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Autore: summers001    04/02/2016    5 recensioni
CaptainSwan | AU | Multicapitolo breve
Dal testo:
Le cheerleader erano appene scese in campo, la musica stava risuonando da uno stereo sull'erba ed i giocatori si allontanavano sudati, lasciando spazio alle ragazze. Qualcosa le toccò la spalla. Si girò e vide il professor Jones accanto a lei."Sono venuto a chiederti scusa." cominciò lui.
"Come?" chiese lei. Si chiuse l'altro orecchio con un dito per sentire meglio.
"Avrei dovuto chiederti quali fossero le tue intenzioni" continuò lui. Emma cercava di seguire il discorso. Di tutto aveva capito solo che le chiedeva scusa. Le sfuggivano le parole precise, ma non era importante.
"E' stato gentile."
"No, non lo è stato. Il fatto è che, Emma, speravo di allontanarti da qui, da me."
Di nuovo non capì molto, ma era sicura di aver sentito "allontanarti da me". Lo guardò, non capì, il cuore accellerò di brutto, riusciva a sentirselo fino in gola. Ingoiò quel groppo pesante, chiuse gli occhi. "Perché?" chiese.
Il professor Jones non disse niente. Quando non diceva niente, di solito poi le sorrideva. Ma rimase serio. La guardò negli occhi fisso ed Emma guardò lui. Si perse nel mare blu delle sue iridi e di mille pensieri.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
 
Ormai era primavera e gli altri studenti cominciavano a fare le somme di quel che sarebbe successo di lì a pochi mesi: il college. Erano tutti entusiasti. E tra tanti entusiasti c'erano ovviamente poi quelli spaventati, che forse al college almeno per quell'anno non ci sarebbero arrivati. Emma aveva spedito qualche domanda nei mesi precedenti. Aveva scelto solo posti vicini e solo posti mediocri, niente di così importante. Voleva poter credere che la sua vita sarebbe cambiata, che sarebbe stata fantastica, che si sarebbe diplomata e laureata col massimo dei voti, avrebbe trovato un lavoro ed un ragazzo fantastico con cui avere bambini fantastici, ma in realtà era soltanto una delle tante ragazze senza ancora nessuna ambizione. Non che non ne avesse affatto, ma doveva ancora trovare la sua strada e per ora si era limitata ad escludere l'improbabile: non sarebbe diventata un medico, né un avvocato, né tanto meno un'artista o un'atleta. Non le piaceva la matematica, la fisica, la chimica, la storia, l'economia e la geografia. Le piaceva fare foto, quello sì. Ma si limitava a scattare immagini col suo cellulare. La sua galleria era piena di foto scattate di nascosto: i ragazzi sotto le panchine dello stadio, le cheerleader negli spogliatoi, quelli del club di aritmetica nelle aule chiuse a chiave. Ma non ce ne avrebbe fatto una laurea con quelle, né tanto meno un lavoro.
Aveva solo un amico poi, August, che non sarebbe andato al college. I suoi genitori erano ricchi e gli avevano concesso un anno sabatico attorno al mondo prima di decidere cosa fare della sua vita, che probabilmente si sarebbe diretta verso l'azienda del padre. Era da febbraio che stava già preparando le valigie.
Non aveva un ragazzo. Era stata con Neal per un po', ma era finita quasi subito. Si erano divertiti insieme, ma non erano molto bravi ad andare d'accordo. Era ancora vergine, ma neanche quello le importava, non come alle altre compagne di scuola almeno. Erano tutti in furore per il ballo scolastico. Per Emma era solo una scemenza, non ci sarebbe andata, né avrebbe perso lì la sua verginità. Se non altro sua madre poteva essere fiera di qualcosa.
Il liceo le stava letteralmente scivolando via di mano, senza che avesse ancora ottenuto nessun risultato. Voleva qualcosa. Voleva fare qualcosa, essere qualcuno, ricevere gratificazioni. I suoi voti erano nella media: si aggiravano tra tante B e poche A. Ogni volta che ne prendeva una sua madre, la signorina Mary Margaret, cerchiava in rosso la data sul calendario ed a fine anno ricopiava le date su un quadernino con la copertina nera, che si portava appresso da quando Emma aveva cominciato le elementari. Alcune volte per lei era imbarazzante, ma capiva il bisogno di sua madre, rimasta sola senza marito, di avere sempre qualcosa di tangibile che le ricordasse di sua figlia e della sua famiglia.
La giornata non era cominciata come le migliori: aveva bruciato la colazione, perso l'autobus per andare a scuola ed il professore di inglese aveva finalmente finito di correggere i compiti per casa. Shakespeare. L'aveva studiato, certo, ma l'inglese non era proprio la sua materia.
Era seduta nel suo banco e guardava di nuovo fuori, tanto per cambiare, mentre il professore girava tra i banchi e distribuiva i temi. Si stava disinteressando, perché se per caso il compito fosse andato male, non voleva rimanerci delusa. Era partita con le migliori intenzioni, aveva studiato, voleva disegnare quel cerchietto rosso lei stessa. Poi come al solito durante il compito aveva dato di matto. Era stata impulsiva e tra quelle righe aveva parlato di Shakespeare come un "damerino disperato in cerca di amore e di attenzioni". Sul momento le sembrava però una buona idea, un'analisi originale, che poteva mettere in luce una certa intraprendenza, una nuova chiave di lettura. In quel momento invece era sicura che l'avrebbe pagata.
"Ottimo lavoro." bisbigliò il professor Jones.
