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Autore: Niruh    05/02/2016    1 recensioni
Andrea ha 23 anni e una vita monotona tra università, amici e bar in cui lavora per mantenersi lontano da casa. Un giorno però nel suo locale entra Vanessa, una ragazza solitaria dai tratti delicati e orientali. Vanessa è talmente persa nel suo mondo e così poco consapevole della propria bellezza che Andrea se ne innamora all'istante, ma sa così poco di lei che quando scompare per l’ennesima volta può solo aspettarla, o no?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tè al Ginseng

Capitolo 3

Andrea ci mise davvero un bel po’ per riprendersi dallo stato di trance. Aveva strabuzzato gli occhi, fatto quasi cadere il cellulare nel latte e riletto quel messaggio tante –tantissime- volte. Perché non era vero, no? Non poteva esserlo.
E’ impossibile.
Non c’era bisogno di avere chissà quanta esperienza per capire che con quel messaggio lei aveva flirtato con lui. Andrea per un momento gioì con se stesso, poi l’insicurezza lo colpì. Anche se fisicamente era cresciuto bene, per via del suo carattere aveva collezionato dei rifiuti negli anni e montarsi la testa non era il modo migliore per affrontare le cose.
E se stesse solo scherzando?
Aveva avuto le sue relazioni, ma a volte le donne non riusciva proprio a capirle. Non si trattava solo di Linda Bosco che gli lanciava bigliettini con frasi criptiche e sguardo arrabbiato, ma anche sua sorella che gli chiedeva una cosa e poi si irritava perché l’aveva fatta.
Per lui le donne erano contraddizione pura e non riusciva a capire quanto Vanessa, la sua bellissima Vanessa, potesse aver messo di vero in quel messaggio.
Oh, coglione, pensi troppo!
In effetti aveva anche quel piccolo problema di rimuginare sulle cose.
Vanessa era sempre stata taciturna e silenziosa. Forse l’aveva idealizzata pensando a lei come a qualcosa di irraggiungibile, chiusa nell’angolino del bar e persa nel suo libro. Ma era da pazzi, no? Averla guardata per così tanto tempo e non aver colto la sua essenza. Doveva aver capito almeno una piccola parte di lei.
“So che al mattino gli smartphone sono particolarmente attraenti, ma lo stai fissando da troppo tempo perché la cosa possa risultare normale” disse Ezio posizionando la valigia nel corridoio. Era passato in cucina mezz’ora prima e aveva visto l’amico nella stessa identica posizione. Sospettò che non avesse neanche sbattuto le palpebre.
Andrea lo guardò e pensò che un altro umano, di indubbia qualità cognitiva visti i suoi voti all’università, avrebbe spazzato via qualsiasi idiozia il suo cervello stesse creando.
Ezio vide l’amico mostrargli lo schermo e quasi sperò in qualche ragazza in topless. Avrebbe di sicuro giustificato la particolare attenzione dell’amico. Si avvicinò e lesse il messaggio.
“Beh” si aprì in un grande sorriso “Grande! Allora è fatta?” alzò il cinque per batterlo con l’amico, ma Andrea non ricambiò.
“Non dirmi che ti stai facendo pippe mentali. Ci risiamo” alzò gli occhi al cielo Ezio.
“Questa ragazza ti ha detto che si sente attratta da te. E’ un via libera” gli spiegò. “I sì al posto dei no o le stronzate che hai dedotto vivendo con tua sorella non sono rilevanti” gli diede una pacca sulla spalla per scuoterlo.
Andrea sapeva che Ezio non gli avrebbe mai detto cose che non pensava. Quando ne passi tante insieme a qualcuno la sincerità è la prima cosa.
Si disse che, sì, era vero, Vanessa aveva apertamente flirtato con lui. E lui non era affatto male. Avrebbe messo la sua maglia preferita, un paio di jeans e l’avrebbe incontrata per restituirle quello che -
Oh no!
Per incontrarla le ho detto che aveva lasciato una cosa al locale” rivelò all’amico portando una mano sul viso, disperato.
“Le hai detto anche cosa?” chiese Ezio addentando un biscotto.
“No”
“Bene, allora potrebbe essere qualsiasi cosa. Devi solo scegliere”
Andrea non sapeva cosa usare. Doveva essere qualcosa che lei poteva davvero aver dimenticato lì.
Vagò con lo sguardo per la cucina in cerca di ispirazione.
Scatola di caffè, tazza a forma di pac-man, porta tovaglioli…
Poi, lo sguardo gli cadde sulla valigia di Ezio. A lato, colpito da un raggio di luce, probabilmente frutto della sua mente bacata, spuntava un ombrello.


