Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xiaq    02/02/2016    1 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6

E' impressionato, John. E' in grado di dirlo perchè cinque anni o no, John è ancora John ed è ancora affascinato da Sherlock e dal fatto che veda cose che gli altri non possono vedere. Quando Sherlock fa qualcosa di particolarmente straordinario il sopracciglio destro di John ancora si inarca e la sua bocca ancora si alza leggermente e la cosa finisce con John che si morde il labbro superiore per fermare sorrisi che trova senza dubbio inappropriati.

Non è importante. Questo si dice Sherlock, e non lo è. Ma lo nota in ogni caso.

Sherlock si mette seduto, togliendo dalla carica sia il cellulare che il computer una volta che il lavoro è finito, osservando con distaccato interesse John mentre questo esamina le varie ferite di Sherlock. Le mani di John sono fredde, asciutte, e Sherlock prende in considerazione l'idea di proporgli di investire del denaro in una qualche crema idratante perchè il suo uso eccessivo di disinfettante sulle mani sta chiaramente rovinando la sua pelle. Non lo fa tuttavia, perchè non ha più una scusa per interessarsi della salute di John, non in generale, nè certamente di qualcosa di così irrilevante quale lo stato delle sue cuticole.

"Credo di dovermi congratulare," dice John, le dita poggiate leggermente sull'addome di Sherlock. "Sembra che tu abbia trovato la tua strada."

"E' possibile. Non mi è ancora venuto a noia, ma potrebbe ancora succedere."

"Cos'è che fai, esattamente?"

La domanda è in qualche modo imbarazzante; come se John sapesse di non avere il diritto di chiederlo, ma lo facesse comunque.

Sherlock sussulta mentre John tampona un po' di sangue che esce da un angolo di una ferita, poi risponde come se non l'avesse fatto.

"Sono un consulente investigativo. La CIA mi ha definito in modo completamente ridicolo riguardo al mio lavoro, però. Analista delle micro-espressioni facciali o del comportamento o qualcos'altro senza nessun senso."

"Inglese, Sherlock," sospira John, e l'affermazione rassegnata è così familiare, nonostante gli anni, che Sherlock si ferma per un attimo più del necessario per ricomporsi.

No. Fermo.

"Sono un investigatore, inanzitutto" dice. "Principalmente fornisco consulenza a Scotland Yard, ma ho mostrato competenze in altre aree che mi hanno permesso di ramificare il mio lavoro in campi, per così dire, precari."

John sbuffa in risposta all'attenta formulazione della frase, "Campi precari che significa...cosa? Infiltrarsi in organizzazioni criminali internazionali?"

"Sì," dice, con calma, "esattamente."

John lascia bruscamente cadere l'angolo della vestaglia da ospedale di Sherlock, spostandosi per gettare i guanti nel cestino.

"Hai scucito uno dei punti all'angolo, ma credo che un'applicazione di Dermabond sarà sufficiente al suo posto. Ricontrollerò con la Dottoressa Allen durante i turni," lancia un'occhiata all'orologio. "A proposito, sarà qui tra meno di dieci minuti ed ho un disperato bisogno di caffeina. Non sei in attesa di altre chiamate, giusto?"

John è improvvisamente ansioso di andarsene, sebbene Sherlock non riesca a localizzare una qualsiasi parte della conversazione in cui abbia detto qualcosa che possa giustificare questo cambiamento nel modo di comportarsi.

"No," risponde Sherlock lentamente, osservando ancora i movimenti di John. "Non sono in attesa di nient'altro per qualche ora."

Ma non è che il suo lavoro sia esattamente cadenzato da un orario. Le persone raramente vengono uccise ad orari convenienti, pensa.

Alza gli occhi, prendendo in considerazione l'idea di esprimere il pensiero ad alta voce, è il genere di cose che John trovava divertente una volta, ma la disperazione malamente celata sul volto dell'altro uomo lo forza a restare in silenzio.

"Ok," John si muove verso la porta, "Ci vediamo tra pochi minuti."

"John."

John si ferma, e quando si gira per fronteggiare Sherlock la sua mascella è serrata.

"Sì?"

"Sono sicuro che non sia necessario dirlo. Ma voglio essere sicuro che tu capisca che tutto ciò che è stato detto nel corso della mattinata è strettamente confidenziale."

