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Autore: Leonhard    04/02/2016    6 recensioni
Alla fine il suo mondo si era sempre ridotto a quello: un intero universo, il suo, che partiva dalla porta e finiva alla finestra. Ed in mezzo lui, in silenzio, ad interrogarsi sul perchè una cosa come quella era successo proprio a lui: un'altra domanda che non avrebbe mai avuto risposta. Aveva affrontato Streghe, Cavalieri, mostri di ogni tipo e poi era arrivato bello bello un RubRum Dragon che aveva provveduto a mettergli addosso una catena che mai, mai sarebbe riuscito a togliersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TO FALL


Rinoa uscì dalla sala televisiva di Timber soddisfatta di sé e con una voglia matta di quel pasticcio di patate del capo delle Volpi del Bosco. Sapeva che un piatto fumante di quella leccornia la attendeva nella casa accanto al Timber Maniacs, la cui redazione stava già sicuramente mandando le macchina stampa in tilt per l’annuncio della tanto sospirata, sofferta e combattuta indipendenza. Quella stessa dipendenza che lei stessa aveva temuto di non raggiungere mai: Timber era in una posizione troppo favorevole e da subito la sua le era sembrata una battaglia contro i mulini a vento.

Ma lei amava le cose difficili: era una di quelle persone che proprio non sapeva quando era il momento di dire basta, di fermarsi e lasciar perdere. Se veramente il gioco non valeva la candela, lei quella dannata candela se la sarebbe presa lo stesso perché sì.

La notizia avrebbe fatto il giro del mondo a tempo record e non poteva non sentirsi orgogliosa dell’esito che aveva avuto quella storia, della ricompensa che il suo lavoro le aveva dato e della soddisfazione nel vedere che il suo lavoro come membro della resistenza aveva finalmente dato i suoi frutti. Si fermò al pub ed acquistò una bottiglia di vino dolce: quella sarebbe stata consumata in una camera del dormitorio accanto a due bicchieri.

Sulla strada che la conduceva al suo pasticcio fumante non poté non sorridere: aveva ancora impressi nella mente lo sguardo che Squall le aveva lanciato quando gli aveva detto che sarebbe partita per Timber. Quello sguardo pregno della stessa paura di un cucciolo che sospetta un abbandono, quell’aria disorientata e spaventata tenuta celermente a freno e nascosta sotto un velo di ghiaccio per non farla star male: come poteva pensare di abbandonarlo? Gli avrebbe fatto una bella sorpresa la sera, quando avrebbe bussato alla sua porta con la bottiglia, un paio di calici e la sua aria pimpante che lui tanto amava, anche se non l’avrebbe ammesso mai.

Lei amava Squall e questo non faceva che confermare il suo amore per il difficile. Non avrebbe mai permesso alla scadenza di quel contratto fatto tanto tempo prima di separarla da lui, dal suo Cavaliere, dal suo uomo.

“Ehi Rinoa” salutò arzilla la donna sull’uscio di casa. “Ti ho vista in televisione: finalmente ce l’abbiamo fatta, eh?”.

“Già” assentì lei frizzante. “Quasi non mi sembra vero ci credi? Era da così tanto tempo che aspettavo questo giorno che ora ho paura di svegliarmi nel treno dei Gufi”. La donna sorrise, condividendo la sua gioia; adocchiò la busta di plastica.

“Non ti avevo detto che ci avrei pensato io ai festeggiamenti?” rimbeccò allegramente. La ragazza sorrise e scosse la testa.

“No, questa è per un altro festeggiamento” disse.

“Ah, la tieni per il tuo bello?” chiese lei, maliziosa. “Ma non credo che tu debba per forza ubriacarlo per festeggiare”. Rinoa rise, senza tuttavia farsi mancare una punta di rossore. In quella il cellulare della ragazza trillò: sul display il numero di Squall.

