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Autore: Peppe_97_Rinaldi    03/02/2016    5 recensioni
L’organizzazione paramilitare del Red Ribbon… e la sua distruzione ad opera di un misero ragazzino.
Quello fu l’inizio di tutto… Quello portò alla nascita di due efferati cyborg…
"Idiota": questo è quello che C-18 pensa di Crilin, inizialmente. Eppure arriveranno a sposarsi, e ad avere anche una famiglia. Come? Perchè? E C-17... cos'è lui per la bella C-18?
Il dottor Gelo li trasformò in cyborg, privandoli della loro umanità: perchè? Su 19 androidi, gli unici due ad avere base umana: qual è la ragione di ciò? In questo stato di robot, ha ancora senso la vita?
E cos'è la vita, l'amore? Dove sono nati? Avevano una famiglia come tutti?
“Dunque quella missiva è stata inviata dal Red Ribbon, o meglio… da uno dei sopravvissuti…”
Il ki… E’ un bene saper controllare questo potere?
Ma il dottor Gelo… fece tutto ciò solo per pura vendetta? Qual era il suo scopo?
“Se lo conoscevo, dici? Ovvio. Era il mio androide numero 13!”
“Mamma… papà… Mi mancate…”
Segreti da svelare, occultate verità, riscoperta dei valori, nuovi personaggi... e soprattutto uno strano ragazzo porteranno questi giovani a scoprire il loro presente, passato e futuro... quali misteri si celano nelle loro figure?
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Dr. Gelo, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: 18/Crilin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il mondo intero gli crollò di colpo, disperdendosi in frammenti di detriti che si polverizzarono nel nulla prima ancora di toccare terra.
Casa sua era circondata... no, inghiottita da un immenso muro di fuoco.
Kim sfrecciò alla porta d'ingresso. Le mani gli tremavano e non sapeva dire nemmeno se avesse le chiavi, quindi la strattonò, e come se fosse soltanto un vecchio pezzo di polistirolo si liberò dai cardini e stramazzò a terra: il ragazzo non riuscì a capire se lo spaventoso fragore che si sviluppò derivava dalla porta crollata al suolo, o dalle fiamme che lo avrebbero divorato se non si fosse scansato in tempo.
Ciononostante, sparì tra quelle fiammanti ballerine che come ad inscenare uno spettacolo danzavano all'interno del salotto, accorte a toccare con i propri passi ogni timido angolo: pareti, mobili... E detriti?
Cos'erano quelli? Sembravano resti... del lampadario? Kim alzò lo sguardo, e capì che la sua impressione era giusta. Anche la cucina era avvolta tra le fiamme, ma già non esistevano più oggetti vari, come il tavolo di cristallo, la mensola con i liquori, il frigorifero... Anzi no. L'intera cucina sembrava essersi dissolta: forse ecco il motivo di quei brandelli sul pavimento che parevano ricondurre al più fornito registro di utensili.
<< Mamma! Papà! >> strillò. Poi ricordò che anche il maggiordomo aveva raccontato di aver raggiunto la casa. E infatti eccola lì, stesa sul pavimento e squarciata dal fuoco: la valigia di Alphonse.
<< Tu sei impazzito! >> infuriò John all'esterno. Tentò di valicare l'ingresso, ma le fiamme parevano non aver intenzione di far entrare qualcun altro nel loro territorio, e concentrandosi nell'ingresso sembravano voler comunicare che l'unico che aveva il diritto di entrare era il piccolo e misero Kim. Lui soltanto. Lui, unicamente.
<< Vi prego! Qualcuno mi risponda! >> fu il grido esasperato del ragazzino.
Scattò la testa in tutte le direzioni. I divani davanti a lui erano ottimi trampoli per le fiamme nel loro intento di raggiungere il soffitto. A sinistra delle piante, la finestra che si affacciava al loro garage; a destra la cucina, il frigorifero dove la mamma aveva lasciato riposare uno squisito tiramisù: dov'erano andati? Perché quelle insensate fiamme stavano, improvvisamente, portando via tutto?
Ladre... Ladre! Che facevano, qual era il loro scopo, quale il loro motivo?
C'era ancora un perché a tutto questo?
 
     I suoi affanni divennero rantoli, poi gemiti, infine esplosero in una convulsione di lacrime e grida.
Voleva inginocchiarsi, cadere al suolo... Avrebbe fatto meglio a rimanere lì, in ospedale, senza tutta quel casino che avevano creato per scappare... Perché era lì? Perché era nella sua casa...
Perché in quella casa?! Le due non potevano coincidere, non erano le stesse. Non potevano... Non dovevano!
 