"Ne sono consapevole," scatta John, e Sherlock è sorpreso dal veleno nella sua voce. "Non sono stupido."

"Lo so," risponde Sherlock in modo gentile, ed in qualche modo questo rende tutto peggiore.

John sbatte la porta un po' più violentemente del necessario quando se ne va.

***
John si prepara una tazza di earl grey con movimenti violenti e imprecazioni proferite sottovoce.

Inglese, Sherlock. Lo ha detto, nello stesso identico modo in cui l'aveva detto cento altre volte prima in almeno cento differenti e più felici scenari. E non ha neanche realizzato di averlo detto fino ad un minuto dopo.

Lui non lo ha notato, ed è bastato questo a rendere la sua reazione decisamente peggiore.

Ha messo in chiaro che non gli interessa, si ripete John, almeno fai finta di provare lo stesso.

Collassa sul divano malamente rattoppato della sala dei tirocinanti, chiedendosi per un attimo perchè la stanza odori sempre di pop corn, e poi lascia che i suoi occhi si chiudano, la tazza posata sul petto. E' una calda presenza familiare ogni volta che respira.

Inglese, Sherlock.

Sa che dovrebbe alzarsi e bere il suo tè e trovare Stamford, perchè perdersi in ricordi vecchi di cinque anni può essere difficilmente considerata un'attività produttiva, ma non lo fa. Perchè i suoi ricordi di Sherlock sono decisamente più piacevoli dell'attuale versione di lui, tutta sorrisi affettati e ferite e cosparsa dalle tracce di aghi, due piani più sotto.

Inglese, Sherlock.

La prima volta che lo aveva detto era stato il giorno in cui le cose erano cambiate tra di loro. Certo, le cose erano cambiate dopo l'incidente con la scarpa mancante e la passeggiata verso la biblioteca e la lieve perdita di fascino per il personaggio che era Sherlock. Ma il giorno in cui le cose cambiarono sul serio fu quando John lo vide correre.

Era un Martedì, non era giorno di terapia, e John aveva rischiato di non vederlo affatto. Alla madre di John servivano delle cose dai negozi e lui stava tornando a casa da scuola, passando per una specie di strada panoramica, così da potersi fermare e prendere qualche cosa per la cena, quando aveva visto Sherlock.

Stava correndo, cosa che John immediatamente trovò sbagliata. Inanzitutto, perchè Sherlock era scalzo di nuovo, secondo poi perchè non stava correndo in una maniera che potrebbe essere anche lontanamente definita attinente ad un'attività scolastica. Stava correndo con lo stesso tipo di paura per i predatori con cui corrono i piccoli animali inseguiti dai cani. John era rimasto a guardare mentre Sherlock slittava dietro l'angolo di una stazione di benzina, piegandosi sotto una recinzione a catena, e poi, un momento dopo, John aveva capito. Tre ragazzi, quasi uomini, in realtà, erano apparsi poco dopo, seguendo Sherlock dietro l'angolo e arrampicandosi oltre il cancello con un coro di imprecazioni che John era riuscito facilmente a distinguere dal suo punto d'osservazione, quasi una via più in là. Non si era davvero fermato a pensare prima di ficcare la lista della spesa nel portafoglio e correre loro dietro.

Li aveva raggiunti abbastanza facilmente nel giardino sul retro di una residenza vuota qualche attimo dopo. Avevano messo Sherlock all'angolo, tra un muro di pietra ricoperto di edera e una rimessa in parte distrutta e John non era affatto riuscito a vedere molto di Sherlock oltre ad una serie di teste di adolescenti abbassate e mani che si muovevano con violenza.

Non ha nessun senso, aveva pensato John. Tre ragazzi, come minimo della sua età, forse più grandi, che si coalizzavano contro un dodicenne? A che pro? Forse stavano solo provando a spaventarlo? Ma mentre John si faceva strada attraverso il cancello, le mani degli altri ragazzi si erano strette a formare dei pugni e i respiri affannati di Sherlock si erano trasformati in soffocate espirazioni causate dal dolore. Non solo tattiche intimidatorie, quindi.

Sherlock si stava difendendo, aveva realizzato John mentre gli correva incontro. I movimenti di difesa di Sherlock erano precisi e d'effetto. Ma lui era soltanto una persona molto piccola e nonostante l'evidente abilità non aveva nessuna possibilità contro i suoi tre, decisamente più grandi, avversari.

