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Autore: _NightWolf_    03/02/2016    0 recensioni
L'ultima pagina di diario di una fanciulla che sta per morire, che non ha potuto vivere la sua vita così come avrebbe voluto, divorata da una malattia incurabile, ma che in fondo ancora spera. Spera di poter nuovamente correre, ridere...essere salvata. Ed un salvatore, effettivamente, ci sarà.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angelo di ghiaccio




Non domandatemi per quale motivo mi ritrovi con una penna in mano, intenta a scrivere su una piccola e logora agenda racimolata da chissà quale venditore ambulante anni fa, mentre seguo con i miei occhi azzurri brillanti la mia calligrafia quanto mai tremolante e allo stesso tempo dotata d’una peculiare eleganza che creano le mie dita strette decisamente troppo convulsamente attorno allo stilo della penna, perché non saprei davvero come rispondervi.
Questo non è un diario, non sono pagine programmate che sto scrivendo, tantomeno una testimonianza della mia insulsa vita che sta per finire o un addio ai miei cari. Non comprendo nemmeno io cosa stia facendo, quale energia o forza stia spingendo le mie falangi a scrivere, a raccontare, a documentare. Eppure sento il bisogno incessante di farlo, di dar voce al mio dolore. Forse semplicemente perché sto per andarmene, e vorrei che almeno un briciolo della mia memoria rimanesse impressa in questo mondo sotto forma cartacea, ma ne dubito vivamente. A chi mai dovrei donare i miei ricordi d’una vita fin troppo breve e scontata, quando questa stessa esistenza l’ho trascorsa in solitudine?
Una vita scarna, insulsa, creata su dei piedistalli di cristallo fin troppo fragili e instabili, che ad un solo soffio di vento rischiano di frantumarsi in mille e mila pezzi. Eppure io su questi piedistalli ho costruito la mia vita, a tasselli altrettanto delicati. Hanno retto, o almeno, ho provato a tenerli saldi, a non farli cadere e vedere la mia vita spezzata in mille cocci…ma non resisteranno tali ancora a lungo. Io non resisterò ancora a lungo e ne sono consapevole. Nonostante ciò, voglio che qualcuno, qualcosa, sappia. Voglio che qualcuno capisca, comprenda, ricostruisca. Ma quel qualcuno non esiste. Chi mai vorrebbe rischiare di ferirsi le mani per ricostruire la mia vita, sbriciolata in mille pezzi di vetro così piccoli e invisibili ma così pericolosi e dolorosi? In fondo ciò che si procurerebbe chiunque volesse intraprendere questo assurdo percorso sarebbe solo dolore, sofferenza, tormenti. In fondo la mia vita solitaria altro non è stato che questo….eppure io, Nilde, nome che significa “guerriera”, ho effettivamente trovato la felicità. In questa guerra oramai perduta da tempo, forse persino dal giorno in cui ho respirato per la prima volta, una battaglia è stata vinta. Forse una battaglia fin troppo insulsa ed insignificante per una guerriera, persona che io non sono, ma che, nel suo piccolo, è riuscita a fare breccia nelle sorti della guerra. L’ho persa, ma ciò non vuol dire che non mi abbia soddisfatta. Non sto assolutamente implicando che sia felice della mia vita, perché non lo sono, ma per una volta, una singola, il mio dolore è riuscito ad affievolirsi. Per mano di chi, dite? Non lo so. Forse grazie ad una persona, o un fantasma…oppure un angelo.

 