“Parli del diavolo…” disse, al settimo cielo per la sua telefonata: aveva bisogno di sentirlo ormai da giorni, ma non aveva mai avuto modo di contattarlo se non tramite messaggi rapidi e concisi in cui gli diceva che stava bene e che la battaglia per l’indipendenza si era ormai interamente spostata sul piano politico, a lei quasi del tutto sconosciuto. Prese la chiamata con l’argento vivo addosso.

“Pronto Squall?” disse, cercando di contenere il suo urletto eccitato. “Indovina un po’? Abbiamo vinto: Timber è libera e…”.

-Pronto Rinoa?- chiamò una voce dall’altra parte. La ragazza rimase titubante per i secondi necessari a riconoscere il proprietario della voce.

“Zell! Ciao!” salutò. “Squall è impegnato? Come mai hai tu il suo telefono?”. Sapeva quanto ci tenesse al suo cellulare: più volte aveva cercato per scherzo di rubarglielo, ma da come se lo teneva stretto più che ad un telefono cellulare il suo assomigliava ad un ricettacolo di segreti degno del miglior agente segreto.

-Squall…- cominciò, poi s’interruppe. Il silenzio che seguì le spense all’istante tutta l’euforia che sentiva. -Squall è rimasto ferito in missione…un RubRum Dragon…-.

“Ma stai scherzando” disse Rinoa, mortalmente seria. In quei giorni aveva tentato a contattare mentalmente il suo Cavaliere, ma erano troppo lontani ed ogni volta che interrompeva il contatto si sentiva talmente spossata da desiderare di dormire per giorni interi. “Che è successo? Un RubRum? Oddio, vengo al Garden immediatamente! Spero solo che…”.

-No Rinoa- interruppe il pugile dall’altra parte dell’apparecchio. La voce era rotta, bassa, grave, in qualche modo definitiva e quello era un segno a dir poco pessimo. -Non è nell’infermeria: è all’ospedale di Deling City. Ed è grave…parecchio-.

Papà, perché la mamma è in ospedale? Sta male?

La giovane Strega si sentì il corpo prosciugato di tutto il calore, mentre un fastidioso formicolio le invadeva le vene, come se qualcuno le avesse buttato una manciata di capelli nel sangue. Le forze le vennero meno e piombò su una sedia, mentre la bottiglia di quel vino acquistato con i migliori propositi del mondo s’infrangeva a terra, schizzando in tutte le direzioni il vino che il sacchetto non era stato in grado di contenere.


Non riuscì a stare seduta nella cabina del treno per più di due minuti e si ritrovò a passeggiare nervosamente per il corridoio esterno, maledicendo i treni da alta velocità per il loro palese contrasto di termini e di significato. La testa le vorticava, un senso di vertigine le toccava lo stomaco e lei sentiva il nervosismo alimentarle la nausea, in un miscuglio di sapori e pensieri e sensazioni che non avrebbe augurato nemmeno ad Artemisia stessa.

Squall. RubRum Dragon. Ospedale di Deling City. Grave. Erano pensieri che proprio non riusciva a collegare in maniera logica. O non voleva. Cosa diavolo ci faceva all’ospedale di Deling City, il migliore per la sua equipe medica su quel continente, superato solo dalla clinica centrale di Esthar City per pochi punti di statistica? Era così grave?

Rientrò nella cabina e prese a passeggiare nervosamente sul tappeto. Lo schermo davanti ritraeva un giovane speaker che, con l’eccitazione palpabile sotto il suo tono professionale, riferiva della vittoria di Timber nella sua lunga campagna per l’indipendenza da Deling City e dalle forze Galbadiane: trovò quantomeno surreale quanto il suo interesse per quelle notizie fosse così insignificante dopo aver passato una buona fetta della sua vita a combattere per poterla finalmente sentire.