“Lo incarto?”
“Sì” rispose Andrea. Non poteva rispondere altrimenti. Se il 23 dicembre compri un ombrello con delle paperelle stampate sopra e vuoi mantenere una parvenza di dignità hai l’obbligo di far credere alla commessa che quello sia un regalo e non la fantomatica cosa che devi restituire alla ragazza per cui hai perso la testa.
Era l’unico pezzo rimasto e la cosa l’aveva fatto sudare freddo a dir poco. Dove sono quelli che li vendono per strada quando servono? Quel negozio poi, era l’unico che aveva trovato aperto ad orario di pranzo.
Aveva chiamato Ezio per pregarlo di dargli il suo, ma l’amico era all’università per un ricevimento e non avrebbe fatto in tempo a raggiungerlo.
Ma poi chi è che va all’università il 23 dicembre!?
L’ombrello di Andrea invece si reggeva a stento grazie alla gravità. Aveva persino un buco nel tessuto.
Il ragazzo aveva anche pensato di comprare qualcos’altro, ma nulla sembrava adatto. Sapeva che solo una ragazza molto distratta avrebbe potuto credere a quella balla, ma cercò di convincersi che era una buona idea.
Ho sempre buone idee alle quattro di notte.
Come quella volta in cui era così contento di andare a pescare con suo padre perché negli ultimi due fine settimana non lo aveva visto. Aveva undici anni e neanche la minima idea di come si pescasse, quindi aveva passato l’intera notte a leggere guide e consigli su internet per non farsi cogliere impreparato. Al mattino, tra il freddo del lago e i suoi occhi stanchi, si era addormentato con la canna in mano e non era riuscito a prendere nulla.
A volte si sentiva ancora un bambino insicuro con le mani sporche di china e matita. Un bambino che aspettava con ansia il fine settimana per vedere il padre, ma che si sentiva di deluderlo se si dimostrava incapace in qualcosa.
Mentre andava al bar, perso nei suoi pensieri, il cellulare lo avvertì di una chiamata ed Andrea, riscosso, rispose.
“Wow, hai risposto subito” esordì una voce femminile squillante.
“Ti ho risposto solo una volta in ritardo” iniziò Andrea alzando gli occhi al cielo.
“Sìsì, certo” lo liquidò la voce. “Mamma vuole sapere il momento esatto in cui partirai e quello in cui arriverai, per infornare le lasagne”
“Eli, ma le avevo già detto che sarei arrivato molto tardi perché il treno è nel pomeriggio” rispose portandosi una mano dietro la testa. Sua sorella Elisa non era mai stata comprensiva, soprattutto con lui, ma quella volta sospirò per supporto.
“Ho provato a dissuaderla, ma dice che arriverai morto di fame. E’ un caso perso”
Andrea sentì quasi la sorella temporeggiare, come se pensasse ad altro e non alle lasagne.
“Oggi ha chiamato papà”
Oh.
“Verrà a Natale” lo informò la sorella.
“E verrà anche lei?” chiese Andrea. Lei era la compagna superstrana di suo padre.
“Non ho indagato, ma penso proprio di sì”
“Mamma?” domandò protettivo.
“Al solito. Cucina per non ammettere che pensa ancora a lui” rispose Elisa ridacchiando.
Andrea rise. “Ottimo. Devo proprio riprendere i chili che ho perso” e si toccò la pancia.
“Ora devo andare, è tornata nonna! Chiamami quando arrivi”.
Andrea la salutò e chiusero la chiamata.
Si avviò verso il locale e, non potendo farne a meno, pensò a Vanessa. Da una lato aveva una voglia matta di vederla e farle capire quanto fosse pronto a conoscerla. Dall’altro non sapeva cosa aspettarsi.
Gli capitava spesso di sentirsi così. Come quando a diciotto anni aveva saputo che il suo artista preferito sarebbe stato nella sua città. Aveva aspettato sei ore in fila per farsi firmare la copia di stampa grafica che adorava, ma un momento prima che toccasse il suo turno aveva desiderato non essere lì. Aveva timore del confronto con l’artista, di scoprirlo diverso da quello che credeva.
Quando gli arrivò davanti, l’uomo lo guardò da dietro un paio di occhiali anni cinquanta. Era un artista dai lavori eclettici, uno da cui non sai mai cosa aspettarti. Quella volta però sorrise e, alzando la mano sporcata dalla stilografica, indicò Andrea. Disse solo “Bella maglietta”, ma al ragazzo sembrò come se quelle parole racchiudessero un mondo di approvazione. Aveva disegnato lui quella maglietta e da quel momento aveva dubitato meno delle sue abilità artistiche.
