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Autore: WaterfallFromTheSky    02/02/2016    1 recensioni
Haruko è solo una innocente ragazzina quando Lady Kagami irrompe nella sua vita, stravolgendogliela. Da quel momento, la giovane sarà costretta a fingere, a fare cose che logoreranno la sua anima, tutto per salvare se stessa e suo fratello. Riuscirà nel suo intento? Sarà capace, la ragazza, di mantenere intatti i suoi principi?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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-Haruko!-. La ragazza si voltò; sulla porta c'era la piccola Mina. Le treccine che le aveva fatto le donavano molto, la facevano sembrare una sè in miniatura.
-Cosa c'è?-
-Stai andando via?-
-Si, anche oggi ho finito. Perchè?-
-Due mie amiche volevano le treccine come ce le ho io. Ho provato a farle ma non ci riesco...-. Haruko ci pensò su un attimo, poi disse:-Facciamo stasera, dopo il tramonto-
-Siiiii! Così dico alla mamma se mangi qui!-. La ragazza ridacchiò e acconsentì, intenerita. Sarebbe stata stanca morta dopo l'allenamento, ma avrebbe fatto uno sforzo. Quella famiglia era così gentile con lei che raramente riusciva a dire di no ad uno di loro.
Bella carica nonostante avesse voglia di dormire almeno per mezz'ora, tornò a casa degli Azuma per cambiarsi e iniziare l'allenamento. Tuttavia il suo buonumore svanì presto quando fu pervasa da una strana sensazione di solitudine.
L'assenza di Rikimaru si avvertiva chiaramente. Come un cubetto di ghiaccio sulla schiena. Mentre era intenta a lavorare non se n era accorta ma, ora che si incamminava verso casa...
Cos'era quella sensazione? Vulnerabilità? Senso di solitudine? Scoprì in quel momento che, se all'inizio la presenza costante di Rikimaru celata intorno a lei fosse una minaccia, col tempo era diventata...un conforto. Un elemento della routine che le mancava. Quella libertà improvvisa la spaesava. Nessuno la controllava, poteva andare in un luogo qualunque, fare qualsiasi cosa, poteva perfino uccidere qualcuno, fuggire, uccidere se stessa...
Ma non le andava di fare altro che non fosse ciò che ci si aspettasse da lei, ossia di tornare dagli Azuma, allenarsi fino a sera, andare a dormire stremata. Non aveva voglia di essere da nessun altra parte nè di fare qualsiasi altra cosa. Era quella la sua vita adesso.
Si accorse di essersi ripresa. Pensava ancora a Lady Kagami, a ciò che aveva perso, ancora piangeva e si agitava di notte per questo...tuttavia si era rassegnata. Aveva ripreso a vivere. Ormai si era stabilita lì, aveva un lavoro che non era più solo un modo per tenersi impegnata, bensì quello di renderla indipendente, e aveva una casa, anche se contava di trasferirsi in un'altra a breve, anche se fosse stata una catapecchia. Aveva delle persone che non erano la sua famiglia ma che voleva proteggere. Gli allenamenti con Rikimaru erano mirati a questo. E, d'un tratto, si sentì libera. Libera dalla sua vecchia vita, libera da Lady Kagami. Presto sarebbe stata libera anche dal suo dolore, anche se mai completamente.
E questo era grazie a Rikimaru. Si, era merito suo: merito della sua compassione, della sua rettitudine. Non aveva voluto prendere una decisione affrettata perchè, nonostante fosse abituato a spezzare vite in un attimo, attribuiva un valore alla vita e, se non necessario, non la spezzava mai, anzi, la tutelava. Rikimaru l'aveva rispettata. Aveva atteso di poter capire qualcosa di lei prima che si decidesse della sua vita. Le aveva dato una chance. Miracolosamente, tutto questo aveva dato frutti.
"Rikimaru". Doveva così tanto a quel giovane ninja. Ricordò cosa aveva pensato la prima volta che lo aveva visto, in quella cella: il suo aspetto serioso gli conferiva una maturità che non aveva. Una maturità sia mentale che per età. Aveva avuto ragione circa l'età -Rikimaru aveva la sua età, ossia diciotto anni- ma non per il resto. Rikimaru era davvero maturo come sembrava. E Haruko non poteva che ammirarlo e ringraziarlo per questo. Decise che doveva sdebitarsi in qualche modo, anche se mai sarebbe stato abbastanza. Non aveva idea di come fare, ma si sarebbe fatta venire qualche idea.
***
Erano trascorsi tre giorni. Rikimaru non era ancora tornato. E lei iniziava a preoccuparsi. Che gli fosse capitato qualcosa? Scoprì che l'eventualità che lui fosse morto in missione la terrorizzava. Probabilmente perchè non era pronta a perdere nessuno, soprattutto se si trattava del suo salvatore e maestro.
