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Autore: Nemainn    04/02/2016    4 recensioni
Donna, strega, regina.
Aislin è la sovrana del suo popolo e si trova davanti a una scelta, una profezia che deve realizzare per evitare che l'orrore estingua la sua gente, cancellando anche la memoria dello stesso.
Del racconto:
“Una regina ha due cuori”, gli aveva detto Aislin una volta. “Uno è della sua gente e batte solo per loro, ma l'altro è il suo, quello che ama, quello di donna.”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era stata una lunga giornata, le streghe si erano riunite e le reggenti del Palazzo di Fuoco e d'Acqua, gli altri due insediamenti sotterranei, avevano dopo lunghe discussioni accettato il piano di Aislin.
Iraen si era tenuto in disparte, seduto con altri hilm'een nel punto più lontano del consiglio aperto a tutti. L'enorme caverna che ospitava la più grande piazza del Palazzo di Pietra era gremita. Streghe e hilm'een da ogni Palazzo erano arrivati lì. In quei sette anni era cambiato molto, ma solo quel giorno aveva capito davvero quanto il sogno suo e di Aislin potesse davvero funzionare.
Sospirando si incamminò lungo i corridoi della corte interna, dirigendosi verso le stanze di Enda. La bambina aveva sette anni ora, una fiammeggiante chioma rossa e iridi dello stesso blu profondo della madre. Sorridendo appena, Iraen aprì la porta e la vide addormentata al centro del letto, circondata di pupazzi e con la sua volpe acciambellata al suo fianco.
L'animale aprì gli occhi per un solo istante, per poi tornare a sonnecchiare. Sedendosi al bordo del letto scosse piano la piccola, che dopo qualche momento aprì gli occhi, illuminandosi nel vederlo.
«Iraen!» Lei tese le braccia e lui la prese, facendola sedere sulle sue ginocchia. «Mi sei mancato. Bawi diceva che saresti arrivato, ma mi sono addormentata aspettando. Ho fame adesso.»
Guardando la volpe, lui annuì. Che le streghe parlassero con gli animali a quel modo era un fatto che suscitava ancora una certa meraviglia in lui, anche se potevano comunicare solo con quelle bestie con cui avevano stretto un legame.
«Bawi è una volpe saggia, dovresti darle più ascolto.»
«Sì.» La piccola si guardò in giro, posando distrattamente un bacio sulla guancia di Iraen. «La mamma dov'è?»
«Ora andiamo da lei.» L'hilm'een si alzò, incamminandosi con la piccola tra le braccia.
La sentì accarezzargli il collo, sospirando piano. Come ogni strega aveva accesso alla memoria ancestrale del suo popolo, anche se essendo così piccola ancora ne aveva una visione limitata. «Perché non posso chiamarti papà?»
Iraen si irrigidì, ma fortunatamente non c'era nessuno in giro. «Sai che non puoi. Sono Iraen, solo Iraen.»
«Però sei il mio papà. So cosa sono i papà, lo ho visto. Una volta tutte le bambine avevano un papà.»
«Enda, non dirlo più. Se non siamo soli, non dirlo più. Ci sono stati tanti problemi e i papà sono andati tutti in un posto da dove non si può tornare. La regina di allora ha...»
«...ha chiesto agli uomini chi tra loro volesse il nostro sangue, diventare hilm'een. Però erano troppo pochi per essere un papà per ogni bambina.» La piccola, che lo aveva interrotto, lo fissò con uno sguardo particolarmente saggio e antico, che non le si addiceva affatto. «Lo so che non è tutto così. Faccio tanti sogni, ultimamente. Mi fanno paura, ma Bawi dice che sono cose che non possono farmi male e su cui devo pensare. Io mi ricordo quando portavi il collare. Ricordo che poi anche tutti gli altri non lo hanno più portato e che la mamma piangeva. Tu eri con lei e le dicevi di non aver paura.»
Iraen rabbrividì. Come poteva ricordarlo? Era accaduto quattro anni prima!