John tuttavia, l'aveva.

"Hey," aveva urlato John, "Che cazzo pensate di fare?"

Il più giovane degli assalitori di Sherlock chiaramente non si era aspettato compagnia. Avevano fermato il loro assalto, girandosi automaticamente per fronteggiare John mentre questo rallentava la sua corsa. Uno di loro aveva in mano una delle cinghie dello zaino di Sherlock, l'altra cinghia ancora stretta intorno alla sua spalla. Si era strappata, facendo cadere Sherlock come una massa scordinata di arti per terra; come un burattino con i fili tagliati.

Nessuno di loro era sembrato incline a rispondere alla domanda di John. Erano tutti vestiti con la stessa uniforme di Sherlock ed avevano tutti le stesse espressioni di relativo disagio. Venivano dall'alta società, avevano volti genericamente piacevoli, denti bianchi e mani delicate. Non sapevano nulla di come combattere. Troppo facile, aveva pensato John, e si era avvicinato, troppo vicino alla loro zona di sicurezza apparentemente, visto che tutti e tre fecero un passo indietro in risposta.

Era bastato come incoraggiamento.

"Sparite, cazzo," aveva ringhiato.

E loro avevano fatto esattamente quello.

John li aveva osservati andarsene con un ghigno, e poi aveva spostato la sua attenzione su Sherlock, piegandosi sui talloni vicino al ragazzo più giovane.

Sherlock era in piedi, le braccia ferme sulle ginocchia piegate, sembrando impassibile come sempre, o quantomeno impassibile quanto lo potesse sembrare una persona che aveva appena rischiato di essere presa a calci.

"Questo non era necessario," aveva detto Sherlock, usando il retro di una mano per asciugare il sangue sul suo naso. Aveva osservato il rosso che sporcava le sue nocche con interesse accademico, e poi aveva spostato il polso per poggiarlo sul ginocchio. "Non avevano intenzione di uccidermi o cose del genere."

"Non c'è di che," aveva risposto John ironicamente, offrendogli una mano. "Andiamo, ti tiro su."

Per un attimo John aveva pensato che intendesse ignorare il gesto, ma dopo una breve considerazione, Sherlock aveva accettato il suo aiuto, con studiata attenzione, "grazie."

John aveva sorriso in risposta e per un fugace momento potrebbe giurare che Sherlock fosse sembrato compiaciuto di se stesso.

John aveva sollevato il mento di Sherlock tra il suo indice ed il suo pollice, osservando l'area ormai ferita sulla sua tempia, e poi aveva toccato con le dita entrambi i lati del naso. Non era rotto, perlomeno, aveva deciso, prima di spostare la sua attenzione sul taglio che divideva perfettamente a metà il suo labbro inferiore.

"Dio, Sherlock." aveva detto. "Stai di merda."

"Anche tu hai un aspetto simile a quello della merda," aveva replicato Sherlock riluttante.

John si era fermato, osservando l'espressione vagamente speranzosa dell'altro ragazzo. "Quella era una battuta?"

"Perchè?" aveva chiesto Sherlock, serio. "Era divertente?"

John aveva riso, passando la mano tra i ricci di Sherlock, cercando qualche ferita nascosta.

"Sì. E tu stai molto peggio di come non stia io."

"Non hai dormito," aveva risposto Sherlock, abbassandosi per raccogliere il suo zaino. "Incubi, immagino. Il tuo viso non ha un bell'aspetto."

John non aveva commentato ed i due si erano mossi in silenzio verso la strada.

Quando avevano raggiunto l'angolo della ventiduesima Sherlock aveva iniziato ad attrevarsare la strada e John lo aveva fermato.

"Dove pensi di andare?"

"In biblioteca," aveva risposto. Non si era disturbato a nascondere un "ovviamente" nel suo tono.

"Falso. Vieni a casa con me. Non c'è modo di sapere se quegli imbecilli ti stanno aspettando da qualche parte. Inoltre, non puoi semplicemente andare in giro così."

John aveva indicato il volto di Sherlock come prova, poi aveva stretto tra le dita il polso di Sherlock, tirandolo di nuovo verso il suo lato della strada. "Ti accompagno a casa non appena ti sei ripulito, ok?"

Sherlock lo aveva guardato torvo, ma non aveva risposto. John aveva capito che questa sarebbe stata la cosa più vicina ad un sì che avrebbe potuto ottenere.