     Le mura di fuoco persero la pazienza, e una piccola torre crollò su di lui. Era un pezzo di parete, o forse del soffitto. Evitò quei detriti all'ultimo secondo, solo quando una  piccola asta di legno rovente gli cadde sul capo e il bruciore lo ridestò.
Alzò gli occhi gonfi di lacrime: sopra di lui trasalivano le scalinate che portavano al piano di sopra, con quasi tutti i gradini già infuocati. Il fuoco stava raggiungendo il secondo piano! Anzi no, l'aveva già raggiunto. Diverse camere già rivelavano di essere state abbracciate dal fiammeggiante vortice che aveva già dilaniato forse l'intera abitazione.
Si fece prendere dall'impulso e sfrecciò al secondo piano. Dovette evitare diverse pire di fuoco, e nonostante stesse tentando di impedire al fumo di penetrargli nei polmoni cacciò tutto il fiato che aveva in corpo, e ruggì: << C'è qualcuno?!? Rispondetemi! >>
Chiuse la mano attorno alla sbarra di legno che fungeva da ringhiera, ma la sentì allontanarsi dal suo palmo e quando abbassò lo sguardo la vide sprofondare al primo piano con un gran tonfo.
<< Vi supplico… Rispondetemi… >>
     Il vorticoso fragore che le fiamme provocavano riuscivano a soffocare qualunque altro suono, che pareva pertanto impercettibile. Il ragazzo non si accorse dell’uomo che avanzava verso di lui fino a quando non fu abbastanza vicino da sentire la sua voce. E fu allora che vide tutto.
<< Cosa ci fai tu qui…! >> gridò un uomo: era Alphonse.
Il giovane si voltò di scatto, ma inevitabilmente la sua attenzione superò la sagoma di quel vecchio malandato e scivolò all'interno di una camera.
Si trattava della camera da letto dei genitori, e lì distesa sul letto vi era lei. Susan, sua madre.
 
     A quanto pareva le brutte sorprese non erano ancora finite, poiché quando si precipitò al cospetto della donna capì immediatamente che si trovava dove i due adulti non avrebbero mai voluto.
<< Mamma >> fu l'unica parola che riuscì a fuggire dalle labbra di Kim, e notò le sue dita premersi sull'addome. Nel momento in cui le afferrò la mano, comprese tutto.
Fu un solo istante.
Leggermente sotto le curve del seno. Ecco dove Susan cercava di nascondergli una ferita. Ferita che non aveva bisogno di un medico per essere chiamata fatale.



 

Capitolo 33 : La nascita di C-17 e C-18




 
     In quel momento una parete di fumo si affacciò nella camera e qui si soffermò.
<< Tesoro mio, devi andare... E' pericoloso >> mormorò Susan.
La donna vide le labbra del ragazzo serrarsi in una morsa e poi vibrare frenetiche. Kim provò per un solo istante a prendere un respiro, ma quando Alphonse apparve al suo fianco non riuscì a trattenersi ed esplose.
<< Alphonse! Che cosa significa tutto questo?! >> infuriò, e con la coda dell'occhio scoprì anche il fianco dell'uomo grondante di sangue.
L’anziano, dal canto suo, si accigliò quando si rese conto della condizione di Kim. Il ragazzo era scalzo, indossava pantaloni elastici tipicamente ospedalieri, e la camicia non abbottonata permetteva senza remore di osservare un corpo riccamente colorato da lividi e addirittura con grosse strisce di sangue asciutto. Del resto era la stessa situazione del volto, occhi gonfi e guance tumefatte. Aveva la schiena curva, le gambe parevano fragilissime, la voce gli tremava, ma ciò che gli destò più preoccupazione era il modo in cui si stava stringendo la spalla.
Fu la donna ad anticipare le sue parole implorandogli di rivelare cosa gli fosse successo, ma presto scosse la testa e tentando di farsi forza si mise a sedere al fianco dell’adorato figlio.
<< Kim, quando saprai la verità sarai tu stesso a voler andare >> confidò grave.
Susan e Alphonse si scambiarono un fugace sguardo d’intesa, ma la nube e la puzza di fumo che si facevano sempre più densi ricordarono come il tempo stesse scarseggiando.
Decisero così di parlare, e in breve Kim scoprì ogni cosa.
 
     Ecco così che ebbe inizio il discorso più malefico, inaccettabile e ingarbugliato del mondo, che per giunta proveniva dalle labbra della madre. Susan si stava trasformando in un’orribile bugiarda, e intesseva con inappropriata malignità un racconto di senso pseudo logico solo per farlo soffrire.
O almeno, così avrebbe preferito pensare.
Invece da qualche parte nel suo inconscio sapeva bene che la madre non poteva certo mentirgli.
     Eppure… quella che fu costretto ad ascoltare pareva la verità più aberrante e irrazionale che potesse aspettarsi. Gli venne detto, un po’ da Susan un po’ da Alphonse, che la causa di tutto quello era suo padre, il meraviglioso  uomo che con tanto orgoglio amava chiamare padre.
A stare a sentire quel caos di parole, annebbiate dalla ragione quanto dal fumo, sembrava che suo padre cercasse nuove fonti di potere e che pertanto intendesse realizzare due potenti cyborg.
Questo, utilizzando i corpi di Jason e Jodie. Questo, per vendicare la disfatta del Red Ribbon.
Ah sì, perché ora emerse anche che il vero lavoro di suo padre era niente poco di meno che capo del reparto scientifico di quell’esercito di pazzi.
     Cos’era, una folle ambizione di potere quella che aveva condotto Gelo fino a quel momento? Il fumo che si diramava nella stanza si faceva tangibilmente più tetro e compatto, così come le domande di tutti. Tuttavia, mentre cominciava a pensare che la stanza stesse andando a fuoco, Kim avvertì nella voce della madre una fioca luce di speranza.
     Jason e Jodie, cosa che sapeva già, stavano fuggendo. Susan non sapeva dove fossero diretti, perché aveva avuto appena la forza di accorgersi delle esplosioni al piano di sotto, tuttavia era presumibile che nemmeno Gelo conoscesse la loro meta.
Ed era assolutamente necessario che non venisse mai a saperlo.
 