Aislin aveva lavorato duramente in modo che i consigli dei tre palazzi accettassero di vivere in una sorta di parità con gli hilm'een. La paura era stata una nemica dura da sconfiggere mentre lui lavorava sul fronte degli altri suoi simili cercando di far vedere loro le possibilità che quella nuova strada dava a tutti. Potevano scegliere se rimanere o andarsene, anche se purtroppo il processo non era reversibile: una volta mutati in hilm'een non si poteva tornare umani. Così erano emersi sentimenti tenuti celati, non tutti loro odiavano le streghe. Tutto sommato non erano mai stati maltrattati davvero, solo la mutazione era stata dolorosa e le punizioni avvenivano solamente quando si compiva un atto di aperta disubbidienza che poteva risultare dannosa all'intera comunità. Certo, il vincolo di non poter nuocere alle streghe era doloroso se si cercava di aggirarlo, ma non avevano mai davvero motivo di farlo. Una volta che i collari erano stati tolti, la mancanza di problemi aveva rafforzato la posizione di Aislin e il suo progetto aveva iniziato ad apparire meno impossibile. Gli hilm'een rimanevano ancora il gradino più basso della società, eppure la differenza era notevole. Lavorare con le streghe per un obbiettivo comune stava aprendo possibilità che nessuno di loro credeva possibili. Agognavano il cielo e l'aria libera, poter uscire senza temere gli umani. Perché, anche se un tempo lo erano, erano temuti e odiati al livello delle streghe e lo avevano imparato a loro spese. Gli uomini non capivano, non sapevano, e quando avevano cercato di tornare alle loro vecchie case erano stati scacciati, torturati o uccisi.
Non si poteva tornare indietro, si poteva solamente andare avanti.
Ecco perché ora ogni hilm'een desiderava quanto lui quella pace, l'unica direzione rimasta a ognuno di loro era quella.
Iraen si sistemò meglio la bambina tra le braccia, attraversando corridoi ora più affollati, fino alle porte degli appartamenti personali di Aislin. Bussò e gli venne aperto da una delle sue dame.
Mise giù la piccola che corse dalla madre, riempiendole il viso di baci.
«Ho fame.» disse con voce decisa. «Anche Bawi vuole mangiare!» Aggiunse dopo un attimo, indicando la volpe rossa che li aveva seguiti, seduta poco lontano.
«Allora vai con Morwen, credo che in cucina ci siano ancora dei dolci, ma solo se prima mangi il resto.»
La bambina annuì, l'ancella le tese la mano e, a un gesto della loro regina, ogni altra strega uscì dalla stanza.
Aislin guardò con un sorriso stanco eppure colmo di entusiasmo l'hilm'een davanti a lei. «Vogliono anche loro fare il passo della fiducia. Presto anche nel Palazzo di Fuoco e al Palazzo d'Acqua gli hilm'een saranno liberi dai collari.»
«Ci abbiamo messo solo quattro anni a convincere le altre due città.» Iraen s sedette accanto alla strega, fissandola. Non c'era più odio nel suo cuore, tutt'altro. «Ora qual è il prossimo passo?»
Aislin si alzò, andando al tavolo della stanza accanto su cui erano aperte alcune mappe.
«Le Cail'ka ci riferiscono di una divisione tra gli uomini. Il tuo consiglio di iniziare un dialogo con i capi dei rispettivi villaggi sotto il nostro dominio sembra avere successo. In questi anni abbiamo ottenuto una certa collaborazione dai più. A quanto pare avevi ragione, i druidi hanno qualcosa a che fare con il mutamento. Lavorano da dietro le quinte influenzando il popolo per invogliarlo a collaborare e a guardare avanti, senza affondare nella melma del rancore e dell'odio.»
«Sono serpi.»
«Questo è un complimento, Iraen»
L'hilm'een sorrise, osservando la mappa su cui con diverse scritte Aislin teneva aggiornato l'andamento delle ostilità. «Lo so. Lo ho detto come lo direbbe una strega, non un uomo. I serpenti custodiscono i segreti della terra ed escono dal suo ventre, figli di una madre antica e potente. Così sono i druidi, credo abbiate molto in comune.»
«Resta il fatto che gli uomini si stanno dividendo in due fronti, ai confini dove non possiamo permetterci di agire, nei punti più lontani, si radunano dando forza a quelli che chiamano i territori liberi. Stanno dando inizio a un vero e proprio regno.»
«Lasciali fare.» Iraen disse, stringendosi nelle spalle. «Che vivano come vogliono, quel territorio è lontano, inclemente e duro. Se riusciranno a prosperare lì, se lo saranno guadagnato.»
«Non guardi abbastanza lontano.» Aislin si sedette al bordo del tavolo, il viso dipinto con una larga linea rossa orizzontale che prendeva gli occhi. «Non agire alla lunga darà loro il modo di rafforzarsi. Sarebbero una minaccia continua e costante, ricorda che non abbiamo un vero esercito come lo intendono gli uomini. Noi streghe combattiamo, ma non siamo veri soldati.»