Impaziente, prima di dedicarsi al solito allenamento pomeridiano, la ragazza si recò dal Maestro Shiunsai. Trovò il vecchio nella sua spoglia stanza, intento a leggere una pergamena; appoggiata accanto a lui vi era una tazza con una bevanda che lei non identificò.
-Maestro Shiunsai? E' permesso?-. Il vecchio sollevò la testa e le rispose:-Certamente, ragazza. Entra pure-. La giovane obbedì e prese posto dinanzi a lui, inginocchiata sul pavimento.
-Come state oggi?-
-A parte qualche dolore sparso, che ormai è da prassi, direi bene. Tu, ragazza?-
-A parte la stanchezza, bene-
-Sei venuta per chiedermi aiuto negli allenamenti?-
-No, in realtà io...volevo...si sa nulla di Rikimaru?-. Il vecchio restò stupito dalla domanda; immediatamente dopo, lo stupore divenne piacere, tuttavia non diede a vedere nulla alla giovane. Rispose:-No, non sappiamo nulla. E' anche vero che ne aveva di strada fare per raggiungere il luogo designato per la missione. Naturalmente al ritorno la strada è la stessa-
-Capisco-. Shiunsai la vide annuire una volta sola e restare impassibile, tuttavia immaginò una certa preoccupazione in lei. E aveva ragione, ma Haruko preferiva tenere per  sè qualsiasi emozione di troppo.
-Maestro?-
-Dimmi, Haruko-
-Io...la prossima volta sarebbe possibile partecipare ad una missione con Rikimaru o Ayame? Perchè vorrei testare sul campo i miei progressi-. La ragazza non aggiunse che preferiva essere affiancata a Rikimaru -Ayame non avrebbe fatto altro che schernirla e lasciarla indietro- ma Shiunsai ci arrivò lo stesso. Rispose:-Valuterò la cosa. Dipende dalla missione che Lord Godha ci assegnerà-
-Mi sembra giusto-
-Ma terrò in considerazione la tua volontà-
-Grazie infinite. So di essere inesperta e non intralcerò in alcun modo Rikimaru oppure Ayame-
-Mi sembra di capire che non rinunci alla tua vita da ninja-. Haruko restò spiazzata. In effetti non ci aveva pensato. Voleva diventare più forte per proteggere ciò che aveva, ma recarsi in missione e lavorare come ninja non era necessario allo scopo. Testare le sue capacità in uno scontro che fosse reale era giusto e doveroso, ma che diventasse sistematico...
Era ancora una ninja, lei? Cosa ne stava facendo della sua vita? Che direzione stava intraprendendo, precisamente? Era una persona semplice, una popolana, oppure una guerriera che serviva attivamente il proprio signore? Difficilmente si poteva essere entrambe le cose.
-Devo ancora...prendere una decisione in merito, in realtà-
-Capisco-
-Perchè me lo chiedete, comunque?-
-Se la tua risposta fosse stata che si, conservi la tua vita da ninja, ti avrei proposto di servire Lord Godha assieme a noi-
-Oh-. Haruko restò spiazzata. In poche parole, Shiunsai era disposto a prenderla nel suo clan? Era commossa. Non era sicura che fosse ciò che volesse fare, essere ninja, ma...sapere che quel clan le lasciava la porta aperta la fece sentire improvvisamente parte del gruppo anche se ufficialmente non lo era. No, non del gruppo...della famiglia. Quei ninja erano una famiglia. E il vecchio maestro le aveva offerto la possibilità di farne parte.
-Io...non so cosa dire...-. Ed era vero. Mille emozioni affollavano il suo cuore: gioia, gratitudine, sollievo, perfino affetto per tutti loro -anche per Ayame, sebbene non fosse mai troppo amichevole con lei-. Alla fine riuscì a dire, sincera:-Grazie. Non so cosa farò ma...intanto, grazie. Di cuore-. Il vecchio registrò la sincerità della giovane, che gli fece tenerezza; replicò, bonario:-Prendi la tua decisione con calma. Puoi accettare o declinare anche l'anno prossimo. L'offerta è sempre valida-
-Grazie- ripetè Haruko, annuendo e sorridendo dolcemente. Il vecchio ricambiò il sorriso, le rughe del viso distese in un lungo istante di bontà paterna e serenità.
***
Il fuoco. Era caldo, bruciante sulla pelle. Era circondata dal fuoco. Case in fiamme, distrutte, cadenti, circondate da cadaveri o gente agonizzante. Suo padre era riverso per terra poco lontano da lei, circondato da una pozza di sangue. Raundomaru. Dov'era, ora che aveva bisogno di lui? Non ce la faceva, doveva proteggere sua madre e Akahito ma non ce la faceva da sola. Presto quella donna sarebbe tornata...
