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Autore: Nephe    03/02/2016    1 recensioni
[...] Pensava di odiarli, Petunia, quegl’occhi. Era certa che avrebbe sempre provato rabbia a vederli, anche su altre persone perché avrebbero inevitabilmente ricondotto il suo pensiero a lei. Ma in quel momento, dall’istante in cui la creatura aveva rivelato al mondo quelle iridi splendenti, il risentimento era l’ultima delle cose che aveva sentito. [...]
Non era riuscita a chiarirsi con lei in tempo; aveva sprecato tante, troppe occasioni che non sarebbero mai tornate indietro. Una lacrima, l’ennesima, scese furtiva sul viso di Petunia, andando a morire fra le sue labbra. Ma tutto sommato, una parte di lei si era sentita sollevata.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Petunia Dursley, Vernon Dursley | Coppie: James/Lily, Petunia/Vernon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Ciao a tutti! Sono Nephe e questa è la mia prima Fanfiction con questo accout. Prima di iniziare a leggere, vorrei dire giusto due parole su questa One-Shot. Si può dire che è su commissione, ma in realtà una vaga idea mi era già venuta da tempo. La sfida è stata quella di scrivere della morte di Lily dal punto di vista di Petunia. Proprio lei, un personaggio così odioso tanto quanto il marito... perchè fare una storia dal suo POV? Sarà forse che non mi piace fermarmi all'apparenza; amo tentare di scoprire sempre più informazioni riguardo i "cattivi"... cos'è che li spinge a comportarsi così? Cosa c'è dietro? Di solito sono queste le domande che mi pongo. Il mio amico mi aveva chiesto una One-Shot senza troppe pretese, non molto lunga e agrodolce. Beh, spero di averlo accontentato e mi auguro possa piacere anche a voi. Mi farebbe molto contenta sapere il vostro onesto parere, se sono riuscita o meno a trasmettervi qualcosa. Nel caso, sarei davvero onorata.   

Ultima cosa! Perchè Desinit? Per un'unica ragione: la fine definitiva del rapporto terreno fra Lily e Petunia. Anche se, spiritualmente, qualcosa di molto forte ancora c'è.


 




 






Le dita tremavano furiosamente. Giravano e rigiravano quel maledetto pezzo di carta da almeno una ventina di minuti. Era sconvolta. Sconvolta, forse, era dire poco: un turbinio di emozioni invadevano il suo animo in quel momento, una vita intera le stava passando davanti. Ricordi che parevano appartenere ad un altro mondo, ad un’altra epoca; distanti, sfocati, persi. Era in un limbo, Petunia, in un limbo fra passato e presente. Un limbo d’inquietudine, dove non era del tutto sicura di poter uscirne. 

Deglutì.

Il respiro era mozzato; piccole gocce di sudore imperlavano le tempie, scendendo sino al lungo collo. Gl’occhi, vuoti.In un vago momento di lucidità, ringraziò di essere seduta sulla molle poltrona del salotto, perché era più che certa che le gambe non l’avrebbero retta. Era troppo. Assurdo, impossibile. Doveva essere tutto un sogno, un’allucinazione, un incubo. 

La lettera. Il bambino. Lily… morta.

Come nebbia che nasconde e disorienta, memorie di tempi creduti dimenticati iniziarono timidamente a scorgersi nella mente della signora Dursley. Sentimenti repressi, negatività che aveva ormai messo le radici nel suo cuore, stringendolo e infettandolo, sino a farlo quasi smettere di battere. Un animo puro, marcito nel tempo; tutto questo iniziò a manifestarsi nella sua testa, nei suoi vitrei occhi. 


Ogni volta che sentiva pronunciare il suo nome, anche solo di sfuggita, scoppiava in lei una rabbia e un’invidia sconfinata. 
Lily era sempre stata migliore in tutto. A partire proprio da quel nome: Lily, Lilium, Giglio. La purezza, il candore, la dolcezza, lei ne era la personificazione. Anche i capelli, che soleva portare lunghi, del più incantevole fra le sfumature del rosso; la pelle di porcellana, i preziosi occhi smeraldi. Sua sorella era l’esatta definizione di perfezione.