“Sei di nuovo perso nel tuo mondo, eh?”
Andrea sobbalzò e si girò verso Eva, l’altra ragazza che lavorava nel locale. Stava sistemando i tavolini fuori. Tendevano a non metterli d’inverno, ma alcuni anziani a volte preferivano fermarsi lì e guardare il via vai sulla stradina.
Eva era davvero carina, ma da sempre offlimits per Andrea perché figlia del capo. Il ragazzo si sentiva davvero a suo agio con lei e non era stato difficile considerarla solo una buona amica. Soprattutto da quando aveva visto Vanessa per la prima volta.
“Oh, sì” rispose Andrea.
“Si tratta di quella ragazza che viene sempre, vero?” chiese con un sorriso malizioso.
Il ragazzo portò una mano dietro la testa e non riuscì a mentire. Non era affatto bravo a farlo.
“Secondo te ho qualche speranza?” chiese sincero aiutando la ragazza.
Lei sorrise “Tu hai sempre speranze” gli fece notare. Se Andrea non l’avesse conosciuta così bene, avrebbe potuto pensare che ci stesse provando, ma erano davvero solo amici. A volte lo capiva anche di più di sua sorella, che era decisamente troppo critica.
“E’ quel tuo amico che non sa come ci si comporta” esclamò ad un tratto piccata. “Qualcuno dovrebbe insegnargli che la prima cosa da guardare in una donna sono gli occhi e non altro!”
Andrea si trattenne dal ridere spudoratamente. Ezio in effetti gli aveva fornito bei dettagli, su misure ipotetiche e tutto il resto.
“Non ho intenzione di uscirci mai più!” esclamò sicura.
Eppure Andrea vide che i suoi occhi e il suo corpo dicevano tutt’altro.
Mmh, amico, i sì al posto dei no sono stronzate. Sì, Ezio, proprio così.
Era cresciuto con sole donne, il minimo che aveva imparato era che non erano affatto semplici.
Eva gli prese una sedia dalle mani. “Oggi non lavori, sei in ferie, ricordi?” poi si rese conto della cosa. “A proposito come mai sei qui?”
Andrea fece l’espressione più piena di ego che riuscì e puntò i pollici verso il petto “ Si da il caso che questo ragazzo dalle innumerevoli speranze abbia invitato qui la donna della sua vita”
Meglio ostentare sicurezza, pensò.
In risposta Eva rise, talmente tanto che usò la sedia che aveva appena sistemato per reggersi.
Ottimo, fa bene al mio già enorme orgoglio.
“Questa l’hai presa da Ezio” considerò la ragazza con le lacrime agli occhi.
Andrea aveva davvero pensato all’amico per quella frase quindi non poteva prendersela davvero.
“Va' a sistemarti quei capelli o la farai scappare” disse Eva dopo essersi calmata. Usò quel tono dolce che usava sua madre.
Suscito tenerezza, è un bene?
Dopo venti minuti davanti allo specchio del bagno del locale, realizzò che doveva decisamente tagliarsi i capelli. La barba poi… aveva deciso di non rasarla perché solo accennata, ma ci stava ripensando.
Almeno così non sembro un neonato, no?
Poi quelle occhiaie da psicopatico. Però non era affatto male. Aveva gli occhi blu e di solito le ragazze desideravano quelli con gli occhi color dell’oceano, no? Ma a lui sembrava di attirare solo sessantenni che volevano presentarlo alle loro nipoti.
“Andrea, è arrivata la tua dama” disse Eva bussando alla porta. Il tono che usò e le sopracciglia ammiccanti che gli mostrò poco dopo gli fecero ulteriormente capire che, per quanto negasse, lei ed Ezio erano fatti l’uno per l’altra.
Vanessa era lì nel suo angolino e improvvisamente tutti i dubbi andarono via. Non voleva essere in altro posto, anche se le mani gli sudavano da impazzire.
“Ehi” esordì avvicinandosi.
Ottimo, che inizio.
Lei, che stava sistemando qualcosa ai piedi del tavolino,alzò la testa e spostò un ciuffo di capelli scuri mostrando ad Andrea il suo volto. Era bellissima, ovviamente, ma così diversa con quei capelli. Così poco dalla lei che aveva visto la prima volta, pensò Andrea.
Il ragazzo ricordò di aver letto da qualche parte che una donna cambia acconciatura dopo una delusione amorosa. Aveva visto sua sorella cambiare colori come sua madre cambiava disposizione ai mobili. Per non parlare di come questa aveva preso il divorzio. Era successo anche a Vanessa?