Si svegliò con un violento sussulto, quasi fosse stata in apnea troppo a lungo. Le mancava l'aria, ansimava da matti. Ed era tutta sudata. Sudore freddo. Un brivido la scosse per un secondo. Haruko spinse di lato la leggera coperta del futon e si sollevò a sedere, in attesa che il battito cardiaco impazzito si regolarizzasse, così come il respiro. Deglutì e si guardò attorno, anche se vedeva ben poco per via del buio della notte. Si alzò e uscì, sebbene sentisse le gambe un pò malferme. L'aria fresca della sera fu un toccasana. Tirò un profondo respiro e, sollevata, capì di essersi quasi del tutto calmata. Quei maledetti sogni...
D'un tratto sentì un uggiolio sommesso. Haruko si lasciò guidare da quel suono e raggiunse il retro della piccola casa. Intravide la sagoma di Semimaru, che scodinzolava freneticamente in direzione della stanza di Ayame.
-Semimaru- lo chiamò lei in un bisbiglio; il cane si precipitò da lei e guaì appena, quasi non volesse svegliare nessuno, poi guardò la stanza. Haruko intuì cosa il cane potesse volerle comunicare e, un pò allarmata, si avvicinò alla stanza di Ayame, seguita da lui.
-Ayame?- chiamò sommessamente. Non ottenendo risposta, lo fece ancora. Il cane intanto non scondinzolava più, se ne stava accanto a lei con le orecchie dritte e un'espressione attenta. Haruko chiamò di nuovo la ragazza e udì:-Che diavolo vuoi?-. Contrariamente a loro, Ayame non prestava attenzione all'orario notturno.
-Va tutto bene? Posso entrare?-
-Che cosa vuoi?-
-Io nulla. Semimaru sembra preoccupato per te. Va tutto bene?-. Haruko la sentì borbottare qualcosa oltre il fusuma; alcuni secondi dopo se la ritrovò davanti, i capelli sciolti e scarmigliati e l'aria truce. Si addolcì quando parlò col cane:-Non ti sfugge proprio niente, eh?-. Il cane mandò un breve uggiolio e avvicinò il muso alla mano della più giovane, che si lasciò andare ad un sorriso e lo accarezzò.
-Cosa non gli sfugge?- azzardò Haruko. Ayame recuperò la sua espressione seccata e replicò:-Ma niente, è solo che è quel periodo del mese e sto patendo le pene dell'inferno. Non sai quanto mi stia pesando stare qui in piedi davanti a voi. Semimaru si accorge sempre quando non stiamo bene, non so come faccia-
-Oh, capisco. Se vuoi, posso fare qualcosa. Almeno riesci a dormire un pò-
-Non mi sembra di averti chiesto nulla-. Paziente, Haruko sospirò e disse:-Allora ti dirò cosa puoi fare e farai tutto da sola, compreso il decidere se ascoltarmi o meno-
-Guarda che solo perchè hai incantato Rikimaru e il Maestro non vuol dire che funzioni anche con me e che inizi a trattarti come un'amica. Non esiste-. Haruko, ferita, perse la pazienza. Brusca, ribattè:-Mi hai proprio stancata. Non mi aspetto che diventiamo amiche o chissà cosa, ma non credo nemmeno di meritarmi questo tuo comportamento infantile e insensato. Non ti ho fatto nulla. Prima eravamo nemiche, adesso siamo dalla stessa parte, per cui puoi anche smettere di...-. Ayame aprì la bocca per dire qualcosa, ma Haruko alzò la voce, incurante di che ore fossero, e fece:-No, cara, adesso stai zitta e parlo io. Non siamo nemiche e io non so più come dirtelo. Non dobbiamo necessariamente andare d'accordo, ma vedi di calmarti quando parli con me, è chiaro? Se non altro perchè sono più grande di te. Volevo solo essere gentile ma, se proprio non riesci a sopportarmi, allora dillo una volta per tutte e farò come se non esistessi-. Ayame la fissò coi suoi occhi scuri, il viso immobilizzato in un'espressione irata. La sua piccola mascella era tesa. Haruko capì che non ci fosse nulla da fare, quindi concluse, con astio:-Bè, tieniti i tuoi dolori. Buonanotte-. Si voltò e si allontanò a grandi passi, lasciandola lì senza dire altro. Semimaru si limitò a spostare lo sguardo dall'una all'altra, evidentemente confuso, ma nessuna delle due ragazze ci fece caso. Haruko si fermò prima di svoltare l'angolo, si voltò e aggiunse, dura:-E comunque, tanto per puntualizzare, ho detto una cosa inesatta. Noi non siamo mai state nemiche. Non lo eravamo nemmeno all'inizio. Forse lo siamo ora, e non per colpa mia-. Ciò detto, svoltò l'angolo e sparì, innervosita. Ayame chiuse il fusuma con uno scatto violento, lasciando il cane fuori, che restò spiazzato, la testa reclinata di lato. Si stese lì davanti e sospirò, chiudendo gli occhi per dormire.