"Quindi. Vuoi dirmi perchè tre adolescenti sentivano il bisogno di picchiarti senza motivo."

Sherlock aveva scrollato le spalle. " Mi è capitato di informare uno dei nostri docenti di qualche indiscrezione commessa da parte loro, la natura delle quali ha portato alla loro espulsione e al successivo interesse nel danneggiare la mia persona."

"Inglese, Sherlock." aveva sospirato John.

"Hanno imbrogliato," aveva borbottato. "Io li ho smascherati. Loro lo hanno scoperto e non ne sono stati felici."

"In cosa hanno imbrogliato?"

John aveva notato che Sherlock stava camminando in maniera un po' divertente, e aveva osservato l'irregolarità dei suoi passi mentre questo rispondeva.

"Il cinquanta percento del nostro voto finale è costituito da una tesi di laurea che bisognava consegnare la settimana scorsa. Le tesi con cui si sono presentati non erano produzioni loro. Le aveva scritte qualcun altro."

"Come fai a saperlo?"

"Perchè sono stato io a scriverle."

John si era fermato, e Sherlock aveva fatto una pausa, voltandosi verso di lui con uno sguardo tranquillo. "Cosa c'è?"

"Tu hai scritto le loro tesi?"

Sherlock aveva ripreso a camminare, e John lo aveva seguito per abitudine.

"Ho dodici anni," aveva risposto disinvoltamente Sherlock, "Non posso lavorare e mio fratello monitora le mie finanze. Scrivo tesi per guadagnare un po' di soldi da spendere quando mi servono. Questo è stato il problema, però. Io ho scritto le loro tesi, loro hanno ricevuto i voti che desideravano, ma si sono rifiutati di pagarmi."

"Quanto ti fai pagare?"

Aveva scrollato le spalle, la voce ancora impassibile. "Dipende dalla richiesta. I saggi normali dalle venti alle trenta sterline. Le tesi di laurea sono differenti. Duecento per una A, centocinquanta per una B, cento per una C. Loro volevano tutti una A ed è quello che hanno ottenuto, ma non hanno pagato."

John aveva quasi smesso di camminare di nuovo mentre Sherlock faceva la sua lista di compensi in denaro. Poi, aveva fischiato.

"Quindi li hai smascherati?"

"Sarebbe stato difficile. Poi mi sarei trovato in guai ben peggiori. Ho postato le loro tesi online in un forum per studenti sotto un profilo anonimo, e poi ho mandato via e-mail al loro docente la lista dei loro nomi ed il link al forum. L'indirizzo e-mail non è registrato a mio nome, quindi era anonimo anche quello. Il docente ha pensato che avessero copiato da qualchee professionista online. Non verrò mai sospettato."

John aveva fischiato di nuovo, sogghignando. "Ottimo. Cosa è successo a loro?"

"Sono stati espulsi tutti e tre, come ho detto. Non sono ben disposti nei miei confronti."

John aveva accennato con il capo verso una strada laterale, lasciandogli capire che stavano per abbandonare la strada principale. "Quindi perchè lo hai fatto? Avresti dovuto sapere che se la sarebbero presa con te."

"Perchè alle persone non piaccio, e questo va bene. Non ho bisogno di piacere loro. Ma voglio che mi rispettino, e se le lasciassi andare senza farli pagare, avrei perso il loro rispetto. Cosa avrebbe fermato altri nel fare lo stesso in futuro se non l'avessi fatto? Era necessario."

I passi di Sherlock si erano incrociati mentre scendeva dal marciapiede e John aveva afferrato il suo gomito prima che potesse cadere.

"Va tutto bene?"

"Tutto bene," aveva risposto, scrollando la mano.

"Falso." aveva detto John impassibile.

Sherlock aveva roteato gli occhi, ma dopo qualche attimo di silenzio aveva ammesso, "Credo di essermi slogato la caviglia."

John aveva spostato un pollice verso la sua schiena, "Vuoi un passaggio?"

Sherlock gli aveva lanciato uno sguardo che sanciva chiaramente che quello non sarebbe mai successo.

"Nonostante io l'abbia offerto," aveva riso, invece aveva preso lo zaino di Sherlock, "almeno fammi portare questo."

Sherlock gli aveva lanciato un altro sguardo torvo, ma non aveva protestato una volta alleggerito dal peso.