 
Fu a quel punto che Kim si sentì davvero svenire.
 
 
<< Poco fa lo abbiamo sentito correre nello studio >> incalzò Susan, non sapendo adesso con che aggettivo riferirsi a Gelo. << Non siamo riusciti a fermarlo, deve essersi teletrasportato, ma non sappiamo dove… Kim, Kim! >> La donna gli afferrò entrambe le guance, e astenendosi dal desiderio di baciarlo poggiò la fronte sulla sua. << Amore, non facciamoci prendere dal panico, possiamo ancora trovare… tuo padre e fermarlo. Devi rimanere calmo, è fondamentale! >> esclamò cercando invece di calmare se stessa.
<< Lui non sa dove sono adesso Jason e Jodie. I ragazzi avranno fatto in modo che lui non lo capisse >> aggiunse Alphonse, respirando a fatica. Kim si bloccò puntando lo sguardo sulla camicia dell’uomo, in particolare sulla macchia di sangue che si allargava al livello del fianco. << Se però tu hai idea di dove possano essere, ecco, noi potremmo… >>
<< NO! >> sbraitò Kim, e afferrando le spalle della madre la cacciò da sé. Il suo volto dimostrava disgusto, ferocia, ma soprattutto il desiderio insopprimibile di gridare, di urlare al mondo intero il proprio disagio, lo schifo che provava nei suoi stessi confronti… Le lacrime si precipitarono però giù dagli occhi e fiondarono nella bocca tremante, dove le labbra si erano distanziate tra loro per evitare di mordersi e distruggersi, e il mento si era rivolto al soffitto con la speranza che gli crollasse addosso e ponesse fine a tutto.
     I singhiozzi iniziarono ad impossessarsi di lui, e da quel momento in poi fu solo un susseguirsi di lacrime e grida. Nell’intreccio di quegli spasmi sentiva quasi di essere strozzato, come se la madre volesse punirlo per aver compiuto un’azione così spietata. Quale azione? Oh, ma noi lo sappiamo, purtroppo…
Davanti agli occhi sconvolti dei due adulti totalmente incapaci di comprendere, Kim si piegava, si contorceva, scattava in piedi, crollava a terra e si rialzava sbattendo sul muro; sentiva il nauseabondo fumo che inondava la stanza e credette di scottarsi, vedeva il fuoco e cominciò a tossire. Serrava le labbra e mugolava, tentava poi di gridare ma i singhiozzi gli rapirono il fiato, e ciò che fuoriuscì dalla sua bocca fu solo dolore.
 
 
 
Quello che adesso rimaneva della sua precaria lucidità fu in grado dicapire soltanto una cosa.
 
Nulla di tutto quello aveva avuto un senso.
 
<< Lo sa >> esclamò dopo un lungo affanno.
Il rumore delle fiamme si faceva sempre più vicino. << Sa dove sono diretti >> .
Susan scosse debolmente la testa. << Che dici, come potrebbe… >>
<< CE L’HO DETTO IO! >> ruggì.
 
Nulla di tutto quello aveva avuto un senso. Mai.
 
 
Quello che seguì fu uno sbigottimento totale.
<< Come… cosa significa? >> balbettò Alphonse, tentando un approccio delicato.
Il ragazzo annuì. Poi deglutì, e annuì nuovamente. Ripeté queste semplici azioni ancora tre o quattro volte ed infine la voce riuscì a rivelarsi. << Poco fa ho parlato con Jason e Jodie… Mi hanno detto dove andavano… Ho promesso che non ne avrei fatto parola con nessuno… Ma ho parlato al telefono con lui >> disse, pesando al dottor Gelo. << Mi ha detto che Jason e Jodie correvano un grosso pericolo, la loro vita era a rischio, gli serviva sapere dove erano diretti… >> Si poggiò sulle sbarre anteriori del letto. << Mi dispiace, io non… Non potevo sapere… >>
Fu in questo frangente che Susan riuscì a sbalordire tutti, dimostrando un autocontrollo quasi innaturale. << Jason. Jodie. Gelo >> esclamò. Nonostante la debolezza volle ostentare una ferma determinazione, un autocontrollo che non sarebbe stata in grado di mantenere ancora a lungo. << Tutti e tre stanno per incontrarsi nello stesso luogo. Se però facciamo qualcosa subito siamo ancora in tempo a far sì che non si incontrino >> .
<< Possiamo fermare Jason e Jodie. Qualcuno li deve intercettare >> suggerì Alphonse.
Istantaneamente si rese conto dell’impossibilità dell’ipotesi.
Lui, sparato al fianco e con il corpo ormai troppo provato.
Susan, per il rispetto della quale è preferibile riflettere in silenzio.
E poi c’era Kim, che aveva tutta l’aria di nascondere qualcosa. Qualcosa oltre tutti quei lividi.
Fece per scostare il lembo di camicia dalla sporca spalla del ragazzo, ma Kim lo scacciò in malo modo. << Non toccarmi tu! >> urlò, e indietreggiando ancora andò a sbattere su una massiccia coltre di polvere e fumo. Si strofinò il braccio sugli occhi, elaborando le stesse considerazioni che già aveva fatto il maggiordomo, e annuendo sussurrò: << John. C’è anche lui, di sotto. Con il mio scooter mi può portare da Jason e Jodie >> .
<< Ok, allora faremo così >> rispose Susan, ed ecco che un’altra volta la sua prontezza sorprese non poco. Lei non sapeva chi fosse questo John, non sapeva come mai si trovasse davanti casa sua in un momento delgenere o perché mai avrebbe dovuto aiutare Kim in una tale impresa. Sapeva però una cosa: il figlio era sicuro di quello che aveva detto, e continuare a indugiare avrebbe significato solo un’inutile perdita di tempo. La sua fermezza dunque si basava su questo, sulla necessità e sull’urgenza che la vicenda implicava.
Non era ovviamente d’accordo con quel “Mi può portare”, ma di questo ne avrebbero discusso in un secondo momento.
 