Il suo cervello galoppava, preda di ansie e paure e ricordi dolorosi: non aveva più messo piede in quell’ospedale dalla morte di sua madre e adesso, in quello stesso posto, Squall era ricoverato in gravi condizioni. Squall, il SUO Squall. Non pensò nemmeno per un istante ad uno scherzo perché uno scherzo come quello era veramente di pessimo gusto, uno scherzo che nemmeno Seifer avrebbe avuto il coraggio di fare. Non seppe resistere e, cavato di tasca il telefono, compose il numero di Zell.

La pacata e professionale voce elettronica la informò che il numero composto non era raggiungibile. Lo stesso capitò con il numero di Selphie e di Quistis; come estremo tentativo, si concentrò e cercò la coscienza di Squall. Poco importava se lo sforzo l’avrebbe sfiancata: poteva anche mandarla in coma per quel che la riguardava, ma doveva sapere perché il suo Cavaliere era in un posto come quello. Trovò la sua coscienza e la agganciò, trovandola scoperta, senza muri o barriere. La cosa non le piacque per niente.

Ciò che vide fu un nero talmente profondo e talmente oscuro che istintivamente si ritrasse con un sussulto e con un gridolino spaventato. Aprì gli occhi e si guardò attorno, per riempirsi gli occhi della luce che filtrava dai finestrini. Fuori il panorama dava su vasti campi verdi e, se si avvicinava e strizzava gli occhi, avrebbe ancora potuto vedere il mare. Deglutì e ricominciò a camminare; accidenti, possibile che non poteva lasciarlo solo per qualche giorno?

Rise amaramente per il suo pensiero e si accorse di non avere la minima voglia di ridere. Non riusciva a capacitarsi della piega che avevano preso le cose e l’euforia della vittoria sulla tirannia Galbadiana sembrava lontana anni luce.

Dov’era finita quella voglia di festeggiare la vittoria con una bottiglia di vino leggero, che a quell’ora giaceva mai stappata in un cestino della pattumiera di Timber? Che fine aveva fatto il progetto di tutti quei brindisi, delle risate, della gioia e di lasciarsi andare ad un languore malizioso? Che fine aveva fatto la prospettiva di svegliarsi in un letto con Squall accanto ed ascoltare i suoi grugniti poco soddisfatti mentre lei gli solleticava il naso con le punte dei capelli? Ed il vestito nero che aveva scelto per il ballo? E la camicia da notte con i bordi in pizzo per accenderlo quanto bastava da vivere la sua personale ricompensa per i suoi sforzi? Dov’era finita la gioia?

Papà, la mamma è stanca: sta dormendo.

In una camera d’ospedale, ecco dov’erano finite: irraggiungibili, irrecuperabili, tanti momenti di festa rovinati prima ancora di nascere e tutto questo per colpa di uno stupido RubRum Dragon.

Pensò quello che non doveva pensare: è grave, aveva detto Zell. L’ultima volta che qualcuno le aveva detto quelle parole sua madre era morta poco dopo . E Squall? Quanto era grave? Perché quel maledetto treno non andava più veloce? Quando erano lontane Timber e Deling City?

Anche lui sarebbe morto?

Si sentì girare la testa: ebbe la tentazione di lanciarsi un Morfeo, ma per quando si fosse svegliata era anche capace che quello stupido treno stesse tornando indietro per replicare la corsa. I pensieri vennero, la mente galoppò e la paura crebbe incontrollata, incontrastata, sempre di più, sempre più intensa e pesante, opprimente e soffocante.

Squall. RubRum Dragon. Ospedale di Deling City. Grave.

Tentò nuovamente di telefonare ai suoi amici e nuovamente rispose la segreteria. Scagliò il telefono sul divano con rabbia: l’apparecchio rimbalzò con un tonfo sul morbido cuscino e cadde sul tappeto. Rimbalzò un paio di volte e rimase lì, immobile, ancora con lo schermo acceso.