Lei invece? Lei, cos’era?
Lei era tutta sbagliata. Il suo nome, ad esempio. La petunia, era sì un bel fiore, ma simboleggia l’invidia. I suoi capelli, di un triste biondo cenere, erano sempre crespi nonostante la cura costante che vi impiegava. Il collo allungato, il profilo cavallino, la fisicità secca… Nulla a che vedere con Lily. 
Anche di carattere, sin da piccole erano agl’antipodi. Non era mai stata una giovane particolarmente espansiva; amici sì, ne aveva, ma non che si potessero definire dei migliori. Con le bambine, spesso spettegolava e si divertiva a raccontare maldicenze su altri. Trovavano un malsano gusto ad escludere tutti quelli diversi da loro e in particolare, a vederli tristi.
Lily… niente di tutto questo. Lei era buona, disponibile con tutti, soprattutto con i bambini un po’ più timidi. Era più ammirata e possedeva un ottimismo disarmante. 
I loro genitori invece, ragionando con il senno del poi, non facevano distinzioni fra le due figlie. Petunia aveva sempre pensato il contrario, ma aveva realizzato di sbagliarsi solo molto tempo più tardi, quando già frequenta Vernon. Aveva quindi vissuto l’infanzia e l’adolescenza più che certa di essere inadeguata. 
Si era sempre sentita esclusa, messa in un angolo dalla bella e brava Lily. Non si era mai sentita realmente apprezzata per quello che era. Percepiva costantemente un alone di angoscia e nervosismo che sfociava in competizione e, talvolta, in crisi isteriche. 
Per non parlare poi… di quella cosa.


Un violento brivido la riscosse per un breve istante da tutti i pensieri che la invadevano. 


Un argomento tabù. La fonte della sua iracondia, il cuore di tutti i suoi mali. I poteri magici della sorella. 
Stizze infantili a parte, la sua più grande rabbia nei confronti della rossa derivava da quello. La prima volta che Lily le mostrò cosa riusciva a fare, sperava sicuramente nello stupore e nella gioia della sua Tunia. Nonostante i suoi difetti, sua sorella l’aveva sempre ammirata e amata. Certamente sperava nella sua comprensione.
Ma lei, Petunia, lei non ebbe pietà.

 -Mostro!- le urlò. 

Lily sentì il suo cuore incrinarsi. 


Gelosia. L’unica parola adeguata a descrivere una costante nel suo animo. Invidia, disprezzo, tristezza. 
Aveva continuato la sua vita, accerchiata da un’aura pessimista. Era diventata acida, sospettosa sulla minima cosa. Aveva ignorato la partenza della sorella sull’hogwarts express (il rifiuto sotto forma di lettera da parte di Silente ad accettarla in quella scuola la distrusse), la evitò tutte le volte che si ripresentava a casa per le vacanze, ridusse al minimo il contatto con lei; faticava persino a guardarla. Lily ne soffriva terribilmente.
Tutto quello che la bionda desiderava era quiete. Tranquillità. Semplicemente, normalità. E in questo, trovò rifugio fra le braccia di Vernon. 
Vernon era un uomo corpulento; non era la classica idea di bellezza, ma aveva un carattere intraprendente e determinato. Nella ditta in cui lavorava sapeva imporsi, era rispettato e anche un po’ temuto, ma con lei era un gentiluomo. Aveva sempre mostrato molte premure nei suoi confronti e sopra ogni cosa… era normale. Un lavoro normale, una casa normale, un’ automobile normale. Terribilmente ordinario, per alcuni, ma perfetto per lei. Era esattamente la sicurezza che stava cercando, arrivando così ad illudersi di essere riuscita ad evadere una volta per tutte da quel mondo di paranoie che la stava logorando. 

 

Il destino, però, sa essere irriverente. 