 
     E fu così che il fragilissimo complesso si mosse. Il ragazzo provò a sorreggere la madre, ma non essendone ovviamente in grado venne sostituito da Alphonse.
Oh, se solo avesse avuto la forza di sorreggerla tutto sarebbe stato diverso. Come se un destino avverso avesse deciso che ogni sua azione doveva portare a una nefasta conseguenza, anche la più insignificante. E così accadde.
 
Oh, piccolo e innocente Kim…
 
 
Adesso si muoveva a piccoli passi, troppo debole e troppo esausto. Non singhiozzava più, né tremava. Né tossiva, né oscillava. L’unico suo movimento rimasto era il vibrare del labbro.
Pensò all’amato padre, che intendeva trasformare in cyborg i due gemelli. In macchine.
     Adesso, sentiva che l’intero suo corpo si stava comportando in maniera automatica. Meccanica.
Cosa voleva dire, che per caso adesso era diventato anch’egli una macchina…? Anzi, solo lui?
 
Una macchina…
 
Ripensò agli ultimi eventi, dal momento in cui uscì di casa per seguire i suoi migliori amici e intervenire dopo la rapina, fino a quando era fuggito dall’ospedale e aveva rivelato a Gelo la posizione del nascondiglio segreto.
Si era sempre comportato in maniera meccanica nei confronti di Jason e Jodie, sin da quando erano piccoli. Non aveva mai avuto bisogno di ponderate riflessioni per capire cosa fosse meglio per loro, e questo perché altro non desiderava che la loro felicità. Unicamente questo.
E aveva sempre pensato che non fosse una cosa strana o sbagliata. Erano suoi amici, li sentiva addirittura come fratelli, e riteneva che in quanto loro miglior amico il suo fosse un atteggiamento normale. Forse dovuto. Forse generoso. Ma non esagerato, insomma.
     Nonostante tutti i suoi sforzi, però, non era evidentemente riuscito a far comprendere il suo affetto. Ma si trattava realmente di questo, oppure era semplice bisogno di affetto?
 
     Adesso stava pensando ad altro, però. Al suo atteggiamento talmente automatico.
Meccanico.
Così si era comportato durante quella giornata. Anzi no…
Per tutta la sua vita era stato una disgustosissima macchina, ed anche piuttosto penosa. Un ragazzino incapace di tutto, buono solo ad emulare dei suoi coetanei oppure a nascondersi fra le braccia dei genitori e del maggiordomo che la vita gli aveva generosamente donato.
Ma ora? Non era più un bambino, era un ragazzo oramai. Avrebbe dovuto cambiare.
I due gemellil’avevano già fatto tempo prima, ma fin troppo. Aveva colmato lui questa esagerazione non cambiando per niente.
Era rimasto sempre il solito debole, e questo l’aveva portato a non capire un bel niente non solo di Jason e Jodie, ma nemmeno di suo padre.
 
 
     Scienziato del Red Ribbon. Causa di tutte quelle disgrazie.
Kim riuscì nuovamente a tossire, sputando una disgustosa quantità di sangue che stava disperatamente tentando di tenere dentro.
Il padre come membro del Red Ribbon? Pareva assurdo, eppure ci credeva.
     Non aveva più neanche la forza di rifiutare tutto quello, di sollevare qualche tipo di obiezione.
Certo, da una parte voleva averla quella forza, anche solo per potersi aggrappare a qualche tipo di verità; tuttavia sapeva che si sarebbe trattato di una menzogna, non di una verità. E di falsità a cui affidare tutta la sua vita ne aveva abbastanza.
 