Scosse la testa e decise di calmarsi: lui era forte, era passato per ben altro, era guarito da ferite peggiori ed aveva affrontato cose che avrebbero usato un RubRum Dragon come stuzzicadenti. Rievocò disperatamente alla memoria. Adele, Artemisia, Ultima ed Omega Weapon. Quante volte lei stessa aveva scagliato il suo corpo contro le lamiere interne della stazione spaziale? E lui quante volte si era alzato per tornare verso di lei a cercare di fermarla?

Lui era forte: ce l’avrebbe fatta.

Ma quando si sveglia starà meglio, vero?

Ce l’avrebbe fatta.


Non riusciva a ricordare il momento esatto in cui era arrivata in stazione e nemmeno la folle corsa verso l'ospedale, talmente presa dalla sua preoccupazione da non curarsi minimamente degli autobus. Lei passeggiava avanti e indietro nella cabina del treno ed il ricordo successivo era la sua spallata contro la porta dell'ospedale, trafelata e marcia di sudore. Si gettò sul bancone delle informazioni con tale foga che l'infermiera istintivamente si ritrasse vagamente intimorita.

“Posso...” cominciò, ma Rinoa la precedette, sorda a tutto e tutti,

“Squall...dove...è qui...” ansimò, accorgendosi in quel momento del pulsare della milza che le stava facendo riscoprire la fatica di respirare. La giovane allo sportello la guardò stranita e le chiese di ripetere. La giovane Strega si staccò stizzita dal bancone: non aveva tempo da perdere, lei. Si guardlò intorno, smarrita, in cerca di qualche indicazione che le potesse dare un minimo di orientamento.

Malattie infettive...psichiatria...oncologia...centro AIDS...chiesa...accettazione...pronto soccorso...cardiologia...si permise di respirare, poi tornò al bancone.

“Avete ricoverato qui un certo Squall Leonhart?” chiese, boccheggiando leggermente meno. La donna digitò velocemente sulla tastiera e poi annuì.

“Sì; è in terapia intensiva” disse, indicandole il corridoio a sinistra. “Da quella parte”. Terapia intensiva? Oh santo Hyne! Rinoa lanciò un suono di ringraziamento e poi si fiondò per il corridoio. La milza tornò a pulsare ma lei la ignorò nuovamente.

Vero papà?

Non si permise di fermarsi finché, voltato un angolo, non scorse Quistis e Seifer nel corridoio: la tuta della donna spiccava in tutto quel bianco sterile del corridoio, soffitto, muri e persino il pavimento. Seifer le stava cingendo le spalle con un braccio e guardava con occhi sconfortati la porta davanti a loro, ascoltando i suoi sospiri intervallati ogni tanto da un singulto. Rinoa non aveva mai visto Seifer così serio e soprattutto Quistis in lacrime era una cosa del tutto nuova, che le fece nuovamente dimenticare la fatica ed il dolore a quella maledetta milza.

Il primo a vederla fu Seifer, che diede un colpetto alla spalla di Quistis, prima di camminarle placidamente incontro.

“Rinoa...” disse, ma lei non si fermò. “Non puoi entrare: ci sono ancora i dottori”. Parole al vento e lo sapeva. La intercettò e la bloccò per le spalle, rinculando per l'impeto e rischiando seriamente di cadere. “Fermati!”.

“Lasciami!” ansimò, senza fiato. “Squall...dove...male...grave?”.

“Non entrare Rin” ripetè la voce rotta di Quistis. “Non entrare”.

“Non...morto?” chiese la Strega, mentre sentiva il gelo che s'impossessava di lei al solo sentire il suono di quella parola. Seifer scosse la testa.

“No, è vivo” disse. “Ma non è ancora fuori pericolo. Ha avuto un'emorragia veramente brutta e Zell si è offerto per una trasfusione: i dottori sono ancora dentro, ma non fanno entrare nessuno. Selphie, ed Irvine sono stati qui per tutto il giorno e li ho mandati a riposare: io e Quistis siamo arrivati cinque minuti fa”. Parole, aria al vento: Rinoa si accorse di non star prestando ascolto. Deglutì, sentendo la bile salire dallo stomaco portando in una chiara minaccia. Prese un bel respiro e storse la faccia per la lamata di dolore che le diede la milza, seriamente intenzionata a punirla per la poca attenzione che le aveva riservato.