«Ci avete decimato e soggiogato, però.» L'ombra dell'antico rancore sfiorò la voce di lui e la regina sospirò.
«A quale prezzo, Iraen? Mosse dalla disperazione e dal dolore ci siamo spinte oltre il punto che rende una strega ciò che è, seminando morte e corrompendo la nostra magia perché fosse in grado di dar luogo al male, forgiandola in un'arma. Siamo morte, dimezzando il nostro numero, crescendo nel ventre della terra nuove generazioni che vivevano l'orrore della guerra e il suo dolore. Bambine che si svegliavano urlanti rivivendo il sangue sulle punte delle lance e l'agonia di una ferita mortale. No, Iraen, non vivremo con le zanne di quegli uomini sul collo.»
La mano di lui si mosse in un gesto carico di amore e con dolcezza sfiorò il viso di Aislin, avvicinandosi fino a posare un bacio lieve sulle labbra di lei.
«Quindi li ucciderai tutti?» la voce di lui si abbassò, dura e dolce. «Sai meglio di me che non è quello che vuoi.»
«Quello che voglio e quello che devo raramente coincidono.» Alzò il mento, guardando con occhi duri come zaffiri quelli di smeraldo di Iraen. «Se accetteranno la tregua, di vivere nei loro territori mantenendo dei rapporti pacifici con noi, allora non muoverò guerra. Il mio dovere è però proteggere chi si porta all'ombra delle corna del grande padre, del cervo re. Sono sul mio capo, e sono io che devo fare da spada e scudo a chi desidera la pace.»
«Un tempo ero io a parlare di guerra, ora sei tu.» Iraen sospirò. «Sei la mia regina delle corna, Aislin. Hai tutto di me, e ti seguirò ovunque tu andrai.»
«Sai che il mio dovere viene prima di qualunque altra cosa, che non posso... non potrò mai, in nessun caso, metterti davanti al mio popolo.»
«Questa è una delle ragioni per cui ti amo. Nonostante il dolore, il cuore spezzato, farai sempre e soltanto il bene degli indifesi, del tuo popolo. A qualunque prezzo.»
«Spero solo di non dover mai testare i confini della mia volontà, Iraen. Non abbandonarmi mai.»
«Mai, Aislin. Mai.»

La corda dell'arco vibrò, un suono che era gli diventato tristemente conosciuto. Il conflitto era iniziato, una guerriglia che si svolgeva tra le ombre dei boschi e con incursioni nel nuovo territorio degli umani che non accettavano la pace con le streghe.
«Iraen, un gruppo sta cercando di barricarsi nel fienile.» La Cail'ka che gli aveva parlato era giovane, poco più di un'adolescente, ma aveva lo sguardo duro di chi aveva visto già troppa morte e dolore. «Usa le frecce per incendiarlo; se non usciranno, moriranno bruciati.»
«La regina ha detto che ne vuole alcuni vivi.»
«Quelli che verranno fuori saranno risparmiati.» Gli occhi dorati, simili a quelli di un felino, si fissarono sull'hilm'een con decisione. Sospirando Iraen annuì, era agli ordini di quella giovane Cail'ka come le altre streghe del drappello. Le Cail'ka erano diventate l'emblema di quella guerra: vestite di nero e con il cappuccio perennemente tirato sul volto, erano le ombre della regina delle corna. Assassine silenziose e letali, in grado di muoversi sole tra le file nemiche spargendo morte per poi sparire, così come di guidare altre streghe in battaglia. Erano le armi più letali di Aislin, donne che avevano affinato la corruzione delle arti della loro razza sacrificando completamente la luce che ogni strega aveva in sé.
Iraen si mosse, andando poco distante dove la fattoria già era in fiamme, prendendo una delle frecce incendiarie dalla faretra, accendendola e scagliandola contro il tetto di paglia del fienile. Una sola non sarebbe mai bastata, ma era quello di cui le streghe avevano bisogno per usare la magia. Una luce vermiglia piena di scintille si materializzò attorno alle dita di una di loro e la fiammella, a un passo dall'estinguersi, divampò. Si innalzò, divorando il legno e la paglia, mentre dall'interno provenivano urla sempre più forti. Non ci volle molto prima che una manciata di uomini e donne si lanciasse fuori in un tentativo disperato; alcuni si opposero alla cattura e morirono, i tre sopravvissuto finirono legati e disarmati.