Emma si trovò il foglio davanti, mentre lui ci teneva ancora le dita sopra. Non riusciva a leggere il voto. Alzò gli occhi e guardò verso di lui. Giurò di averlo visto fare l'occhiolino. Quando lui tolse la mano ci lesse A+.
A+.
Rigirò il foglio più volte tra le dita sperando che stesse sognando. Non se ne importò neanche di rileggersi il tema. Fissò quella A e quel + di continuo. Prese il cellulare e scattò una foto. Forse per una volta i cerchietti sarebbero stati due.



Io voglio parlare con chi ti assegna una B, non con chi ti assegna una A." protestò sua madre all'incontro con gli insegnanti. S'erano messe in fila, belle pronte per una sviolinata da quello di inglese. Era praticamente l'unico ormai che poteva vantarsi di aver permesso ad Emma di disegnare cerchietti da un mese a quella parte. Mary Margaret avrebbe preferito di gran lunga parlare con quelli di matematica, chiedere un consiglio per sua figlia: cosa avrebbe potuto fare per assicurarle la promozione? Ripetizioni? Doveva controllarla quando studiava? Spingerla a studiare con qualche amico? Invece Emma l'aveva bloccata davanti allo studio del professor Jones, pronta pronta per far sentire dire da un altro a sua madre quanto geniale lei fosse.
"Dai, cinque minuti!" protestò Emma. Erano già le prossime ed erano arrivate da appena venti minuti. Ci sarebbe voluto pochissimo, ma sarebbero tornate di buon umore e con una ventata di sano ottimismo.
Sua madre prese un respiro e guardò sua figlia. Ormai era troppo tardi per dir di no ed il fatto che si fosse già fermata così tanto ad aspettare era già un sì.
Una signora alta, coi capelli lunghi e la coda di cavallo uscì dallo studio mentre un ragazzo, che l'aspettava fuori, le si precipitò incontro per chiederle come fosse andata. Emma aspettava di esser la prossima.
"Signora Swan." chiamò il professor Jones, uscendo dallo studio e notando Emma appesa davanti a quella porta con una signora.
"Signorina." lo corresse Mary Margaret.
"Signorina." si corresse lui e si spostò per far entrare la madre della sua allieva nel suo studio. "Emma." la salutò e lui strizzò impercettibilmente una palpebra sorridendo. La fissò negli occhi poi chiudendo la porta, fino a che lo spazio tra loro diventò meno che uno spiraglio.
Emma era su di giri. Saltellava e si stiracchiava le dita davanti al petto. Si ricordò poi presto che c'erano altre persone in fila: ragazze da sole e padri e madri con i propri figli. Si ricompose allora subito e si piazzò poco distante dalla porta, ma con una buona prospettiva, oltre i vetri opachi, dell'interno.
"Con permesso." le chiese qualcuno da dietro. Emma si spostò e vide la professoressa di educazione fisica superarla con un blocco di fogli in mano ed entrare nello studio senza nemmeno bussare. Lasciò la porta aperta e s'avvicinò al professore. Mary Margaret, che era seduta dietro un banco ascoltando lui, rimase in silenzio ad aspettare che i due si sbrigassero tra firme e sorrisetti. Emma fissò sua madre spazientita.
"Ma li hai visti?" due ragazze dietro Emma bisbigliavano. Le loro vocette erano così acute che si distinguevano dalla massa informe di voci, suoni di passi e sbuffi che venivano dai corridoi.
"Lei è proprio cotta."
Emma si girò. La conversazione non le interessava, ma quelle due erano fin troppo fastidiose. Per farle smettere guardò con aria di sufficienza e minacciosa quelle due, che troppo intente a spettegolare, fraintesero il pregiudizio di Emma con curiosità e cominciarono a dire: "Il signor Jones e la signora Gold."
"E lei è sposata!" disse l'altra "Com'è romantico!" commentarono entrambe ad alta voce.
"Oh dio." disse Emma e si girò di nuovo avanti per ignorarle.
"Già!" fecero quelle entusiaste e battendo le mani.
Davvero ad Emma non interessava, ma cominciò a notare come la professoressa, da dietro, gli toccava la spalla e si abbassava su di lui, leggeva quello che stava leggendo lui e parlava e lui rideva e lei rispondeva. Aveva una collana lunga e larga appesa al collo che le cadeva sulla schiena di lui. Erano vicini. S'immaginò di essere lei così vicina e poi si ricordò della lezione su Shakespeare. Il professor Jones era così vicino. Le aveva toccato la spalla e tutto. La cravatta gli era penzolata addosso a lei.
"Guarda la professoressa come ci prova!" fece di nuovo una di quelle da dietro.
Emma si girò e le guardò stranita, poi guardò verso gli insegnanti. Ignorò che sua madre era ad un colloquio a parlare dei suoi voti e delle sue aspettative future.
"Non può essere." bisbigliò lei.
"Sì invece!" fecero di nuovo quelle due in coro.



"Signorina Swan," chiamò qualcuno dall'aula alla sua sinistra. Emma si voltò, August si fermò ed entrambi notarono il professore di letteratura inglese. "ha un minuto?"
August guardò Emma, che pareva quasi terrorizzata. Cercaca di pensare a quello che aveva fatto, se era stata coinvolta in qualche bravata, se aveva dato impressione di avere un qualche tipo di problema. Aveva forse qualcosa a che vedere con lo strano discorso che le aveva fatto sua madre dopo i colloqui? Quelle battutine? "Quel professore forse ti adora un po' troppo", "Segue tutti come segue te?", "Di quanto in qua ti piace la letteratura?"
