Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: kitsune999    19/03/2009    11 recensioni
¡Warning! - Raccolta di semi-bakaboiate xD
~Stage 3 • “Permanent Marker” featuring Ryō Ishizaki~
[...] Takeshi diede di gomito a Ken, seduto vicino a lui, e portandosi teatralmente una mano al viso gli mormorò in tono melodrammatico, a metà via tra l’avvilito e il divertito:
-Oh, Signore. Ci troviamo dinnanzi ad un processo di involuzione della specie umana. Peggio che alle elementari…anzi, qui siamo a livello asilo nido.
Mentre sorseggiava una bibita, il portiere catalizzò la sua attenzione verso la persona che aveva suscitato il commento spontaneo dell’amico, ovvero Tarō, che li aveva appena raggiunti al tavolo della colazione.
Fu colto istantaneamente da un'irrefrenabile crisi di ridarella, e per poco non si strozzò con l'aranciata.
[...]
_______________________________
[Tsubasa ✘ Tarō]
Collezione di brevi capitoli, ciascuno dei quali è una storia composta da tredici drabble da cento parole.
Accozzaglia di voli prosaici (leggasi: viaggi allucinanti) sui miei G&G preferiti.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stage 2 featuring Kojiro Hyuga

          

        ~Stage 2

(10 x 11) + 9 = 1 (casino) featuring Kojirō Hyūga

 

 

 

Aveva rischiato di prendersela dritta in fronte, la bordata di Kojirō.

Si era scansato all’ultimo solo grazie a chissà quale reminiscenza di riflesso condizionato.

-Mi sembri uno stoccafisso oggi, ma stai dormendo? Quel passaggio era per te!

Era stata la stizzita osservazione del capocannoniere mentre, già sul piede di guerra, fissava il capitano –o ciò che ne restava- dopo che aveva mancato l’ennesimo assist.

In effetti quel giorno stava dando il peggio di sé, e la cosa stava provocando un certo stupore fra i compagni di squadra, le cui facce lasciavano intendere che concordassero con quanto asserito dall’incazzoso numero nove.

 

Ma la cosa più irritante era che l’incazzoso numero nove sapeva.

E si vedeva lontano un miglio che ci godeva come un pazzo nel prenderlo allegramente per il culo, permettendosi di fargli critiche pungenti farcite di svariati epiteti, che in altre circostanze avrebbe omesso.

Se c’era una cosa poi che non lo aiutava sicuramente a sopportare la sua tirannia era il fatto che il motivo principale dello stordimento di quel giorno fosse sempre lì, vicino a lui, in campo.

Eppure non era avvezzo a lasciarsi andare alle fantasie libidinose, specialmente quando in teoria avrebbe dovuto stare concentrato solo sul pallone.

 

Si girava da una parte, e vi trovava la Faina che gli lanciava occhiatine ammiccanti, corredate da quel suo sorriso devastante.

Si girava dall’altra, e vi trovava la Tigre che, con il consueto aplomb, lo fissava tracotante, mentre cercava di dirgli qualcosa senza usare la voce, sfruttando solo il labiale.

Vi lesse indignato la parola “finocchio”, a cui replicò prontamente concedendogli una regale vista del suo dito medio alzato.

Ovvio che sarebbe stata lui la vittima designata.

Scontato.

Tarō appariva così innocuo e mite che nessuno avrebbe osato assillarlo troppo, non ci sarebbe stato gusto.

Ah, se solo avesse saputo.

 

No, decisamente.

Non era cominciato bene, quell’allenamento.

A partire da quando aveva posato lo sguardo sulla sua schiena, mentre correva una spanna avanti a lui.

Vedendo quel numero stampato a caratteri cubitali sulla sua maglia, gli erano prepotentemente tornate alla memoria cose del tutto inappropriate a quel contesto e, per quanto si stesse imponendo di darci un taglio, l’occhio continuava a cadergli sempre .

Più si sforzava di ignorarli, più quei pensieri facevano capolino.

Era un circolo vizioso.

Undici.

Ce l’aveva impresso a fuoco nel cervello.

Ricordava ogni attimo di quanto successo il giorno prima negli spogliatoi deserti.

O quasi.

 

E dire che l’idea non era nemmeno stata sua.

Però l’aveva gradita, eccome.

Perché non si vedevano da un po’, e non avrebbero potuto resistere oltre.