Iraen si avvicinò, rimanendo alle spalle della Cail'ka, e vide negli occhi di quelle persone lo stesso disgusto che c'era stato nei suoi alla vista di un hilm'een. Distolse lo sguardo, mentre le parole di alcuni di loro, sussurrate, gli giungevano all'orecchio.
Parole come abominio, mostro, traditore.
«Trascinateli al campo, la regina vuole parlare con i ribelli.» La voce della Cail'ka era piatta e dura mentre dava gli ordini. «Avvisate che tornerò tra due notti, vado a esplorare i territori più all'interno per cercare altri insediamenti.»
Obbedirono, il piccolo drappello tenne al centro i prigionieri precedendo svelto attraverso i sentieri della foresta. Snidavano e abbattevano i piccoli stanziamenti ribelli sul confine, uno dopo l'altro, da mesi ormai; da quando tutto ciò che era tornato delle streghe mandate in missione diplomatica erano le teste tagliate e infilate in un sacco.
Il così detto “Regno Libero” aveva posto insediamenti armati in punti strategici. Scendevano da nord e non erano ancora arrivati così in profondità nelle loro terre da minacciarli, ma stavano compiendo un'opera di lenta distruzione delle fattorie e dei villaggi periferici sotto la protezione delle streghe. Si insediavano, poi, al loro posto creando punti d'appoggio per quell'avanzata.
Allo stesso tempo i simpatizzanti dei ribelli nei territori controllati dalle streghe cercavano di minare dall'interno la loro forza. Fortunatamente la divisione era sempre più netta: la pace era voluta da tutti, la politica di Aislin degli ultimi anni aveva fato sì che fosse amata.
Arrivarono all'accampamento e vennero acconti da una delle Cail'ka che proteggeva la regina.
Davanti alla sua tenda, identica a quella di ogni altra strega se non per un grosso palco di corna fissato all'entrata, Aislin li attendeva seduta su uno scranno coperto di pellicce immacolate. Iraen la fissò, era maestosa e splendida.
La chioma era intrecciata con piume di civetta candida e piccole gemme lattee, una striscia nera era dipinta sul volto e una mezza armatura di cuoio la copriva.
«Potrete avere salva la vita se collaborerete.» esordì, rivolgendosi ai prigionieri in ginocchio davanti a lei, sfiniti dalle ore di marcia. «Ci serve la posizione precisa della vostra città e sapere come fate a nasconderla alla nostra magia.»
I prigionieri si guardarono tra loro.
«Se non lo sai non saremo noi a dirtelo. Preferisco morire che tradire!»
Aislin fissò l'uomo, socchiudendo le labbra. Fece un gesto alla Cail'ka che aveva accompagnato i prigionieri e la strega afferrò il davanti della tunica dell'uomo.
«Sei tanto fiero, vero? Coraggioso.» Iraen a quel tono rabbrividì, distogliendo lo sguardo. «Sai, non è detto che tu non voglia tradire, è più facile che tu non possa, che non sappia quello che ci interessa. Ora però lo scopriremo...»
La Cail'ka estrasse un coltello dalla lama di ossidiana. Brillava nero alla luce delle fiaccole che attorniavano quello spazio nel chiarore sempre più fioco del tramonto. Sussurrando qualcosa soffiò sulla lama che assunse un colorito rossastro, come se linee di fuoco liquido viaggiassero sulla superficie di pietra. «Guarda bene questo coltello, non si limita a tagliare, a bruciare, ma fa in modo che il dolore non si spenga mai. Quanta voce hai, umano? Per quanto puoi urlare prima che la gola si consumi?»
L'uomo cercò di sputare in faccia alla Cail'ka, che con il viso celato dalle ombre del cappuccio posò la lama di piatto sulla guancia dell'uomo per un istante. Ci volle un lungo attimo prima che sul volto dell'umano apparisse un'intricata ragnatela di linee violacee e lui iniziasse a urlare.
«No!» Chi aveva urlato era però una donna del gruppo e Iraen capì.
«Allora diccelo tu, quello che vogliamo sapere!» disse, avanzando verso di lei.
«Non lo sappiamo, non lo sa nessuno di noi!» La donna farfugliò, isterica, mentre cercava di andare dall'uomo urlante, trattenuta da una strega. «Non ce lo dicono così non possiamo riferirlo! Ti prego basta, basta!»
Aislin fece un cenno e la Cail'ka posò le dita sulla guancia ustionata, le linee violacee svanirono e con un gemito roco e ansante l'umano si raggomitolò al suolo. La donna riuscì a lanciarsi su di lui, piangendo.
