nella stanza con un sorriso sulle labbra, guardandosi intorno, felice del suo lavoro. Tra le mani reggeva un vassoio pieno di biscotti che sua madre, ora in piedi appoggiata allo stipite della porta della camera, aveva aiutato a preparare quella mattina.
-Ehi, ma hai dormito stanotte?- Chiese leggermente preoccupato Ian mentre il bambino gli si avvicinava.
-Non tanto.- Ammise Yev posando il vassoio sul letto per poi arrampicarsi sul materasso e infilarsi tra i due. -Ma ho fatto i biscotti al cioccolato. Ian non può prendere le medicine senza aver mangiato o...-
-Gli verrà una brutta diarrea!- Dissero tutti in coro per poi scoppiare a ridere.
Ian sorrise. 
Stava bene. Non era felice ed eccitato, non era triste e depresso. 
Stava solo bene.
I Milkovich non funzionavano senza di lui ma lui non funzionava senza i Milkovich.





L'angolino di Holly
Salve :)

Eccoci alla OS su una delle prime grandi crisi di Ian. Allora prima di tutto mi scuso se la malattia non viene fuori al 100% accurata. Mi sono documentata il più possibile ma non so quanto effettivamente sono riuscita a mettere in pratica ciò che ho imparato nella trama. Quindi scusatemi se c'è qualcosa sulla sua malattia che non quadra, userò la carta della licenza poetica xD
Ho cercato anche di inserire il momento in cui Mickey comincia a interessarsi davvero a Yev e non solo perchè è costretto da Svetlana ma perchè capisce che tiene veramente a lui.

Yev ovviamente è molto ingenuo nei riguardi della malattia, essendo un bambino, è la prima volta che ne "vede" gli effetti ma è intenzionato a fare tutto ciò che può per tenere Ian in famiglia, dove appartiene. E questo non solo perchè vuole bene al rossino, ma anche perchè assiste alla reazione del padre. Mickey senza Ian sprofonda, un pò come Ian senza Mickey. Lo fanno in due modi diversi, comportandosi in modi diversi, reagendo in modi diversi ma il risultato è lo stesso. Hanno bisogno l'uno dell'altro e Yev ha bisogno di entrambi. Ecco, il succo di questa fanfiction era questo. Spero sia arrivato qualcosina :)
Se avete idee su situazioni che potrebbero succedere o che vi piacerebbe vedere in questa famiglia disfunzionale, promptate pure :)
Spero vi sia piaciuta, fatemi sapere.
Grazie a tutti per aver letto ♥ 

 
   
 
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