~Stage 2
(10 x 11) + 9 = 1 (casino)
featuring Kojirō
Hyūga
Aveva rischiato di prendersela
dritta in fronte, la bordata di Kojirō.
Si era scansato all’ultimo solo
grazie a chissà quale reminiscenza di riflesso condizionato.
-Mi sembri uno stoccafisso oggi,
ma stai dormendo? Quel passaggio era per te!
Era stata la stizzita osservazione
del capocannoniere mentre, già sul piede di guerra,
fissava il capitano –o ciò che ne restava- dopo che aveva mancato l’ennesimo
assist.
In effetti quel giorno stava dando il peggio
di sé, e la cosa stava provocando un certo stupore fra i compagni di squadra,
le cui facce lasciavano intendere che concordassero con quanto asserito dall’incazzoso numero nove.
Ma la cosa più irritante era che
l’incazzoso numero nove sapeva.
E si vedeva lontano un miglio che
ci godeva come un pazzo nel prenderlo allegramente
per il culo, permettendosi
di fargli critiche pungenti farcite di svariati epiteti, che in altre
circostanze avrebbe omesso.
Se c’era una cosa poi che non lo
aiutava sicuramente a sopportare la sua tirannia era il fatto
che il motivo principale dello stordimento di quel giorno fosse sempre
lì, vicino a lui, in campo.
Eppure non era avvezzo a lasciarsi
andare alle fantasie libidinose, specialmente quando in teoria avrebbe dovuto stare
concentrato solo sul pallone.
Si girava da una parte, e vi
trovava la Faina che gli lanciava occhiatine ammiccanti, corredate
da quel suo sorriso devastante.
Si girava dall’altra, e vi trovava
la Tigre che, con il consueto aplomb,
lo fissava tracotante, mentre cercava di dirgli qualcosa senza usare la voce,
sfruttando solo il labiale.
Vi lesse indignato la parola
“finocchio”, a cui replicò prontamente concedendogli una regale vista del suo
dito medio alzato.
Ovvio che sarebbe
stata lui la vittima designata.
Scontato.
Tarō appariva così innocuo e
mite che nessuno avrebbe osato assillarlo troppo, non ci sarebbe
stato gusto.
Ah, se solo avesse saputo.
No, decisamente.
Non era cominciato bene, quell’allenamento.
A partire da quando aveva posato
lo sguardo sulla sua schiena, mentre correva una spanna avanti a lui.
Vedendo quel numero stampato a
caratteri cubitali sulla sua maglia, gli erano prepotentemente tornate alla
memoria cose del tutto inappropriate
a quel contesto e, per quanto si stesse imponendo di
darci un taglio, l’occhio continuava a cadergli sempre lì.
Più si sforzava
di ignorarli, più quei pensieri facevano capolino.
Era un circolo vizioso.
Undici.
Ce l’aveva impresso a fuoco nel
cervello.
Ricordava ogni attimo di quanto successo il giorno prima negli spogliatoi deserti.
O quasi.
E dire che l’idea non era nemmeno
stata sua.
Però l’aveva gradita, eccome.
Perché non si vedevano da un po’, e non
avrebbero potuto resistere oltre.
Un piacevole “defaticamento”
post-allenamento.
Anche se di defaticante c’era stato ben
poco.
Tirarono per le lunghe le
operazioni di riassettamento personale, in attesa che se ne andassero tutti.
Finché non rimasero finalmente soli.
Il pericolo che potesse
entrare qualcuno era sempre in agguato e, per ovviare al problema, si
rintanarono nelle docce chiudendo a chiave gli spogliatoi, prefiggendosi di non
fare troppo casino.
Così facendo, il rischio avrebbe dovuto essere ridotto ai minimi termini.
-No, non toglierti la maglietta, lasciatela addosso, così faremo prima nel caso in cui ci sia
da battere in ritirata. E poi…- gli aveva sussurrato
all’orecchio, mentre lo faceva voltare –…mi piace vederti vestito così.