«Mael! Mael ti prego, Mael!» Invocò disperatamente fino a quando lui non alzò lo sguardo carico di biasimo su di lei.
«Cosa ne facciamo di loro?»
Aislin fissò la Cail'ka per un lungo istante, ponderando la questione. «Lasciateli andare nella foresta. Se sopravviveranno se lo saranno meritato.»
I prigionieri vennero allontanati e Aislin entrò nella sua tenda, Iraen la seguì, abbracciandola non appena furono soli.
«Non li troveremo mai di questo passo.»
L'hilm'een sospirò, annuendo. «Aislin, puoi sempre lasciarmi andare...»
«No, è troppo pericoloso, sei un hilm'een e da solo, così a nord, finiresti ammazzato.»
«Non per forza ed è l'unica speranza. Devo trovare quel druido, se c'è qualcuno che può capire quella magia è lui, ne sono certo. Non siamo riusciti a scovarne nessun altro, ma lui... lui sono certo di poterlo trovare. O farmi trovare da lui.»
«No.»
«Andrò senza il tuo permesso, allora.»
«È in questi momenti che un po' rimpiango il collare...» Aislin sospirò al sorriso impertinente dell'altro. «Una Cail'ka ti seguirà, però.»
«Se lo farai sarà il modo più rapido per venire ucciso, Aislin. Fidati di me, ti prego.» La mano di lui si posò sulla guancia della strega in una carezza. «Questa guerra fatta di incursioni e schermaglie, in cui non riusciamo ad arrivare al punto nevralgico, al cuore della ribellione, ci sta logorando. È più di un anno che vaghiamo lungo i confini e tu hai un popolo che ha bisogno di te. Enda ha bisogno di te.»
«Ama anche te, cosa le dirò?»
«La verità. Sarà regina, ed è intelligente. Non mentirle, ma portale le mie parole: dille che tornerò da lei, a ogni costo.» Sorrise. «Da lei e da te.»
Aislin si spostò, andando a prendere da una borsa di cuoio appesa a una dei pali della tenda un cristallo. Sembrava un'ametista dalle sfumature di un viola così cupo da apparire nero, lei lo strinse nel pugno e poi glielo consegnò. «Tienilo sempre con te, finché sarai vivo io lo saprò.»
«Te lo prometto.»
La strega annuì, per poi osservarlo con attenzione. «Sei così certo che quel druido ti aiuterà? Sempre che si faccia trovare.»
«Aveva detto che avrei portato la pace, mi ha manipolato spingendomi in una rete che aveva tessuto lui stesso. Credo abbia i nostri stessi obbiettivi, anzi, ne sono certo. Non avrebbe senso, altrimenti.»
Aislin annuì. «Quando pensi di partire?»
«Non credo ci sia motivo di aspettare, domani all'alba andrò verso l'insediamento da cui ero partito ormai più di otto anni fa.»
«Sarai un bersaglio.»
«So difendermi.»
Lei annuì, sfiorando l'arco che Iraen aveva sulle spalle. «Sei un ottimo arciere e sai combattere, ma... non sei più umano.»
Lui la guardò, ferito nell'orgoglio. «Intendi dire che valgo meno perché ho il sangue delle streghe? Beh, dovrei arrabbiarmi, mi sa.»
«Intendo dire che sei fin troppo riconoscibile, Iraen. Non hai modo di camuffarti per davvero e ogni passo che farai sarà rischioso. Inoltre chi ti assicura che ti riconosceranno e accetteranno quando arriverai a destinazione?»
«Se non ci provo non lo sapremo mai. Ti ho detto che ce la farò, non voglio che questa guerra continui.»
La regina annuì, il peso delle corna che portava sul capo non le era mai parso così greve.

 


Accucciato lungo la riva di un torrente, osservava le impronte nel terreno morbido.
“Certo che dovermi fermare a cacciare e a raccogliere cibo mi sta rallentando di molto. Fortunatamente siamo in estate, o avrei avuto serie difficoltà.”
Individuò il segno del passaggio di una serie di piccoli erbivori e nell'erba notò i sentieri tracciati dalle lepri. Con l'arco in mano si mosse silenzioso come un'ombra. Il sangue delle streghe l'aveva cambiato, togliendogli molti tratti umani, ma in cambio aveva ricevuto l'abilità quasi ultraterrena di fondersi con la natura. Perfino gli animali selvatici non sempre si accorgevano del suo passaggio e, in un certo senso, percepiva quella che chiamavano l'energia della terra.