***
Haruko si era addormentata e aveva iniziato la sua giornata come sempre, senza più pensare all'alterco avuto con Ayame quella notte. Aveva semplicemente deciso di ignorarla, come lei voleva. Del resto, quante volte suo padre le aveva detto che si faceva così con la gente? Comportarsi a specchio, questo era il suo motto: comportati bene con chi lo fa con te, evita chi ti intralcia o, nel peggiore dei casi, ripaga con la stessa moneta. Bè, era esattamente ciò che quella piccoletta bisbetica si meritava.
Ayame, al contrario, non aveva più chiuso occhio, sia per i dolori mestruali sia per il nervosismo scatenato dalla rispostaccia di Haruko. I dolori si erano fortunatamente placati e lei riusciva a fare tutto come se non avesse nulla, tuttavia la mancanza di sonno e quel litigio la rendevano davvero intrattabile. Nemmeno Semimaru riusciva ad addolcirla, motivo per il quale se ne stette per conto suo tutto il giorno, a tentare di rilassarsi un pò nel silenzio della vicina foresta di bambù. Il verde, il cinguettio degli uccellini e la tranquillità del posto ebbero in effetti il potere di sedare i suoi nervi. E la portarono anche a riflettere. Non ci aveva fatto caso subito, ma finì col ripensare di continuo alla puntualizzazione che Haruko aveva fatto prima di mollarla sulla porta e andarsene. Cosa significava che non erano mai state nemiche? Che lo erano solo adesso? Lei faceva parte dei ninja di Toda...
Ayame non era ancora certa che lei fosse inoffensiva e che ci si potesse fidare di lei, tuttavia era decisa a vederci chiaro una volta per tutte. Ci rimuginò su a lungo ma, nel tardo pomeriggio, non ne potè più e decise di essere più diretta. Per questo motivo, non appena la vide tornare dal fiume per dedicarsi alla meditazione, la intercettò. Erano nel boschetto vicino casa. Ayame la vide prendere posizione, seduta per terra con le gambe incrociate, la schiena diritta, il mento alto.
-Ehi tu-. Haruko si voltò in sua direzione, trovandola poggiata ad un albero con una mano sul fianco sottile.
-Sono impegnata-
-Lo sei sempre. Ma ho una domanda da farti-
-Problemi tuoi-
-E' importante-
-Ripeto: problemi tuoi-. Contrariata, Ayame pensò che quella ragazza sapeva essere veramente stronza. Bè, era consapevole di meritarselo. Si avvicinò e le si piazzò di fronte; Haruko, che aveva chiuso gli occhi per dedicarsi alla meditazione, li riaprì e li sollevò verso il cielo, seccata.
-Cercherò di fare in fretta. Non credere che mi piaccia parlare con te-
-E' reciproco. Bè, parla e sparisci-. Haruko si alzò in piedi: Ayame era piccola ma aveva un carattere forte, per cui guardarla dal basso la metteva a disagio. In piedi Haruko era più alta di diversi centimetri e ciò la faceva sentire meglio.
Ayame disse, senza troppi preamboli:-Ieri notte hai detto che non siamo mai state nemiche. Ma non è vero, tu eri nella fazione di Toda-
-La domanda qual è?-
-Cosa intendi? O è un nuovo modo per prenderci in giro?-
-Accidenti, Ayame, mi fai l'onore di prestare attenzione a ciò che dico e a pensarci anche dopo. Bè, direi che una risposta te la sei meritata-
-Spiritosa-. Haruko abbandonò il suo cipiglio ostile e capì che doveva una spiegazione ad Ayame, così come agli altri ninja Azuma, che fino a quel momento non aveva fornito. Per farlo doveva dire qualcosa in più anche su di sè. La cosa non le andava -stava meglio, ma non così tanto da parlare del suo passato senza che questo le suscitasse emozioni spiacevoli- ma non poteva tirarsi indietro. Lo doveva a tutti loro, se non altro per la loro ospitalità e per il fatto che fosse ancora viva. Non le piaceva doverlo fare con Ayame...ma forse avrebbe avuto una scusa per non scendere troppo nei dettagli.