Quel giorno la temperatura calata drasticamente, toccando il gelo con lo zero, non permise agli abitanti della cittadella in cui vivo d’uscire, segregando quelle povere anime nelle loro dimore.
La città era deserta, nessuno s’aggirava per i vicoli bui, gelidi e puzzolenti colmi di ratti e pullulanti di criminali, tranne me. La mia salute cagionevole rischiava d’aggravarsi a livelli a dir poco impensabili se fossi uscita, ma non m’importava davvero nulla ,perché sarei morta lo stesso, avrei comunque abbracciato il corpo informe di Plutone. Sentivo il bisogno di respirare ossigeno, rinchiusa com’ero in una prigione di anidride carbonica dalle pareti violacee da quasi un mese oramai. I miei polmoni ne risentivano, di conseguenza decisi di recarmi verso la spiaggia, unico luogo da cui ero sicura avrei tratto beneficio, grazie all’aria impregnata di salsedine. Ma non era solo il bisogno di respirare e sentirmi viva almeno per un istante a spingermi verso quel luogo deserto…no…era qualcos’altro. Non sapevo come, ne perché, ma sentivo che in quel luogo avrei potuto essere felice, come se qualcuno, o qualcosa, mi chiamasse. Per questo motivo, senza rimuginarci sopra più volte, scavalcai l’ormai putrida soglia della mia umile e solitaria dimora, mentre una folata d’aria gelida mi contrasse le viscere, facendomi accapponare la già sensibile epidermide.
Quel giorno uscii senza mettermi nulla addosso, protetta solo da un miserabile indumento di stoffa leggera, mangiucchiata qua e là dalle tarme, con a piedi un paio di sandali ripescati da chissà quale meandro sperduto della mia casa. Non badai al vestiario, avevo fretta. Non riesco nemmeno oggi a capire come mai quel giorno avevo così tanta fretta, eppure sentivo che se non fossi arrivata subito, non sarei più riuscita a trovare la serenità. Tutto ciò che ricordo del tortuoso percorso intrapreso per giungere alla mia meta è solo fatica, corsa e fatica, accompagnata di quando in quando da chiazze di edifici ergersi come cadaveri sventrati nella lugubre nebbia che avvolgeva la cittadina. Nessuna figura lontanamente umanoide, però. Tutto era deserto, non s’udiva altro che il lamento del vento sferzante farsi strada tra le foglie ormai secche. Nessun uccello, o qualsivoglia mammifero, solcava il cielo fin troppo grigio o pattugliava le strade deserte. Come se, quel giorno, la terra si fosse fermata, immobile in quell’unico istante che cambiò la mia vita. Fortunatamente non vivevo molto lontana dalla spiaggia, condizione più che favorevole per la mia salute dato che il clima, almeno in questa zona, viene spesso mitigato dalle correnti calde marine…eppure, in quel dannato giorno, altro non sentivo che freddo. Gelo e freddo, una sensazione indescrivibile, un freddo così intenso che percepivo il sangue raggrumarsi nelle vene, fermando il proprio circolo mentre iniziava pian piano a cristallizzarsi anch’esso. Non avevo più controllo delle mie articolazioni, divenute insensibili, mentre osservavo le mie dita arrossarsi, assieme al volto ed i piedi.

Ma non mi importava, non in quell’occasione. Mi ritrovavo in una corsa tanto idiota quanto folle, in cui in gioco riposi la mia stessa vita: o raggiungevo la mia meta, oppure il mio cuore cessava di battere a causa del freddo.Alla fine, dopo minuti, o forse ore, giorni, chissà, arrivai. Sentii l’odore di salsedine già prima di intravedere le gelide acque salate del mare. Non ricordo bene se era mattina oppure notte, pomeriggio o sera…tutto ciò che rimembro è freddo, tanto freddo, ed una figura.

Arrivata in prossimità delle acque increspate dalle onde e non mancai di sedermi, sfinita, sulla sabbia, mentre inutilmente cercavo di riempire i miei polmoni dall’aria che la lunga e sfiancante corsa m’aveva proibito. Dopo aver passato poco più di tre mesi costretta a letto, il mondo esterno pareva ai miei occhi incredibilmente diverso, strano. Ogni sfumatura del verde spento della natura e del grigio aleggiante nell’atmosfera era per me qualcosa di fantastico. Forse per questo motivo rimasi talmente incantata nell’osservare l’infinita distesa d’acqua che mi si presentava dinnanzi agli occhi, ignorando l’irragionevole freddo che era decisamente troppo per i miei scarni indumenti, da non accorgermi d’una presenza.
Mi colse di sorpresa quando, insensibile ormai d’ogni atto razionale, stavo per immergermi nel gelido ed umido abbraccio del mare, simile ad un richiamo.

Mi girai verso la fonte di quel suono, tranquilla come mai non lo sono stata in vita mia, per nulla stupita o quantomeno insospettita dalla presenza di quell'ombra. Il timbro decisamente grave e profondo che avevo udito poco fa era una voce, una voce appartenente ad un ragazzo…un uomo, o forse no.