Non poteva usarla, era una capacità che si sviluppava solo nelle streghe, ma la percepiva, come una vibrazione che in alcuni punti gli accarezzava la pelle.
Individuò la lepre e con rapidità incoccò la freccia, rilasciandola in un movimento fluido ed elegante.
La bestiola finì trafitta senza un lamento, Iraen recuperò la freccia e si avviò verso la piccola radura che aveva individuato. Lì c'era una grossa quercia e aveva lasciato lo zaino tra le sue radici, nascosto, per il tempo della caccia.
Accese il fuoco, pulì la lepre e la fece a pezzi, infilandone ognuno su un stecco verde e mettendoli ad arrostire. Lì il ruscello creava un'ansa e si lavò, osservando il cielo farsi nero e le stelle comparire.
Era più di un mese che viaggiava cercando di evitare ogni traccia e insediamento umano, Aislin aveva avuto ragione su quello: se l'avessero catturato era poco probabile che ne uscisse vivo. Si era avvicinato un paio di volte a fattorie isolate, la notte, rubando qualcosa dalle dispense quando aveva scoperto che i cani non abbaiavano in sua presenza. Non sapeva il perché, ma la cosa si era rivelata utile.
Guardando la volta stellata, rosicchiando un osso, si orientò. Il sangue delle streghe gli dava una specie di bussola interiore, un istintiva capacità di cogliere le direzioni e di andare nel luogo da lui desiderato. Aislin l'aveva chiamata magnitudine terrestre, dicendo che la sentivano anche le streghe.
“Poco male. Ci vorrà ancora un mese, anche meno se riesco a non fermarmi a cacciare troppo spesso. Però il vecchio druido sarà ancora vivo? Sembrava una specie di rudere già allora, se fosse morto sarei nei guai. Avrei fatto tutto questo proprio per niente, anche se non dover uccidere agli ordini di una qualche Cail'ka non mi spiace.”
Iraen sospirò, finendo di mangiare e sistemando il fuoco per la notte si raggomitolò tra le radici e chiuse gli occhi, certo che l'avvicinarsi di qualunque essere malintenzionato l'avrebbe come sempre svegliato.
Viaggiò per un'altra luna, limitando ogni sosta il più possibile. Avanzando, però, trovava un numero maggiore di tracce di presenza umana e diventava difficile evitare gli insediamenti. A volte aveva dovuto viaggiare di notte, attraversando i campi coltivati e procedendo a poca distanza da villaggi e piccoli centri, camuffandosi con le ombre per evitare di essere visto.
Quando alla fine di una lunga notte di viaggio vide il grande canyon che dava l'accesso all'insediamento ribelle da cui era partito si fermò, cercando di capire cosa fare. Mancava un po' all'alba, il cielo era ancora cupo e solo un vaghissimo chiarore a est indicava che il sole sarebbe sorto. Sapeva che il canyon era sorvegliato e che era l'unico accesso. Se aveva però una speranza di passare era prima che si rendessero conto della sua presenza, stanchi dall'ultima guardia della notte e con il cambio non ancora nelle vicinanze. Iraen sospirò, assottigliando lo sguardo nel cercare di individuarli. Erano sulla sommità, ma non avrebbe saputo dire se guardavano con attenzione o meno il passaggio ancora avvolto dalle tenebre. Avrebbe dovuto rischiare, attendere nella foresta poteva essere ancora più rischioso, quindi si mosse, attento e silenzioso, giungendo al sentiero che si inoltrava nelle tenebre tra le due alte pareti di roccia.
Non usava alcuna luce, procedendo con enorme cautela. Grazie ai suoi occhi quelle tenebre per lui non erano assolute, ma di certo non aveva una visione chiara di ciò che lo circondava. Il sole si delineò come una scia luminosa all'orizzonte e Iraen uscì dalla parte opposta di quel budello, lanciandosi verso la protezione di un boschetto di betulle.
Ce l'aveva fatta.
Si addentrò tra gli alberi, fino a una macchia più fitta dove avrebbe atteso l'oscurità. Il villaggio non era molto lontano e la casa in cui abitava il druido era discosta, ai suoi margini. Sempre se ci fosse ancora stato.



«È dove ha detto il druido!»
Iraen aprì gli occhi di scatto, trovandosi circondato. Com'era stato possibile? Quel sesto senso su cui aveva fatto affidamento per tutto quel tempo, che mai l'aveva abbandonato, l'aveva tradito proprio alla fine del suo viaggio?