“Cos'è successo?” chiese.

“Era in missione a Winhill” rispose Quistis. La voce era tremante gli occhi lucidi ed il volto arrossato. Seifer abbassò lo sguardo, sconfitto: mai vista un'espressione del genere su di lui. “Ha subito l'attacco di un RubRum mentre tornava al Garden, un grosso alfa”.

“È stato ferito da un RubRum alfa?” ripetè Rinoa. “Perchè non è scappato?”.

“Ci ha provato” replicò la SeeD. “Ma lo sai che quei bestioni difficilmente lasciano scappare le prede”.

“Ah ma l'ha ammazzato” aggiunse Seifer. “Ha aperto la pancia a quel bastardo come si fa con una spigola”.

“Come sta adesso?” chiese ancora Rinoa, sentendo tuttavia una sorta di crudele soddisfazione: ben gli stava a quella bestia.

“È arrivato con ustioni di secondo grado” disse Quistis. “Aveva sangue su tutta la giacca e la maglietta sotto era praticamente da buttare...è entrato in quella stanza e non ci hanno detto più nulla...Selphie mi ha detto che circa una ventina di minuti fa è uscito un dottore che ha chiesto chi fosse compatibile per una trafusione di sangue: Zell è saltato su come una molla ed è entrato senza nemmeno chiedere il permesso, ma da allora più nulla. Ci hanno vietato di entrare e poi sei arrivata tu”.

Rinoa era l'immagine dell'ansia: sudata, scarmigliata, con il fiato corto e gli occhi stralunati che andavano da lei a Seifer alla porta e poi di nuovo a lei. Stava elaborando, lo sapeva: troppe informazioni tutte in un volta sola e ciò non faceva che innalzare la sua preoccupazione a livelli pericolosamente alti.

Vero?

Tornò a regnare il silenzio, pregno di ansia e preoccupazione e lacrime. Gli occhi di Quistis continuavano a lacrimare e Seifer faceva del suo meglio per confortarla nonostante lo sguardo buio che tradiva la preoccupazione per il suo rivale: avevano avuto i loro momenti e due cicatrici speculari a provarlo ma mai si sarebbe sognato una cosa del genere.

Tra i due le cose andavano meglio: era stato Squall ad insistere perché Seifer venisse riammesso al Garden a patto che fosse costantemente tenuto d’occhio dal nuovo comitato disciplinare. Il biondo alla notizia era piombato nello studio di Squall, irritato per quella che lui vedeva come pietà: attraverso la porta, la sua voce aveva tuonato per qualche minuto, poi era sceso il silenzio a confermare che era avvenuto il miracolo. I duelli erano cessati, anche se ancora si punzecchiavano come bambini, con gran divertimento del gruppo.

Rinoa tentò nuovamente di sbirciare nella coscienza del suo Cavaliere, ma si sentì nuovamente schiacciata da tutto quel nero tanto che si ritirò frettolosamente e spalancò la finestra per un improvviso senso di claustrofobia. In quella uscì Zell: era pallido, con un cerotto sull’avambraccio e l’espressione di uno che aveva appena visto un fantasma. La giovane Strega lo tempestò all’istante di domande, ma lui scosse la testa.

“Ancora non sanno nulla” rispose. “L’unica cosa che ho capito è che non è in pericolo di vita”: troppo poco per i suoi gusti, ma era già un’ottima notizia. Si volse verso Quistis: la rabbia si era affiancata alla preoccupazione.

“Mi spieghi cosa diavolo ci faceva un RubRum fuori Winhill?” ringhiò, con voce ansante. La donna si volse verso di lei, ma prima che potesse imputare un fatto anomalo come quello alla Lacrima di Luna, la porta si aprì nuovamente e questa volta comparve un dottore.