Mentre parlava, s’avvicinava con passo lento e sicuro verso mia figura, così piccola e fragile in confronto a quella possente e tonica dell’uomo che mi si presentò. Scoprii di avere di fronte un ragazzo, poco più grande di me forse, avente i capelli leggermente lunghi, d’un rosso talmente acceso che mal contrastava con il freddo grigio dell’ambiente attorno. Aveva un profilo leggermente aquilino, eppure quegli occhi, così neri e così profondi, cancellarono ogni mio più sfuggente dubbio. Già sapevo, lo sapevo ma volevo ignorarlo, poiché una guerriera fragile come me non poteva permetterselo, non doveva essere felice.
Rimasi per un attimo rigida ed immobile, mentre i miei piedi venivano lambiti dall’acqua salata del mare, decisamente fin troppo insensibile per poterla anche lontanamente percepire. In seguito mi riscossi, rivolgendomi verso quella figura così arcana nascosta dalla nebbia.

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Le parole sgorgarono fredde, atone, prive di emozioni. Persino le mie corde vocali divennero insensibili a causa del freddo, gelate com’erano sotto uno spesso strato di ghiaccio.
Nonostante l’irrazionale momento che stavo vivendo, in quell’ambiente così lugubre e per nulla confortante, non ebbi paura. Percepivo in quella figura un’energia, un calore, da tempo dimenticato. Sentivo l’entità dai capelli rossi familiare, come se un fragile ed invisibile filo c’avesse legati per tutto quel tempo. Egli s’avvicinò ancora e ancora, finché solo una manciata di centimetri ci separavano da un contatto che io, in preda forse ad allucinazioni, ardivo in modo incomprensibile.

<< Tutti commettiamo peccati, Nilde. Nessun uomo si è mai salvato da questa sorte, eppure tu, se sceglierai la strada della salvezza, non soffrirai. Non conoscerai mai l’inferno.>>

Le parole uscirono lente e profonde dalle sue labbra, mentre sentivo il suo alito caldo rinvigorirmi le articolazioni. C’era del calore non solo nella sua voce ma nella sua stessa fisionomia, come se trasudasse dai pori il vapore del fuoco che ardeva dentro la sua cassa toracica. Non ricordo perché, né come, ma volevo toccarlo. Volevo percorrere con le dita il profilo del suo addome, del suo corpo, nascosto com’era da una cappa logora e strappata. Desideravo salvarmi, desideravo vivere pur sapendo che avrei conosciuto l’inferno comunque. Ma non lo feci, non lo toccai.

Ma era un quesito fin troppo scontato, poiché io già sapevo la sua identità: Castiel. Il suo nome mi apparve così limpido e chiaro, ma allo stesso tempo in modo decisamente troppo caotico. Io sapevo chi era, ma non lo sapevo. Sentivo di conoscerlo, ma quella sensazione era fin troppo radicata all'interno del mio animo affinché io potessi percepirla.

Accompagnò la frase da un impercettibile sorriso, così malinconico e triste. Forse lui capiva, forse lui sapeva. Forse le mie sorti, pur essendo già state scritte, potevano essere modificate da lui. Mentre una folata di aria gelida abbracciò entrambi in un turbinio di chiome rosse e nere, sentii le mie palpebre inumidirsi. Stavo piangendo, delle lacrime vere solcavano le mie guance aride ed asciutte da non so quanto tempo ormai.

Nonostante le lacrime, la mia voce rimase atona come sempre, per nulla incrinata dalle emozioni che stavo provando. Perché mi ostinavo a porre quel quesito, quando sapevo già la risposta?
Castiel era…io sapevo cosa effettivamente era, una creatura bellissima, delicata, forte, perfetta.
Sorrise, questa volta però il suo era un ghigno. Un ghigno quasi spaventoso, diabolico, che pure riuscì a tranquillizzarmi.



E poi, improvvisamente, mi agguantò il mento, in modo da puntare i suoi due grandi pozzi neri sui miei occhi blu. Un blu smorto, malaticcio, ma che s’accese non appena incontrarono il nero.

Un brivido percosse le mie viscere, mentre cominciai a riprendere il controllo dei miei arti, i quali vennero liberati dal duro ghiaccio che li avvolse non appena le dita di Castiel sfiorarono il mio volto. E solo allora cominciai ad avere paura.