Una decina di uomini armati lo circondavano e un di loro gli rivolse contro la punta di una lancia. «In piedi, hilm'een.»
«Uccidiamolo.»
Iraen li fissò uno per uno, cercando di mantenere la calma e di riconoscerne qualcuno.
«Lainor!» Iraen esclamò, fissando il più anziano tra gli uomini. «Lainor, sei tu, vero? Non mi riconosci?»
«Conosci questo schifo, Lainor?»
«Sono Iraen!»
L'uomo si bloccò, fermando la sua negazione a metà e avvicinandosi studiò con attenzione l'hilm'een davanti a lui. I capelli rossi erano molto più lunghi, intrecciati, e gli occhi erano quelli da gatto di ogni hilm'een. Eppure i lineamenti erano quelli. Certo, più sottili e delicati, senza barba, congelati nel tempo come se non fosse invecchiato di un solo giorno, ma rivedeva in lui l'uomo che si era offerto per una missione impossibile, così tanti anni prima.
«Sei davvero tu. Cosa ci fai qua, così?»
«Devo vedere il druido, so che sono passati molti anni, davvero tanti. Fidati, ti prego; devo vederlo. Vi ha mandato lui qua, giusto?» Lainor annuì e Iraen proseguì. «Dovevate portarmi da qualche parte, no? Facciamo giusto sosta dal druido...»
«Uccidiamolo, non possiamo fidarci delle parole di uno di questo abomini!»
Stringendo le labbra Iraen ignorò quelle parole e i vaghi assensi degli altri, concentrando il suo sguardo su Lainor, che alla fine annuì.
«Portiamolo dal druido, vi ricordate che vi ho raccontato dell'uomo che ha provato a infiltrarsi? È lui; immagino abbia molto da dire. Andiamo.»
Lo scortarono fino alla via principale e da lì verso il villaggio. Il sole era alto, aveva dormito alcune ore. Attorno a lui vedeva molte costruzioni che un tempo non erano ancora state erette, l'abitato era diventato un piccolo paese e la casa del druido non ne era più lontana come un tempo. Lo vide, fuori ad aspettarli, sotto le ombre create dalla chioma di un nocciolo.
A Iraen era stato tolto l'arco, il pugnale e lo zaino, guidato attraverso le vie era stato additato e guardato come un mostro. Un tempo anche lui aveva avuto quello sguardo, ma ora che sapeva riusciva solo a sentirsi irritato per quelle occhiate. Non era un mostro, nessuno lo era. Non gli hilm'een, non gli umani, non le streghe.
Il druido si avvicinò e Lainor si fece avanti. «Onorevole Amergin, questo hilm'een dice di essere Iraen. Ecco, un po' me lo ricorda però...»
«Abbassate le armi, è lui.» L'anziano druido fece qualche passo avanti, poggiato al suo bastone intagliato, e gli fecero largo. Vestiva di bianco, come Iraen lo ricordava. La corta barba candida sembrava più bianca di un tempo, nessun filo scuro la disturbava e la chioma era intrecciata, tenuta ferma da un paio di anelli dorati. «Sono passati molti anni, Iraen. Hai ascoltato le mie parole, vedo.»
Individuando una luce divertita sul fondo di quelle iridi scure, l'hilm'een sorrise amaramente.
«Ho sempre avuto il sospetto che avessi guidato i miei passi a modo tuo, vecchio.»
Un colpo deciso alle gambe lo fece cadere in ginocchio, Iraen si voltò e trovò una punta di lancia a poca distanza dal suo viso.
«Porta rispetto, bestia!»
Il druido fissò il giovane che aveva parlato. «Juter, impulsivo come sempre. Iraen non mi farà del male, andate e lasciate che parli con lui.»
«Ma è un hilm'een onorevole Amergin! È frutto della magia delle streghe e...»
«Silenzio!» Autorevole e forte, la voce del druido coprì quella del giovane, che abbassò il capo.
«Sia come volete voi, allora.»
Iraen si alzò, seguendo l'uomo all'interno della sua dimora. Tonda, dal tetto di paglia e dalle mura di pietra era semplice, quasi umile. Attraversarono la casa per uscire sul retro, dove un piccolo orto di erbe medicinali e non dava sul bosco.
«Raccontami, Iraen. Sono passati anni e se sei qua è perché finalmente le linee del destino si sono mosse.»