Guardò verso il professore che si stava rigirando in mano un blocco di compiti piegati e corretti, con una miriade di segni rossi sui fogli.
"Il suo ragazzo può aspettare fuori." disse il professore sgorbutico, quasi arrabbiato. Emma fece segno ad August di aspettare ed entrò.
"Lui non è..." cominciò Emma, ma ci pensò e decise che quell'informazione ad un professore non interessava davvero. Si morse la lingua. Proseguì fino a davanti alla cattedra, incrociò le dita davanti alla pancia ed attese. Il professor Jones non parlava ancora. Si riguardava quei compiti e pareva davvero arrabbiato.
"Sì?" chiese allora Emma.
"Ti ho procurato un colloquio" cominciò lui ancora senza guardarla "con un consulente di Stanford."
"Cosa?" chiese Emma spaesata, delusa. "Stanford? Cosa?"
"Vuole vederti domani" continuò lui ed ancora stava guardando quei cavolo di fogli ed aveva addirittura impugnato una penna "subito dopo pranzo, nello studio del preside."
"Stanford?" chiese di nuovo lei. "E' dall'altro lato del paese!" disse lei "In California!" aggiunse pure arrabbiata.
"E' un buon college." spiegò lui e finalmente la guardò. Gli occhi gli sfuggivano di continuo e stava in piedi nervoso, ma cercava di nasconderlo. Si infilò una mano in tasca, alzò un piede, oscillando per cambiare posizione, ma poi lo rimise apposto. Strinse la mascella e la guardò.
"Io credevo che..." cominciò Emma. Non lo sapeva che credeva. Che finalmente se la stava cavando bene forse, che era la migliore della classe, che lui l'avrebbe tenuta sotto la sua ala. Tutte le storie sul college le erano completamente passate di mente. Era come se il tempo per lei si fosse fermato all'ultimo anno, come se non esistesse un dopo, come se avesse potuto lavorare sulla letteratura inglese ancora per molto tempo.
"Credevi cosa?" chiese lui, duro. Mollò tutto, incrociò le braccia e la guardò.
"Con permesso." abbassò la testa, corse verso la porta e se la chiuse dietro sbattendola. Superò August e corse ancora via nei corridoi. Il suo amico la guardò senza capire, provò a seguirla fin quando la perse in mezzo ad un via vai degli altri studenti in pausa pranzo.



Le cheerleader erano appene scese in campo, la musica stava risuonando da uno stereo sull'erba ed i giocatori si allontanavano sudati, lasciando spazio alle ragazze carine, pronti a godersi lo spettacolo dopo aver ripreso fiato. La musica e le grida dal pubblico, le trombette e gli schiamazzi erano assordanti. Aveva promesso ad August di andare con lui, aiutarlo a trovare una ragazza per il ballo. Emma pensava fosse ridicolo, non sapeva cosa avrebbe dovuto fare di preciso, ma andò lo stesso, più che altro per sembrare una buona amica. Qualcosa le toccò la spalla. Si girò e vide il professor Jones accanto a lei. Aveva una mano sulla sua spalla, ma la allontanò subito non appena lei la guardò. "Sono venuto a chiederti scusa." cominciò lui.
"Come?" chiese lei. Si chiuse l'altro orecchio con un dito per sentire meglio e si piegò verso di lui. Pensò che forse era inappropriato.
"Avrei dovuto chiederti quali fossero le tue intenzioni prima di organizzare quell'appuntamento." continuò lui. Emma cercava di seguire il discorso. Di tutto aveva capito solo che le chiedeva scusa. Le sfuggivano le parole precise, ma non era importante.
"E' stato gentile da parte sua."
"No, non lo è stato. Il fatto è che, Emma, speravo di allontanarti da qui, da me."
Di nuovo non capì molto, ma era sicura di aver sentito "allontanarti da me". Lo guardò, non capì, il cuore accellerò di brutto, riusciva a sentirselo fino in gola. Ingoiò quel groppo pesante, chiuse gli occhi. "Perché?" chiese.
Il professor Jones non disse niente. Quando non diceva niente, di solito poi le sorrideva. Ma rimase serio. La guardò negli occhi fisso ed Emma guardò lui. Si perse nel mare blu delle sue iridi e di mille pensieri. Il professore si alzò ed Emma rimase a guardarlo andare via.
Non seguì la partita, neanche le interessava per la verità. August le portò i pop corn e una coca cola e bevve quella. Rimuginò sulla possibilità di parlarne con l'amico, chiedere spiegazioni dal punto di vista maschile, ma le sembrò una brutta idea. In fondo non era neanche così sicura di aver capito bene.



"Professoressa, posso rubarle la signorina Swan solo per un minuto?"
"Certo." fece la professoressa Gold, lasciandosi cadere il fischietto appeso al collo.
Emma si tirò su da terra, lasciò le righe e si stiracchiò le ginocchia prima di seguire il professore. I tendini dei muscoli le facevano male, quella stronza della Gold le schiacciava la schiena a terra ogni volta che facevano stretching, fino a farle stridere tutti i muscoli delle gambe. Arrivarono in un'aula, quella in cui probabilmente il professore aveva appena tenuto una lezione di letteratura. Fogli e libri erano ancora sui banchi. Lui si diresse verso la cattedra, forse pensò di chiudercisi dietro, ma poi si bloccò e si girò verso di lei giocando con le dita.
"Emma, io..."