“Il signor Leonhart?” chiese. Gli occhi di tutti saettarono verso di lui. “È stabile: se volete vederlo entrate pure, ma l’effetto dei sedativi non è ancora del tutto passato”. Rinoa non attese una parola in più, in quel momento superflua, ed entrò.

La camera aveva le pareti verde spento e odorava di disinfettante. Non aveva mai capito il perché di quei colori morti in tutti gli ospedali: per far apparire sterile l’ambiente, le avevano spiegato, ma per lei non aveva senso. Cosa aveva di così sporco il rosso o un bel giallo grano?

Squall era sul letto, i suoi movimenti erano lenti e deboli ed il suo sguardo era confuso, quasi pacifico, perso nel vuoto.

“Sembra fatto…” si lasciò scappare Seifer. Ed a pensarci bene lo era. Rinoa si avvicinò a lui e prese una mano tra le sue; con l’altra gli ravvivò i capelli dietro l’orecchio, sentendo un tuffo al cuore per la sua carnagione così pallida. Il ragazzo le restituì uno sguardo vuoto, assente.

“Ciao Squall…” sussurrò, straziata. “Ho avuto così tanta paura…”. Seguì un attimo di silenzio, a lui necessario probabilmente per riconoscerla.

“Ehi Rinoa” salutò, con voce distante. Mosse lo sguardo poco oltre la sua spalla. “E ciao anche a te Rinoa…ma quante Rinoa hai portato, Rinoa?”. Seifer trattenne a stento una risata.

“Santo Bahamut” commentò. “Credo stia viaggiando…”. Squall reclinò la testa nella sua direzione e sorrise divertito.

“Ma perché giri con un kochocobo in testa Seifer?” chiese. Il ragazzo si pietrificò per evitare di scoppiargli a ridere in faccia.

“Mi tiene calda la fontanella…” rispose. Il Comandante si fece serio ed annuì comprensivo, come se il rivale avesse detto una verità profonda.

“Senti, hai mica preso la targa dell’aeronave che mi ha investito?” chiese. Rinoa scosse la testa sconvolta e si sedette sulla sedia accanto al letto, Quistis alternava uno sguardo confuso tra il suo allievo ed il suo ragazzo e Seifer fischiò piano.

“Devo chiedere un favore al medico” borbottò. “Un trip così me lo voglio fare anche io…ahia!”. Zoppicò lontano dalla SeeD, che studiava il suo corpo con occhi truci, alla ricerca del prossimo bersaglio per il secondo calcio.

“Rinoa, scusa ma io vado a prendermi qualcosa alle macchinette” disse. “Non ce la faccio a vederlo in questo stato”. La giovane annuì, senza tuttavia distogliere lo sguardo affranto da Squall, che seguiva con occhi sognanti un inesistente oggetto fluttuante sopra la sua testa.

“Io rimango qui” annunciò Zell. Nessuno ebbe la forza di obiettare. Quando la porta della camera fu chiusa il ragazzo si sedette su una sedia, poi sulla panca ed infine sul letto accanto, vuoto.

“Com’è successo?” chiese Rinoa. Zell sobbalzò per l’improvvisa rottura del silenzio.

“Il Garden si è accorto dell’attacco del drago ed ha mandato la squadra di supporto” disse, snocciolando il rapporto che i due SeeD gli avevano fatto. “Il drago l’ha colpito con l’ultimo colpo di coda e l’ha fatto volare per oltre venti metri. Lo hanno raccolto e portato in infermeria, dove la dottoressa Kadowaky gli ha somministrato una Granpozione e tamponato le ustioni con una Panacea, poi ha fatto correre l’ambulanza dell’ospedale e l’hanno fatto passare davanti a tutti”.

“Si è capito che cos’ha?” chiese. Il ragazzo si strinse nelle spalle.