Sussurrai, la mia voce lacerata dai singhiozzi. Avevo perso il controllo delle mie corde vocali, e il suono che ne uscì parve uno squittio, così debole e stanco. Ero stanca, lo sapevo, e poco mancava alla mia dipartita…eppure, invece di scappare, scelsi di aggrapparmi a quell’unica figura davanti a me. Stavo forse delirando? Non so. Ma in quel momento altro non m’importava che la salvezza, altro non m’importava che vivere. Egli sorrise per l’ennesima volta, ma in un modo mai sperimentato prima. Non fu un riso malinconico, sofferente, doloroso…fu un sorriso dolce e pietoso.

Ciò che successe dopo è per me ancora un mistero. Ricordo solo un abbraccio, un calore indescrivibile che ruppe la barriera congelata nella quale mi ero rifugiata, e poi il buio. Un buio silenzioso, immobile, privo di alcun suono o immagine. Quando riaprii gli occhi, ero nella mia stanza dalle pareti violacee, avvolta nelle morbidi coperte di lana come un cucciolo. Fuori, una bufera bussava alle mie finestre.


Non so ancora cosa successe quel giorno. Molto probabilmente, in preda alla febbre, stavo delirando, sognandomi tutto l’accaduto. Eppure al mio risveglio trovai una penna sul tavolo, un lungo stilo argentato privo di alcun ornamento. Ma la cosa più strana che sentii fu…pace. Percepii una tranquillità mai sperimentata, una pace quasi spaventosa. Ed è ciò che sento adesso. Mi sento libera, tranquilla, per nulla spaventata dalla mia sorte. E proprio mentre sto scrivendo questa improbabile storia della mia inutile esistenza che mi chiedo, Castiel era davvero la mia salvezza? Fu proprio lui, chiunque esso sia, a privarmi di ogni paura, a rendermi in qualche modo serena e, perché no, felice? Esistono quesiti a cui, purtroppo, non vi è una risposta. Eppure sento che non andrò all’inferno, che quel luogo predestinato a me non lo solcherò mai, poiché i miei peccati, nel momento in cui Castiel mi avvolse tra le sue roventi braccia, furono espiati. Non comprendo nemmeno io per quale motivo, eppure sento che è così. Le persone vivono e agiscono in un turbinio di sensi di colpa, bugie, timori, sofferenze…un ciclone che colpì anche me, costringendomi a letto, in preda a dolori e spasmi. Eppure io, adesso, non percepisco nulla se non freddo. Il mio cuore, le mie viscere, sono avvolte da uno spesso strato di gelo, ma all’interno altro non v’è che il vuoto. Dentro di me c’è solo vuoto ed è questo il luogo verso cui sarò indirizzata, una volta spenta la mia energia vitale.

Per molti potrebbe essere un fattore orribile, quello di provare o percepire alcunché. Ma io sento che Castiel,grazie alla sua presenza, m’abbia effettivamente aiutata, regalandomi come un suo ricordo questa penna, strumento attraverso il quale qualcuno saprà. Qualcuno capirà per quale dannato motivo io sia nata così, in questo mondo, in questo modo. Non posso, ora, far altro che abbandonare tutti i cocci della mia vita qui, in attesa che qualcuno si metta in gioco e, pazientemente, li ricostruisca, a costo di ferirsi e di soffrire. Non posso far altro che lasciare queste pagine qui, a marcire, in attesa che qualcuno le legga.

Non sono felice, non lo sarò mai, ma sento che, abbandonandomi tra le sue braccia, riuscirò a sfiorare questa sensazione. Il mio nome, Nilde, non è adatto alla mia persona, perché non sono una guerriera. Ma forse, grazie a lui, riuscirò ad esserlo. Non mi resta dunque che lasciarmi cullare dalla sua lunga, bellissima e oramai spezzata ala. Io sapevo, anche lui aveva sofferto come me, anche lui abbandonò questo mondo in maniera dolorosa, eppure sento che la sua ala è ancora forte. Forte come lui, come me, entrambi spezzati ed entrambi lasciati a marcire in preda al nostro destino. Ma la vita terrena è estremamente sottile ed insignificante… è solo dopo aver abbandonato questo mio corpo che comincerò a vivere davvero, assieme al mio angelo, Castiel.
 


Angolo dell'autrice:
E' una storia molto personale, a cui tengo particolarmente, e spero vivamente che vi piaccia.
In tal caso, mi piacerebbe sentire i vostri pareri, piccole anime.
Grazie per la lettura.

 
   
 
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