"Se vuole chiedermi di nuovo scusa, non fa niente, ho capito. E' tutto apposto."
"No, io" cominciò "in realtà non so da dove iniziare." Si batté le dita di una mano sul dorso dell'altra davanti al petto e poi si sistemò la cravatta. "Forse non dovrei." si avvicinava passo dopo passo.
"Cosa?" chiese Emma quando quello fu così vicino da sentire il rumore del suo respiro.
Il professor Jones distolse lo sguardo e guardò a terra come se stesse pensando. Si leccò le labbra e tornò verso di lei. Le pupille erano dilatate, il blu degli occhi meno appariscente, più cupo, ma ugualmente profondo se non addirittura di più. Era come se la stanza fosse piombata nel buio e non ci fosse più nulla.
Emma indietreggiò e fece cadere qualcosa che era sul banco dietro di lei. Il rumore di penne e quaderni che cadevano a terra le rimbombò nel cervello. Si girò e si abbassò, ringranziando che ci fosse qualcosa dietro di lei, che le aveva dato l'occasione di distogliere l'attenzione. "Che cretina." fece lei, raccogliendo. E si sentiva davvero cretina, ma meglio goffa che in imbarazzo. I capelli le caddero davanti al viso, ma evitò di riavviarseli dietro alle orecchie. Sperò di potercisi nascondere.
Killian Jones si abbassò insieme a lei e fece per aiutarla. Si leccò di nuovo le labbra e ci pensò. Poi senza mollare niente, stringendo ancora quel quaderno e quei fogli si lanciò su di lei e la baciò. Le stampò un bacio sulle labbra, niente di più. Quando la lasciò, Emma si toccò la bocca. Non sapeva che fare. Decise di far finta di niente e continuare a raccogliere. Forse avrebbe dovuto rispondere, forse avrebbe dovuto baciarlo anche lei. Era stato dolce ed irruento allo stesso tempo. Non aveva provato niente se non fretta. Era stato inaspettato. Forse avrebbe dovuto riprovare. Aveva deciso di farlo quando sentì qualcuno entrare.
"Professore."
Emma alzò gli occhi e vide la signorina French, responsabile della biblioteca. Ed allora nella sua testa si accese un flash, come una lucina in una lampadina: un insegnante l'aveva appena baciata e cavolo, non uno qualsiasi.
"I libri che mi aveva chiesto." fece lei. Si tolse un blocco di libri da sotto al braccio e lo posò sulla cattedra. "Tutto ok?" chiese, vedendo una studentessa ed un professore seduti su una marea di fogli e penne.
"Sì, sì, grazie Belle." rispose lui rialzandosi e sistemandosi la giacca.
"Quindi..." cominciò Killian Jones imbarazzato e stavolta Emma sapeva perché e sorrise. "fammi sapere che college ti interessa."
"Ok." rispose lei. Raddrizzò un blocco di fogli e lo poggiò sul banco
"Vai, finisco io." Teneva gli occhi bassi e non la guardava. Sapeva che era per via della bibliotecaria, però un po' questo la feriva.
"D'accordo." rispose lei con voce spenta.
"Oh, Emma." la chiamò. Alzò la testa e rivide i suoi occhi di nuovo: erano di nuovo azzurro mare. Per un attimo Emma si illuminò. "Va' al ballo, divertiti ogni tanto."
Suonava come un invito. Doveva essere un invito. Sorrise. Sorrise e basta.
Killian Jones l'aveva baciata. Piaceva a Killian Jones e lui l'aveva appena invitata al ballo. Strinse un pugno, si stiracchiò e si toccò la bocca. Alla faccia della professoressa Gold!
Corse via e tornò alla lezione di educazione fisica, cercando di pensare intanto a dove poter comprare un vestito per il ballo.



Nei giorni che seguirono sua madre la accompagnò in tre negozi differenti e solo al terzo trovò il vestito che faceva per lei. Bianco e rosa, candido. Cadeva giù dritto dalla vita in giù, mentre un corpetto le stringeva i fianchi. Aveva una scollatura a cuore, ricca di veli. Decise di lasciare giù i capelli, ma sua madre la convinse a farseli arricciare almeno. Così si preparò per il grande giorno. Ci impiegò ben quattro ore. Si comprò per la prima volta della cera, striscie depilatorie ed un rasoio e cominciò a sperimentare da sola nel bagno subito dopo il rientro da scuola. Mary Margaret le fece vedere come truccarsi: le disegnò una linea nera sugli occhi, le regalò un mascara e le fece stringere le labbra per stendere e fissare il rossetto. Allo specchio non si riconosceva, ma andava bene. Si vedeva bella e femminile, molto femminile per una volta. Uscì di casa a bordo di un'auto gialla, vecchia e arruginita, che non era neanche la sua. Si diresse verso la scuola e quando parcheggiò si sentì il cuore a mille. Si mise una mano sul petto per fermarlo, aspettò qualche secondo prima di scendere e poi finalmente prese coraggio.
Quando entrò nella palestra, era completamente trasformata. C'erano luci viola, festoni viola, cuori rossi e coriandoli da per tutto. Una grande palla a specchi era appesa al soffitto e riflettava i colori di tutto quello che le stava attorno. Nessuno notava più le striscie gialle e bianche del capo di basket sotto i loro piedi. C'era un grande tavolo in un angolo, due uomini vestiti bene con il pappilon distribuivano piattini e ponch. Ovviamente anche il cibo era rosso, rosa e bianco. Sembrava tutto diverso e trasformato. Emma comprese allora la magia del ballo dell'ultimo anno. 