 

Anche Lily si fidanzò. Era all’ultimo anno di quell’istituto di pazzi e si era accompagnata proprio ad uno di loro. Petunia non aveva mai avuto dubbi a riguardo. Suo malgrado, dovette ammettere che era un ragazzo carino e che, per l’ennesima volta, la sorella l’aveva superata… persino su quel fronte. 
Si incontrarono una sera a cena, un’uscita a quattro; era stata Lily a insistere, anche perché i restanti tre non si sentivano minimamente coinvolti. Petunia non aveva nessuna voglia di intrattenere nemmeno il minimo di quella che poteva essere una conversazione; Vernon, un po’ per riflesso di Petunia, un po’ perché non si era fatto una gran impressione su di loro per quello che le aveva sentito dire, non era molto invogliato. James Potter, il ragazzo di Lily, non aveva un buon presentimento.
Quella serata fu, di fatto, disastrosa. Finì con un’incomprensione fra Vernon e James -sulle strane usanze di quest’ultimo-, una Lily in lacrime e una Petunia innervosita per la perdita di tempo. 

Da quella volta, le due sorelle non si videro più. 
Aveva ricevuto l’invito al matrimonio dei due ragazzi, ma non volle partecipare. A distanza di qualche anno, le comunicarono anche la nascita del piccolo Harry, ma la cosa non la toccò. E poi Harry… un nome così scontato. 
Se non altro, non invidiava la sorella per aver avuto un figlio: Dudley era nato anch’egli in quel periodo. Almeno in una cosa erano eguali e anzi, il suo bambino possedeva un nome decisamente più originale. Continuò la sua vita in maniera pacifica, per quanto potesse esserlo per una neo-mamma. Lasciò il lavoro per fare la casalinga; si occupò della casa, del marito e del piccino. Non era certamente facile, ma Vernon manteneva la famiglia duramente e lei sentiva il dovere di fare altrettanto. Dudley cresceva e diventava sempre più giocherellone, non stava un attimo fermo e quando non otteneva attenzioni immediate si faceva ben sentire. 

Aveva tanto da fare, ma per la prima volta di sentì realizzata: finalmente, quello a cui più ambiva l’aveva ottenuto: una famiglia che la amasse per quello che era. Un uomo che la adorava e un bambino tutto suo da crescere. In quel periodo, sentiva che niente poteva andare meglio di così; i suoi genitori nel dimenticatoio e sua sorella uno sfumato, debole ricordo.

Ma ancora una volta, l’ennesima, capì che niente avrebbe potuto sopprimere la sua esistenza passata. E quella mattinata ne era l’ulteriore prova.

 

Riemergeva, Petunia, piano piano da quel trance in cui era scivolata. Continuava ad essere pallida, a sudare freddo. La gola secca le doleva e le dita affusolante non avevano smesso di tremare un momento; la lettera, dolcemente adagiata sul parquet.  
Suo marito, che capitolò nel salotto, lo sentì a malapena. Doveva avere un aspetto terribile, a giudicare dalla sua espressione esterrefatta.

 -Petunia- la chiamò preoccupato -Tesoro…-

E fu in quel momento che proprio non ce la fece. Fu in quel preciso istante, proprio quella mattina grigia e umidiccia dell’ 1 Novembre 1981 che le barriere erette negl’anni attorno al suo cuore si sgretolarono. La signora Dursley scoppiò in un pianto vero e proprio. Non più sprazzi di tristezza, non più lacrime scacciate furiosamente. Un pianto reale, con singhiozzi che scossero l’intero corpo.
Anni di astio, di puro risentimento. Anni e anni passati ad invidiare la sorella perché aveva qualcosa di diverso da lei. Se solo avesse capito… se solo avesse potuto comprendere prima che sì, Lily possedeva quel dono, ma lei, Tunia, avrebbe comunque potuto distinguersi. Non era necessaria la magia per essere speciali. Bastava unicamente un sorriso, una risata, una passione da coltivare e anche lei sarebbe stata felice come la sorellina. E invece… cos’aveva fatto? Si era corrosa a forza di rimuginare. Il suo cuore, inevitabilmente indurito… il viso, stanco. L’anima… sciupata. 