 
Ecco. Potrebbe sembrarti una forma di lucidità questa.
Ma non lo è, per cui non crederlo. Sarebbe un grave errore.
Quella di Kim non era affatto lucidità. Era follia. E la follia può essere più razionale della lucidità.
 
     Vediamo come.
E’ lo stesso istinto che porta un uomo a spaventarsi di fronte ad una belva feroce. E’ proprio grazie a una sensazione assoluta, indipendente dalla nostra volontà e che anzi l’uomo vorrebbe tanto debellare – cioè la paura – che il battito cardiaco inizia ad accelerare, i respiri diventano più frequenti, e i muscoli si preparano, anche inconsciamente, a scattare.
Si tratta di un’inevitabile catena di panico che è la sola in grado di salvare l’uomo in momenti del genere.
 
     Bene, ritorniamo al caso di Kim. La disperazione che il ragazzo stava provando suscitava in lui il bisogno di un’attentissima analisi della realtà. Per far ciò era necessario allarmare i sensi, farsi travolgere dall’intensità della follia, e all’interno di questa crearsi una sfera di lucidità.
Sarebbe così nata una protezione del tutto inespugnabile, che proprio poiché unica nella sua specie non si sarebbe mai fatta abbattere prima del dovuto.
 
Ciò spiegava quello che, in seguito, avrebbe portato Kim a fuggire da quella casa e a soccorrere Jason e Jodie, e, purtroppo, anche le drastiche conseguenze che avrebbe riportato sulla sua psiche alla fine di tutta questa vicenda.
 
 
 
     Arrivarono alla soglia delle scale. Ai loro lati le fiamme erano pronte ad accoglierli fra le loro braccia… E delle lacrime scivolarono dagli occhi del ragazzo.
 
Oh, piccolo e innocente Kim…
 
Si voltò debolmente, e i suoi occhi incontrarono quelli dell’amata mamma Susan.
Ciò che accadde poi durò solo pochi istanti. Il tempo di rapirla definitivamente.
     Il giovane aveva teso la mano alla donna, già sceso di un paio di gradini. Susan sembrava ancorata al pianerottolo, probabilmente sconvolta dal tutto.
<< Mamma>> fu l’unico afflato di voce che riuscì a rivelare. Un’unica parola, tanto densa ma ferocemente temuta…
     Oh Susan. Umile e graziata donna quale sei, hai sempre anteposto la vita di tuo figlio a qualunque altra cosa, ed egregiamente glielo hai dimostrato. Sta’ tranquilla. Kim non è stupido. Sa bene quanto lo ami.
E fu così che indugiasti, soltanto per contemplare in atteggiamento di cieca venerazione il puro volto del pargolo tuo, sospirando e gemendo per il dolore che gli stava distruggendo le viscere.
Volevi toccarlo, hai voluto ammirarlo un’ultima volta, consapevole che non avresti avuto ancora molte altre occasioni…
E l’ultima fu.
 
     Il bianco del suo sorriso, l’eterno amore del suo sussurro… Quando Kim vide interporsi tra sé e la madre un’ostile barricata di fuoco grave e pungente, che accolse nel suo abbraccio l’intera distesa della scalinata e se la trascinò rovinosamente giù, al primo piano.
     Non sapeva Kim dove aveva preso tutta quell’aria, visto il fumo che aleggiava, ma assurdo ed impossibile fu l’urlo che come un velo lo accompagnava nella caduta, in mezzo a quei tronchi di legno e a quel fuoco infernale.
 
Ecco com’era. L’inferno.
 
E la vide allontanarsi da sé. Lui, che impotente veniva trascinato verso il basso, verso il tartaro dell’inferno.
Lei, che dolce e dignitosa si limitava ad indietreggiare, avvicinando inevitabilmente la sua anima a quel percorso di ascesa che avrebbe presto compiuto…
      E così giacque al suolo, con le braccia schiacciate dai roveti e con il capo nuovamente bagnato dal sangue, il nostro Kim, e a fargli capire che era ancora vivo accorse quella melodia… Esatto, era la madre, la quale già pronta a rimanergli vicino come un angelo custode lo esortava dall’alto a rialzarsi, a correre via, a proteggere ciò che amava davvero con tutte le sue forze…
Lo spronava a vivere.
 
Cosa, già capiva quello che poteva subentrare nella sua mente alla fine di quella catastrofe?
 