"Quindi..hai qualche amico?" aveva chiesto, sinceramente curioso.

Sherlock si era voltato per studiare la sua espressione, chiaramente aspettandosi una qualche sorta di malizia nascosta. Quando si era accorto che non ce n'era aveva fatto passare la lingua sul suo labbro inferiore, dissolvendo il grumo formatosi. Sangue fresco si era riversato, muovendosi lentamente per attardarsi sulla curva del suo mento.

"No," aveva detto Sherlock. "I ragazzi della mia età non mi capiscono e gli studenti della mia scuola pensano che io sia strano, nel migliore dei casi. Te l'ho detto prima. Non piaccio alle persone."

John aveva scrollato le spalle, "A me piaci. Voglio dire, sì, vedo la parte strana. Ma, non sei così male."

Sherlock non aveva risposto a quello, ma John non si era realmente aspettato che lo facesse. Non avevano parlato molto per la successiva mezz'ora fino a quando non aveva fatto entrare Sherlock nella tutt'altro che solenne casa e aveva medicato le sue numerose ferite.

Sherlock era seduto sul divano di John con del ghiaccio sulla caviglia e John aveva provato a fare i compiti mentre Sherlock guardava qualche programma sui detective in tv. Sherlock aveva indovinato il colpevole dopo i primi sei minuti, deriso vari personaggi, elencato tutti i motivi per cui la trama era fallace, e per la fine del programma aveva definito la cosa un completo spreco di tempo. John aveva cambiato programma e aveva scelto un documentario sui batteri che aveva completamente catturato l'interesse di Sherlock. John era ritornato alle pagine dell'Amleto con un sospiro, cercando di non sorridere mentre Sherlock si spostava dal divano al pavimento per avvicinarsi allo schermo televisivo.

Potrà anche essere un genio, aveva pensato John, ma è ancora un bambino.

John si era offerto di accompagnare Sherlock a casa alla fine del secondo programma, che per fortuna non aveva portato a commenti sprezzanti. Sherlock aveva declinato l'offerta, aveva fatto una breve, quasi monosillabica chiamata sul suo cellulare, e qualche minuto dopo una limousine nera aveva parcheggiato sotto la casa.

Sherlock aveva notato il suo arrivo prima di John e si era alzato, mettendo a tracolla sulla spalla lo zaino. Aveva riconsegnato il ghiaccio a John.

"Grazie," aveva detto di nuovo, nello stesso modo serio e attento in cui l'aveva detto la prima volta.

John si era accertato di sorridere in risposta e non era rimasto deluso quando Sherlock aveva ricambiato il gesto. Certo, era un sorriso molto stentato, ma era qualcosa.

"Ci vediamo Venerdì," aveva detto John, accompagnandolo alla porta.

Sherlock non aveva risposto, aveva semplicemente zoppicato per il viale, aperto la portiera sul retro per i passeggeri, ed era scomparso alla vista. I finestrini erano troppo scuri per permettergli di vedere all'interno, ma John aveva dubitato che Sherlock avesse ricambiato il saluto mentre la macchina era uscita dal viale per imboccare la strada principale.

Bene, aveva pensato, sembra che io abbia fatto amicizia con un sociopatico.

****
Il cercapersone di John si scarica e lui quasi si rovescia tutto il tè addosso. Fortunatamente si ricorda che la tazza è posata sul suo petto nello stesso momento in cui fa per alzarsi, quinsi solamente poco si rovescia sulla giacca prima che riesca a prenderla. Osserva la macchia scura per un momento, e poi decide che non gli interessa. La giacca ha già visto un'eccessiva varietà di macchie, il tè è sicuramente una delle meno disgustose.

Prende qualche veloce sorso, tentando di bloccare le ultime immagini rimaste nella sua testa del dodicenne Sherlock, poi si alza, getta il tè rimanente, e torna ai suoi turni.

Note della traduttrice: Scusate per l'immane, assurdo ritardo nella pubblicazione di questo capitolo...ma il computer mi ha abbandonato e tutto il lavoro già fatto era irrecuperabile...tenterò di postare il più puntuale possibile d'ora in poi. Grazie a tutti coloro che seguono, ricordano e mettono tra le preferite questa storia! Le recensioni, critiche e non, sono sempre bene accette e mi aiutano a migliorare, quindi non siate timidi ;)
Alla prossima, 86221_2097
   
 
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