Un piacevole “defaticamento” post-allenamento.

Anche se di defaticante c’era stato ben poco.

Tirarono per le lunghe le operazioni di riassettamento personale, in attesa che se ne andassero tutti.

Finché non rimasero finalmente soli.

Il pericolo che potesse entrare qualcuno era sempre in agguato e, per ovviare al problema, si rintanarono nelle docce chiudendo a chiave gli spogliatoi, prefiggendosi di non fare troppo casino.

Così facendo, il rischio avrebbe dovuto essere ridotto ai minimi termini.

 

-No, non toglierti la maglietta, lasciatela addosso, così faremo prima nel caso in cui ci sia da battere in ritirata. E poi…- gli aveva sussurrato all’orecchio, mentre lo faceva voltare –…mi piace vederti vestito così.

Ecco spiegata la ragione per la quale adesso non la smetteva di vedersi quel maledetto numero sempre davanti agli occhi.

Comunque, mantenersi parzialmente lucidi per captare rumori sospetti mentre si era occupati in quelle amene attività lubriche non era certo cosa facile, ne erano consapevoli.

Ma confidavano molto sul fatto che fosse altamente improbabile essere disturbati, dato l’orario e la porta chiusa a doppia mandata.

 

Kojirō.

Mosso da un insano spirito agonistico, ignorava impavidamente i segnali di sfinimento lanciati dal proprio fisico ma soprattutto dai propri stinchi, stressati dai continui scontri ravvicinati con sequoie, palle mediche e tsunami.

Unico obiettivo: potenziare le temibili fucilate cosmiche che solevano spazzare via gli avversari come fossero birilli.

Non soltanto le sue mine mietevano vittime; specialmente verso metà partita, con alle spalle già qualche litro di sudore versato, un sostanzioso contributo allo sterminio veniva elargito dai soavi effluvi sprigionati dalle sue ascelle, perennemente all’aria grazie alla mania di arrotolarsi qualunque manica rischiasse di occultare la perfezione dei suoi bicipiti.

 

In costante ricerca di un optimum quasi utopistico, in campo era davvero infaticabile.

Pertanto, non era affatto strano che quel giorno avesse deciso di dedicarsi ad un solitario allenamento fuori programma.

Aveva aspettato fino all’ultimo che quei due grulli levassero le tende, ma alla fine era stato costretto a cedere per primo fingendo di andarsene, altrimenti avrebbe dato nell’occhio.

E non lo allettava affatto l’idea di dover sbandierare ai quattro venti i suoi impegni mondani per la serata.

Gironzolò a vuoto in quei pressi per una ventina di minuti, poi, lievemente innervosito per il contrattempo, fece dietro-front verso gli spogliatoi.

 

La porta era chiusa a chiave.

Oh , poco male. Ne aveva una copia, se l’era fatta dare in gran segreto dal custode il giorno prima, in vista di quelle private sessioni straordinarie.

Non appena mise piede all’interno, notò due sacche appoggiate sulle panche.

Era mai possibile che quei due fossero ancora lì?

Aguzzò le orecchie e udì dei rumori, soffocati ma inequivocabili, provenire dalle docce.

Non ci arrivò subito.

In un primo momento si rifiutò di considerare l’ipotesi.

Un’altra persona, magari più discreta, avrebbe silenziosamente tagliato la corda.

Ma lui stentava a crederci, doveva sincerarsene con i suoi occhi.

 

Sentirono l’uscio cigolare, dei passi pesanti ed il tonfo di un borsone che veniva sbattuto con malagrazia su di una panca.

Ebbero a malapena il tempo di ricomporsi che la porta della doccia venne quasi divelta da una pedata dalla potenza di tutto rispetto.

Cristosanto.

Ma fra tutte le persone che potevano cappellarli, proprio LUI.

E ti pareva.

L’esterrefatto Kojirō si ritrovò davanti uno Tsubasa che armeggiava freneticamente con la chiusura dei pantaloni, rischiando per la fretta di pizzicarsi l’attrezzo in mezzo alla dannata cerniera, e un Tarō intento a risistemarsi alla bell’è meglio la tuta, con aria vagamente colpevole.

 

Dopo essere passato dal bianco gesso al rosso peperone, ora sembrava tornato del suo colore naturale, fortemente rievocante la carnagione olivastra di un venditore di tappeti tunisino.