Dopo un tempo che parve interminabile Kim seppe faticosamente rialzarsi, ma dinanzi a sé non trovò i volti disperati della madre e del maggiordomo che lo fissavano. No, essi lo guardavano dall’alto colmi di un’emozione talmente profonda da non lasciar spazio ad altre. L’amore.
<< Sei giovane, tesoro mio >> esclamò la donna, con le lacrime agli occhi per la sofferenza ma anche per il dolore fisico, in quanto ogni tentativo di alzare la voce abbastanza per farsi sentire le faceva male esattamente come avrebbe potuto un coltello trascinato sulla schiena. << Hai tutta la vita davanti… Non ti arrendere mai >> .
Kim capì che la scalinata che portava al secondo piano era crollata, e non ci volle molto per arrivare alle conseguenze. Sentì il viso inondato dalle lacrime, così tante che forse gli stavano cancellando i segni del fumo e del sudore. << Aspettate, troverò un modo per farvi scendere… >> disse, ma guardò i detriti che lo circondavano e la realtà gli piombò addosso.
Ma Susan era intenzionata a non perdere tempo, o altrimenti avrebbero tutti sofferto ancora di più. Provò disperatamente a trattenere almeno qualche lacrima, ma non ci riuscì. << Tu non pensare a noi, Kim. Ora va’, devi andare. Vai, per il tuo bene, perché in questo momento sei l’unico che può salvare Jason e Jodie… Vai… Vai piccolo mio… Vai… Amore mio… >> Ma nonostante la sua amara fermezza le ultime parole risultarono strozzate, e la mano le corse a tappare la bocca.
Il ragazzo invece non riuscì a trattenere i singhiozzi. << Ma come faccio ad andare… Senza di voi? No, vi devo salvare, non posso lasciarvi così… >>
Alphonse seguì con lo sguardo un’intera porzione di detriti staccarsi dal soffitto e sfracellarsi alle spalle del ragazzo. << Kim… Vai! Ti scongiuro… Non pensare a noi…! >> Avrebbe voluto dirgli “Ce la caveremo”, ma da tutta quell’assurda situazione aveva capito che era meglio non raccontare menzogne. << Staremo bene >> si limitò a dire.
<< Mamma rimarrà sempre con te… >> si sforzò di urlargli la donna, e un attacco di panico la colse quando si immaginò il ragazzo dopo la tragedia. << Sei la cosa più bella che mi è capitata >> aggiunse in tono strozzato << e sono così felice… Di essere tua madre… Kim, ti amo tanto…! >>
Il ragazzino tentò di fissare i suoi occhi in quelli della madre. Non poteva toccarla, non poteva dirle addio come meritava… Avrebbe almeno voluto vederla, ma troppo fumo si ostacolava tra di loro e poteva cogliere solo fuggenti schizzi di luce. Sì, la luce aurea che emanava quella figura…
Susan cacciò tutto il fiato che aveva ancora in corpo. << Sono orgogliosa di te! >>
     Come una scossa di elettricità sulla mano che ti porta a scattare involontariamente il braccio, così le parole di Susan mossero i suoi piedi, e senza rendersene conto le gambe stavano muovendo piccoli passi indietro, oramai inarrestabili.
Alphonse rimase amaro a boccheggiare, e finalmente provò un passo in avanti. << Ora va’, Kim! >>
     Il giovane sentì la testa scuotersi ripetutamente, e nei secondi in cui l’animo tentava di raggomitolarsi su se stesso e nascondersi nel fuoco il corpo là fuori soffriva. Molto, di un dolore languido e violento, perché stava commettendo l’errore di allontanarsi dai suoi cari…
 
Kim. Il suo nome pronunciate così tante volte, per l’ultima volta…
 
“Staremo bene”, aveva detto Alphonse.
 
<< Non vi deluderò! >> gridò sofferto il ragazzo, con la voce lacerata ma tangibilmente forte abbastanza da farsi sentire. Sua madre e il suo maggiordomo avevano ricevuto le sue parole. Non li vedeva, aveva dato le spalle per scappare adesso, ma ne era sicuro. Aveva questa impressione.
E mentre le sue gambe scivolavano da sole convulse e odiate, rabbiose e funeste, poteva udire la voce della mamma che gridava il suo nome…
E non dovette più trattenere le lacrime. Non più adesso.
     Una folata di vento gli si gettò in faccia quando oltrepassò il muro di fumo che sostituiva la porta di casa ormai inesistente. Scattò a grandi passi nel giardino già malato, e la strada fu per lui solo un altro posto dove nascondersi a piangere. Piangere e singhiozzare, soffrire e lacerarsi…
Ormai non vi era più alcuna distinzione.
 
 
     Susan poté finalmente abbandonare il peso del corpo fra le braccia di Alphonse. << Mi dispiace davvero tanto per te. Io non sarei sopravvissuta in ogni caso, ma tu… Speravo potessi rimanere al fianco di mio figlio >> .
L’uomo accolse gentilmente il suo abbraccio. << Se rimarrà al fianco di Jason e Jodie non avrà bisogno di noi >> disse, poi prese un lungo respiro. << Susan, grazie per avermi permesso di essere un maggiordomo. Voi tutti non mi avete dato soltanto una casa, ma soprattutto una famiglia >> .
La donna schiuse le labbra, e dolcemente provò il tocco delle sue stesse lacrime. << Ti voglio bene, Al >> sussurrò.
Ed essi rimasero così, avvinghiati nel loro ultimo abbraccio, e sapevano che non sarebbe durato ancora molto. Sentirono il fuoco avvicinarsi ai loro corpi, tremanti e in piedi in quella distesa che una volta chiamavano pianerottolo.
Se qualcuno fosse sopravvissuto, questo non lo sapevano. Susan dedicò però gli ultimi istanti della sua vita immergendosi nei suoi pensieri, e non volle pensare a Gelo. No.
Pensò unicamente a Kim, e anche se il ragazzo non poteva saperlo gli fece una promessa. 
Gli giurò solennemente che da quel momento in poi avrebbe continuato a vegliare su di lui. Per l’eternità.
 