E’ morta. Lily è morta. Non rivedrò mai più il suo sorriso. I suoi occhi non risplenderanno mai più.


E pianse, pianse tutte le lacrime che poteva; pianse per tutto quel tempo sprecato, per tutte quelle banalità e incomprensioni che avevano segnato il loro rapporto. Perché? Perché era stata così cieca? Possibile che la gelosia potesse arrivare a tanto? Possibile che avesse oscurato in questo modo i suoi occhi? 
Vernon era ammutolito. Gli si spezzava il cuore a vedere la moglie in quello stato. Per la verità, erano state pochissime le volte in cui aveva visto le lacrime solcare il suo volto e mai così violentemente. Sapeva quello che era successo, si era fatto una vaga idea della situazione. Non si era sconvolto per la morte dei Potter ma la sua Petunia, a quanto pareva sì. Era sua sorella dopotutto e si ritrovò a pensare che se Marge avesse subito la stessa sorte non si sarebbe ripreso. 
Abbracciò quindi la moglie con passione; l’avrebbe stretta maggiormente se non avesse avuto la concreta paura di farle male. Sarebbe rimasto lì cinque minuti come cinque giorni, finché non si fosse tranquillizzata almeno un po’.
Continuò a sfogarsi fra le braccia dell’uomo che amava, contando uno ad uno i suoi rimorsi. 

-Perdonami… Dio, Lily, perdonami…-

Vernon persistette nel cullarla, senza dire nulla. Sperava di farle percepire il suo amore, voleva che si sentisse al sicuro, a casa. 
Nei lucidi occhi della donna, un vago barlume di speranza.

-Qualsiasi cosa accada, Vernon… qualsiasi cosa… non lasciarmi. Non anche tu-

-Mai, mia cara, mai-

Non si dissero più niente. Le ginocchia dell’uomo poggiavano sul legno del pavimento e sorreggevano duramente la mole del suo corpo, ma lui non si spostò di un centimetro. Non poteva permetterselo. Il silenzio era vagamente interrotto dal respiro irregolare della bionda, che aveva iniziato a calmarsi. Il viso di Lily però rimaneva vivido e impresso nella sua testa.

Pochi istanti dopo, si udì un lieve vagito e i coniugi si scambiarono uno sguardo allarmato. L’avevano quasi dimenticato. 

 

Quel mattino, davanti alla porta del numero 4 di Privet Drive, assieme alla lettera che annunciava la tragedia, avevano trovato qualcos’altro. O meglio, qualcun altro. Riposava infatti un piccolo bimbo di appena un anno dagl’irti capelli neri che stringeva a sé un foglio ripiegato. Naturalmente ne erano rimasti sconvolti. Vernon, impacciassimo, lo aveva portato all’interno dell’abitazione per paura che i vicini lo vedessero; Petunia, che aveva già capito chi fosse quel piccolo, si occupò della lettura della lettera.
Harry. Il piccolo Harry. Il bambino-che-è-sopravvissuto, così era stato soprannominato dalle persone di quel mondo. Realizzò che sarebbe stata sua responsabilità ora, quella creatura. L’avrebbe dovuto far crescere assieme al suo Dudley. 

Un altro vagito.

Con calma, si scostò dall’abbraccio del marito che, interiormente, fu abbastanza sollevato di poter sgranchirsi le gambe. Le strinse subito la mano e puntò lo sguardo diritto nel suo.

-Mia cara… quel… bambino…- 

Lei lo guardò vacua. Ricambiò la stretta di mano e si avviò alla stanza accanto, portandoselo dietro. 