Ecco spiegata la ragione per la
quale adesso non la smetteva di vedersi quel maledetto numero sempre davanti
agli occhi.
Comunque, mantenersi parzialmente lucidi
per captare rumori sospetti mentre si era occupati in quelle amene attività
lubriche non era certo cosa facile, ne erano consapevoli.
Ma confidavano molto sul fatto che
fosse altamente improbabile essere disturbati, dato
l’orario e la porta chiusa a doppia mandata.
Kojirō.
Mosso da un insano spirito
agonistico, ignorava impavidamente i segnali di sfinimento lanciati dal proprio
fisico ma soprattutto dai propri stinchi, stressati
dai continui scontri ravvicinati con sequoie, palle mediche e tsunami.
Unico obiettivo: potenziare le
temibili fucilate cosmiche che solevano spazzare via gli avversari come fossero
birilli.
Non soltanto le sue mine mietevano
vittime; specialmente verso metà partita, con alle
spalle già qualche litro di sudore versato, un sostanzioso contributo allo
sterminio veniva elargito dai soavi
effluvi sprigionati dalle sue ascelle, perennemente all’aria grazie alla mania
di arrotolarsi qualunque manica rischiasse di occultare la perfezione dei suoi
bicipiti.
In costante ricerca di un optimum quasi utopistico, in campo era
davvero infaticabile.
Pertanto, non era affatto strano
che quel giorno avesse deciso di dedicarsi ad un solitario allenamento fuori
programma.
Aveva aspettato fino all’ultimo
che quei due grulli levassero le tende, ma alla fine
era stato costretto a cedere per primo fingendo di andarsene, altrimenti
avrebbe dato nell’occhio.
E non lo allettava affatto l’idea
di dover sbandierare ai quattro venti i suoi impegni mondani per la serata.
Gironzolò a
vuoto in quei pressi per una ventina di minuti, poi, lievemente innervosito per il contrattempo, fece dietro-front verso gli
spogliatoi.
La porta era chiusa a chiave.
Oh bè,
poco male. Ne aveva una copia, se l’era fatta dare in
gran segreto dal custode il giorno prima, in vista di quelle private sessioni
straordinarie.
Non appena mise piede all’interno,
notò due sacche appoggiate sulle panche.
Era mai possibile che quei due
fossero ancora lì?
Aguzzò le orecchie e udì dei
rumori, soffocati ma inequivocabili, provenire dalle docce.
Non ci arrivò subito.
In un primo momento si rifiutò di
considerare l’ipotesi.
Un’altra persona, magari più
discreta, avrebbe silenziosamente tagliato la corda.
Ma lui stentava a crederci, doveva
sincerarsene con i suoi occhi.
Sentirono l’uscio cigolare, dei
passi pesanti ed il tonfo di un borsone che veniva
sbattuto con malagrazia su di una panca.
Ebbero a malapena il tempo di
ricomporsi che la porta della doccia venne quasi
divelta da una pedata dalla potenza di tutto rispetto.
Cristosanto.
Ma fra tutte le persone che potevano
cappellarli, proprio LUI.
E ti pareva.
L’esterrefatto Kojirō
si ritrovò davanti uno Tsubasa
che armeggiava freneticamente con la chiusura dei pantaloni, rischiando per la
fretta di pizzicarsi l’attrezzo in
mezzo alla dannata cerniera, e un Tarō intento a risistemarsi alla bell’è meglio la tuta, con aria vagamente colpevole.
Dopo essere passato dal bianco
gesso al rosso peperone, ora sembrava tornato del suo colore naturale,
fortemente rievocante la carnagione olivastra di un venditore di tappeti
tunisino.
E li stava fissando con
un’espressione che era un tutto dire.
Definirlo ghigno sardonico non
avrebbe reso abbastanza l’idea.
Quello era il suo leggendario muso sfottò elevato all’ennesima
potenza, completo di tutti gli irrinunciabili accessori del caso: sopracciglio
alzato, sorrisetto sghembo, occhi a fessura.