C'erano i suoi compagni da una parte, tutti che ballavano con qualcuno, alcuni erano in guppo dall'altro lato invece seduti ai tavoli. Persino quelli del gruppo di aritmetica erano venuti. Neal la notò e salutò con la mano. Emma salutò di rimando. Dovette ignorarla subito però, perché era con la sua nuova ragazza, Tamara, che la odiava. Ovviamente. August invece la raggiunse.
"Pensavo che ti preparassi per la grande partenza!" disse lei senza nemmeno salutare.
"Ed io che il ballo fosse solo una buffonata per far guadagnare qualche spiccio a chi affitta vestiti e camere d'albergo." rispose lui, recitando a memoria le parole che lei gli aveva ripetuto per tutti gli anni di liceo.
"Queste parole le ho già sentite da qualche parte!" ironizzò lei.
August la guardò serio.
"Si può sempre cambiare idea!" spiegò poi.
"Certo, certo." disse lui malizioso.
"Ma smettila!" rispose lei, dandogli un pugno sul braccio.
August cominciò a ridere. "Ti aggiungi a noi?" chiese, indicando verso un tavolo dove una ragazza carina, bassa e magra, dai capelli scuri li stava guardando. Le sembrava seguisse chimica con loro, ma Emma non ne poteva essere molto sicura. Sorrise all'amico. Non si aspettava che avesse una compagna per la serata, né gliene aveva parlato. Quella sera alla partita non era riuscita a combinare niente alla fine. Il giorno dopo gli avrebbe chiesto di raccontargli tutto.
"Magari dopo, vado prima a prendermi da bere." spiegò lei, cercando di inventare una scusa per lasciarli soli. August la ringraziò a bassa voce, si allontanò e raggiunse la ragazza. Emma sorrise e poi proseguì verso la grande tavolata delle portate. Non poteva fare a meno di guardare a terra e cercare il pavimento di gomma verde con le striscie bianche. Lei notava sempre quello che c'era sotto. Ordinò un bicchiere di ponch, qualche rustico ed un fetta di torta. Le chiesero di che colore voleva la bandierina sul suo dolce. Non che le importasse, ma rispose rosso.
"Sei molto carina stasera."
Emma si girò. Sapeva già di chi si trattava, l'odore di deodorante riusciva a coprire quello della palestra sudata. Lo guardò. Sorrise. "Grazie." disse solo. "Anche tu." Ed in effetti lo era. Aveva un vestito da sera nero, una camicia grigio perla, ma nessuna cravatta e nessun papillon. I capelli erano disordinati, la barba sembrava più ramata che mai sotto quelle luci rosa e negli occhi poteva vedere delle sfumature del rosa soffuso dell'ambiente. Era vicinissimo e da lì notò una cicatrice che aveva sulla guancia. Emma notò solo allora quanto davvero era giovane il suo professore. Sarebbe potuto sembrare un ragazzo più grande, uno del college con un po' di fantasia. Forse poteva avere intorno ai trent'anni. Trenta era un numero accettabile.
"Tu lo sei sempre." le disse e gli prese la mano. Porse un gentile bacio sul dorso a malapena sfiorandola. Emma prese aria.
"Beh.." cominciò lei.
"Anch'io, lo so." Killian Jones sorrise.
Emma rise, ma la battuta non era bastata a distrarla abbastanza e con le dita cominciò a cercare quelle di lui che la tenevano ancora sul palmo e sulle nocche. Le intrecciò e lui anche e lo fissò allora. Lo vide chiaramente chiudere le labbra e ingoiare, ogni ombra di sorriso era scomparsa.
Killian Jones si tirò via la mano. Emma lo guardò e tirò via anche la sua come se scottasse. Lo fissò intensamente e pensò come fosse strano pensare a lui per nome e per cognome, nessun "professore" o "signore" di mezzo. Sembrava sbagliato aggiungerlo.
Killian Jones si massaggiò la mano che prima era intrecciata alla sua. Sembrava di nuovo sovrappensiero, come quel giorno nel suo studio. "Vieni con me?" chiese lui.
Emma fece sì con la testa e lo seguì. Non le prese la mano. Non di nuovo. Forse c'erano troppe persone lì attorno. Sperò di poter raggiungere un posto dove potergli tenere la mano. La condusse nei corridoi e salirono delle scale. Emma riconobbe la strada che portava all'ufficio di lui. Che stava facendo? Si fermò un attimo e non appena i suoi tacchi smisero di fare rumore, il professore si girò a controllare. Emma esitò. "Professore," iniziò.
"Killian." disse lui. Mise le mani in tasca e la guardò.
"Killian," si corresse lei. "che stiamo facendo? E soprattutto perché?" chiese. Non aveva paura, ma era confusa. Voleva sapere che stava succedendo, perché lui era così strano con lei, perché la cercava in continuazione, la lodava, poi l'allontanava, poi cercava di avvicinarla di nuovo ed infine la portava via dal ballo della scuola, che doveva essere una delle serate più emozionanti della sua vita.
Killian fece un respiro. La guardò. Poi scrollò le spalle.
Emma lo guardò sollevando le sopracciglia, chiedendogli di rispondere.
Killian fece un respiro di nuovo. "Tanti poeti hanno provato a spiegarlo." cominciò lui. Si avvicinò, ancora con le mani nelle tasche, un passo dopo l'altro, sempre più vicino a lei.
"Provaci." lo esortò Emma. Era ancora strano dargli del tu e non del lei.