Haruko sospirò e rispose, sintetica:-Si, ero nella fazione di Toda. Ma non servivo davvero lui. Io avevo un altro obiettivo-
-Ossia?-
-Ricordi quella donna? Quella contro cui stava combattendo il vostro compagno, Tatsumaru?-
-Certo che me la ricordo-
-Lei era il capo dei ninja al servizio di Toda. Era una donna violenta e senza cuore che io odiavo e odio ancora con tutta l'anima-. La giovane si era sforzata di mantenere un tono neutro, ma era perfettamente conscia di aver fallito. La voce le vibrava di rancore, e se ne accorse anche Ayame. Lei fece finta di nulla e la incalzò:-Perchè la odiavi?-
-Mi ha portato via tutto. Io, come avrai immaginato, sono originaria di un altro villaggio, più piccolo di questo...che ora non esiste più. Perchè quel demonio, un giorno, è venuto a razziarlo-. Ayame aggrottò appena le sopracciglia, basita e colpita dal fuoco nero che vedeva negli occhi solitamente pacifici della più grande. Haruko seguitò:-Non so quale ordine le avesse impartito Toda riguardo al mio villaggio, fatto sta che lei aveva bisogno di rimpolpare le sue fila. Distrusse tutto e uccise chiunque fosse debole o rifiutasse di seguirla. Con questo intendo ha ucciso vecchi e bambini indiscriminatamente, disabili, malati, donne, anche incinte o mamme da poco, ragazzini, chiunque non potesse o volesse esserle utile. Ha ucciso anche i miei genitori. E il mio ragazzo. Io l'ho seguita perchè quello era l'unico modo per riuscire a vendicarmi, un giorno. E, quando ci siamo incontrate, io ho tentato di uccidere Tatsumaru non per salvare lei, bensì perchè temevo che mi intralciasse, che non sarebbe riuscito a eliminarla e che non ci sarei riuscita nemmeno io, che avrebbe fatto andare storto qualcosa. E in effetti è così che è andata. Ma, quantomeno, adesso è morta. Spero stia marcendo nell'inferno più rovente-. Haruko era tutta un fuoco. Un fuoco oscuro che spaventò Ayame. Un fuoco che le avrebbe tolto anche il minimo barlume di ragione se Kagami fosse stata davanti a lei in quel momento. Le si sarebbe scagliata addosso per ucciderla indipendentemente dal fatto che lei fosse più forte e avrebbe avuto la meglio. Ayame la osservò, il volto livido di odio, la postura rigida, i pugni serrati tanto da avere le nocche nivee. E, per la prima volta, le credette. Non poteva essere una finzione quella. Tutta quella rabbia...
Haruko voltò la testa di lato con uno scatto, recidendo il contatto visivo; Ayame notò la sua mascella tesa. Pensò che, se avesse continuato a stringere i denti in quel modo, se li sarebbe fatti saltare. Disse:-Quindi, adesso non devi vendicarti-
-Temo di no-
-E ti stai facendo davvero una nuova vita qui-
-Infatti-. Haruko tornò a fissare Ayame dritto negli occhi, con una limpidezza e una sfacciataggine che Ayame riconosceva nei propri. Quella ragazza non le sarebbe mai piaciuta del tutto...ma pensava di poterla soffrire un pò di più.
-Albergherai a casa nostra fino a quando?-
-Finchè non troverò un'altra casa. Appena possibile-
-Intendi restare al villaggio, quindi-
-Per ora almeno, si-
-E, se non hai nessuno di cui vendicarti, perchè ti alleni per diventare più forte?-
-Perchè non voglio trovarmi impreparata in caso di un nuovo attacco da parte di qualche altro psicopatico come quella maledetta donna. Non posso interamente contare solo su te e Rikimaru-. Ayame annuì una volta, credendo anche a quello e pensando che, al suo posto, avrebbe fatto lo stesso. Erano molto più simili di quanto non sembrasse.
-Posso continuare ad allenarmi, ora?-
-Fa pure-. Ayame le diede le spalle e sparì su un albero. Aveva la sensazione che, sebbene la ragazza fosse stata sincera, non avesse rivelato proprio tutto; tuttavia, ciò che aveva detto poteva bastare. Tutti avevano diritto di possedere dei segreti, e ciò che ora lei sapeva era sufficiente. Si chiese se Rikimaru fosse già a conoscenza di ciò e non avesse detto nulla a nessuno solo per correttezza -non se ne sarebbe affatto stupita-.
Haruko tornò seduta, gambe incrociate, schiena diritta, occhi chiusi. Un minuto dopo, tuttavia, tornò in piedi e corse via.
***
Aveva smesso di correre perchè il suo corpo non ne poteva più: i polmoni le scoppiavano, il fiato le mancava, il cuore martellava impazzito, le gambe la reggevano appena.