-Non so perché, ma la cosa non mi
sorprende- Aveva cinguettato sarcastico, senza
distogliere lo sguardo e prendendosi il mento fra due dita, fingendosi assorto
in chissà quali ragionamenti.
Tarō come al
solito era bravissimo a dissimulare, sembrava essere nato per quella parte, ma
la faccia di Tsubasa era un vero
bijou,
avendo spaziato tutte le tonalità di rosso esistenti.
Kojirō, dal canto suo, ci aveva messo
due secondi a metabolizzare lo shock,
poi era partito subito all’attacco.
-Oddio, su di te non avevo il benché minimo dubbio- Disse perfidamente indicando il
numero undici, che fece spallucce –però da te
sinceramente non me l’aspettavo. Ma non stavi con Sanae?
Odiosa domanda retorica.
Si stava divertendo un mondo a
metterli in imbarazzo, era palese, non si sforzava neanche di nasconderlo.
Fu l’intervento del pacato Tarō alias la Faina che ristabilì il delicato
equilibrio, per mezzo di una semplice frase.
-Ascolta Kojirō,
è molto importante che tu non lo dica a nessuno.
Il cannoniere lo guardò inclinando
il capo e scrollò le spalle, replicando:
-C’ero arrivato anche da solo.
Tranquilli, a me basta potervi sfottere privatamente,
non mi interessa affatto sputtanarvi
in giro.
La promessa fu suggellata da una
delle sue urtanti facce da satiro.
Bè, c’era di buono che almeno non
sarebbero stati esposti al pubblico ludibrio.
Anche se, forse, diventare il bersaglio
preferito della Tigre sarebbe stato ancora peggio.
~Stage 2 - END~
E via, anche il secondo passo è
fatto, tredici drabbline tredici di cento parole
cento. Sono rientrata nel range bislacco che mi ero prefissata. Deo Gratias.
Ho rischiato l’overdose da M&M’s mentre buttavo giù
questa scemata di stage, ma sono sopravvissuta tornando dal coma diabetico
illesa (o quasi, forse adesso mi è rimasto un solo neurone anziché due.)
E mi sono accorta che ormai mi viene
spontaneo contare le parole di qualsiasi altra cosa stia scrivendo.
Credo che il prossimo passo verso
il raggiungimento di una completa e sana
follia mentale sarà comporre haiku, sissì xD
Detto questo, ho ricevuto delle
recensioni talmente positive ed incoraggianti nello
scorso capitolo che al pensiero ancora gongolo spudoratamente. Proprio così, mi riferisco a VOI,
divine Releuse83, Cristy8, renge_no_hana e Uchihagirl. In particolare quest’ultima
mi ha quasi commosso con le sue parole, non esagero. L’ho già detto che ancora
gongolo? Ah, sì.
Thank you so much from the bottom of my heart ♥ (è scientificamente comprovato, l’inglese
fa sempre un effetto molto cool. Buttato a caso in mezzo alle frasi dà un non so che di
esotico al discorso xD). Non so se sarò sempre all’altezza
delle vostre aspettative, ma quantomeno lo
spero…diciamo che farò quel che potrò, và xD
Ormai scrivere bakascemate
è diventata una ragione di vita U_U
E comunque,
ragazze, non dovreste essere così buone con me dato che in realtà sono
un’untrice in incognito, il cui unico subdolo scopo è quello di contagiare
quanti più innocenti possibile con la Tsubytarite, di
cui sono portatrice (in)sana xD
Perché ho una missione da compiere, io.
P.S. Era
logico che avrei ambientato il secondo stage negli spogliatoi. Suvvia, si sa
che quelli sono i luoghi della perdizione
per antonomasia xD
P.S. 2 Un
baciottolo sbavettoso a PucchykoGirl, che ha letto in anteprima la Boiata.
A buon rendere, caVissima ;-)
P.S. 3 Non si ispirano
direttamente ai contenuti di questa fanfic, ma vabbè, qualcosa dovevo pur metterci xD
→ ★