Rivide di nuovo gli occhi blu e profondi, quelli con le pupille dilatate, persi, forse addirittura neri. I capelli gli cadevano a ciocche sulla fronte. Notò solo allora i bottoni della camicia un po' aperti, qualche pelo fare capolino tra le pieghe del vestito. Fissò il pomo d'adamo fare su e giù. E fu un lampo perché dopo poco non vide più niente. Killian Jones si precipitò su di lei e la baciò. Non era più tenero, ma anzi era forte, pretenzioso. Un bambino ingenuo avrebbe pensato che fosse arrabbiato. Emma invece sentiva quello stesso suo sentimento e lo chiamava piuttosto fretta. Aveva fretta di avvinghiarsi a lui, di baciarlo, di essere irruenta. Aprì la bocca e approfondì il bacio. Sentì l'odore di ponch venire dalla lingua di lui, ne senì il sapore sulla sua ed era come ubriacarsi.
Killian la prese per le spalle e la spinse verso il muro di lato. Fece scivolare le mani dalle spalle alla schiena di lei. Disegnò con un paio di dita la curvatura fino all'orlo del bustino. Tornò su, sulle sue spalle e sulle maniche vaporese e velate del vestito da ballo di lei. Ne abbassò una e la baciò tutta: dal suo collo, all'incavo, alla sua spalla ed un tenero bacio lo lasciò sulla clavicola e poco più giù al centro del petto. Emma, con gli occhi persi, fissava un punto indefinito davanti a sé. C'era una teca con tante coppe e premi, dei poster ed il pupazzo della mascotte della scuola. Richiuse di nuovo gli occhi.
"Se è troppo.." cominciò a dire lui tra un bacio e l'altro. "... posso..." Persino le sue parole sembravano umide, bagnate di saliva.
Emma gli prese il viso tra le mani e lo guardò. Di nuovo notò quegli occhi blu. Sembravano quelli della notte. Le sue labbra erano socchiuse, interrotte tra un bacio e l'altro "Non ti fermare." bisbigliò lei. E Killian Jones tornò su di lei. Abbassò anche l'altra spallina e continuò a baciarla.
Sentirono dei passi in lontananza e dei ragazzi parlare.
"Avanti, Robin!" disse una voce femminile.
"Regina, non credo..."
Killian si mise un dito sulle labbra ed Emma sorrise. A Killian scappò una risatina. "shh!" disse allora Emma e gli coprì la bocca con una mano e poi coprì anche la sua.
"Chi vuoi che ci sia!"
"Almeno chiudi la porta!"
E non sentirono nient'altro. Killian la baciò di nuovo con la stessa fretta. Poi si fermò, lo sentì ingoiare. "Vieni con me." Aveva una voce diversa: roca, bassa, come se parlasse con fatica. Entrarono nel suo studio, sbatterono la porta, la sentirono rimbalzare ed ignorarono il resto.



Un uomo alto e biondo entrò in aula. Giovane anche lui, pareva una nuova recluta della scuola. Probabilmente fin troppo, appena assunto, che non conosceva ancora bene le aule e gli orari. "Buon giorno a tutti, sono il professor Nolan e per oggi..." cominciò quello, scrivendo il suo nome alla lavagna con un gessetto.
"Che fine ha fatto il professor Jones?" chiese una ragazza. Emma si voltò dietro a scrutarla. Era Ruby Lucas, ancora con la mano alzata e la solita gomma in bocca. Ad Emma fece rabbia. Era un'altra delle solite innamorate del professore di inglese. Si vestiva da zoccola, era il capo delle cheer leader e ci provava ogni volta che poteva.
"Ha dovuto prendersi qualche giorno." spiegò il supplente.
"Perché?" chiese Emma a voce alta. Credeva di averlo solo pensato, invece l'aveva detto a voce alta, cavolo! Si girarono solo pochi a guardarla.
"Non è cosa che vi riguarda." disse antipatico. Prese il libro, lesse sul registro l'ultimo argomento trattato e poi cominciò a cercare tra le pagine "Andate a pagina 225."
La giornata continuò scialba. Era vuota. Dentro c'era solo preoccupazione di non sapere che fine aveva fatto il suo professore. Sperò ogni volta che qualcuno la mandasse a chiamare in aula, che sentisse dire da qualcuno in giro che quello d'inglese era solo malato.
Tornò a casa mentre lungo il tragitto s'inventava le storie più disparate.
"Sapevo che c'era qualcosa che non andava in quel..." sentì borbottare dal salotto. Allora incuriosità si avvicinò. Chi poteva essere a casa a quell'ora con sua madre?
"Emma!" la chiamò poi lei appena la vide, rizzandosi in piedi, interrompendo qualsiasi cosa che stesse dicendo, visibilmente nervosa.
"In chi c'è qualcosa che non andava?" chiese lei. Lo sguardo le volò subito sull'altra persona. Un uomo alto, biondo, con la barba ed una divisa marroncina con un cappello abbinato, appoggiato sul tavolino di fronte al divano.
"Emma, lui è..." cominciò la madre.
"Ciao Emma, sono le sceriffo Humbert. Sono qui per farti alcune domande." spiegò lui, sollevandosi in piedi e tendendole la mano. Emma la prese automaticamente senza pensare.
"Cosa?" chiese lei "Che ho fatto?"
"Tesoro..." cominciò sua madre. La vide rigirarsi le dita, sfregarsi le mani l'una con l'altra, bagnarsi le labbra con la saliva. "Tu non hai fatto niente. Voglio che tu..." prese fiato e davvero non sapeva come spiegarsi e questo terrorizzò Emma che si retrasse. Lo sceriffo Humbert la teneva d'occhio e come lei si muoveva, lui si muoveva verso di lei. "ti senta al sicuro e che tu sappia che non è colpa tua."