 
 
 

 

     Le ore trascorsero velocemente, scivolando via più liquide di bolle di sapone. Jason e Jodie scattavano nell’aria come se fossero uccelli da sempre dotati di eleganti ali, in grado di librare nel vuoto con eguale leggerezza e naturalità. Ma loro non erano uccelli, erano umani. E tali intendevano rimanere.
Tutto ciò che riuscirono a udire in questo lasso di tempo erano i loro affanni, mentre si trascinavano in quello che era un muro di aria e terra.
Terra, perché le scosse di vento che stigmatizzavano l’aria sollevavano una folta chioma di polvere e terriccio che penetrava negli occhi, e così le due dimensioni si congiungevano e si allontanavano, si cercavano ma si perdevano.
Aria, perché era questa la distesa su cui Jason e Jodie stavano ininterrottamente viaggiando, impotenti mentre sentivano l’energia che consumandosi indeboliva i loro corpi. Era informe e molesta, che più volte li sbatteva sotto di essa – oh, gli obiettivi erano tanti, per esempio chiome di alberi oppure speroni– e poi continuava ad attrarli a sé. Un modo ondulatorio e pericolante, che aggiungeva la collera al panico.
     Ma tutto questo stava finendo. Sì, finalmente l’incubo era terminato.
Jason toccò titubantemente terra, seguito l’attimo dopo da Jodie. Erano sul pendio di una collina, quasi alla sommità, e davanti ai loro occhi un’insenatura si incanalava nella roccia.
Uno spesso strato di muschio collaborava con un suggestivo gioco di alberi ed ombre al fine di nascondere alla vista di qualunque curioso la presenza di una grotta.
Che meraviglia… Solo dei bambini così spericolati potevano permettersi di elevare un tale posto a loro nascondiglio segreto. Bè, segreto lo era di certo, così occultato.
Si concedettero qualche secondo per riprendere il fiato, e anche Jason dovette concordare sulla necessità di cedere al suolo, distendere le membra stanche e finalmente riposare. Non vollero perdere altro tempo, e stabilirono di ritornare all’interno del loro nascondiglio.
I loro passi facevano molto rumore strascicandosi sul soffice terreno, ma ai ragazzi non importava. Erano soltanto loro due, del resto.
Nessuno poteva sapere del loro nascondiglio segreto.
 
     Nel cielo due robuste nuvole parevano fondersi l’una nell’altra. Forse era una semplice sensazione, visto il vento che le strattonava come se fossero in ritardo a un appuntamento importante. In effetti sì, esse avevano un preciso compito. Irrealizzabile, che andava oltre le loro capacità di umili nuvole. Ma tentarono comunque. E fu allora che una cortina di pioggia iniziò ad abbattersi sul terreno.
<< Che strana sensazione essere qui >> riuscì a commentare Jodie, prima che tutta la spossatezza trattenuta fino a quel momento la vincesse. Si inginocchiò a terra e non fece a meno di vomitare.
Jason prese un profondo respiro, e ridacchiò quando le ginocchia gli tremarono. Volare tutto quel tempo, per dei semplici e stanchi ragazzini era stato più devastante di quanto si possa immaginare.
<< Cavolo, che forza che siamo >> commentò, e si rese conto di essere salvo. Entrambi erano salvi.
I loro occhi ancora non si erano abituati al buio della grotta, ma presto l’avrebbero fatto. Nell’attesa Jason decise di tastarsi il petto scoperto e il collo, trovando un’ulteriore gioia nel foulard ancora legatogli dietro la nuca. Sospirò pesantemente, mentre la schiena gli scivolava lungo la parete fino a crollare per terra.
Trascorsero quelle che parvero ore, in realtà secondi – no, forse erano minuti – in cui l’unico rumore era provocato dalla tosse, o da piccoli impulsi di vomito della ragazza, mentre Jason si asteneva dal dire frasi stupide di conforto. Si limitò a pensare in silenzio, a soppesare il significato della loro recente vittoria.
Sì, perché almeno per il momento era salvi, lontani da tutto. Si erano allontanati, distanti da Orange Town, distanti da Kim, e stavolta anche dalla baby gang.
Forse avrebbero dovuto farlo molto tempo prima… Abbandonare anche Kim, e vivere una vita completamente nuova, magari in un’altra città.
Si raggomitolò sul freddo pavimento. No, non avrebbero mai dovuto abbondonare Kim, specialmente ora che sapevano la verità su suo padre. Si disgustò per il suo stesso cinismo.
<< Avremmo dovuto farlo tempo fa >> dichiarò Jodie, irrompendo nei suoi pensieri. << Venire qui, al rifugio. Avremmo ricordato chi eravamo una volta, e forse tutto questo non sarebbe successo >> .
<< Ormai è inutile pentirsi. Adesso riposiamoci >> disse Jason, ma ebbe un sussulto quando lo notò.
Il pavimento freddo e urlante sotto la sua pelle.
Non era terra, non era roccia. Era un qualcosa di agghiacciante, che nel suo gelo comunicava una grande assenza di emozioni. Un’apatia di vivere… Accidia? Forse. Non voler compiere il bene.
      Jason capì che qualcosa non andava. Le sue labbra si schiusero, pronte a chiamare la sorella, ma si ritrovarono a sussurrare un altro terribile nome: << Gelo… >>
 