Non era finita lontano dal villaggio, cosa di cui si stupì. Si trovava in un punto molto alto, dal quale vedeva il villaggio interamente, la foresta di bambù, il fiumiciattolo, le piccole montagne vicine, i campi e i prati, perfino le persone che concludevano la loro giornata di lavoro tornando alle loro case. Invidiò tutta quella gente spensierata, che forse non era felice ma non aveva nemmeno il cuore distrutto come lei.
Haruko crollò sull'erba mentre recuperava il respiro. A stento notò che stava stringendo alcuni fili d'erba in una mano; se fossero stati la mano di una persona, in quel momento sarebbe stata cianotica per quanto era forte la sua presa.
Se ne rese contò e mollò la povera erbetta, alzando la testa. Era il tramonto. Lo sguardo si perse sul cielo arancio, rosato attorno al sole morente e caldo. Ayame aveva riaperto quella brutta ferita che ancora non si era rimarginata. La odiò per un istante. Le cadde una lacrima mentre emetteva un lungo lamento gutturale.
 
Si era allontanata di corsa dal pollaio con la scusa di andare a comprare del mangime per i polli. Corse verso il piccolo fiume, in fermento: non vedeva l'ora di vederlo. Quando arrivò sulla sponda del fiume, nel punto dove erano soliti incontrarsi, non lo vide e lo cercò con lo sguardo, tuttavia affatto sorpresa: Akahito non era un tipo puntuale. Nemmeno terminò quel pensiero che si ritrovò le mani di qualcuno sugli occhi; non vedeva più nulla, ma non si allarmò.
-Smettila scemo!- esclamò lei, ridacchiando, le guance colorite di emozione. Si liberò dalla presa e si voltò, incrociando lo sguardo allegro di Akahito.
-Che razza di ninja sei se ti fai sorprendere alle spalle così?-
-Smettila! Non ero all'erta, tutto qui-
-Si si, secondo me sei solo scarsa-
-Non è vero!-. Gli fece una linguaccia e gli mise il broncio, ma lui scoppiò a ridere e la abbracciò, sciogliendola all'istante. Timidamente, lei abbassò lo sguardo, dicendo:-Non ho molto tempo...-
-Nemmeno io...quindi, approfittiamone-. Nemmeno terminò la frase che le diede un bacio tra i capelli; Haruko arrossì vistosamente, ma sollevò lo sguardo e lo fissò nei suoi occhi scuri e dolci, mentre sorrideva e le era vicinissimo. Ignorò la timidezza e si alzò sulle punte per cingergli il collo con le braccia, fissando le sue labbra sottili ma invitanti. Chiuse gli occhi; il cuore le batteva forte e sperò che il tempo si fermasse...
-Che odore-
-Cosa?-
-Non senti nulla?-
-Che dovrei sentire?-
-Puzza di bruciato-. Haruko si staccò da lui, accigliata, ma colse anche lei quell'odore acre di qualcosa che bruciava. E, subito dopo, delle urla allarmarono i due ragazzi, che si scambiarono uno sguardo spaventato...
Haruko abbassò il capo, mordendosi le labbra mentre lasciava che le lacrime le scorressero sul volto.
Le urla e il puzzo di bruciato li nausearono ancor prima di raggiungere il villaggio; quando vi arrivarono, restarono paralizzati per qualche istante. Haruko dimenticò di non essere sola, rapita da ciò che aveva davanti agli occhi: caos. I suoi compaesani fuggivano da una parte all'altra come un branco di galline terrorizzate da una volpe. Alcuni erano aggrediti da uomini e donne di una violenza spaventosa che Haruko catalogò subito come ninja, sebbene non ne avesse mai visto uno tranne che i suoi genitori. Le loro lame, di qualunque arma facessero parte, erano affilate ma affatto lucenti: la ragazza si stupì di quanto fossero luride di sangue. E di come la carne umana sembrasse burro fuso quando esse vi penetravano. La mente di Haruko registrò ciò che i suoi occhi sbarrati colsero: un uomo dall'espressione impassibile che afferrava il pastore per la nuca, lo attirava a sè e gli tagliava la gola con la spada con un colpo secco, per poi gettarlo per terra come se fosse un sacco pieno di immondizia e passare ad una bambina, che piangeva e strillava....
-Haruko, non guardare!-. Le mani di Akahito furono di nuovo sui suoi occhi, ma le orecchie della ragazza colsero comunque lo strillo strozzato della bambina e si ritrovò in lacrime, tremante, scioccata.
 
Portò le mani al petto, respirando a fatica per la nitidezza di quell'immagine.
 
-Vieni, vieni qui!-. Akahito le afferrò un polso e la trascinò via; lei, scioccata da ciò che stava accadendo, quasi non se ne accorse. Si ritrovò dietro una casetta con lui che le metteva le mani sul viso.