"Mamma," cominciò Emma e piano piano si stava allontanando "che cosa sta succedendo?" Camminò piano piano all'indietro verso la porta della cucina che confinava col salotto. Lo sceriffo la afferrò per un braccio, si avvicinò e la abbracciò con l'altro, portandola piano piano fino alla poltrona ed invitandola a sedere. Poi si accomodò di fronte a lei.
"Emma, conosci la signorina Regina Mills?" chiese lui, leggendo il nome da un foglio incastrato in una cartellina insieme a tanti altri.
"Sì," rispose lei, ancora irrequieta, se non addirittura più di prima. Aveva paura di rispondere a qualsiasi domanda. "sua madre è la mia insegnante di storia."
"L'hai vista la sera del ballo?" continuò lo sceriffo, sistemandosi i fogli sulle gambe ed allungandosi con le mani verso di lei. Emma si ritrasse quando lui la toccò, ma lo sceriffo le prese le mani e la accarezzò, calmo e rassicurante.
"Sceriffo.." cominciò Emma.
"Chiamami Graham."
"Graham, non so cosa centri questo con me."
Sua madre guardava Emma nervosa e poi lo sceriffo. Non riusciva a stare ferma e muoveva in continuazione le mani. La vide prendere un respiro profondo ed era quasi sicura che si stesse per mettere a piangere.
"Il tuo professore di inglese," cominciò lui.
"Il professor Jones?" chiese Emma. Sentir parlare di lui la emozionava in qualsiasi senso. Si ridestò e si illuminò per un attimo. Ma poi vide la madre nascondere la bocca dietro una mano e chiudere gli occhi. Lo sceriffo la guardò e poi tornò verso di lei. Allora Emma si allarmò: Regina doveva averli visti. A scuola. La sera del ballo.
Emma si tirò via le mani e s'alzò di scatto. "Che cosa volete da lui?"
Sua madre cominciò a piangere e singhiozzare. Abbassò un attimo la testa e poi si alzò per raggiungerla e cercò di prenderle le mani. "Emma." disse all'inizio.
"Mamma," fece lei "tranquilla," le disse accarezzandole la testa. Ormai aveva capito che lo sapevano e non cercò di nasconderlo. Pensò che non c'era niente di male da nascondere. Era sicura che a Killian Jones non sarebbe dispiaciuto se avesse ammesso la veritò. Anzi, avrebbe voluto rassicurare la madre, raccontarle che bella esperienza che era stata. "lui è stato dolce, mi vuole bene, davvero. Vuole che studi, che vada al college. Mi ha fatto prendere bei voti."
Sua madre continuava a piangere e neanche la ascoltava. Ad un certo punto la abbracciò. Da quella prospettiva vide lo sceriffo grattarsi la barba e masticarsi il labbro, rimuginando. Quando sua madre la lasciò, guardò anche lei lo sceriffo, che fece sì con la testa e si avviò verso l'uscita.
"D'accordo. E' stato un piacere parlare con te, Emma." fece poi andandosene. Sua madre lo raggiunse e lo accompagnò alla porta. Emma rimase in salotto ad origliare. Avevano capito che era tutto ok? Avevano capito che non c'era stato niente di strano? Che una volta finita la scuola non ci sarebbe stato alcun tipo di problema o di scandalo? Avrebbe voluto prendersela con Regina, ma non aveva importanza. Forse poteva sentirsi addirittura sollevata. Appizzò poi le orecchie sentendoli bisbigliare.
"I dottori la stanno già aspettando in centrale, signorina." fece lo sceriffo a sua madre.
"Dottori?" scattò Emma ad alta voce sconvolta. Li raggiunse, guardò entrambi e cominciò a tremare.
"Emma," le fece la madre avvicinandosi, sempre con quella vocina bassa e premurosa "vogliono solo assicurarsi che tu stia bene." Le mise le mani sulle spalle e la guardava.
"Io sto bene!" si lamentò lei sottraendosi.
"Non puoi saperlo." disse sua madre secca. Assunse quel tono deciso che usava solo per i rimproveri. Si era arrabbiata. Ed era sconvolta perché ancora non urlava.
"Certo che lo so!"
"Emma, adesso tu vieni con me." sua madre guardava a terra. Era passata dalle premure a non volerla neanche guardare negli occhi. Emma era spaventata. Cosa credeva che ci fosse stato? Che lui l'avesse violentata? Che Killian Jones fosse passato da una studentessa ad una prostituta e poi a lei? Che non fosse d'accordo? 
"Non mi puoi obbligare." fece Emma allontanandosi. Cercò di correre via, salire nella sua stanza, ma sua madre la afferrò e la trascinò via, verso la porta. Emma urlò e non se ne fregò niente che lo sceriffo la vedesse così isterica, che i vicini sapessero tutto o di farsi male e cose del genere. Sperò che non le uscissero dei lividi mentre urtava le cose o per la stretta di sua madre. Se le fossero venuti fuori, automaticamente la colpa sarebbe stata del suo professore. Questo non la fermò dal tirare calci ovunque. Neanche si rese conto che lo sceriffo l'aveva immobilizzata per le braccia e la stava trascinando in auto.