Sentiva una morsa allo stomaco, Pentunia ed era davvero fastidiosa. Non aveva mai sopportato quella sensazione, probabilmente perché se l’era sentita addosso troppe volte. 
Non era preparata e lo sapeva;  non era pronta a vedere suo nipote. Camminava lentamente, la mano stretta a quella del marito. Scioccamente, sperava che l’altra stanza non si avvicinasse mai.

Andiamo, Petunia. E’ un marmocchio. E’ solo un marmocchio.

E’ solo…

Il piccolo Harry non piangeva; era supino, sulla coperta bianca con cui era stato trovato la mattina stessa. Adagiato poco prima da Vernon sul tavolo della cucina, stingeva i pugnetti e agitava le gambine. I piccoli occhietti, chiusi. 
Era un bel bimbo; un viso latteo dalle guance rosee e paffutelle, dei capelli color ebano che contornavano quel bel faccino rotondo in una cornice scompigliata. 
Quel dettaglio poi…era come una nota sbagliata in un pentagramma. Quella sottile ferita a forma di saetta offendeva la sua fronte… ma era il simbolo della sua vittoria. Era ciò che lo rendeva unico.

Gli zii del bambino lo osservavano attentamente. Entrambi non erano realmente certi sulle emozioni che provavano.

Lo avrebbero tenuto con loro, così intimavano le parole che aveva letto la donna. Lo avrebbero cresciuto, educato e al momento giusto gli avrebbero rivelato le sue origini e quello che si sarebbe trovato ad affrontare: colui che aveva ucciso i suoi genitori. 
Non ci sarebbe riuscita, sua zia, non ci sarebbe riuscita a crescerlo come un figlio suo. Mai sarebbe riuscita a dargli lo stesso affetto che riservava a Dudley. Si sentiva schifosamente in colpa per questo, sporca e inadeguata. Non capiva il motivo del perché lo avessero affidato proprio a lui, non lo capiva davvero. Nel loro mondo ci saranno state sicuramente persone ben più disposte ad adottarlo. Perché a lei?

Harry sollevò le palpebre. 

Petunia era sempre stata gelosa di Lily, dai suoi splendenti capelli ramati, alla sua pelle nivea. Ma più di tutto, amava e invidiava al tempo stesso i suoi occhi smeraldi. Specchiavano il mondo con una gioia infinita e si tingevano delle più belle sfumature. Erano come gioielli che illuminavano tutto il suo essere.

Pensava di odiarli, Petunia, quegl’occhi. Era certa che avrebbe sempre provato rabbia a vederli, anche su altre persone perché avrebbero inevitabilmente ricondotto il suo pensiero a lei. 
Ma in quel momento, dall’istante in cui la creatura aveva rivelato al mondo quelle iridi splendenti, il risentimento era l’ultima delle cose che aveva sentito. 

Per la prima volta, in così tanti anni, aveva percepito una sensazione nuova. Non era minimamente paragonabile all’amore che provava per Dudley, era differente anche dall’affetto per un famigliare. Era però qualcosa di…positivo. 

Quello sguardo innocente, quella risatina che era seguita e che aveva addolcito ulteriormente i tratti dell’infante… 
Strinse la mano di Vernon, Petunia, la strinse più forte che poteva; lui ricambiò. 

 

Lily era morta. Niente e nessuno l'avrebbe riportata indietro, tantomeno quelli del suo mondo. Non era fattibile. 
Lily era morta e con lei suo marito, la sua nuova famiglia, il suo futuro… sua sorella non avrebbe più sorriso.
Non era riuscita a chiarirsi con lei in tempo; aveva sprecato tante, troppe occasioni che non sarebbero mai tornate indietro.
Una lacrima, l’ennesima, scese furtiva sul viso di Petunia, andando a morire fra le sue labbra. Ma tutto sommato, una parte di lei si era sentita sollevata. 
Perché sì, il giorno prima gli occhi di Lily si erano chiusi per sempre, ma quella mattina davanti a lei, delle iridi perfettamente uguali alle sue si erano aperte al mondo. 

 

E il suo cuore riprese, finalmente, a scaldarsi.







 

   
 
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