-Haruko! Haruko, ehi....!-
-Perchè...cosa diavolo...-
-Non lo so, io...-. Haruko colse solo vagamente lo sconvolgimento nella voce del ragazzo. La sua mente era assediata dalla visione della morte dei suoi compaesani, cruenta, senza pietà...
"Fino a poco prima che mi allontanassi dal villaggio....". D'un tratto si riscosse, gli occhi sbarrati, il cuore che batteva all'impazzata. I suoi genitori! Raudomaru!
-La mia famiglia!- quasi gridò, liberandosi delle mani di Akahito.
-Haruko, aspetta!-. Lui tentò di fermarla, ma lei lo allontanò e corse via, verso la propria abitazione. Non le fu difficile non essere notata in tutto quel trambusto, data anche la velocità con la quale si muoveva. Akahito faticava a starle dietro, tuttavia non la perse di vista, cosa che lei notò solo in parte. Riconobbe cadaveri di gran parte delle persone che conosceva: i genitori di una sua amica, il contadino, il vigilante, la sarta, il fratellino di un suo amico, il cane di un'altra amica....
Non vedere i suoi familiari non placò il galoppo del suo cuore terrorizzato.
 
Respirava a fatica, ma suo malgrado non riuscì a fermare la sequenza di quei ricordi implacabili, così nitidi, dolorosi come fuoco sulla carne viva...
 
Aveva raggiunto la sua casa e ciò che vide le strinse dolorosamente il cuore in una morsa di ghiaccio: il pollaio era distrutto, delle galline non c'era più traccia -dovevano essere tutte fuggite- e l'asino giaceva in terra morto, riverso su un lato, la bocca aperta e gli occhi chiusi, in un lago di sangue nero. La sua casa era invece vittima delle fiamme, fiamme alte e affamate che la inghiottivano e la consumavano avidamente. Erano caldissime, infernali. Restò immobile a fissarle per un tempo che non seppe definire, annichilita: dov'erano i suoi? Cosa doveva fare?
Perchè stava accadendo tutto questo?
-Haruko!-. Akahito era di nuovo al suo fianco. Le prese la mano e la voltò verso di sè, dicendo, dolente:-Dobbiamo andare via! Dobbiamo salvarci!-
-Ma...-
-Haruko...-. Stava per piangere. Akahito, che era sempre allegro, in quel momento era sull'orlo del pianto, come un bambino abbandonato che ha perso tutto. Che la sua famiglia fosse...?
-Haruko! Fuggite VIA!!-. Entrambi si voltarono di scatto, riconoscendo la voce del padre della ragazza. Quasi le cedettero le ginocchia per il sollievo. Ma fu per un secondo.
Haruko visualizzò suo padre, la pelle logora di terra e sudore, i vestiti sporchi e laceri, i capelli brizzolati scompigliati peggio di quando si alzava al mattino, la mano destra che impugnava la katana...
Davanti a lei, una donna. Non poteva essere altro che una guerriera, data l'armatura -seppur piuttosto succinta-, la lunga katana che portava e la sicurezza con cui la impugnava.
Contro suo padre.
-Chi sono quei ragazzi, vecchio? I tuoi figli?-
-Non ti riguarda, razza di demone!-. Nemica. Quella donna poteva solo essere una nemica, a giudicare da come le si rivolgeva suo padre. Con aggressività, odio. E anche una punta di panico, notò lei.
Forse la notò anche la donna, che era bella come una principessa ma minacciosa come un uragano. Forse altrettanto violenta; Haruko la vide sorridere -le si accapponò la pelle- e chiedere loro:-Sapete combattere, ragazzi?-
-Lasciali stare!- esclamò il padre di Haruko, lanciandosi contro di lei. Ma la donna evitò l'assalto con una facilità inaudita, probabilmente in quanto l'uomo era già esausto. Gli diede una ginocchiata nello stomaco, una gomitata sulla nuca; quando cadde prono per terra, gli conficcò la katana nella schiena con un colpo secco...
-PAPA'!!- strillò lei, graffiandosi la gola. Akahito trasalì forte, atterrito, e cadde in ginocchio. Lei, invece, scoppiò in lacrime, distrutta, sotto shock.
-Rispondete- fece la donna, rivolgendosi a loro. Nessuno dei due fu in grado di farlo. Haruko iniziò a tremare forte e si maledisse di non avere con sè un'arma, anche se dubitava che potesse esserle utile contro quel mostro.
Mostro. Aveva ucciso suo padre, sicuramente aveva ammazzato lei anche l'asino, distrutto casa sua e il pollaio...
 
-Maledetta- sibilò, come se l'avesse di fronte in quel momento.
 
La vide avvicinarsi a passo sicuro. Haruko provò l'impulso di fuggire, ma le gambe non rispondevano. Nemmeno Akahito si muoveva, di fianco a lei.