"Lasciatemi!" urlava durante il tragitto e piangeva. Sperava che qualcuno fuori la sentisse e chiedesse loro cosa stesse succedendo. "Mamma!" implorava, ma lei aveva il viso deciso di chi non ammette repliche e si sentì solo allora una bambina. Ancora una bambina. Come poteva pensare di stare bene con uno come il suo professore? Pianse in silenzio allora e quando finalmente si lasciò visitare, fissò solo un punto sul soffitto bianco. Un punto nero da cui a tela di ragno, partivano delle crepe nell'intonaco. Sperava le sarebbe caduto in testa ad un certo punto.
Quella visita, quei dottori, la fecero sentire più sporca di come gli altri pensavano che si sarebbe dovuta sentire dopo quella relazione. Tornata a casa ricominciò a piangere di nuovo sotto alla doccia. Lasciò che l'acqua le lavasse via la vergogna che aveva provato.



Il giorno dopo voleva che Killian Jones andasse a lavoro. Voleva raccontargli di quello che le era successo, di quello che le avevano fatto. Gli avrebbe assicurato che non era colpa sua, ma di sua madre e di quello sceriffo del cavolo.
L'avrebbe cercato a casa o sul cellulare se solo avesse avuto il suo numero. Si diede della cretina per non averglielo mai chiesto. Era l'abc.
Ma perché lui non l'aveva fatto? Non la voleva sentire? Non le voleva parlare?
Pregò per tutta la notte e per tutto il tragitto da casa a scuola che lui andasse a lavoro.
Inglese era alla prima ora e non ci sarebbe voluto molto per scoprirlo. Tuttavia non voleva che arrivasse così presto. Era in ansia e se la lezione di inglese fosse stata più tardi, lui avrebbe avuto per più a lungo la possibilità di andare a lezione. Magari si stava rimettendo dalla malattia.
Si avviò verso l'aula di letteratura.
Il signor Nolan era già davanti all'ingresso. "Signorina?" chiese vedendola.
Ma Emma indietreggiò, corse via in bagno e vomitò. Era sconvolta. Decisamente sconvolta. Lasciò tutto dov'era, uscì dal retro della scuola e corse via fino a casa. Non voleva stare a scuola se lui non ci stava. Aveva l'impressione che tutti la guardassero, come se fosse un'attrazione da circo, come se Regina avesse spifferato a tutti quello che aveva visto. Poteva giurare di aver visto Ruby Lucas tentare di farle lo sgambetto.
Tornò a casa perché sapeva che sua madre non c'era e sarebbe dovuta arrivare tardi. Si lasciò sul divano e strinse gli occhi per non piangere. Dopo una buona mezz'ora s'alzò a sedere e fissò il tavolino, dove fino al giorno prima c'era il capello dello sceriffo. Notò una busta aperta. Si guardò attorno e cominciò a girare nelle stanze. Sua madre non c'è ma le finestre sono aperte e una pentola con pomodori pelati e una carne poco cotta era sul fuoco. Doveva essere uscita di fretta.
Emma tornò in salotto e si sedette ancora sul divano. Notò di nuovo quella busta.
Emma Swan, c'era scritto. Era per lei. Si lanciò sul tavolino e sul pezzo di carta e la aprì.
Risultati della analisi... Laboratorio di biochimica del dipartimento scientifico della polizia statale... Firmato Dott. Victor Whale specialista in ginecologia ed ostetricia...
Emma appollottolò il pezzo di carta e volò al piano di sopra. Cercò nell'armadio quella sacca rossa e nera che anni fa usava per la palestra. Lanciò vestiti per aria prima di trovarla.
Il cellulare squillò.
Mamma
Non volle rispondere, neanche guardare. Rifiutò la chiamata e spense il cellulare.
Prese due paia di jeans, gli stivali e tre magliette e li ficcò nella sacca. Raccattò il cappotto più pesante che si ricordava di avere e corse al piano di sotto. Raggiunse la cucina dove c'era la porta sul retro. Prese un respiro profondo, annusando per l'ultima volta l'odore della cucina e di casa.
"Emma!" chiamò qualcuno dall'ingresso. Ma lei s'affrettò fuori dall'altro lato e corse via. Lasciò perdere l'auto e corse veloce. Si fermò col fiatone solo quando pensava di essere abbastanza lontano, quando credeva che da casa sua non si sentisse neanche il rimbombo dei suoi passi pesanti e veloci sull'asfalto. Si ricordò solo allora di non aver portato soldi con sé, aveva solo quello che le era rimasto in tasca: trenta dollari e due caramelle che aveva preso ad August. Aveva il cellulare, ma non il caricabatterie. Tanto male, non avrebbe mai voluto riaccenderlo.
Raggiunse la stazione dei pullman e con quel poco che aveva comprò un biglietto per New York, un panino ed una bottiglia d'acqua. Salì e guardò la scuola e casa sua dal finestrino per l'ultima volta. 




 




Angolo dell'autrice
Ciao a tutti! :)
Mi scuso  per gli OOC. Stavolta però non dei ritardi ;P 
Come vi avevo anticipato, questa partiva come one shot che ho spezzato per non rendere troppo lunga. Onestamente ho in mente una serie infinita di finali. Ho ristretto la rosa a tre. A seconda di quello che sceglierò ci potrà essere un altro o altri 2 capitoli, epilogo compreso. 
L'ispirazione per la ff nasce da Never been kissed e da Trust, due film diversi che vi consiglio di vedere entrambi.
Fatemi sapere cosa ve n'è sembrato e se avete consigli da darmi. Aspetto le vostre recensioni, alla prossima ;)

  
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