      Jodie si voltò, e in un solo attimo tutta l’aria che stava respirando le si seccò in gola. Era lì, alle sue spalle, ritto in piedi. I loro occhi si stavano abituando all’oscurità della caverna soltanto adesso… quindi Gelo stava dall’inizio?
Si alzò in piedi, barcollando e attenta a non cadere nel suo stesso vomito.
Jason scattò in piedi, ma la debolezza lo imitò a lo assalì tutto. I due gemelli non dissero nulla.
Rimasero in silenzio ad osservare una porta metallica chiudersi alle loro spalle, bloccandoli in quella caverna.
Erano muti, mentre la maschera che copriva l’intero volto di Gelo diveniva chiara ai loro occhi.
Rimanevano pietrificati i nostri ragazzi, e solo gli occhi azzurri azzardarono un appena percettibile movimento per poter seguire due bombolette spray che dalle mani dell’uomo si riversarono giù, e toccando il pavimento ticchettarono sul marmo, sprigionarono una piccola nuvola di fumo, e poi scomparvero nella densa aria che acquistava sempre più consistenza.
Fumo, polvere, cos’era?
No. Era gas.
     Gas narcotizzante, che si estendeva nella caverna in maniera controllata. Pareva una cellula, che per portare alla nascita di un essere ha bisogno prima di costruire un corpo e poi ramificarsi in arti, fino ad occupare l’intero grembo materno. Ora il grembo era la caverna, e ostacoli come Jason e Jodie dovevano essere eliminati, per la salvezza del bambino. Il nascituro era il gas, e il suo pianto, che generalmente provocherebbe la vita, ora avrebbe portato a qualcosa di ben diverso.
I ragazzini indietreggiarono. Jodie si sentì afferrare da dietro, ma scoprì che si trattava soltanto di un letto. Anzi no, ce n’erano due.
Jason scuoteva più volte la testa, ma la nube era inevitabile, accesa, viva. E sembrava dirigersi proprio su di loro.
Inevitabile… Ecco come si colorava ciò che era sempre accaduto nella loro vita.
 
     Il dottor Gelo era lì, al centro, e camminava a piccoli passi verso di loro, accompagnando l’avanzata della nuvola di gas. Con lo sguardo ghermiva quelle irripetibili scene. Il corvino che dava forza a tutta la secca voce che ancora aveva in corpo quando vanamente si dimenava contro la nube, e nell’impetuosità dei gesti permise al suo foulard di scivolargli giù dal collo.
Jodie che divenne specchio dei suoi occhi, e si accasciò a terra nella speranza che tutto finisse subito.
Jason si chinò a terra, si mostrò pronto perfino ad abbandonare il foulard alla nube di narcotico che ormai l’aveva catturato e si prostrò di fianco alla ragazza. I loro occhi si incrociarono, e Jodie poté recepire un leggero scuotimento del capo del fratello. Provarono il respiro prolungato e sofferente sulle loro labbra, l’uno dell’altro.
I loro ultimi, supplichevoli e intimi pensieri furono rivolti alle tre persone più importanti della loro vita. Ai genitori, e a lui. Kim.
Stabilirono di comune accordo di porre fine alla loro vita con dignità, e fu così che essi tentarono un sorriso a testa alta.
Prima che la nube li avvolgesse per sempre.
 












*angolo autore

 Quando la disperazione prende il controllo sulla ragione, si può commettere qualunque tipo di atrocità. Ecco cosa sta sucedendo a Gelo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.. In pratica per pubblicarlo ho dovuto riscriverlo interamente, sono partito con l'intenzione di rileggerlo ma ho sistemato tutto xD
E questo è stato il più lungo periodo di intervallo, tra lo scorso capitolo e questo. Scusatemi, ma il primo quadrimestre stava finendo ecc ec.. ed ero troppo incasinato T.T
Ecco anche perchè ho risposto con ritardo anche alle recensioni... per cui chiedo umilmente perdono, e grazie di cuore per il sostegno :) :)

Spero che non vi siate annoiati leggendo il capitolo... E' che un giorno mentre il prof di matematica spiegava mi è venuta in mente quella parte sulla "follia" di Kim, quindi ci tenevo a scriverla xD

Tra l'altro... sì, ho cambiato nickname, ma per l'ultima volta credo ^^
Ultima cosa... Come avrete capito, questa storia sta finendo. Infatti, questo era il terzultimo capitolo... Mi dispiacerà immensamente scrivere l'ultimo capitolo, ma prima o poi doveva finire :( Spero davvero che continui a piacervi... E detto questo, vi saluto!!

Bè, mi dispiace per Susan, e ovviamente anche per Jason e Jodie :(

Ok, alla prossima. Grazie ancora a chi mi sostiene :D :D

Un abbraccio, e alla prossima.. con il penultimo capitolo ;)
   
 
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