Si fermò di fronte a loro; era più alta di Haruko, forse anche di Akahito.
-Sapete combattere? Mi servono giovani che siano disposti a seguirmi e....-
-Vattene- mormorò Haruko. Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Si sentì immensamente piccola, vulnerabile. Pensò che fosse la sua ora. Pensò che lei l'avrebbe trafitta con quella katana, intrisa del sangue di suo padre e chissà di chi altro...
-Allora non mi servite. Tranquilli, farò in fretta-
-Lasciala stare!-. Akahito scattò in piedi e si interpose tra lei e quel demone armato.
-Vattene!- le urlò contro, ma la voce gli tremava. Haruko riuscì solo a restarsene immobile, impaurita da qualunque cosa stesse per succedere, che senz'altro non poteva essere nulla di buono. Ed ebbe ragione.
Fu tutto piuttosto rapido. Un secondo dopo Haruko si ritrovò in ginocchio, col corpo di Akahito moribondo tra le sue braccia. Piangeva, piangeva rumorosamente come non aveva mai fatto prima, come una donnicciola indifesa, lei che si era sempre vantata con tutti di essere una ninja, di non essere debole...
-Aka...hito!-
-Haruko...vai...- sussurrò lui a malapena, per poi chiudere per sempre i suoi occhioni scuri e spirare tra le sue braccia. Un urlo squarciò la gola della giovane...
 
Le pareva di averlo tra le braccia come allora, di avvertire la sensazione di bagnato del suo sangue sui vestiti e sulle mani.
Akahito. Povero Akahito, che aveva tirato fuori il coraggio nel momento sbagliato...
 
-Tranquilla, adesso ti faccio stare meglio- le disse la ninja, sollevando di nuovo la katana per abbatterla su di lei...
-No, Lady Kagami!-. Haruko mise a fuoco Raundomaru, che corse verso di lei. Haruko era così scossa, dal pianto, dal dolore, tutto, che non riuscì a pronunciare nemmeno una lettera del suo lungo nome, e a stento lo mise a fuoco tra tutte quelle lacrime. L'unica cosa sicura era che il suo enorme fratello le era accanto e torreggiava su di lei. Ma temeva per lui.
-Conosci questa ragazza?- gli disse la donna. Come? Loro...?
-E' mia sorella, Lady Kagami. Risparmiala-
-Oh. Bè, non vuole seguirci-
-Ci seguirà! Ci penso io!-
-Come vuoi-. Haruko, accigliata, la vide correre via. Probabilmente a breve avrebbe fatto fuori qualcun altro. Ma cosa...?
-Dove...la mamma...- biascicò lei, ma Raundomaru la capì comunque poichè le rispose:-Ha aggredito Lady Kagami. Non c'è più-. Haruko riuscì solo a piangere, disperata, confusa e impotente.
-Ma perchè tu....?-. La sua vita prese una brutta piega proprio in quell'istante. Avrebbe potuto prendere una decisione diversa, invece lasciò che suo fratello la tirasse su come una bambolina e se la tirasse dietro, spiegandole animatamente -con entusiasmo- cosa stesse succedendo e chi fosse Lady Kagami. Mentre suo fratello parlava di quell'inferno come un bambino che ha ricevuto un nuovo giocattolo, Haruko riusciva solo a guardare i cadaveri di suo padre e Akahito, sempre più lontani mentre lui la trascinava via...
***
Il sole era completamente tramontato, sostituito da un cielo nero e delle limpide stelle, quando Haruko fece ritorno a casa Azuma. Camminava piano, la schiena piegata, come se avesse molti più anni rispetto alla realtà.
-Oh, eccoti-. Il Maestro Shiunsai era seduto fuori, sul gradino di casa.
-Chiedo scusa se sono sparita- mormorò lei, lo sguardo basso; fingersi noncurante non le riuscì bene. E infatti lui disse:-Non stai bene-. Già, non era una domanda.
-Io...no. No, Maestro. Non sto bene. Ma non importa-. Ci furono alcuni istanti di silenzio, durante i quali la ninja avvertì su di sè lo sguardo gentile del vecchio. Lui annuì appena...e disse:-Vieni qui, ragazza-. Lo disse con un tono così benevolo e paterno che Haruko si sciolse completamente. Credeva di non avere più lacrime, eppure scoprì di essersi sbagliata. Si ritrovò col capo sulle gambe del maestro, in lacrime come una mocciosa, mentre lui le carezzava dolcemente la testa piena di treccine. Sebbene il suo pianto non fosse rumoroso, Ayame e Seminaru, che erano insieme nella stanza di lei, lo avvertirono. E anche Rikimaru, nonostante fosse quasi del tutto perso nella nebbia del sonno.
  
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