“Ne sappiamo quanto te” rispose. “Io ho donato il sangue per la sua trasfusione, ma questa è la prima volta da ieri che lo vedo cosciente”. In quella Selphie e Irvine entrarono nella camera guardinghi.

“Allora? Che ha detto il medico?” chiese Selphie, diretta: avrebbe salutato l’amica una volta che l’allarme nei suoi occhi si fosse spento. Zell scosse la testa.

“Dicono che è ancora sotto gli effetti dei tranquillanti” disse. “Roba forte a quanto pare: ha tutta l’aria di un bambino che sta scoprendo il miracolo della vita”.

“Senti Rin” chiamò la ragazza. “Ti ho portato un panino dalle macchinette. Non è molto, ma ho pensato che forse avessi fame”. Rinoa guardò lo snack con occhi disinteressati: non aveva la minima voglia di accostare nulla alla bocca, ma non mangiava dalla sera prima. Si alzò e si volse verso Zell con occhi supplici.

“Se si riprende…ti prego…” disse con voce rotta. Lui annuì con un sorriso che a colpo d’occhio sarebbe dovuto essere rassicurante.

“Tranquilla: ti faccio un fischio” rispose. “Tu vai”.

In quella un BIP automatico riempì la stanza con un il suo fastidioso, incessante suono: Squall era seduto sulla sponda del letto.

“Ho bisogno di camminare” disse, con voce ancora assente, ma meno sognante. “Ho le gambe addormentate”. Rinoa corse nuovamente al suo fianco, ma prima che potesse fermarlo, preoccupata per la sua salute, il ragazzo piombò a terra come un sacco di patate. Il porta flebo fece uno scossone e si scontrò con il comodino, facendo cadere una mela ed alcune confezioni di siringhe usa e getta.

Il silenzio durò solo pochi istanti, poi dalla porta comparvero Quistis e Seifer, accorsi per il frastuono della caduta. Tutti in quella sala erano pietrificati dalla paura che Squall si fosse fatto nuovamente male. Dagli occhi del ragazzo era scomparsa l’aria sognante e brillava lucida la perplessità; si guardò intorno, passando in rassegna tutti i suoi amici uno per uno e chiedendo silenziosamente una spiegazione.

“Ma che…?” mormorò. Volse lo sguardo verso le sue gambe, raccolte tra loro in una posizione grottesca. Erano perfettamente immobili. Il viso di Squall si fece se possibile ancora più pallido, poi si mise seduto a terra e si fissò le gambe.

“Cosa…” mormorò disorientato. Si volse verso gli altri con un’urgenza negli occhi del tutto nuova: sembrava…aveva tutta l’aria…della paura. “Io non capisco…”. Tornò a guardarsi le gambe e, dopo qualche secondo sgranò gli occhi, mentre il volto si deformava in un’espressione di puro terrore. Rinoa si riscosse per prima e si tuffò letteralmente al suo fianco.

“Cosa c’è Squall?” chiese affannata. “Che ti succede?”.

“Le gambe!” esclamò lui. Il respiro si fece affannato e la fronte s’imperlò di sudore gelido. “Sto muovendo le dita dei piedi e non si muovono. Nemmeno le caviglie! NEMMENO LE GINOCCHIA!”. Si volse nuovamente verso i suoi amici: sembravano delle statue di cera, pallidi e pietrificati dalla sorpresa e dal terrore. Rinoa lo sostenne per la schiena.

“Calma Squall” disse, ma fu un invito più che altro per sé stessa. “Riprova: magari sono solo addormentate”. Il ragazzo si volse nuovamente verso i suoi piedi, che non si mossero. Il respiro divenne affannoso, mentre arrancava all’indietro in un disperato, inutile, assurdo tentativo di mettere spazio tra lui e le sue gambe. Rinoa si volse verso Selphie: aveva ancora la mano tesa verso di lei, ma il panino giaceva dimenticato a terra.

“Chiama il dottore” ordinò. “Cristo Selphie, CHIAMA IL DOTTORE!”.
   
 
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