Amico, spegni quel cervello da femminuccia e attiva altro! Lo ammonì l’Ezio della sua testa.
“Ciao” rispose lei con quel tono vellutato.
“Tutto bene? Cosa posso offrirti?” chiese Andrea sedendosi e cercando di darsi un’aria da figo per mascherare l’ansia. Almeno ci provò. Ed era un gran passo avanti.
“O provo ad indovinare i tuoi gusti? Sai, sono bravo” le confidò.
Lei si morse il labbro per non ridere e stette al gioco. “Certo”
Andrea esultò con se stesso. Era carico di adrenalina e di un qualcosa che gli stava dando tutto quel coraggio.
“Direi che sei il tipo da tè” poi si portò le dita alle tempie e finse di sforzarsi “ma non un tè qualsiasi, sento delle vibrazioni…” inscenò un momento di suspense. “Al ginseng! Tè al ginseng!” e la indicò.
Lei rise e ad Andrea sembrò di aver conquistato il mondo. Era meglio di un trenta e lode.
Dopo poco Eva arrivò con le due tazze da tè e Andrea pensò che aveva conquistato abbastanza coraggio per darle l’ombrello.
“Stavo quasi dimenticando perché ti ho fatta venire qui” ridacchiò venendo colto da un po’ di nervosismo.
Oh, no, i poteri stanno svanendo.
Le diede l’ombrello e portò una mano dietro la testa. “Hai dimenticato questo l’altro giorno”
Lei prese l’oggetto e Andrea quasi ci vide più paperelle rispetto a poche ore prima.
Lei era davvero di poche parole, ormai l’aveva capito, ma l’aveva già sorpreso una volta quindi non sapeva cosa aspettarsi.
“Sei stato davvero carino a conservarlo” gli disse prendendo l’ombrello.
Ok, sono carino. Va bene, no?
“Ma non è il mio” continuò Vanessa porgendoglielo. Andrea sapeva che quella era una delle reazioni possibili. Anzi, era la più sensata, dopotutto.
Quindi lo ripose nel sacchettino che posò vicino al tavolo e pensò che sì, era una scusa, e lei probabilmente l’aveva sgamato, ma aveva pur sempre funzionato. Doveva approfittare del momento.
Lei intanto mise un po’ di zucchero nella tazza e bevve un sorso di tè. Andrea si sentì in dovere di bere anche lui, almeno per seppellire l’imbarazzo dietro i vapori del liquido paglierino. Il signore del negozio orientale aveva consigliato ad Andrea di evitare lo zucchero con il ginseng, in quel modo avrebbe apprezzato a pieno il suo sapore e le sue doti benefiche. E poi, aveva aggiunto, era più da uomini.
Il ragazzo quindi, con tutta l’innocenza del mondo, lo assaggiò al naturale. Le sue papille gustative però si resero conto del fatale errore troppo tardi.
Quell’intruglio sapeva di terra amara. Non era per niente buono. La sua faccia doveva essere lo specchio di quello che gli stava succedendo in bocca perché Vanessa rise e posò la tazzina per pulirsi la bocca con un tovagliolo.
“Mia nonna l’ha sempre bevuto così” iniziò a raccontare dopo aver fatto “quando ero piccola volevo sembrare più grande della mia età perché ero più bassa delle altre bambine” accennò un sorriso al ricordo.
“Volevo davvero essere come lei che era una grande donna. Una di quelle persone che sanno sempre cosa fare e che ti dicono sempre le parole giuste. Anche se aveva un tono un po’ duro e sembrava nel posto sbagliato la maggior parte delle volte. Ma a parte questo, faceva credere a me di essere nel posto giusto ed era questo che le importava davvero” Quella confidenza colpì Andrea. C’era qualcosa negli occhi di Vanessa, qualcosa che aveva visto i primi tempi. I tempi di quel suo adorato libro.
Ma c’era troppa malinconia in quegli occhi scuri. Andrea notò che guardarono un paio di volte il cellulare posato sul tavolino.
“Grazie per quello che hai fatto“ disse ad un tratto Vanessa.
Andrea rimase spiazzato. Grazie per cosa? Aveva solo usato una scusa per rivederla e l’aveva riempita di stupidaggini.
“Per cosa?” gli venne spontaneo chiedere.
“Per quel giorno alla stazione”
Andrea rimase stordito. Quale giorno alla stazione? A quanto pare c’era qualcosa di estremamente importante che doveva ricordare.
Ma… cosa?
“Scusami, non capisco” Pensò che era meglio fare la figura del cretino che perdersi qualcosa di lei.