Il vecchio si sedette su una panca poggiata contro il muro della casa, facendo cenno a Iraen di accomodarsi vicino a lui.
«Mi hai manipolato, spingendomi a credere che mi sarei vendicato uccidendo la regina delle streghe.»
Al tono accusatorio, il vecchio sorrise. «Dovevo spingerti, eri l'uomo adatto, l'unico adatto, forse. A così tanti anni di distanza ti infastidisce ancora?»
«Sì, e no.» Iraen sbuffò. «Molte cose sono cambiate, ora la regina vuole la pace, vuole che umani e streghe vivano in armonia. Però non si riesce a far cessare le ostilità dal nord e non troviamo la loro città. Si nasconde ai poteri delle streghe e non capiamo come.»
«E sei qua per chiedermi aiuto. È magia degli uomini, che sfugge alle conoscenze delle streghe. Magia del nostro popolo che è sopravvissuta e che è stata votata a un intento errato. Di nuovo.»
«Che intendi con di nuovo?»
Amergin sospirò, arricciando la punta della barba tra le dita. «Credo tu sappia già quello che è accaduto dal punto di vista delle streghe. Tra le conoscenze che mi ha tramandato il mio maestro c'è la narrazione di una capacità unica. Le streghe hanno una memoria collettiva, che le unisce attraverso le generazioni, in cui è depositata tutta la sapienza e ogni esperienza, così che nulla vada perduto. Più la strega è potente più in profondità può accedere in queste memorie, fino all'alba dei tempi e della creazione.» Iraen annuì, attento, e il druido proseguì. «Alcuni di noi, molti, molti anni fa, cedettero al male. Non sto a raccontarti i dettagli, ma un piccolo gruppo di druidi decise che queste terre dovevano essere degli umani, completamente. Ambivano al potere delle streghe e capirono che la terra, senza di loro, avrebbe aperto le sue porte anche ai druidi. Non era l'unica via, ma perché dividere il potere e la terra, se poteva essere solo degli uomini? Così diedero vita a una maledizione, ma inaspettatamente le streghe trovarono il modo di aggirarla. Così iniziò tutto.»
«Allora che fosse una malattia di origine magica è vero.» Iraen studiò il vecchio, che ricambiò lo sguardo con aria d'attesa. «Tu cosa vuoi quindi, vecchio? Perché hai messo in piedi tutto questo? Lo sai, vero, che se non mi avessi mandato in bocca alla Cail'ka non sarebbe mai successo nulla di tutto questo.»
«Lo so. Voglio quello che volete voi, la pace. Voglio che lo sbaglio fatto da quei membri dell'ordine sia espiato e che giunga finalmente un'era di pace. Il futuro non è fatto da streghe o umani, ma di entrambi, assieme.» Amergin estrasse dalla tunica bianca un anello d'oro, largo quanto il palmo. «Ho seguito i tuoi passi, Iraen; guardando attraverso il cerchio il velo si dissipa e io ho visto. Ho sofferto per il tuo dolore, ragazzo, ma nulla è stato vano. Purtroppo per quanto io possa parlare, qua in pochi ascoltano parole di armonia, il rancore e l'odio sono profondi, ma non vogliono neppure la guerra; si accontenterebbero di vivere la loro vita in solitudine. Al nord, però, stanno costruendo un esercito per sterminare le streghe, e questa non è cosa che posso accettare. Siamo arrivati qua fuggendo da un invasore e ci comportiamo come loro, pretendendo di schiacciare chi era qua prima di noi e ci ha accolto. Domani partiremo, mi porterai dalla tua regina, vi aiuterò.»
Iraen si alzò, fece qualche passo e poi si voltò verso il vecchio druido.
«Aislin ne sarà contenta.» Sorrise, guardando l'aria soddisfatta dell'altro. «Avevi previsto tutto, vero? Ogni singola cosa.»
«Speravo. Ti ho messo su una strada, ma le scelte sono sempre state solo tue. Sei tu che hai deciso per la pace, alla fine. Diciamo che lo speravo molto, da quando ho iniziato a cercare le risposte tra le nebbie del tempo e gli dei mi hanno mostrato immagini di un futuro che volevo assolutamente evitare.»
«Il viaggio è lungo, sicuro di farcela?»
«Oh, non morirò nel tragitto, mi aspetta altro, ragazzo mio. Ora mangiamo, devo avvisare e convincere il capo villaggio che sono io che vengo con te di mia spontanea volontà. E costringerlo a lasciarci partire in pace.»

 


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