E li stava fissando con un’espressione che era un tutto dire.

Definirlo ghigno sardonico non avrebbe reso abbastanza l’idea.

Quello era il suo leggendario muso sfottò elevato all’ennesima potenza, completo di tutti gli irrinunciabili accessori del caso: sopracciglio alzato, sorrisetto sghembo, occhi a fessura.

-Non so perché, ma la cosa non mi sorprende- Aveva cinguettato sarcastico, senza distogliere lo sguardo e prendendosi il mento fra due dita, fingendosi assorto in chissà quali ragionamenti.

 

Tarō come al solito era bravissimo a dissimulare, sembrava essere nato per quella parte, ma la faccia di Tsubasa era un vero bijou, avendo spaziato tutte le tonalità di rosso esistenti.

Kojirō, dal canto suo, ci aveva messo due secondi a metabolizzare lo shock, poi era partito subito all’attacco.

-Oddio, su di te non avevo il benché minimo dubbio- Disse perfidamente indicando il numero undici, che fece spallucce –però da te sinceramente non me l’aspettavo. Ma non stavi con Sanae?

Odiosa domanda retorica.

Si stava divertendo un mondo a metterli in imbarazzo, era palese, non si sforzava neanche di nasconderlo.

 

Fu l’intervento del pacato Tarō alias la Faina che ristabilì il delicato equilibrio, per mezzo di una semplice frase.

-Ascolta Kojirō, è molto importante che tu non lo dica a nessuno.

Il cannoniere lo guardò inclinando il capo e scrollò le spalle, replicando:

-C’ero arrivato anche da solo. Tranquilli, a me basta potervi sfottere privatamente, non mi interessa affatto sputtanarvi in giro.

La promessa fu suggellata da una delle sue urtanti facce da satiro.

, c’era di buono che almeno non sarebbero stati esposti al pubblico ludibrio.

Anche se, forse, diventare il bersaglio preferito della Tigre sarebbe stato ancora peggio.

 

 

~Stage 2 - END~

 

 

 

E via, anche il secondo passo è fatto, tredici drabbline tredici di cento parole cento. Sono rientrata nel range bislacco che mi ero prefissata. Deo Gratias.

Ho rischiato l’overdose da M&M’s mentre buttavo giù questa scemata di stage, ma sono sopravvissuta tornando dal coma diabetico illesa (o quasi, forse adesso mi è rimasto un solo neurone anziché due.)

E mi sono accorta che ormai mi viene spontaneo contare le parole di qualsiasi altra cosa stia scrivendo.

Credo che il prossimo passo verso il raggiungimento di una completa e sana follia mentale sarà comporre haiku, sissì xD

Detto questo, ho ricevuto delle recensioni talmente positive ed incoraggianti nello scorso capitolo che al pensiero ancora gongolo spudoratamente. Proprio così, mi riferisco a VOI, divine Releuse83, Cristy8, renge_no_hana e Uchihagirl. In particolare quest’ultima mi ha quasi commosso con le sue parole, non esagero. L’ho già detto che ancora gongolo? Ah, sì.

Thank you so much from the bottom of my heart (è scientificamente comprovato, l’inglese fa sempre un effetto molto cool. Buttato a caso in  mezzo alle frasi dà un non so che di esotico al discorso xD). Non so se sarò sempre all’altezza delle vostre aspettative, ma quantomeno lo spero…diciamo che farò quel che potrò, và xD

Ormai scrivere bakascemate è diventata una ragione di vita U_U

E comunque, ragazze, non dovreste essere così buone con me dato che in realtà sono un’untrice in incognito, il cui unico subdolo scopo è quello di contagiare quanti più innocenti possibile con la Tsubytarite, di cui sono portatrice (in)sana xD

Perché ho una missione da compiere, io.

 

P.S. Era logico che avrei ambientato il secondo stage negli spogliatoi. Suvvia, si sa che quelli sono i luoghi della perdizione per antonomasia xD

 

P.S. 2 Un baciottolo sbavettoso a PucchykoGirl, che ha letto in anteprima la Boiata.

A buon rendere, caVissima ;-)

P.S. 3 Non si ispirano direttamente ai contenuti di questa fanfic, ma vabbè, qualcosa dovevo pur metterci xD

 

  
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