Vanessa si sistemò un ciuffo di capelli e Andrea quasi riuscì a sentire il suo profumo.
“Quel giorno avevo tutt'altro in testa e se tu non –“ ma le iniziò a squillare il cellulare.
Ma io devo sapere! Andrea imprecò dentro di sé contro ogni rete mobile esistente.
“Perdonami, devo proprio rispondere”
Ovvio, si disse il ragazzo, ma lo sguardo di Vanessa gli aveva fatto capire tutto. Aveva una sorta di potere su di lui. Era senza speranze se riusciva a domarlo solo con uno sguardo, no?
Poi chi diavolo era al cellulare, un ragazzo? Sembrava davvero ansiosa di rispondere.
Andrea si aspettava che lei si alzasse e allontanasse per parlare in privato. Invece rispose restando seduta.
Mochi, mochi*”
Ma è giapponese?

“Genki desu. Iie, Oto-san” e continuò in modo veloce. Era arrabbiata.
Andrea aveva visto abbastanza anime giapponesi per capire che Vanessa stava parlando con suo padre, ma per il resto si perse. Si sentì quasi a disagio quando iniziarono a litigare.
“Wakarimashita” concluse Vanessa chiudendo la chiamata con rabbia.
“Andrea, devo andare” ed iniziò a prendere le sue cose in fretta. Aveva gli occhi lucidi e Andrea sentì di nuovo quel sentimento di protezione. Voleva proteggerla da tutto.
Ma non posso farlo, vero?  Come non poteva proteggere sua madre o sua sorella.
Si alzò e combatté con se stesso. Voleva fermarla, farla calmare e dirle che per qualsiasi cosa lui ci sarebbe stato. La aiutò con la borsa e la guardò, ma non disse nulla.
Poi Vanessa, in modo inaspettato, lo abbracciò e, per quanto durò più di un abbraccio normale, a lui sembrò troppo poco. I suoi capelli gli solleticarono la guancia e sorrise. Avrebbe voluto sentirsi sempre così. Con l’altro braccio invece la strinse sul fianco e Andrea sentì le curve della ragazza sotto il palmo.
Spero di non essermi comportato da maniaco.
Quando si staccarono sentì una sorta di vuoto. Non si era mai sentito così con nessuna.
E il vuoto sembrò intensificarsi quando lei uscì dal locale.
“Stai bene?” gli chiese Eva avvicinandosi.
“Sì, credo” rispose Andrea.
Cercò di scaricare la tensione scompigliandosi i capelli.
Eva tolse le tazze e poi iniziò a pulire il tavolino sistemando le sedie. Poi prese una cosa da terra.
“Andre, questo è tuo?”
Il ragazzo riconobbe il sacchetto con l’ombrello.
“Oh, sì. Il mio stupendo ombrello nuovo” disse sdrammatizzando. Eva, da donna e curiosità fatta persona, non poté fare altro che sbirciare. Andrea però la vide leggermente confusa.
“Il tuo ombrello ha la forma di un libro” considerò.
Andrea fu un lampo, si avvicinò a lei e vide che nel sacchetto non c’era l’ombra del suo ombrello, ma al suo posto il libro di Vanessa.
Dovevano aver scambiato i sacchetti nella fretta. Subito pensò di rassicurarla. Andrea aveva visto abbastanza per sapere che quel libro era una parte di lei e non voleva farla preoccupare. Inoltre, non doveva aver fatto molta strada, poteva ancora tornare indietro.
Prese il cellulare per mandarle un messaggio, ma trovò la notifica che nessuno vuole vedere quando ha la fretta di contattare qualcuno.
La tua promozione è rinnovata, ma il tuo credito disponibile non copre il costo.
E che cavolo!







Note dell'autore:
*per le parti in giapponese:
Mochi, mochi -> Pronto
Genki desu. Iie, Oto-san -> Sto bene. No, papà.
Wakarimashita -> Ho capito
Non me ne vogliano i madrelingua o gli studenti di giapponese. La mia cultura si limita ad una grande passione per telefilm asiatici (drama) e anime. Se ho fatto qualche errore fatemelo notare e sistemerò.
Spero che il capitolo vi piaccia e che giustifichi l'attesa. Andrea oscilla dal coraggio, al sentimento di protezione all'insicurezza. Nel prossimo capitolo spiegherò il perché, promesso :D
Secondo voi riuscirà a restituire il libro a Vanessa?
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Per chi è interessato, ho pubblicato anche un'altra storia qui su efp, si intitola Amori e altri difetti.
  
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